UNA PECCATRICE, di Giovanni Verga - pagina 2
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Il compagno che gli passeggiava allato è molto più piccolo; biondo, piuttosto grasso; uno di quei caratteri che non servono sovente ad altro che a far spiccare una individualità superiore a cui si accompagnano, di cui sentono e subiscono l'influenza come un satellite.
Raimondo, il biondo, ha però il merito di essere come il compimento del carattere infiammabile, sovente del soverchio, del suo amico.
Egli non ha la superiorità d'ingegno di lui, ma molta maturità di giudizio, ciò che lo fa ragionare calmo ed assennato, ed impedisce a Pietro di commettere mille pazzie, poiché Raimondo ha la voce dolce ed insinuante ed il carattere conciliativo; sembra infine che l'ardente carattere dell'amico suo subisca a sua volta l'influenza della pacata indole di lui.
Entrambi appartengono a due buone famiglie di Siracusa.
Raimondo è già laureato in medicina da quasi un anno, e Pietro studia legge per studiare qualche cosa che non gli renda soltanto strette di mano dei comici, che per altro si misuravano dal numero dei rinfreschi offerti e mai rifiutati, e qualche applauso, assai freddo, della platea, che avea il valore di un biglietto gratis.
Abbiamo insistito, forse di soverchio, su questi dettagli fisici e morali, d'uso per alcuni, per noi resi indispensabili dalla necessità, che abbiamo peculiare, di far sentire, diremmo, i caratteri che presentiamo prima di agitarli nelle scene di un racconto intimo.
Scopriamo sin dal principio il meccanismo, per non attirarci la taccia, poscia, di aver fatto agire delle marionette, da chi non ne vedesse il filo motore ch'è il cuore.
Cinque giorni dopo, all'ora solita, noi incontriamo i due amici, che passeggiano, colla stessa sbadataggine, sotto gli alberi del Rinazzo; l'uno, il biondo, chiacchierando quasi sempre solo; il suo compagno col capo basso e le mani dietro le reni.
«Mio caro», diceva il biondo, guardando l'amico negli occhi in aria di malizia, «risponderai almeno questa volta a quella piccina?»
«Io?», rispose bruscamente Pietro, come destandosi di soprassalto, «e perché fare?»
«Bella risposta! che pure non avrebbe avuto l'opportunità di venir fuori oggi, se tu l'avessi data a te stesso il giorno, o piuttosto la sera, che ti venne in mente di accalappiare colle tue commedie quella poveretta.»
«Credo che tu abbi ragione in quanto alla risposta; e che tu dica una bestialità, ciò che fai spessissimo, in quanto a quello che mi vai cantando di accalappiamenti e di poverette...»
«Pietro...»
«Lasciami tranquillo, ti dico!...
Ci credi sul serio dunque che a quest'ora Maddalena, la piccina, come la chiami, pianga e si disperi perché non le scrivo più, perché la sera, onde aspettarla sotto il verone, non rischio più di farmi gettare delle immondezze sul capo da qualche serva maligna, che finga di non vedermi, e perché non do più lo spettacolo ai vicini, che si mettono ad origliare dietro le imposte, di quelle freddure che si ricantano sempre sullo stesso tuono: buona sera; come stai? mi ami sempre? non quanto me...
ecc.
ecc., poiché le varianti sono pochissime?! In fede mia che ne ho abbastanza di tali amori da quindici anni!!...
Se mi avesse permesso di salire un momento sulle scale...
pazienza!...»
«Sì, pazienza per altri otto giorni! La sarebbe finita come tutte le altre...
Eppure ti assicuro che se tu l'avessi veduta piangere come io l'ho veduta; se ella ti avesse abbracciato i ginocchi come li ha abbracciati a me, per indurti ad andarla a vedere, a scriverle almeno...
se tu avessi udito le parole ch'ella mi diceva!...»
«Parola d'onore!», esclamò sghignazzando Pietro, «che tu ne sei innamorato cotto.
Va, Raimondo, amico mio, tu farai il tuo cammino, coi tuoi ventidue anni, i tuoi capelli biondi, e il tuo volto fresco e roseo.»
Il biondo prese quegli scherzi come li prendeva sempre, dalla parte che lasciano ad un uomo di spirito, ch'è quella di riderne pel primo, e riprese:
«Se così fosse, confessa che mi saresti molto obbligato di averti sbarazzato di una noia, senza i ritornelli soliti di traditore, Iddio è giusto, ecc.».
Pietro ne rise esso pure, e strinse con effusione la mano del suo amico.
«Sentimi, caro Raimondo»; diss'egli alquanto gravemente; «io non son di quelli che dicono: fo così perché così fanno gli altri. Mi sento troppo superiore a questi altri per seguirne l'esempio.
A diciott'anni è permesso credere ancora all'amore, alla fedeltà, alla donna tipo eroina, come impastocchiano gli sfa[c]cendati nei romanzi...
A ventiquattro (è desolante quello che dico, ma non è men vero) si è scettici come lo scetticismo, quando cento volte si sono ascoltate le più appassionate proteste, fatte colle lagrime agli occhi, dalla donna che ha in saccoccia la lettera del rivale...»
«È curiosa!», interruppe Raimondo.
«Che cosa?»
«Come ti hanno guastato i romanzi di Sue; tu, accanito avversario dell'esagerazione della scuola francese, e che ora mi copii sì bravamente l'uomo stufo a ventun'anni, lo Scipione del Martino il Trovatello...»
«Non copio io!», disse Pietro quasi con asprezza; «ti dico soltanto quello che penso.
Ti dico anche che darei qualche cosa del mio avvenire per possedere ancora le illusioni sì care de' miei diciassette anni...
Tu conosci la mia vita, Raimondo!...
Ti ricordi di una giovanetta che amai alla follia...
Che fece quella giovanetta, per la quale avevo pianto,...
ne ho vergogna anche a pensarci...
pianto dinanzi a te...
come un fanciullo...
come un vile?!...
Ella m'ingannò per un mercante; poi per un nobile, per un uomo ammogliato...
E questa donna, che avea dato appuntamento per la sera al suo amico, che ascoltava tremando le ore che segnava l'orologio del salotto, poiché temeva ch'io m'incontrassi con lui, abbracciava i miei ginocchi, come ieri Maddalena abbracciava i tuoi; mi supplicava colle lagrime più ardenti, colle carezze più tenere, cogli accenti più deliranti di non lasciarla sì tosto, di non lasciarla in collera, poiché s'era accorta ch'io avevo sospetto di quello che dovevo vedere mezz'ora più tardi...
Dopo amai una maritata; credei che una signora che rischia di romperla colla società, e colla sua felicità istessa, dovesse molto sentire, quest'affetto, al quale sacrifica il suo decoro, la pace domestica, e, presso di noi, fors'anche la vita...
Quindici giorni dopo, a caso, in una festa da ballo, seppi, da uno di quegli amici che s'incontrano dappertutto, che da tre giorni egli era in relazione con quella signora...
e le espressioni appassionate di lei, ch'egli mi citò, erano le stesse di quelle che aveva impiegato per farmi credere al suo amore...
In seguito amai una fanciulla...
pura siccome un angiolo, come direbbe il signor Germont nella Traviata; ella aveva tutto ciò che può far credere alla purità del cuore: distinzione d'educazione, coltura d'ingegno, bontà di sentimenti...
Io l'amai come un pazzo, quella fanciulla dal viso pallido e dagli occhi cerulei...
Scesi persino alle puerilità del collegiale,...
passare sotto i suoi veroni, seguitarla al passeggio e in chiesa...
Quella giovanetta rispose finalmente alle mie lettere, mi promise amore e fedeltà, nell'istesso tenore, suppongo, in cui l'aveva promesso sei mesi prima ad un giovane che sposò alcune settimane appresso...
E dopo questo, dopo innumerevoli esempî, che ogni giorno cadono sott'occhio, credi che si possa più aver fede nell'amore propriamente detto, in quest'amore chiesto e giurato spesso col rituale alla mano, senza passare almeno per uno scolaro di primo anno?»
«Ti rispondo colle tuo parole: Credo che abbi ragione almeno per metà; ma confessa che per l'altra tu esageri un pochino, lasciandoti trasportare, al solito, dalla tua immaginazione.»
«Può essere anche questo»; rispose sorridendo il giovane; «del resto colla Maddalena l'ho rotta tranquillamente o diplomaticamente, come vuoi meglio.
Infine vuoi una parabola per convincerti?»
«Fuori la parabola!»
«Ecco!», e Pietro trasse dal suo portasigari, che avea trasformato anche in portafogli e portamonete, un bigliettino in carta profumata ed involto in una sopracoperta piccolissima color rosa; colla stessa flemma ne prese un sigaro ed un fiammifero.
Acceso il foglietto, cominciò ad accendere tranquillamente il sigaro.
Raimondo ebbe il tempo di leggere le ultime frasi assai tenere del bigliettino, scritto con quel carattere minuto ed uguale che sembra particolare alle signorine distinte, firmato in basso colle sole iniziali.
«Hai veduto?», gli domandò Pietro trionfante, buffandogli in faccia il fumo azzurrognolo del sigaro.
«Ho guardato ma non ho visto, come il cieco della Bibbia.»
«È semplicissimo: vi è un detto celebre: Fumo di gloria non val fumo di pipa: ciò che in parentesi dimostrerebbe che le mie più belle produzioni-erba non valgono il fumo delizioso di questo regalia; io ne faccio un altro: Amor di donna, e d'uomo, se si vuole, non dura più di cenere di carta, o biglietto amoroso...
o sigaro regalia.
Spero di farmi nome almeno coi proverbi...
giacché non l'ho potuto con opere di maggior lena...
Ma guarda laggiù, imbecille!...»
«Che c'è?»
«Cospetto!...
la signora che incontrammo l'altra volta alla Villa!»
«È vero.»
«Che donna...
Perdio!...»
«Non è poi quella maraviglia che mi vai cantando...»
«Non ho parlato di maraviglie.
Ti dico semplicemente che a Catania, e in tutta Sicilia anche, son poche le donne che sappiano recare così bene il loro perdessus reine-blanche, e che sappiano appoggiarsi con tanta grazia al braccio di quel briccone in guanti paglia e pincenez che ha la fortuna di premere quel polsino contro le sue costole.»
Essi passarono quasi rasente a quella donna, che questa volta non li vide o fece le viste di non vederli, e che sorrideva del suo riso incantevole al suo cavaliere, mentre gli parlava.
«Hai udito che bella voce!», esclamò Pietro, premendo il braccio del suo compagno; «all'accento mi parve torinese...
Io adoro tutto il Piemonte in questo momento...»
«Eppure veduta dappresso non è bella...»
«È adorabile, se non è bella! Essa non ha la bellezza regolare, compassata, che direi statuaria, e che non invidio ai modelli dei pittori; ma ha occhio che affascina, e sorriso che seduce carezzando, quando questo fascino ci può fare atterrire coi suoi brividi troppo potenti.
Questa donna alta e sottile, di cui le forme voluttuosamente eleganti sembrano ondeggiare lente e indecise sotto la scelta toletta che le riproduce con tutta l'attrattiva vaporosa delle mezze tinte, ha tutte le perfezioni per poter coprire ed anche far ammirare come pregi altre imperfezioni; questa donna che ha bisogno di tutta la delicatezza e la bellezza di contorno del suo collo da inglese per non far troppo spiccare la piccolezza della sua testa da bambina; di tutta la flessibilità della sua vita per far dimenticare l'estrema sottigliezza del suo corpo; di tutta l'abbagliante bianchezza dei suoi denti per fare una bellezza della sua bocca alquanto grande, con cui ella sorride sì dolce che sarebbe a desiderarsi di vederla sempre sorridere; che si serve di tutte le ombre, di tutti i riflessi più lucidi, più belli, più azzurrognoli dei suoi magnifici capelli neri per nascondere che la sua fronte è alquanto larga ed alta del soverchio; di tutta la limpidità dello sguardo dei suoi occhi, infine, per farne ammirare la pupilla di un riflesso molto chiaro; questa donna mi colpisce mille volte dippiù coll'effetto direi strano, sorprendente, poiché rubato a Dio, della sua beltà...
Io non potrei giammai esprimerti l'effetto che mi fa questa bellezza, che non è tale che quasi per un miracolo, poiché non ha nulla per esserlo, ed in cui tutto sembra formare un assieme di grazia e d'incanto; questa bellezza che ha bisogno di tutte le risorse della toletta, di tutte le seduzioni dei modi e dell'accento, di tutto l'incanto dello sguardo e del sorriso, per circondarsi di questo vapore trasparente...
illusorio, lo confesso, che la fa bella però, che la fa adorabile, poiché sembra non farla vedere che in nube, attraverso l'incenso e l'orpello; questa bellezza che vuol essere tale a dispetto della natura che l'avea fatta comune; questa figura plastica che non ha di bello che gli elementi, direi, per divenir tale, e lo spirito creatore che fa nascere tutte le grazie di cui si circonda; che si mette allo specchio donna per sortirne silfide...
maga...
sirena...»
«To...
to...
to!...
Pietro, amico mio, ne saresti innamorato?...»
«Io!», rispose il giovane scrollando le spalle, come cadendo dalla sua esaltazione, «sei pazzo!»
«Eppure tutti i pregi di costei non valgono un solo di Maddalena.
Venti ancor più belle di lei non farebbero un angioletto così bello e perfetto qual è la piccina, come mi piace chiamarla; che pure hai abbandonato senza un pensiero.»
Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontano, e rispose semplicemente, abbassando il capo: «Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei».
«È graziosa!», esclamò Raimondo.
«Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio?»
«Sì, lo confesso...
Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poiché la riverenza del cuore io non l'ho più.
Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso...
tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta...
tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è, come il mio, debole e creta...
E allora io l'amerei...
un giorno, un'ora, ma l'amerei...
Quanto alle altre donne, le amerò allorché scoprirò un cuore nella donna.»
Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua immaginazione.
Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando:
«Che ne dici della mia tirata, Pilade?».
«Non è cosa nuova in te.
Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta.»
«Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi...», disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza.
«Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano...
Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque...
eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più...
fossero anche di cavoli.
Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarrebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio...»
«Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso...
E tu sei superstizioso in quest'idea?»
«Al fanatismo!»
«Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?...»
Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al [suo] solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: «Chi lo sa!?...».
II
Venti giorni sono scorsi da quello in cui incontrammo i due amici al Rinazzo.
Siamo nei lunghi giorni del giugno.
Pietro studia assiduamente da mattina a sera le sue tesi, poiché si approssimano gli esami; ed esce assai di rado.
La sera di un giovedì Raimondo venne a trovarlo nel suo stanzino da studio, nella casa che abitava insieme a sua madre e alle sue due sorelle, in via Vittoria.
«Che vuoi?», domandò Pietro bruscamente, celando, al suo solito, la viva amicizia che nutriva pel suo compagno sotto quell'apparenza di ruvidità.
«Vengo per condurti meco al passeggio.»
«Ne ho forse il tempo? Sai bene che gli esami sono vicini, e non ho ore da sprecare andando a spasso; sai pure che col professore Crisafulli non c'è da scherzare.»
La signora Brusio, ch'era entrata con Raimondo nello stanzino di suo figlio, e si era appoggiata, con quell'atteggiamento ineffabile d'amore delle madri, alla spalliera della sua seggiola, unì le sue istanze a quelle di Raimondo per indurre suo figlio a prendere un po' d'aria.
«Stassera c'è musica alla Marina», disse Raimondo.
«Va pure, figlio mio»; disse la madre, «da quasi venti giorni tu non esci più, e ciò ti farà ammalare invece di farti proseguire i tuoi studî.
Prendi qualche ora di riposo; ne hai bisogno.»
Pietro amava sua madre d'immenso affetto.
Pel suo carattere impetuoso ed insofferente quella dolce voce di donna, quella mano pallida e affilata che carezzava i suoi capelli, erano irresistibili.
«Giacché siete congiurati, e volete così!...», diss'egli sorridendo, «aspettami cinque minuti, Raimondo; il tempo di vestirmi.»
E passò nella sua camera.
«Fatelo divertire, signor Angiolini»; disse al giovane medico la signora Brusio, «ha tanto bisogno di distrazione il mio povero Pietro! È tanto tempo che non fa altro che studiare!...
e mi sembra che sia divenuto più pallido...
Mi atterisce l'idea che abbia ad ammalare!»
«Non pensi a queste cose, signora»; interruppe Raimondo; «Pietro è forte come un toro, e quest'eccesso di lavoro non può durare che altri otto o dieci giorni.
Terminati gli esami abbiamo stabilito di andare a passare una settimana alla campagna.»
«Grazie, grazie, Raimondo!», disse la madre, stringendo la mano del giovane, «voi siete il degno amico del mio Pietro...
Ve lo raccomando!...
Siamo tre donne che non abbiamo più che lui...»
Vestito che fu Pietro i due amici andarono alla Marina.
I viali erano affollatissimi; la musica eseguiva le più appassionate melodie di Bellini e di Verdi; un bel lume di luna si mischiava alle vivide fiammelle dei lampioncini, sospesi in festoni agli alberi, che illuminavano i viali.
Era una di quelle sere incantate che si passano su queste spiaggie del Mediterraneo, in cui lo specchio terso ed immenso del mare, che riflette tremolante il raggio dolce e pacato della luna, sembra servire di cornice al quadro allegro, vivace, animato, che formicola colle sue mille seduzioni sotto gli alberi.
Pietro si sentì come allargare il cuore e fu grato all'amico di quella piacevole sensazione; essi passeggiavano per uno dei viali più appartati.
«Non m'inganno!», esclamò Pietro tutt'a un tratto, come di soprassalto, stringendo vivamente il braccio dell'amico contro il suo; «è lei!...
là!...
in mezzo a quei due uomini!»
In fondo al viale quasi deserto, perché troppo lontano dalla musica, spiccava infatti, e per la solitudine del luogo, e per una certa originalità elegante di abbigliamento e di andatura, la signora che aveva recato tale impressione in Pietro Brusio.
Vestiva un semplicissimo abito di tarlatane a quadretti bianchi e bleu, tessuto di una freschezza e leggerezza quasi vaporosa; uno scialle nero, fermato sul petto da uno spillone d'oro; ed un cappellino grigio ornato cerise.
Nulla però varrebbe a riprodurre l'eleganza suprema, la molle e quasi ingenua civetteria, con la quale ella rialzava la veste sino a metà della sottoveste ricchissima e si appoggiava al braccio di un uomo di quasi 30 anni, assai bruno, con volto ombrato da una folta barba nera, che avrebbe fatto invidia ad un guastatore, e vestito con ricercatezza alquanto leccata.
Dall'altro lato era accompagnata da un signore di mezza età, alto, quasi biondo, freddo, e che parlava con una bella pronunzia toscana.
I due giovani, passeggiando, s'incrociarono con essi che venivano loro di contro.
Questa volta uno sguardo della signora, incerto, quasi negligente, si fissò indolentemente, ma a lungo negli occhi ardenti di Pietro che la divoravano.
Due o tre volte ancora i due amici l'incontrarono di faccia; e ciascuna volta quello sguardo limpido, chiaro, noncurante, si fissò sul giovane che la guardava a lungo; e ciascuna volta il cuore di Pietro batteva stranamente in modo più forte; e le sue guancie pallide e brune si facevano ancor più pallide; e il suo occhio sfavillava più ardente; ed egli affrettavasi, trascinava quasi il suo compagno per giungere a quest'attimo in cui quella silfide dovea passargli dinanzi, in cui quella veste doveva sfiorarlo, in cui quegli occhi dalla pupilla trasparente dovevano fissarsi sui suoi, sebbene come non vedendolo.
Una o due volte che Brusio non incontrò quello sguardo, fu triste, e quasi dispettoso di se medesimo.
Una volta, l'ultima, in cui gli parve accorgersi che, lui oltrepassato di uno o due passi, ella, parlando all'uomo a cui dava il braccio, verso di cui si piegava sorridendo con una grazia affascinante, avesse rivolto a metà il viso verso di lui e che un lampo partito da quegli occhi lo cercasse, egli fu ebbro...
felice di una sensazione nuova, strana, che non sapea definire, della quale avea quasi paura, poiché non poteva giustificarla.
Ritornando per lo stesso viale la cercò invano cogli occhi da lungi...
Giunse in capo al viale: era deserto...
La cercò per tutta la Marina, come se in quella folla elegante ed animatissima avesse dovuto discernere in mezzo a mille colei al solo riflesso azzurrognolo dei ricci che ombreggiavano la sua fronte fin quasi sulle sopracciglia, al solo movimento della sua piccola testa che sembrava inchinarsi come un giunco sul collo sottile e ben modellato; era partita...
Che voleva egli? Che cercava da quella donna, di cui il lusso, il corteggio, l'adulazione era l'atmosfera in cui viveva; che gli uomini più ricchi, più eleganti, più nobili si fermavano ad ammirare, senza che ella mostrasse avvedersene; che tre o quattro volte l'avea guardato come si guarda un fanciullo, un albero, un oggetto qualunque che s'incontri?...
Nemmeno egli lo sapeva in quel punto; egli avrebbe arrossito di confessarsi la premura che prendeva per colei che dovea essere sempre un'estranea per lui.
Cinque minuti dopo riprese il braccio di Raimondo, dicendogli:
«Andiamo via!».
«Così presto?»
«Non ti annoi a morte qui stassera?...
Non c'è alcuno!»
Raimondo guardò attorno, come trasognato, perché giammai la Marina di Catania avea offerto una riunione più bella; e domandò ingenuamente: «Sei pazzo?...
Tu stesso un quarto d'ora fa mi dicevi esser deliziosa questa serata...
qui...».
«Sarà vero anche ciò, come è vero che ora mi annoio...
e se vuoi rimanere ti dico addio.»
E gli stese la mano come per congedarsi.
«Un momento...
ecco! giunge in quel viale a sinistra Maddalena.
Guardala almeno una volta.»
«Che m'importa di Maddalena a me!...
Guardala tu, se vuoi...
Addio!»
E dopo quella brusca separazione partì di buon passo e si diresse verso la sua abitazione per via Garibaldi.
Però giunto alla crocevia della Vittoria sembrò esitare un momento, e proseguì a camminare sin fuori Porta Garibaldi.
La notte era magnifica, Pietro sedette sul sedile di pietra circolare che limita la gran piazza.
«È strano», mormorò egli, «come stasera non ho voglia né d'andare a casa, né di rimettermi alle mie tesi!...»
E rimase altri cinque minuti in silenzio, collo sguardo fosco e fisso sui ciottoli del marciapiede.
«Andiamo!», esclamò quindi levandosi, e come facendosi forza, «devono essere le undici, e mia madre a quest'ora mi attende.»
Guardò il suo orologio e si diresse lentamente verso la sua abitazione.
La signora Brusio, coll'occhio della madre, osservò che il suo Pietro, quella sera, era più pallido e distratto del solito; e che, invece di rimettersi a studiare, si ritirò, appena giunto, nella sua camera.
L'i
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