[Pagina precedente]...i. Come se avesse temuto di rompere l'incanto di quel sogno troppo bello per lui, [egli] esclamò, quasi impaziente, verso un testimonio che gli stava vicino, ma che però non si vedeva:
«Non ci sono per nessuno. Quando vi voglio suonerò. Andate».
Non si udì sul tappeto, molto spesso, il passo del cameriere che si allontanava.
Pietro si avanzò lentamente verso la dama, come se avesse voluto assaporarne, con una voluttuosa economia d'analisi, tutte le emanazioni inebbrianti. Ella, nella sua positura da sirena, lo fissava sempre senza parlare.
Il giovane non pensava neanche a proferire la più semplice formola di civiltà . Una parola sola irruppe spontanea:
«Lei!... lei, signora!... da me!».
«Che c'è di strano?», rispose ella con un indefinibile sorriso. «Non ha ella rischiata la vita per me, perché io venga a rischiare quelli che il mondo chiama riguardi per lei?...»
Gli stese la destra, dopo essersi tolto il guanto; egli esitò a prendere quella mano, che, forse per fargli provare in tutta l'intensità il brivido del suo contatto, gli si metteva nuda fra le sue.
«Ho ricevuto il suo biglietto dal signor Briolli. Se lei ha molto a farsi perdonare, io ho molto a ringraziarla... Ho verso di lei uno di quei doveri di gratitudine dinanzi a cui le convenienze sociali scompaiono; e son venuta a ringraziarla, signore, della sua azione sì nobile, sì generosa sino al sacrificio!...»
Invece di rispondere, Pietro seguitava ad ammirare, come si fa di un oggetto prezioso, quella manina bianca ed affilata che si teneva fra le sue senza osare di stringerla, come se temesse di farne appassire la delicata bellezza.
«E questa ferita!... Dio mio!...», continuò la contessa commossa vivamente.
«Nulla... una scalfittura.»
Narcisa si avvide forse allora della tacita ammirazione con cui il giovane si teneva quella mano sulle palme, e, arrossendo impercettibilmente, fece un movimento per ritirarla.
«Oh! la lasci!...», mormorò egli come un fanciullo che parli in un sogno delizioso. «È cosi bella!...»
La contessa, ancor più rossa di prima, ma sorridendo cogli occhi e le labbra del suo sorriso inebbriante, con un movimento rapidissimo e quasi istintivo di grazia squisita, o di sopraffina civetteria, gli porse l'altra, lasciandole in quelle di lui e guardandolo fisso negli occhi. Pietro volle baciare quelle mani da fata; ma gli parve un peccato, come gli era sembrato lo stringerle, di sfiorare colle sue labbra quella pelle rasata.
Dopo un momento di silenzio la contessa riprese:
«Uno dei testimoni di mio marito, il signor Briolli, mi ha fatto conoscere tutta la generosità della sua condotta... Se io avessi potuto sospettare che alla mia preghiera ella doveva rispondere con tal sacrificio, io avrei inorridito di avanzarla... come ora ho rimorso...».
«Non mi parli di ciò!...», interruppe quasi brusco il giovane, come se avesse temuto di destarsi.
«Noi abbiamo torti reciproci», aggiunse Narcisa col suo sorriso ammaliatore; «siamo franchi in tal caso dall'una parte e dall'altra per poterceli perdonare scambievolmente...»
«Reciproci torti?», interruppe Pietro come trasognato.
«I miei saranno più gravi», rispose Narcisa; «ma ho la buona fede di confessarli e la risoluzione di espiarli... E voi?...»
«Io non me ne trovo che uno!... ma sì grande... che io non oso rammentarlo senza arrossire in faccia a voi...»
«Confessatelo allora; forse vi verrà perdonato.»
«Contessa!...»
«È molto grave adunque perché non abbiate il coraggio di questa confessione?»
«Le vostre parole me lo danno; io ho commesso l'indegnità d'insultarvi rimandandovi il mazzo e l'anello, e poco fa anche il biglietto...»
«Avete avuto torto nell'ultimo caso, non l'avevate nel primo...»
«Perché?»
«Perché nel primo caso quello che a voi pare colpa, mi provava piuttosto...»
«Narcisa!...»
«Che voi...»
«Che io vi amo come un pazzo!... come un uomo che non è più conscio di quello che fa, perché voi gli avete tolto la mente e la ragione, Narcisa!...»
Così dicendo Pietro divorava coi baci quelle mani che si teneva fra le sue.
«Ora che la vostra confessione è fatta», diss'ella, non rispondendo direttamente, «veniamo alla mia.»
Pietro si accosciò sul tappeto ai piedi della contessa, tenendo sempre le sue mani.
«Vi scrissi di aver conosciuto a Catania un giovanetto generoso sino al sagrifizio, nobile sino all'eroismo... Perdonatemi, non m'interrompete. Allora non sapevo chi fosse, non conoscevo che un giovane come se ne veggono tanti, inferiore fors'anche a quei giovani eleganti che mi facevano la corte. Anch'esso mi faceva la corte alla sua maniera, come la fanno i provinciali e gli adolescenti... Guardai qualche volta costui che incontravo sempre sui miei passi in istrada, sulla porta del Teatro, uscendo e rientrando in casa... Qualche volta, quando paragonavo il suo stato a quello di coloro che mi amavano come lui ma che potevano dirmelo o almeno provarmelo, aspirare almeno ad un mio sorriso, ad una mia parola... mentre costui doveva sacrificarsi giorni e notti intieri per vedermi scendere da carrozza o per passarmi d'accanto al ritorno da un ballo, ebbi un momento di curiosità , ed anche di riconoscenza sì lontana da sfumare nella compassione, per questo giovane che mi amava in tal modo, e mi amava senza speranza... Poi non ci pensai più...
Poco tempo fa lo rividi in una festa»: riprese la contessa: «era l'uomo in voga; l'alta società avea per lui le più squisite cortesie, le donne più belle e più nobili gli sorridevano... Un vero trionfo! Io ammirai quella fronte larga e pallida, e mi sembrò di scorgervi qualche cosa di nobile che non vi avevo prima notato; mi parve di leggere un mondo intiero nei suoi occhi, sebbene alquanto malinconici. Lo sguardo ch'egli mi volse mi fece pensare al giovanetto sconosciuto... e provai una viva commozione a quel pensiero: c'era trionfo ed orgoglio soltanto, in quel punto. Oh! io sono schietta, signore, per farmi credere quello che ho da dire in seguito. Quest'uomo avea fatto un miracolo pel mio amore un miracolo da genio... Io l'ho veduto in quell'opera, come egli non ha veduto che me creandola, prendermi la mano, sorridendo del suo triste sorriso, e farmi passare in rassegna il suo cuore coi suoi palpiti, le sue speranze e le sue lagrime... e trasportarmi ai giorni delle vaghe aspirazioni e dei sogni ineffabili. Poi mi ha fatto piangere del suo pianto disperato a quelli spasimanti di passione... e si è arrestato anelante, spossato, colle braccia stese, nel punto in cui sentiva sfuggirsi questo fantasma a cui incatenava la sua esistenza... Oh, in quel momento, signore... s'io avessi veduto dinanzi a me quest'uomo, come l'ho veduto nel suo sogno, nel suo dramma... gli avrei steso le braccia ad incontrare le sue...».
«Narcisa!...», mormorò soffocato Brusio, sollevandosi sino ad inginocchiarsi.
«Qualche volta, quando penso a quest'amore sì ardente e sì immenso, che non avrei saputo immaginare se non l'avessi ispirato, io che ho sorriso e folleggiato fra le ancor più folli proteste di mille galanti, io stordita da quest'incenso d'adulazioni e di corteggio che gli uomini più eleganti, più ricchi e nobili si affollano a bruciarmi ai piedi... io ho un movimento d'incerto terrore; ...mi pare che debba esser terribile, divorante, questa passione, quando è giunta a tal grado; ...mi pare ch'essa debba assorbire la vita in un bacio di fuoco... ma in un bacio di tale ebbrezza da sembrare troppo piccolo compenso la vita, e troppo corti i giorni per avvelenarsene...»
«Narcisa!!...», ripeté Pietro colle lagrime agli occhi, prendendole le mani con violenza, mentre avea ascoltato sin allora cogli occhi spalancati e fissi, come pazzo di felicità , e coi gomiti appoggiati sulle ginocchia di lei.
La fata si curvò mollemente verso di lui, e gli posò le braccia sulle spalle... poi lo sollevò lentamente, con quell'abbandono inimitabile e seducente che le era particolare; e guardandolo sempre col suo sorriso da sirena gli susurrò, quasi sulle labbra, colla sua voce più bella e più carezzevole:
«Son venuta a vedere il tuo gabinetto da studio... Pietro...».
Quel soffio passò come un vento ghiacciato sul sudore che inondava la fronte di lui, che, impotente a più contenersi, la sollevò, prendendola tra le braccia, come un caro fanciullo, e la divorò di baci, singhiozzando in un sublime delirio: «Tu sei il mio Dio! ed io non avrò mai forza per amarti come vorrei!!!...».
La portiera ricadde ondeggiante dietro di loro.
Pochi giorni dopo, verso il tramonto, due giovani che s'avvincevano colle braccia allacciate, come le
rampicanti che coprivano i fusti dei grandi alberi del giardino pensile, appoggiati alla ringhiera di pietra della terrazza, guardavano il sole che tramontava dietro quel mare azzurro che si stendeva immenso ai loro piedi ed ove si specchiavano Ischia e Procida. Narcisa teneva appoggiata la testa sulla spalla di Pietro, e di quando in quando si aggrappava al collo di lui colle sue candide braccia per passare le sue labbra sulla fronte e gli occhi di lui con mille baci muti della sua bocca tremante che ne formavano un solo.
«Che vita!... mio Dio! che vita!!!...», mormorava ella soltanto qualche volta.
«Eppure, mio dolce angioletto, quando io bacio questa tua fronte, e mi premo fra le labbra questi capelli, e ti chiudo gli occhi colle mie mani, e mi sento fremere fra le braccia questo tuo corpo da fata... io non credo, no... malgrado che io chiuda gli occhi, malgrado che io torturi disperatamente il mio cervello, per crederlo, che ciò che io provo di sì immenso, di sì convulso, di sì spasimante nella voluttà del piacere, nel delirio del godimento, mi viene da te; ...che tutto ciò non è uno splendido sogno della mia fantasia, come ti sognai nel mio dramma... e ti sognai delirante, stringendomi la testa infuocata fra le mani, premendomi il cuore che sembrava scoppiarmi, seduto sul marciapiede di faccia ai tuoi veroni!... No... io non posso credere che quella donna che incontravo al passeggio, al braccio di un altro uomo, fra l'ammirazione di quanti la vedevano, facendo palpitare il mio cuore col fruscio del suo strascico sulle vie;... che quella donna che vidi al Teatro; che mi passò da presso senza guardarmi; che seguii come un fanciullo, come un cane; ...che non mi stancai a vedere dalla strada, per due mesi intieri, sotto la sua casa, ascoltando il minimo rumore che mi venisse da lei, che mi accennasse la sua presenza facendomi trasalire; ...che quella donna che proferì quelle parole... quella notte... dal verone; ...che mi torturò il Cuore colle note strillanti del suo valtzer, quando mi parve che il mio cuore fosse rotto;... che quella donna ch'io non osavo avvicinare per non rompere il cerchio luminoso che la circondava d'aureola, per non rapirle un atomo di quella atmosfera profumata della quale ci circondava, che faceva il suo prestigio; ...che quella donna che adorai infine come un pazzo, spaventandomi di adorarla in tal modo, è mia!... mi ama!... mi è fra le braccia!!... che io posso chiamarla ogni giorno, ad ogni ora, ad ogni minuto; ...che io ad ogni ora, ad ogni minuto posso udire quella voce che proferì:
Quell'uomo è pazzo: che mi dice che m'ama!... che io posso ad ogni ora, ad ogni minuto vivere la sua vita e suggergliela coi baci delle labbra... Oh, no! Narcisa... per credere a ciò bisogna che noi ritorniamo a Catania, che noi abitiamo quella stessa casa che io guardai con più venerazione della casa di Dio; che io respiri l'aria istessa di quelle camere; che mi metta a quel verone, con te, al posto che occupavi seduta sulla poltrona; e che io ti legga, seduto accanto alle tue ginocchia, come quell'uomo... Bisogna che mi metta con te, di notte, a quell'ora, a quel verone; e che tu ripeta quelle parole infami che io annegherei sulle tue labbra coi miei baci; bisogna che le tue mani ripetano su quel pianoforte le note di quel valtzer che m'inseguirono spietatamente quando fuggivo delirante come se fuggissi il cuore che sanguinava dirotto; bisogna che io mi segga su quel marciapiede, colla fronte fra le mani, come allora;...
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