[Pagina precedente]...ed un cuscino sul tappeto, accanto ad una poltrona rovesciata.
Pietro mi voltava le spalle, colla testa appoggiata fra le mani; avea dinanzi un monte di quaderni e di fogli di carta, dei quali alcuni lacerati; sul foglio che gli stava sotto la mano era scritta l'intestazione di una lettera e tre o quattro versi cancellati. Egli non mi udì avvicinare, e si riscosse bruscamente quando mi vide vicino a lui. Poscia si alzò e venne a stringermi la mano, sorridendo tristamente.
«Volevo venire a farmi perdonare le mie cattiverie di ieri sera... però non potevo supporti alzata a quest'ora.»
«Non ho dormito, Pietro...», gli risposi colle lagrime agli occhi.
Egli volse i suoi in giro per l'appartamento, quasi avesse voluto nasconderne il disordine; li abbassò, e rimase muto.
Non avea voluto confessarmi che ancor esso avea sofferto; sentii stringermi il cuore dolorosamente.
Venni ad appoggiarmi alla sua spalla, come nei bei giorni in cui sentivo un brivido percorrerlo allo sfiorargli il volto coi miei capelli, e lo guardai in silenzio, spalancando gli occhi per dissimularne le lagrime. Vidi lo sforzo ch'egli faceva per contenersi, baciandomi sulle labbra; ma quel bacio commosso non aveva il febbrile trasporto di una volta, che gli avrebbe fatto stringere il mio corpo fra le sue braccia fino a soffocarmi... Fu solo... quasi triste...
«Tu scrivi?», gli diss'io con un coraggio di cui non mi sarei creduta mai capace.
Come colto in fallo egli abbassò gli occhi sulle carte che gli stavano ammonticchiate dinanzi alla rinfusa, e rispose con un cenno del capo, quasi avesse dubitato di avere la mia forza.
«Scrivi a tua madre, Pietro?... Le hai detto che fra quindici giorni sarai da lei?...»
Questa volta egli non rispose e si recò la mia mano alle labbra.
Mi portai l'altra al cuore, per comprimere i battiti, dei quali il rumore mi spaventava.
Oh, signor Raimondo... un uomo di ferro avrebbe avuto pietà di quest'agonia straziante, che mi affascinava però colla forza stessa del dolore, che mi strascinava a misurare tutta l'estensione della mia disgrazia... Pietro!...
egli!... non ebbe pietà di quest'agonia, che pure avrebbe dovuto indovinare dalla calma disperata del mio accento, dal tremito convulso delle mie braccia, che si appoggiavano alla sua spalla, dalla terribile tensione del dolore che inaridiva le lagrime sulla mia orbita... Egli non ebbe una parola... una sola!... o piuttosto non ne ebbe la forza... Egli rimase colle labbra fredde e tremanti sulla mia mano, che recava quella percezione al cuore come una stilettata, cercandovi forse la forza di rispondermi.
Un impeto cieco, disperato mi spingeva.
«Son venuta a chiederti una grazia Pietro», gli dissi; «questi ultimi quindici giorni che hai avuto la bontà di concedermi... io... io vorrei passarli in Aci-Castello... su quella bella spiaggia che visitammo sì spesso nelle nostre passeggiate notturne... Siamo ai 28 di Ottobre, il 13 di Novembre partirai.»
Speravo ch'egli, soffocandomi dei suoi baci, avesse annullata la sua risoluzione della sera... Non fu nulla di ciò...
«Oggi stesso manderò Giuseppe ad affittarvi un casino»: mi rispose stringendomi le mani e figgendomi gli occhi in volto, come cercandovi la spiegazione di quel desiderio; «e domani partiremo. Vuoi che usciamo assieme oggi?»
Quella domanda fu il mio colpo di grazia: quando egli mi amava come un pazzo mi avrebbe pregata di non uscire; in appresso non mi avrebbe fatto quella domanda poiché non si sarebbe potuto supporre che l'uno di noi potesse uscir solo... negli ultimi giorni mi amava ancora abbastanza per non propormi una passeggiata come un compenso, come per ringraziarmi del sacrifizio che gli facevo, ciò che equivaleva a dichiararmela una compiacenza, come avea fatto in quel momento.
Mi voltai a cogliere un fiore da un vaso di porcellana per recare il fazzoletto alla bocca... Mi sentivo soffocare... Ebbi appena la forza di mormorargli: «No... no... grazie... Non uscirò tutta la giornata...».
Io stessa non udii il suono di quelle parole... Forse neanche egli le avrà udite... Uscii barcollando, operando uno sforzo supremo per dominare il mio dolore immenso, aggrappandomi alle tende che incontravo per non cadere... Nel mio salotto caddi su di una
duchesse, annichilata.
Pietro passò al mio fianco tutto il giorno. Mi faceva una pena orribile a vedere gli sforzi che faceva per contenere la sua commozione, per combattere la lotta che ferveva in lui, per mantenersi saldo nella risoluzione che parea essersi fissata, e che quei momenti avevano fatto ondeggiare in lui... Egli fu amoroso con me, come si può esserlo sino ai limiti della commozione, senza il trasporto però della passione, di quell'amore caldo, cieco, irresistibile, quale egli me l'avea fatto provare, quale ormai m'era necessario per vivere, quale avrebbemi fatto dimenticare, almeno per un'ora, in un bacio, tutta l'estensione dell'immensa sventura che mi percuoteva. Egli non ebbe una parola, non una sola parola che alludesse alla nostra separazione; ma neanche un'altra che la facesse mettere in dubbio.
Un momento mi parve cattivo e spietato quell'uomo che non mi amava più.
Poi gli baciai le mani, delirante, piangendo a calde lagrime; gli avvinghiai le braccia al collo e lo soffocai quasi fra le mie lagrime e i miei baci, come se avessi voluto farmi perdonare la triste impressione di quel momento.
Giammai! giammai io ho amato Pietro di quest'amore immenso, frenetico, divorante di cui l'ho amato in quel punto...
L'indomani partimmo per Aci-Castello.
No! se anche scrivessi questi versi col sangue che tale tortura ha stillato dal mio cuore, io non potrei arrivare a descrivere tutto lo strazio ineffabile di quest'agonia immensa che è durata 15 giorni; in cui ho dovuto divorare le mie lagrime, soffocare gli urli disperati del mio cuore, perché m'impedivano di vedere, di sentire come ogni ora di più il cuore di lui s'allontanasse dal mio; come quelle sensazioni impercettibili, che formavano l'amore sovrumano di cui quest'uomo mi adorava, andassero morendo in lui... Io non potrò esprimere quello che ho provato di orribile in tutta l'intensità del dolore, quando, con la terribile lucidità che mi dà la mia angoscia, ho letto chiaramente in quel cuore... troppo chiaramente, per mia sventura!... la sorpresa, la tristezza di lui, direi anche il rimorso delle perdute illusioni del suo amore di un tempo che cerca invano... Io l'ho veduto, quell'uomo, quel cuore, chiudere gli occhi, immergersi nel vortice delle più tempestose carezze, soffocarmi coi più febbrili trasporti... frenetico... furibondo quasi, cercando quelle illusioni che avea adorato in me... e nulla!!... nulla!!... e staccarsene pallido, annichilato... quasi piangendo come un fanciullo, guardandosi attorno come smemorato, come cercando ancora quelle sensazioni che non sa più trovare in me... e che io!!!... disgraziata!!... io non posso più dargli!!... Oh, signore! nessuno!... no! nessuno potrà mai arrivare a comprendere la sublime agonia di quell'istante!
Dio!... Dio mio!... se impazzissi!
No! Dio non è giusto! No! Dio non ha pietà di questo dolore sovrumano!
Pietro è triste, malinconico ogni giorno di più; la pietà istessa che risente di me, di quest'amore di cui l'amo, ch'egli comprende, e del quale non può contraccambiarmi, malgrado tutti i suoi sforzi generosi, questa pietà lo distacca da me, lo fa fuggire, come se temesse di trovare un rimorso nei miei occhi, che, Dio sa con qual coraggio, gli nascondono quello che si passa in me. Egli è sdegnato contro se stesso e dolente della simulazione che deve imporsi per compassione di me, delle menzogne che deve giurarmi col volto cosperso del rossore della vergogna. La notte lo sento passeggiare spesso sino all'alba, ora in cui parte per la caccia, e non ritorna che a sera, stanco, spossato, come se avesse voluto nella stanchezza dei sensi addormentare il rimorso del suo amore perduto, e trovarvi una pace che la tempesta delle sue passioni non gli accorda giammai. Eppure, dopo queste corse che hanno gonfiato i suoi piedi, che hanno logorato le sue forze sino alla prostrazione, egli non trova sonno nel letto... egli si stanca ancora a passeggiare per la sua camera...
Qualche volta ho trovato l'indomani il suo fazzoletto e i suoi guanciali umidi: al sapore acre ho conosciuto che erano lagrime...
Lui! questo carattere orgoglioso e forte, quest'uomo di ferro... ha pianto!... ha pianto di dolore, di rimorso, di rabbia, per quest'amore che gli sfugge, che vorrebbe imporsi.
No!... tale martirio non può durare per entrambi... Io sarò forte!... sì, quest'amore istesso me ne darà la forza.
Morire, mio Dio! morire nelle sue braccia almeno... addormentata dalle sue carezze!...
Abbiamo passato 13 giorni su questa spiaggia che mi sembra deliziosa, malgrado le ore crudeli che vi ho provate. Si dice che il dolore rende fosche le tinte più brillanti del luogo ove si prova... Anch'io ho sentito ciò altravolta; ma qui, in questi ultimi giorni, questi luoghi io li ho amati nei loro minimi particolari; forse perché mi è caro anche il dolore di quest'agonia che posso provare vicino a lui.
Nel momento in cui scrivo per parlare di lui, per illudermi con lui... sola, di notte, nella mia camera da letto... vedo, attraverso le tende della mia finestra aperta, sbattute dal vento tempestoso di questi ultimi giorni d'autunno che spoglia gli alberi delle foglie, la massa antica, imponente, severamente e grandemente poetica del vecchio e rovinoso castello che pende da una balza sul mare; coi suoi muri massicci e screpolati, sui quali stridono i gufi in mezzo alle ginestre che vi germogliano, che disegnano la loro massa bruna su questo cielo trasparente ove risplende la più bella luna del mondo; con questo mare immenso, lucido, che da questa lontananza sembra calmo e lievemente increspato, e che muggisce colla sua voce potente fra i precipizii dell'abisso che circonda le fondamenta del castello.
L'altro giorno volli vedere questo castello a metà distrutto, su cui sembra talvolta vedere ancora passeggiare le scolte luccicanti di ferro fra i merli dei torrioni; che mi fa vivere in mezzo agli uomini d'una volta che l'hanno abitato, coi vivi ricordi che tramanda e che sembrano infondersi incancellabilmente alla sua vista. Pietro volle dissuadermene, dicendo che la strada per giungervi era molto pericolosa per una donna.
«Non sarai tu con me?», gli dissi, come se mi fosse stato impossibile un accidente vicino a lui, o come se quest'infortunio avessi dovuto amarlo dividendolo con lui.
Egli... costui, cui l'amore avea dato squisite percezioni, cui avea fatto oprare un miracolo di genio e di sentimento nel suo dramma, capì appena tutto il senso di quelle parole.
Mi diede il braccio, come per nascondermi il suo imbarazzo, e mi accompagnò alla salita che precede l'ingresso della rocca.
I muri della torre principale che guardano il paesetto sembrano di un'altezza smisurata, guardati dal basso, in quel punto, elevati come sono su di un immenso scoglio che dalla parte del mezzogiorno sospende le sue torri sul mare. Due tavoloni di querce sono gettati su di un arco in rovina per traversare l'abisso orribile che si stende al di sotto, in fondo al quale mormora il mare in un sordo rumore, e che fa venire le vertigini al solo guardarlo.
Pietro passò innanzi e mi porse la mano raccomandandomi di non guardare il precipizio per non avere la vertigine; all'incontro io provavo un'affascinante sensazione nel mirare quella gola oscura, a quasi duecento piedi sotto di noi, ove, fra le acute punte degli scogli, biancheggiava la spuma minuta delle onde rotte e imprigionate nella caverna, su cui l'assito che ci sosteneva si piegava sotto il peso dei nostri corpi scricchiolando.
«Se cadessimo qui, abbracciati!», esclamai io quasi involontariamente, stringendo la mano di Pietro che mi guidava.
Mi pareva più dolce quella morte, e preferibile alle torture che provavo, e che supponevo anche in lui.
«Quale pazzia!», mormorò egli stringendo il mio braccio, come per prevenire l...
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