[Pagina precedente]...mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poiché rubato a Dio, della sua beltà ... Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poiché non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e d'incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente... illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poiché sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide... maga... sirena...»
«To... to... to!... Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?...»
«Io!», rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, «sei pazzo!»
«Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena. Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la
piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero.»
Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontano, e rispose semplicemente, abbassando il capo: «Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei».
«È graziosa!», esclamò Raimondo. «Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio?»
«Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poiché la riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta... tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è, come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorché scoprirò un cuore nella donna.»
Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua immaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando:
«Che ne dici della mia tirata, Pilade?».
«Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta.»
«Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi...», disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. «
Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarrebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio...»
«Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea?»
«Al fanatismo!»
«Ma se tu fossi
destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?...»
Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al [suo] solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: «Chi lo sa!?...».
II
Venti giorni sono scorsi da quello in cui incontrammo i due amici al
Rinazzo. Siamo nei lunghi giorni del giugno. Pietro studia assiduamente da mattina a sera le sue tesi, poiché si approssimano gli esami; ed esce assai di rado.
La sera di un giovedì Raimondo venne a trovarlo nel suo stanzino da studio, nella casa che abitava insieme a sua madre e alle sue due sorelle, in via Vittoria.
«Che vuoi?», domandò Pietro bruscamente, celando, al suo solito, la viva amicizia che nutriva pel suo compagno sotto quell'apparenza di ruvidità .
«Vengo per condurti meco al passeggio.»
«Ne ho forse il tempo? Sai bene che gli esami sono vicini, e non ho ore da sprecare andando a spasso; sai pure che col professore Crisafulli non c'è da scherzare.»
La signora Brusio, ch'era entrata con Raimondo nello stanzino di suo figlio, e si era appoggiata, con quell'atteggiamento ineffabile d'amore delle madri, alla spalliera della sua seggiola, unì le sue istanze a quelle di Raimondo per indurre suo figlio a prendere un po' d'aria.
«Stassera c'è musica alla
Marina», disse Raimondo.
«Va pure, figlio mio»; disse la madre, «da quasi venti giorni tu non esci più, e ciò ti farà ammalare invece di farti proseguire i tuoi studî. Prendi qualche ora di riposo; ne hai bisogno.»
Pietro amava sua madre d'immenso affetto. Pel suo carattere impetuoso ed insofferente quella dolce voce di donna, quella mano pallida e affilata che carezzava i suoi capelli, erano irresistibili.
«Giacché siete congiurati, e volete così!...», diss'egli sorridendo, «aspettami cinque minuti, Raimondo; il tempo di vestirmi.»
E passò nella sua camera.
«Fatelo divertire, signor Angiolini»; disse al giovane medico la signora Brusio, «ha tanto bisogno di distrazione il mio povero Pietro! È tanto tempo che non fa altro che studiare!... e mi sembra che sia divenuto più pallido... Mi atterisce l'idea che abbia ad ammalare!»
«Non pensi a queste cose, signora»; interruppe Raimondo; «Pietro è forte come un toro, e quest'eccesso di lavoro non può durare che altri otto o dieci giorni. Terminati gli esami abbiamo stabilito di andare a passare una settimana alla campagna.»
«Grazie, grazie, Raimondo!», disse la madre, stringendo la mano del giovane, «voi siete il degno amico del mio Pietro... Ve lo raccomando!... Siamo tre donne che non abbiamo più che lui...»
Vestito che fu Pietro i due amici andarono alla
Marina.
I viali erano affollatissimi; la musica eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi; un bel lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini, sospesi in festoni agli alberi, che illuminavano i viali. Era una di quelle sere incantate che si passano su queste spiaggie del Mediterraneo, in cui lo specchio terso ed immenso del mare, che riflette tremolante il raggio dolce e pacato della luna, sembra servire di cornice al quadro allegro, vivace, animato, che formicola colle sue mille seduzioni sotto gli alberi.
Pietro si sentì come allargare il cuore e fu grato all'amico di quella piacevole sensazione; essi passeggiavano per uno dei viali più appartati.
«Non m'inganno!», esclamò Pietro tutt'a un tratto, come di soprassalto, stringendo vivamente il braccio dell'amico contro il suo; «è lei!... là !... in mezzo a quei due uomini!»
In fondo al viale quasi deserto, perché troppo lontano dalla musica, spiccava infatti, e per la solitudine del luogo, e per una certa originalità elegante di abbigliamento e di andatura, la signora che aveva recato tale impressione in Pietro Brusio.
Vestiva un semplicissimo abito di
tarlatane a quadretti bianchi e bleu, tessuto di una freschezza e leggerezza quasi vaporosa; uno scialle nero, fermato sul petto da uno spillone d'oro; ed un cappellino grigio ornato
cerise.
Nulla però varrebbe a riprodurre l'eleganza suprema, la molle e quasi ingenua civetteria, con la quale ella rialzava la veste sino a metà della sottoveste ricchissima e si appoggiava al braccio di un uomo di quasi 30 anni, assai bruno, con volto ombrato da una folta barba nera, che avrebbe fatto invidia ad un guastatore, e vestito con ricercatezza alquanto leccata. Dall'altro lato era accompagnata da un signore di mezza età , alto, quasi biondo, freddo, e che parlava con una bella pronunzia toscana.
I due giovani, passeggiando, s'incrociarono con essi che venivano loro di contro. Questa volta uno sguardo della signora, incerto, quasi negligente, si fissò indolentemente, ma a lungo negli occhi ardenti di Pietro che la divoravano.
Due o tre volte ancora i due amici l'incontrarono di faccia; e ciascuna volta quello sguardo limpido, chiaro, noncurante, si fissò sul giovane che la guardava a lungo; e ciascuna volta il cuore di Pietro batteva stranamente in modo più forte; e le sue guancie pallide e brune si facevano ancor più pallide; e il suo occhio sfavillava più ardente; ed egli affrettavasi, trascinava quasi il suo compagno per giungere a quest'attimo in cui quella silfide dovea passargli dinanzi, in cui quella veste doveva sfiorarlo, in cui quegli occhi dalla pupilla trasparente dovevano fissarsi sui suoi, sebbene come non vedendolo. Una o due volte che Brusio non incontrò quello sguardo, fu triste, e quasi dispettoso di se medesimo. Una volta, l'ultima, in cui gli parve accorgersi che, lui oltrepassato di uno o due passi, ella, parlando all'uomo a cui dava il braccio, verso di cui si piegava sorridendo con una grazia affascinante, avesse rivolto a metà il viso verso di lui e che un lampo partito da quegli occhi lo cercasse, egli fu ebbro... felice di una sensazione nuova, strana, che non sapea definire, della quale avea quasi paura, poiché non poteva giustificarla.
Ritornando per lo stesso viale la cercò invano cogli occhi da lungi... Giunse in capo al viale: era deserto... La cercò per tutta la
Marina, come se in quella folla elegante ed animatissima avesse dovuto discernere in mezzo a mille
colei al solo riflesso azzurrognolo dei ricci che ombreggiavano la sua fronte fin quasi sulle sopracciglia, al solo movimento della sua piccola testa che sembrava inchinarsi come un giunco sul collo sottile e ben modellato; era partita...
Che voleva egli? Che cercava da quella donna, di cui il lusso, il corteggio, l'adulazione era l'atmosfera in cui viveva; che gli uomini più ricchi, più eleganti, più nobili si fermavano ad ammirare, senza che ella mostrasse avvedersene; che tre o quattro volte l'avea guardato come si guarda un fanciullo, un albero, un oggetto qualunque che s'incontri?... Nemmeno egli lo sapeva in quel punto; egli avrebbe arrossito di confessarsi la premura che prendeva per colei che dovea essere sempre un'estranea per lui.
Cinque minuti dopo riprese il braccio di Raimondo, dicendogli:
«Andiamo via!».
«Così presto?»
«Non ti annoi a morte qui stassera?... Non c'è alcuno!»
Raimondo guardò attorno, come trasognato, perché giammai la
Marina di Catania avea offerto una riunione più bella; e domandò ingenuamente: «Sei pazzo?... Tu stesso un quarto d'ora fa mi dicevi esser deliziosa questa serata... qui...».
«Sarà vero anche ciò, come è vero che ora mi annoio... e se vuoi rimanere ti dico addio.»
E gli stese la mano come per congedarsi.
«Un momento... ecco! giunge in quel viale a sinistra Maddalena. Guardala almeno una volta.»
«Che m'importa di Maddalena a me!... Guardala tu, se vuoi... Addio!»
E dopo quella brusca separazione partì di buon passo e si diresse verso la sua abitazione per via Garibaldi.
Però giunto alla crocevia della Vittoria sembrò esitare un momento, e proseguì a camminare sin fuori Porta Garibaldi. La not...
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