[Pagina precedente]...azione ugualmente ricca e varia, e la soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale gl'immerge senza che se n'avvedano in una specie di rêve, come i fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Staël, laddove i settentrionali non avendo tal sorgente di occupazione interna atta a consolarli, per necessità ricorrono all'esterna, e divengono attivissimi. 2. la profondità della mente, [177]e la facoltà di penetrare nei più intimi recessi del vero dell'astratto ec. quantunque non sia loro ignota a cagione della loro sottigliezza, prontezza e penetrazione, (che rende loro più facile il concepimento e la scoperta del vero, laddove agli altri bisogna più fatica, e perciò spesso sbagliano con tutta la profondità ) contuttociò non è il loro forte, e per lo contrario forma tutta l'occupazione e quindi l'infelicità dei settentrionali colti (osservate perciò la frequenza de' suicidi in Inghilterra) i quali non hanno cosa che li distragga dalla considerazione del vero. E quantunque paia che l'immaginazione anche appresso loro sia caldissima originalissima ec. tuttavia quella è piuttosto filosofia e profondità , che immaginazione, e la loro poesia piuttosto metafisica che poesia, venendo più dal pensiero che dalle illusioni. E il loro sentimentale è piuttosto disperazione che consolazione. E la poesia antica perciò appunto non è stata mai fatta per loro; perciò appunto hanno gusti tutti differenti, e si compiacciono degli enti allegorici, delle astrazioni ec. (v. p.154.) perciò appunto sarà sempre vero che la nostra è propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero. (V. p.143-144.)
Dopo che la natura ha posto nell'uomo una inclinazione illimitata al piacere, è rimasta libera di fare che questa o quella cosa fosse considerata come piacere. Perciò le cagioni per cui una cosa è piacevole, sono indipendenti dalla sovresposta teoria, dipendendo dall'arbitrio della natura il determinare in qual cosa dovessero consistere i piaceri, e conseguentemente quali particolari dovessero esser l'oggetto della sopraddetta inclinazione dell'uomo. Esclusi quei piaceri che ho annoverati poco sopra (p.172. segg.), i quali sono piaceri, non perch'è piaciuto alla natura di volerli tali indipendentemente dalla inclinazione dell'uomo al piacere, ma solamente o principalmente per questo, che l'uomo desidera [178]illimitatamente il piacere. Del resto la virtù, i piaceri corporali, quelli della curiosità (v. se vuoi Montesquieu nel luogo citato p.170. qui sopra) (giacchè, come ho detto, per piacere intendo e vanno intese tutte le cose che l'uomo desidera) ec. ec. sono piaceri perchè la natura ha voluto, e potevano non essere con tutta la inclinazione dell'uomo al piacere, come l'idea assoluta che l'uomo ha della convenienza non è ragione perchè queste o quelle cose gli paiano convenienti, e belle. E dei piaceri altri sono comuni, altri particolari di questa o quella nazione, altri di questa o quella classe d'uomini, come i piaceri appartenenti all'avarizia all'ambizione ec., altri anche individuali, secondo le assuefazioni, le opinioni, le costituzioni corporali, i climi ec. come l'idea rispettiva della bellezza dipende dalle assuefazioni costumi opinioni ec. (V. Montesquieu l.c. De la sensibilité. p.392.) E la natura ha posto nell'uomo diverse qualità delle quali altre si sviluppano necessariamente, altre o si sviluppano o restano chiuse e inattive secondo le circostanze. E di queste seconde altre la natura voleva, o non proibiva che si sviluppassero, altre non voleva, e sviluppandosi, rendono l'uomo infelice. E la cagione per cui le ha poste nell'uomo non volendo che sviluppassero, starà nel sistema profondo della natura, e probabilmente si potrebbe scoprire, se non ci fermassimo adesso sul generale. Secondo queste diverse qualità , l'uomo trova piacevoli diverse cose, e l'uomo incivilito prova diversi piaceri dal primitivo, e sentirà dei piaceri che il primitivo non provava, e non proverà molti di quelli che il primitivo provava. E perciò dall'esserci ora piacevole una cosa il cui piacere dipenda dal nostro eccessivo incivilimento, non deduciamo che questo era voluto dalla natura. E se ora [179]p.e. l'eccessiva curiosità del vero ci proccura molti piaceri quando arriviamo a conoscerlo, non perciò dobbiamo stimare che la natura ci volesse così curiosi, nè che questi piaceri sieno naturali, nè che l'uomo naturale ne avesse gran vaghezza, o non sapesse benissimo contenersi in questo desiderio, nè per conseguenza che l'infelicità dell'uomo fosse necessaria, e provenga dalla natura assoluta dell'uomo, quando proviene dalla nostra rispettiva e corrotta. Perchè molte circostanze che hanno sviluppato in noi questa o quella qualità non erano volute dalla natura, e provengono dall'uomo e non da lei. Del resto atteso la detta teoria de' piaceri particolari, potrebbe anche essere che l'idea dell'infinito, la maraviglia e qualcuna delle cose piacevoli che ho annoverate come tali a cagione solamente dell'inclinazione nostra al piacere, fossero piacevoli anche indipendentemente da questa; e la ragione fosse l'arbitrio della natura, come negli altri piaceri. Mi sembra però che la ragione della loro piacevolezza sia bastantemente spiegata nel modo che ho fatto, e che tutti i loro accidenti possano cadere sotto quelle considerazioni.
L'infinità della inclinazione dell'uomo al piacere è un'infinità materiale, e non se ne può dedur nulla di grande o d'infinito in favore dell'anima umana, più di quello che si possa in favore dei bruti nei quali è naturale ch'esista lo stesso amore e nello stesso grado, essendo conseguenza immediata e necessaria dell'amor proprio, come spiegherò poco sotto. Quindi nulla si può dedurre in questo particolare dalla inclinazione dell'uomo all'infinito, e dal sentimento della nullità delle cose (sentimento non naturale nell'uomo, e che perciò non si trova nelle bestie, come neanche nell'uomo [180]primitivo, ed è nato da circostanze accidentali che la natura non voleva). E il desiderio del piacere essendo una conseguenza della nostra esistenza per se, e per ciò solo infinito, e compagno inseparabile dell'esistenza come il pensiero, tanto può servire a dimostrare la spiritualità dell'anima umana, quanto la facoltà di pensare. Anzi è notabile come quel sentimento che pare a prima giunta la cosa più spirituale dell'animo nostro (v. p.106-107.), sia una conseguenza immediata e necessaria (nella nostra condizione presente) della cosa più materiale che sia negli esseri viventi cioè dell'amor proprio e della propria conservazione, di quella cosa che abbiamo affatto comune coi bruti, e che per quanto possiamo comprendere può parer propria in certo modo di tutte le cose esistenti. Certamente non c'è vita senza amor di se stesso, e amor della vita. Quanto poi alla facoltà che ha l'immaginazione nostra di concepire un certo infinito, un piacere che l'anima non possa abbracciare, cagione vera per cui l'infinito le piace, quanto dico a questa facoltà , la quale è indipendente dalla inclinazione al piacere, e stava in arbitrio della natura di darcela o non darcela, giudichi ciascuno quanto possa provare in favore della nostra grandezza. Io per me credo 1. che la natura l'abbia posta in noi solamente per la nostra felicità temporale, che non poteva stare senza queste illusioni. 2. osservo che questa facoltà è grandissima nei fanciulli, primitivi, ignoranti, barbari ec. Quindi congetturo e mi par ben verisimile che esista anche nelle bestie in un certo grado, e relativamente a certe idee, come son quelle dei fanciulli ec. 3. considero che la ragione, la quale si vuole avere per fonte della nostra grandezza, e cagione della nostra superiorità sopra gli altri animali, qui non ha che far niente, se non per [181]distruggere; per distruggere quello che v'ha di più spirituale nell'uomo, perchè non c'è cosa più spirituale del sentimento nè più materiale della ragione, giacchè il raziocinio è un'operazione matematica dell'intelletto, e materializza e geometrizza anche le nozioni più astratte. 4. che le illusioni sono anzi affatto naturali, animali, atti dell'uomo e non umani secondo il linguaggio scolastico, ed appartenenti all'istinto, il quale abbiamo comune cogli altri animali, se non fosse affogato dalla ragione. Applicate queste considerazioni a quello che soglion dire gli scrittori religiosi, che il non poter noi trovarci mai soddisfatti in questo mondo, i nostri slanci verso un infinito che non comprendiamo, i sentimenti del nostro cuore, e cose tali che appartengono veramente alle illusioni, formino una delle principali prove di una vita futura.
Tutto il sopraddetto intorno alla teoria del piacere è un nuovo argomento del quanto si potrebbe semplificare la teoria dell'uomo e delle cose, (v. p.53.) e del come il sistema intero della natura si aggiri sopra pochissimi principii i quali producono gl'infiniti e variatissimi effetti che vediamo, e stabiliti i quali, si direbbe che la natura ha avuto poco da faticare, perchè le conseguenze ne son derivate necessariamente e come spontaneamente. I fenomeni dell'animo umano notati dai moderni psicologi perderebbero tutta la maraviglia, la quale deriva ordinariamente dall'ignoranza della relazione e dipendenza che hanno gli effetti particolari colle cause generali. P.e. quei fenomeni che ho analizzati e spiegati di sopra, derivano immediatamente da un principio notissimo, che è l'amor del piacere. E questo amor del piacere è [182]una conseguenza spontanea dell'amor di se e della propria conservazione. Questo è un principio anche più noto e universale, e quasi finale. Tuttavia quantunque la natura potesse separar queste due cose, esistenza e amor di lei, e perciò l'amor proprio sia una qualità posta da lei arbitrariamente nell'essere vivente, a ogni modo la nostra maniera di concepir le cose appena ci permette d'intendere come una cosa che è, non ami di essere, parendo che il contrario di questo amore, sarebbe come una contraddizione coll'esistenza - Perciò l'amor proprio si può considerare ancor esso (nella natura quale la vediamo) come una conseguenza dell'esistere, e questo in certo modo anche negli esseri inanimati. Ora discendiamo. Esistenza. amore dell'esistenza (quindi della conservazione di lei, e di se stesso) - amor del piacere (è una conseguenza immediata dell'amor proprio, perchè chi si ama, naturalmente è determinato a desiderarsi il bene che è tutt'uno col piacere, a volersi piuttosto in uno stato di godimento che in uno stato indifferente o penoso, a volere il meglio dell'esistenza ch'è l'esistenza piacevole, invece del peggio, o del mediocre ec.) - amore dell'infinito ec. colle altre qualità considerate di sopra. Così queste qualità che paiono disparatissime e particolarissime vengono dirittamente dal principio generale dell'amor proprio, e tanto necessariamente e materialmente, che si può dire che la natura, dato che ebbe all'uomo l'amor proprio, e secondo la nostra maniera di concepire, data che gli ebbe l'esistenza, non ebbe da far altro, e le dette qualità (delle quali ci facciamo tanta maraviglia), senza opera sua, vennero da loro.
[183]Conseguito un piacere, l'anima non cessa di desiderare il piacere, come non cessa mai di pensare, perchè il pensiero e il desiderio del piacere sono due operazioni egualmente continue e inseparabili dalla sua esistenza.
(12-23. Luglio 1820.)
Noi supponiamo sempre negli altri una grande e straordinaria penetrazione per rilevare i nostri pregi veri o immaginari che sieno, e profondità di riflessione per considerarli, quando anche ricusiamo di riconoscere in loro queste qualità rispetto a qualunque altra cosa.
(23. Luglio 1820.)
La speranza non abbandona mai l'uomo in quanto alla natura. Bensì in quanto alla ragione. Perciò parlano stoltamente quelli che dicono (gli autori della Morale universelle t.3.) che il suicidio non possa seguire senza una specie di pazzia, essendo impossibile senza questa il rinunziare alla speranza ec. Anzi tolti i sentimenti relig...
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