[Pagina precedente]... di Longino già erano quasi barbari, eppure non c'era stata nessuna irruzione straniera; dalla terra stessa loro nacque la barbarie, da quelle civilissime terre, perchè la civiltà era eccessiva. Cicerone era il predicatore delle illusioni. Vedete le Filippiche principalmente, ma poi tutte le altre Orazioni sue politiche; sempre sta in persuadere i Romani a operare illusamente, sempre l'esempio de' maggiori, la gloria, la libertà , la patria, meglio la morte che il servizio; che vergogna è questa? Antonio un tiranno di questa razza ancora vive ec. E intanto Antonio che sarebbe stato pugnalato nel foro o nella curia in altri tempi, tiranno vergognosissimo, non si poteva ottenere in Roma, essendoci tante armate contro di lui, tanto motivo di sperare che sarebbe vinto, che fosse dichiarato nemico della patria: calcolavano cercavano ec. quello che in altri tempi senza un istante di deliberazione sarebbe stato deciso a pieni voti. Cicerone predicava indarno, non c'erano più le illusioni d'una volta, era venuta la ragione, non importava un fico la patria la gloria il vantaggio degli altri dei posteri ec. eran fatti egoisti, pesavano il proprio utile, consideravano quello che in un caso poteva succedere, non più ardore, non impeto, non grandezza d'animo, l'esempio de' maggiori era una frivolezza [23]in quei tempi tanto diversi: così perderono la libertà , non si arrivò a conservare e difendere quello che pur Bruto per un avanzo d'illusioni aveva fatto, vennero gl'imperatori, crebbe la lussuria e l'ignavia, e poco dopo con tanto più filosofia, libri scienza esperienza storia, erano barbari.
E la ragione facendo naturalmente amici dell'utile proprio, e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altri, scioglie assolutamente la società , e inferocisce le persone.
Anche l'amore della maraviglia par che si debba ridurre all'amore dello straordinario e all'odio della noia ch'è prodotta dall'uniformità .
Vedendo meco viaggiar la luna.
Non è favoloso ma ragionevole e vero il porre i tempi Eroici tra gli antichissimi. L'eroismo e il sagrifizio di se stesso e la gloriosa morte ec. di cui parla il Breme, Spettatore, p. 47, finiscono colle illusioni, e non è un minchione che le voglia in se, in tempi di ragione e di filosofia, come sono questi, ch'essendo tali, sono anche quello ch'io dico cioè privi affatto di eroismo. ec.
Quell'affetto nella lirica che cagiona l'eloquenza, e abbagliando meno persuade e muove più, e più dolcemente massime nel tenero, non si trova in nessun lirico, nè antico nè moderno se non nel Petrarca, almeno almeno in quel grado: e Orazio quantunque forse sia superiore nelle immagini e nelle sentenze, in questo affetto ed eloquenza e copia non può pur venire al paragone col Petrarca: il cui stile ha in oltre (io non parlo qui solo delle canzoni amorose ma anche singolarmente e nominatamente delle tre liriche: O aspettata in ciel beata e bella, Spirto gentil che quelle membra reggi, Italia mia ec.) ha una semplicità e candidezza sua propria, che però si piega e si accomoda mirabilmente alla nobiltà e magnificenza del dire, (come in quel: Pon mente al temerario ardir di Serse ec.) così in tutto il corpo e continuatamente, come nelle varie parti e in quelle dove egli si alza a maggior sublimità e nobiltà che per l'ordinario: si piega alle sentenze (come in quel: Rade volte addivien che a l'alte imprese ec.) quantunque di quelle spiccate non n'abbia gran fatto in quelle tre canzoni: si piega ottimamente alle immagini delle quali le tre canzoni abbondano e sono innestate nello stile e formanti il sangue di esso ec. (come: Al qual come si legge, Mario aperse sì 'l fianco ec. Di lor vene ove il nostro ferro mise ec. Le man le avess'io avvolte entro i capegli ec.)
Il Testi ha dicitura competentemente poetica ed elegante, non manca d'immagini, ha anche qualche immaginetta graziosa (come dove dice di Davidde: E allor che in Oriente il dì nascea Usciva a pascer l'agne Su la costa del monte o lungo il rio, nella Canzone Nelle squallide spiagge ove Acheronte) ha sufficiente grandiosità ed anche qualche eloquenza, le sentenze non sono mal collocate nè esposte, quantunque non nuove, riesce anche benino assai nelle Canzone filosofiche all'Oraziana, imita spesso e qualche volta quasi traduce Orazio, ma non ha l'animatezza la scolpitezza, e la concisa nervosità e muscolosità ed energia e lo spirito del suo stile, nè molta originalità e novità , nè proprio proprio sublimità di concetti e d'invenzioni. Ma tutti i pregi che ho detto, salvo solamente la grandiosità e l'eloquenza, risplendono massimamente nelle Canzoni della prima parte, che sono per la più parte filosofiche e Oraziane, dove lo stile è castigato e non manca leggiadria di maniere e di concetti, perchè nelle altre parti, quantunque s'innalzi maggiormente, e metta fuori più forza, e facondia, e più energiche immagini e in somma sia più pindarico, è difficile trovar canzone che non sia malamente e sporcamente e visibilmente e tenacemente imbrattata della pece del suo secolo, che nella prima parte appena appena si scorge qua e là come macchiuzze, e forse qualche canzona n'è libera affatto e può parere d'un altro secolo. In oltre la dicitura [24]diventa meno elegante e pulita e spesso le voci e le locuzioni le metafore i traslati sono prosaici. In somma si vede molto il febbricitante e il mal lavorato e mal limato del seicento.
Son proprio esclusivamente del Petrarca, in quanto all'affetto, non solo la copia, ma anche quei movimenti pieni ???????????e quelle immagini affettuose (come: E la povera gente sbigottita ec.) e tutto quello che forma la vera e animata e calda eloquenza. E dall'influsso che ha il cuore nella poesia del Petrarca viene la mollezza e quasi untuosità come d'olio soavissimo delle sue Canzoni, (anche nominatamente quelle sull'Italia) e che le odi degli altri appetto alle sue paiano asciutte e dure e aride, non mancando a lui la sublimità degli altri e di più avendo quella morbidezza e pastosità che è cagionata dal cuore.
Il Filicaia va dietro al sublime e anche l'arriva, ma parlando sempre di cose della nostra Religione ha tolto a imitare quel sommo sublime della scrittura, e per questo sommo sublime si fa pregiare, che del resto, quando o non lo cerca o non lo arriva, non ha quasi cosa ch'esca gran fatto dall'ordinario, non ha punto di leggiadria mai, non ha in nessun modo la varietà del Testi ec. ma anche dove ha quel sommo sublime di stile simile allo scritturale e profetico, non è molto piacevole per cagione della monotonia delle sue Canzoni e perchè le impressioni di quel sommo sublime essendo troppo veementi non possono durar gran tempo e si spengono, e il lettore ci si assuefà , sì che con quella monotonia, viene a rendersi il sublime inefficace, e le odi stucchevolucce. Le migliori sono quelle per l'assedio e la liberazione di Vienna, e tra queste a mio giudizio quella che incomincia Le corde d'oro elette. Sono anche queste macchiate qua e là del seicentismo. Le parole, locuzioni, metafore prosaiche non mancano, come quello: A tua Pietà m'appello della prima Canzone, e nella seconda: E al tuo soldo arrolata è la vittoria.
Nuova strada per gl'italiani s'aperse il Chiabrera, solo veramente Pindarico, non escluso punto Orazio, sublime alla greca Omerica e Pindarica, cioè dentro grandi ma giusti limiti, e non all'orientale come il Filicaja, sublime, colla conveniente e greca semplicità , per mezzo dell'accozzamento ?????????????, come dice Longino, cioè di certe parti della cosa che unite tutte insieme formano rapidamente il sublime, e un sublime come dico, rapido inaffettato e in somma pindarico; robusto nelle immagini, sufficientemente fecondo nell'invenzione e nelle novità , facile appunto come Pindaro a riscaldarsi infiammarsi, sublimarsi anche per le cose tenui, e dar loro al primo tocco un'aria grande ed eccelsa. Fu ardito caldo veemente urtantesi nelle cose, ardito nelle voci (come instellarsi inarenare) nelle locuzioni nelle costruzioni, nel trarre dal greco e latino le forme così de' sentimenti, (come: Canz. 70, Eroica: Meco non vo' che vaglia sì sconsigliata voce, e altrove: A me non scenda in cor sì ria parola: e nota ch'io dico le forme de' sentimenti e non i sentimenti) come delle parole, nel che alle volte fu felice, come: Canz. Eroica 23: Qual non fe scempio sanguinoso acerbo L'aspro cor dell'Eacide superbo? Canz. Eroica 71: Sol fe contrasto il gran sangue di Guisa ec. Imitò anche bene i greci e Pindaro e Orazio nell'economia del comportamento. E certo alle volte è nobilissimo tanto pel sentimento quanto per le parole: ma pochissimi pezzi finiscono di piacere; non arriva quasi mai non ostante quello che s'è detto del suo stile estrinseco alla felicità d'espressione, e alla bellezza della composizione delle parole d'Orazio, è oscuro assai spesso per le costruzioni gli equivoci (non già voluti, come i seicentisti, ma non avvertiti o trascurati) la soppressione delle idee intermedie ne' passaggi (se ben questa è naturale, perchè [25]il poeta fervido quantunque non passi mai da un pensiero all'altro senza una qualche cagione e occasione che è come il legame delle diverse idee, nondimeno questo legame essendo sottilissimo lo salta facilmente, o anche non saltandolo affatto, il lettore non lo arriva a vedere) e anche nel passare p.e. dalle premesse alla conseguenza ec. insomma è sovente sconnesso, (ma questa potrebbe anche essere una lode per la verità dell'imitazione dell'affetto e dell'estro, e tutto questo difetto dell'oscurità lo ha comune con Pindaro) ha qualche macchia di seicentisteria, che però è rara e non farebbe gran caso; ha qualche metafora non seicentesca affatto, ma troppo ardita, alla pindarica sì, ma soverchiamente ardita, come Canz. Eroica 14, dice dell'armi di Toscana: Elle non tra i confin del patrio lito, Quasi belve in covili, Ma fero udir gentili Per le strane foreste aspro ruggito: Canz. Eroica 41, chiama le vele: le tessute penne; (se ben quella del ruggito si potrebbe difendere colla similitudine che precede, delle belve, onde si riferisse a quella, cioè la metafora non fosse più semplicemente delle armi ruggenti, ma cambiate in fiere o assomigliate alle fiere e così ruggenti, per una enallage pindarica) fa forza alla lingua nelle voci (come le composte alla greca: ondisonante ec. che la nostra lingua non ama) nelle forme trasportate dal greco e latino infelicemente, (giacchè non sempre anzi non sovente è felice come ho detto di qualche volta) nelle locuzioni nelle costruzioni; e quel ch'è più e che l'uccide, è disugualissimo ridondante di pezzi deboli pel sentimento anzi anche di Canzoni o intere o quasi; di stile per l'ordinario infelice lingua incolta (neglexit linguae cultum, dice il Gravina nella lettera latina al Maffei, e così è) sì che non sono se non rarissimi quei pezzi dei quali si possa dire tutto il bene, e in cui, quando anche l'immagini e i sentimenti sieno perfetti il che non è tanto raro, l'esteriore dello stile non abbia difetti che saltano grandissimamente all'occhio e disgustano. Che s'egli avesse avuto scelta (delectum rerum et limam amisit, dice verissimamente il Gravina l. c.) e lima (delle quali forse e massime della seconda non era capace) sarebbe il più gran lirico pindarico che abbia qualunque nazione antica e moderna, da non potersegli paragonare nè Orazio nè verun altro eccetto lo stesso Pindaro. Questi difetti principalmente (di scelta e di lima tanto per le cose che per le parole, giacchè gli altri accennati di sopra non son tanto gravi, e già si sa che un gran poeta deve aver grandi difetti, sì che se non fossero altro che quelli, io non dubiterei di tenerlo tuttavia per un gran lirico) fecero che siccome era nato effettivamente il suo lirico all'Italia, così anche le venne meno, giacchè non si può dire che sieno buone poesie liriche i versi del Chiabrera, ma solamente che questi fu vero poeta lirico.
Una considerazion fina intorno all'arte dello scrivere è questa che alle volte, la collocazione,...
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