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«Stamattina, molto prima di partire pel Vomero col conte, ho veduto un biglietto così concepito in sostanza:
Io non mi ritratterò, ma posso assicurare la signora di Prato che non le ucciderò il marito. Se la contessa avesse avuto la bontà di cedermi per un quarto d'ora quel biglietto, come io ne l'avea pregata, non avrei avuto la sfortuna, a quest'ora, di esser sì poco creduto.»
Brusio arrossì impercettibilmente e chinò la testa.
«Ella ha letto questo biglietto?...», disse esitando.
«Letto propriamente no; poiché è stata la contessa che ha avuto la bontà di leggermelo.»
Pietro respirò.
«Ebbene?»
«Ebbene! io so tutto. La contessa istessa mi ha tutto rivelato!», aggiunse con enfasi napoletana l'interlocutore di Brusio.
«Ella?!»
«La prego di credere, prima di farsene le meraviglie, ch'io ho l'onore di trovarmi molto innanzi nell'amicizia della signora contessa di Prato, e che ella ha la bontà di mostrarmi tutta la fiducia... Non so se ella m'intende...»
«Non molto, veramente.»
«Eppure è sì chiaro!», aggiunse il vecchietto con un sorriso malizioso. «È adorabile quella contessa!... peccato che lei non abbia la fortuna di conoscerla intimamente...»
«Me ne rincresce di cuore. Sicché?...»
«Sicché ho saputo dalla Valderi, ieri sera», seguitò colui, assumendo completamente l'aria misteriosa e gonfia del vecchio ganimede che si crede sicuro del fatto suo, «che lei, signore, ha voluto, non so perché, rimandare alla signora un mazzo che questa le avea gettato sul proscenio la sera che si rappresentava il suo
Gilberto; cosa che il conte ha preso in mala parte, per cui n'è seguito lo scontro di stamattina... Quello di più delicato, che la contessa non volle, non seppe nascondermi, è che ella stessa avesse fatto pregare lei, signore, di venire ad un accomodamento, onde il sangue non fosse sparso per una causa sì futile; e le venne risposto con quel biglietto ch'ella mi lesse.»
Pietro sorrise involontariamente nel vedere la pazza persuasione e le galanti pretensioni del vecchietto.
«La contessa», seguitò colui, «ed io stesso non avevamo capito perfettamente quello che volessero dire quelle parole:
Alla signora contessa di Prato posso assicurare che il conte, suo sposo, non correrà alcun pericolo: e che la sua nobile condotta di stamattina ha spiegato intieramente. Nella mia premura di presentarmi alla Prato con qualche cosa che le fosse gradevole, io son corso a ringraziar lei di cuore, a stringerle la mano per la contessa e per me, essendo sicuro di prevenire il desiderio della signora.»
«Mi permetta di farle osservare che questa sicurezza è, per lo meno, molto arrischiata.»
«Per bacco! dopo aver veduto Narcisa agitata, come ieri sera l'ho veduta; dopo che stamane, prima ch'io partissi con suo marito, ella mi fece chiamare
misteriosamente... segretamente, capisce?... per scongiurarmi colle più calde preghiere, colle lagrime agli occhi, che facessi di tutto onde venire ad un accomodamento, non c'è bisogno di gran sale in zucca per capire che la contessa dev'essere contentissima dell'esito fortunatissimo di questo affare (poiché, scusi, ma la sua ferita al braccio non può chiamarsi una disgrazia) e che io, dopo aver fatto il possibile per venire all'aggiustamento che ella mi raccomandava, vada ad annunziarle di aver accomodato benone le cose, e aver perfino ringraziato lei.»
Sarei dispiacentissimo però, signore, ove ella, senza volerlo, le avesse reso un servigio che sarà male accolto dalla signora.»
«Male accolto!?... e perché?»
«Giacché il conte n'è uscito illeso, cosa deve importare di me, di uno sconosciuto, a quella signora? E come dovrà accettare che lei vada a dirle:
Ho stretto da parte vostra la mano a quell'uomo che ha avuto la scortesia di rifiutarvi un sommo favore (poiché non è provato ch'io abbia risparmiato il conte)
e che è andato a scaricare la sua pistola contro il petto di vostro marito?»
Il vecchietto rimase un momento confuso, come colpito da quella riflessione; ma poco dopo riprese vivamente, quasi trionfante:
«No, no! son sicuro del fatto mio. Lei non conosce la bell'anima di Narcisa; ella sarebbe desolatissima se il minimo accidente le fosse accaduto... L'ho udita con questi orecchi esclamare, torcendosi le braccia:
Mio Dio! se quel giovane morisse... per me!».
«Ella ha detto questo?!», esclamò Pietro quasi fuori di sé...
«Ma sì! Diavolo... che c'è? Le reca sorpresa che una donna abbia paura del sangue che potrebbe venire sparso per cagion sua?»
«Al contrario... È che... in tal caso... essendo sicuro... essendo certo di rendere a lei un servigio... di farle un buon ufficio presso quella signora... io le darei un attestato di quanto ella ha fatto per scongiurare il pericolo di questo duello... di come ella si è adoperato per far piacere alla contessa...»
«Mio amico! mio caro amico!», esclamò colui, abbracciandolo; «come le ne sarei grato!...»
«E se lei crede che due righi potrebbero esserle utili presso la signora di Prato...»
«Ella è la bontà in persona, ed io le sono devotissimo anima e corpo.»
Senza aspettare che il suo interlocutore fornisse il compito dei suoi enfatici ringraziamenti Pietro si appressò al tavolino da
albums, aprì una cartella che conteneva foglietti da lettere, e scrisse:
«Un uomo che ha molto a farsi perdonare dalla signora contessa di Prato sarebbe fortunatissimo ove ella volesse indicargli un'ora della giornata in cui potesse venire ad implorare questo perdono ai suoi piedi».
Piegò il foglio e fece mostra di rimetterlo così aperto all'amico della Prato.
«Non occorre di suggellarlo, se lei avrà la bontà di ricapitarlo perso- nalmente alla signora contessa.»
«Anzi! anzi!... suggelli, suggelli pure! Voglio fingere di non sapere di che si tratti... Quest'attestato del quale sembrerò non essere informato, mi gioverà molto presso la mia cara contessa. Ella sarà contentissima di me... poiché... capisce.... ella ha molta bontà per me... non dico per vantarmi...»
«Non perda tempo adunque!», replicò Brusio, spingendolo verso la porta.
«Un altro abbraccio, amico carissimo, un altro abbraccio. Lei troverà sempre in me un uomo tutto suo, un amico vero e riconoscente sino alla morte. Tratti d'amicizia come i suoi, che non si fanno aspettare... che vengono da sé... non si dimenticano... Poiché ella ha avuto la gentilezza d'indovinare... che io per quella cara Narcisa... capisce?!»
«Addio, caro signore.»
«Oh, come mi sarà grata la contessa! come creperanno d'invidia, quegli altri giovanotti, quell'ufficialetto di cavalleria pel primo!... Addio, caro amico.»
Uscì a ritroso, inchinandosi; e Pietro, lasciando cadere la portiera dietro di lui, non poté fare a meno di ridere della trista figura che la sciocca presunzione faceva fare a quel seduttore di 58 anni.
A mezzogiorno il conte rientrò in casa e domandò della moglie.
«La signora contessa è uscita in carrozza», rispose il suo cameriere.
«Uscita diggià !», esclamò il conte con qualche sorpresa.
«Ed ha lasciato pel signore questo biglietto.»
Il conte non dissimulò un movimento di collera, ed esitando ad aprire la lettera, disse bruscamente al domestico:
«Va bene! lasciatemi».
Il biglietto di Narcisa era semplicissimo:
«Lascio questa casa perché sento ch'è impossibile rimanere uniti più oltre. - Sento troppo altamente i motivi che mi spingono a tal passo per nascondervelo. - Non mi cercate adunque: sarebbe inutile. - Vi so troppo ricco e troppo generoso per supporre che possiate far conto della mia dote: vi prego quindi di passare, su questa, 8 o 9 mila lire all'anno al mio incaricato d'affari a Torino, signor Treveri. Credo che basteranno».
Era quanto vi ha di incisivo nell'ardire portato all'audacia, nella franchezza spinta sino al cinismo, della donna volubile e galante, appassionata ed impetuosa.
Quasi nell'ora istessa un elegante calesse si fermava dinanzi il portone di una graziosa casa a due piani nella Strada Nuova.
Un palafreniere, che serviva anche da portinaio, venne ad aprire alla signora abbigliata con distinzione, che era discesa dal calesse, e le additò una scala a sinistra, della quale gli scalini di marmo erano fiancheggiati di vasi di fiori.
In fondo alla corte, legati alle sbarre di un cancello che chiudeva un giardino di piacevolissimo aspetto, scalpitavano tre bellissimi cavalli inglesi.
Nell'anticamera, ad un domestico che incontrò, la dama domandò se il signor Pietro Brusio era in casa.
«Sì, signora; ma non è visibile, poiché è nel suo gabinetto di lavoro.»
«Ditegli che c'è una signora che desidera parlargli.»
«Domando scusa, signora; ma la prego di avere la bontà di ripassare verso le sei, o di lasciare il suo biglietto; poiché quando è nel suo gabinetto il signore non vuol essere disturbato assolutamente.»
«Fategli tenere questo biglietto in tal caso»; insisté la signora con una lieve tinta d'impazienza, prendendo da un elegante porta-biglietti una carta di visita e piegandola: «ditegli che aspetto. Non vi sgriderà certamente per questo».
Il tuono di sicurezza e di superiorità con cui parlava la bella signora vinse le esitazioni del cameriere, che si decise a fare quanto ella diceva.
«Si dia l'incomodo di seguirmi in sala», diss'egli sollevando la portiera di un uscio; «il signore ci sarà a momenti.»
Per giungere al salotto si attraversava una piccola serra a cristalli, che occupava uno dei lati di una terrazza assai vasta, della quale s'era fatto un giardino pensile, sporgente su quella spiaggia incantata della Marinella, che ha il bel golfo di Napoli per orizzonte, e in fondo Capri e Sorrento. Quella specie di stufa, dove vegetavano le più belle piante esotiche, circoscriveva come in un'atmosfera separata dalla città clamorosa, il salotto ed il gabinetto da studio che vi era contiguo. I rumori esterni sembravano estinguersi sulla sabbia finissima del viale, come il più lieve alitare di vento moriva sulle grandi foglie di quelle piante immobili nelle loro masse svariate.
Il salotto era addobbato con lusso; ma quel pensiero tutto originale che avea disposto lo stanzone dei fiori prima di giungervi, e il giardino sulla terrazza, sembrava aver presieduto nei minimi dettagli alla situazione di tutti gli oggetti che lo decoravano. Le porte vetrate, che si aprivano sulla terrazza, erano nascoste, alla lettera, da
persiane di pianticelle rampicanti; ciò che unito alle pitture dei vetri, e alle doppie tende di raso e di velo, facevano penetrare soltanto nella sala quella mezza luce, che, col lasciare indistinte le forme degli oggetti, vi crea mille nuove immagini, e ne popola la semioscurità di quei mille sogni incantati, di quelle sfumature voluttuose che tanto piacciono alle signore galanti; il passo si arrestava sui tappeti vellutati, come se temesse di destare un'eco che potesse strappare dalla deliziosa preoccupazione che faceva nascere quell'atmosfera.
Il cameriere scomparve senza far rumore per uno degli usci dirimpetto, nascosto dalla stessa tenda di raso celeste. La signora si sprofondò in una delle poltroncine che erano vicine ad un elegante tavolino da
albums, piccolo capolavoro nel suo genere; subendo anch'essa, senza accorgersene, il fascino che esercitava sui sensi quel luogo ricco di dorature, di sete, di specchi e di profumi: fascino al quale forse ella era disposta.
Poco dopo la tenda si aperse, e comparve un uomo, vestito del rigoroso abito nero, come se volesse dare a divedere di apprezzare tutto il valore della visita che riceveva; ancora pallido, ma di quel pallore che ci fa brillare gli occhi, quando la gioia troppo potente della felicità sembra chiamare al cuore tutto il sangue. Una benda di seta gli teneva al collo il braccio sinistro.
Un momento però egli sembrò ondeggiare indeciso, mentre fissava i suoi occhi scintillanti su quel corpo da fata (che accennava appena le sue seduzioni sotto le linee quasi vaporose delle vesti, voluttuosamente disteso sulla poltroncina) e su quegli occhi che lo fissavano del loro sguardo più bello, mentre il sorriso più dolce errava sulle labbra di le...
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