[Pagina precedente]...teto come a caso a quello di cui gli avvien di parlare senza badare se gli convenga bene cioè se le due idee che gli si affacciano l'una sostantiva e l'altra di qualità ossia aggettiva si possano così subito mettere insieme, come chi chiama duro il vento perchè difficilmente si rompe la sua piena quando se gli va incontro ec.
[62]Quel tanto trasportar parole greche di netto in latino che fu di moda ai buoni secoli del Lazio (anche appresso i più antichi latini scrittori, come dal francese parimente assai i nostri antichi italiani) dovea pur produrre l'istesso senso che produce ora in noi la moda di usar parole francesi in lingua italiana moda tanto antica fra noi quanto appresso i latini cioè cominciata coi primi nostri scrittori, ma ora tornata in voga come ai tempi d'Orazio e massimamente di Seneca Plinio ec. dove pare (e v. quello che dice Seneca della voce, analogia) che fosse considerata come una barbarie siccome presentemente, quantunque avesse per se tanti esempi antichi, come fra noi anche di parole ora risibili p.e. frappare per battere, vengianza nell'Alamanni Girone più volte e senza necessità di rima, e parecchie altre di questo andare nello stesso poema ec. Se non che forse allora come adesso sarà cresciuto quel gusto e divenuto senza giudizio e diffusosi alle forme ec. e divenuto nocevole al genio nativo della lingua. V. p.312.
Si suol dire che leggendo certi autori semplici piani spontanei fluidi facili disinvolti naturali ec. pare a tutti di saper far così che poi alla prova si vede come sia falso. Ma leggendo Senofonte par proprio che tutti scrivano così e che non si possa nè sappia scrivere altrimenti, se non quando si passa da lui a un altro scrittore o da un altro scrittore alla lettura di esso. Perchè gli altri scrittori si capisce che son semplici, in Senofonte non si scorge neppur ciò.
Nella gran battaglia dell'Isso, Dario collocò i soldati greci mercenari nella fronte della battaglia, (Arriano l.2. c.8. sez.9. Curzio l.3. c.9. sez.2.) Alessandro i suoi mercenari greci proprio nella coda, (Arriano c.9. sez.5.) Curiosa e notabilissima differenza e da pronosticare da questo solo l'esito della battaglia. Perchè era chiaro che tutta la confidenza dei Persiani stava in quei 30m. greci, e pure eran greci anche i mercenari d'Alessandro (Arriano c.9. sez.7.) ed egli li poneva alla coda. Quindi è chiaro ch'egli confidava più nel resto che in questi, e quello che era il più forte dell'esercito Persiano era il più debole del Macedone. E Dario si fidava più del valore dei mercenari che di coloro che combattevano per la loro patria e avea ragione: Alessandro avendo gli stessi mercenari [63]sapeva che sarebbero stati più valorosi gli altri che combattevano per l'onor loro e di lui e la vendetta della patria ed avea somma ragione. E infatti la propria falange Macedone venuta alle mani essa coi 30m. mercenari, combatterono ma furon vinti. E però da questa sola diversità delle due ordinanze da cui si poteva arguire l'infinita differenza fra gli animi de' due eserciti, era da congetturare quello che avvenne.
Della distinzione del ridicolo in quello che consiste in cose e quello che in parole, data da me in altro pensiero vedi il Costa della elocuzione p.70. e segg.
Una similitudine nuova può esser quella dell'agricoltore che nel mentre che miete ed ha i fasci sparsi pel campo, vede oscurarsi il tempo ed una grandine terribile rapirgli irreparabilmente il grano di sotto la falce: ed egli quivi tutto accinto a raccoglierlo, se lo vede come strappar di mano senza poter contrastare.
La Commedia allora principalmente è utile quando fa conoscere il mondo, i suoi pericoli, vizi, vanità , seduzioni, tradimenti, illusioni, ec. ai giovani alle giovanette ec. giacchè ai vecchi che già lo conoscono non serve gran cosa, e quanto alle massime di morale e gli esempi dei tristi puniti, delle virtù, dei buoni premiati ec. sono miserabili cose e della cui utilità , se non alquanto nel basso volgo, non si può disputare in buona fede, che certo nessun giovane o persona qualunque di un certo mondo e in somma civile, è tornata dalla commedia più virtuosa per le prediche o gli esempi morali che ci ha sentite e vedute, bensì è facile che sia (almeno in parte) disingannata dallo svelamento di tante trame che si tendono alla povera gioventù, e dalla semplice imitazione e rappresentazione di quello che succede nel mondo e che la gioventù ignora e crede molto diverso, come appunto servono le storie più che tanti altri libri, colla differenza che la commedia mostra la cosa più al vivo e al naturale e la mette sotto gli occhi in luogo di narrarla, ond'è più persuasiva. Diciamo in proporzione lo stesso degli altri generi di dramma.
Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva secondo l'immaginazione umana e viva umanamente cioè abitata o formata di esseri [64]uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni e i silvani e Pane ec. ed entrandoci e vedendoci tutto solitudine pur credevi tutto abitato e così de' fonti abitati dalle Naiadi ec. e stringendoti un albero al seno te lo sentivi quasi palpitare fra le mani credendolo un uomo o donna come Ciparisso ec. e così de' fiori ec. come appunto i fanciulli.
Quello che ho detto p.32. di questi pensieri della tartaruga si potrà forse dire anche del Pigro della cui vita bisogna vedere presso i naturalisti se sia lunga.
Molti sono che dalla lettura de' romanzi libri sentimentali ec. o acquistano una falsa sensibilità non avendone, o corrompono quella vera che avevano. Io sempre nemico mortalissimo dell'affettazione massimamente in tutto quello che spetta agli effetti dell'animo e del cuore mi sono ben guardato dal contrarre questa sorta d'infermità , e ho sempre cercato di lasciar la natura al tutto libera e spontanea operatrice ec. A ogni modo mi sono avveduto che la lettura de' libri non ha veramente prodotto in me nè affetti o sentimenti che non avessi, nè anche verun effetto di questi, che senza esse letture non avesse dovuto nascer da se: ma pure gli ha accelerati, e fatti sviluppare più presto, in somma sapendo io dove quel tale affetto moto sentimento ch'io provava, doveva andare a finire, quantunque lasciassi intieramente fare alla natura, nondimeno trovando la strada come aperta, correvo per quella più speditamente.
Per esempio nell'amore la disperazione mi portava più volte a desiderar vivamente di uccidermi: mi ci avrebbe portato senza dubbio da se, ed io sentivo che quel desiderio veniva dal cuore ed era nativo e mio proprio non tolto in prestito, ma egualmente mi parea di sentire che quello mi sorgea così tosto perchè dalla lettura recente del Verter, sapevo che quel genere di amore ec. finiva così, in somma la disperazione mi portava là , ma s'io fossi stato nuovo in queste cose, non mi sarebbe venuto in mente quel desiderio così presto, dovendolo io come inventare, laddove (non ostante ch'io fuggissi quanto mai si può dire ogni imitazione ec.) me lo trovava già inventato.
A quel pensiero dell'Algarotti che è nel t.8. delle sue Op. Cremona Manini 1778-1784. p.96. si può aggiungere il ?????(??????dei greci ch'è la [65]parola corrispondente dov'è notabile l'indole di quella gentilissima e amabilissima nazione che un uomo onesto e probo (quantunque non fosse bello, giacchè questo nome come il suo astratto ?????(??????si usurpava per significare la sola perfetta probità e integrità in qualunque si trovasse) lo chiamava buono e bello; tanto facea conto della bellezza, che non volea scompagnar l'elogio e l'indicazione della virtù da quella della beltà e ciò costantemente e per proprietà di lingua in maniera che si dava questo titolo anche a chi fosse tutt'altro che bello. Popolo amante del bello e dilicato e sensibile, conoscitore di quanto possa l'esterno e quello che cade sotto i sensi per ornare l'interno, e quanto sia sublime l'idea della bellezza che non dovrebbe mai essere scompagnata dalla virtù. Parimente si può aggiungere la parola corrispondente latina frugi, che viene a dire, utile dimostrante la qualità dell'antico popolo romano dove un uomo tanto si stimava quanto giovava al comune, ed era obbligo e costume dei buoni il non vivere per se ma per la repubblica, onde per indicare un uomo di garbo, un uomo buono, si considerava la sua qualità relativa al ben pubblico, cioè in genere la sua utilità e quello che si poteva far di lui, onde lo chiamavano, frugi, uomo da profitto, da cavarne costrutto.
Diceva una volta mia madre a Pietrino che piangeva per una cannuccia gittatagli per la finestra da Luigi: non piangere non piangere che a ogni modo ce l'avrei gittata io. E quegli si consolava perchè anche in altro caso l'avrebbe perduta. Osservazioni intorno a questo effetto comunissimo negli uomini, e a quell'altro suo affine, cioè che noi ci consoliamo e ci diamo pace quando ci persuadiamo che quel bene non era in nostra balìa d'ottenerlo, nè quel male di schivarlo, e però cerchiamo di persuadercene, e non potendo, siamo disperati, quantunque il male in tutti i modi si rimanga lo stesso. V. p.188. V. a questo proposito il Manuale di Epitteto.
[66]Io mi trovava orribilmente annoiato della vita e in grandissimo desiderio di uccidermi, e sentii non so quale indizio di male che mi fece temere in quel momento in cui io desiderava di morire: e immediatamente mi posi in apprensione e ansietà per quel timore. Non ho mai con più forza sentita la discordanza assoluta degli elementi de' quali è formata la presente condizione umana forzata a temere per la sua vita e a proccurare in tutti i modi di conservarla, proprio allora che l'è più grave, e che facilmente si risolverebbe a privarsene di sua volontà (ma non per forza d'altre cagioni). E vidi come sia vero ed evidente che (se non vogliamo supporre la natura tanto savia e coerente in tutto il resto, che l'analogia è uno de' fondamenti della filosofia moderna e anche della stessa nostra cognizione e discorso, affatto pazza e contraddittoria nella sua principale opera) l'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta e necessaria infelicità in questa vita, ma solamente delle accidentali (come i fanciulli e le bestie): e l'essersene accorto è contro natura, ripugna ai suoi principii costituenti comuni anche a tutti gli altri esseri (come dire l'amor della vita), e turba l'ordine delle cose (poichè spinge infatti al suicidio la cosa più contro natura che si possa immaginare).
Se tu hai un nemico mortale nella tal città e vedi che v'è sopra un temporale, ti passa pur per la mente la speranza ch'egli ne possa restare ucciso? Or come dunque ti spaventi se quel temporale viene sopra di te, quando la probabilità ch'egli uccida è tanto piccola che tu non ci sai neppur fondare quella cosa che ha pur bisogno di sì poco fondamento per sorgere in noi, dico la speranza? Lo stesso intendo dire di cento altri pericoli, i quali se in vece fossero probabilità di bene, ci parrebbe ridicolo il porci per esse in nessuna speranza, e pure ci poniamo per quei pericoli in timore. Tant'è: bisogna bene che per quanto la speranza sia facile a nascere, e insussistente, il timore lo sia di più. Ma questa riflessione mi pare molto atta a temperarlo. Il timore è dunque più fecondo d'illusioni che la speranza.
Di un calcolatore che ad ogni cosa che udiva si metteva a computare, disse un tale: Gli altri fanno le cose, ed egli le conta.
[67]Qualunque domestico entra nella mia famiglia non n'esce mai finchè non muore, come potete sentire da quelli che ci sono stati, diceva un padrone di casa al nuovo suo cuoco, dopo che due altri se n'erano licenziati spontaneamente.
Nelle favole del Pignotti (e forse in altre ancora) per la più parte, è svanito il fine della favola, ch'è l'istruire i fanciulli ec. col mezzo del dolce, della similitudine ec. e non si conserva nemmeno in apparenza (come ne' poemi didascalici), giacchè sono dirette a significar certi vizi del gran mondo, cert...
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