[Pagina precedente]...'effetto di un capogiro, e accelerando il passo, che avea reso ardito e sicuro, quasi per garentire la mia vita ch'eragli sospesa.
Egli non ha detto:
Che cara pazzia!... Ha detto semplicemente:
Quale pazzia!...
Ho veduto dalla sommità di quelle torri questo mare azzurro che si confonde con il ceruleo dell'orizzonte, che si stende nella sua grande immobilità in lontananza e freme e spumeggia ai miei piedi; ho veduto quelle barche che sembravano giocattoli da quell'altezza, quel litorale sparso di ville e di paesetti, e Catania... Catania ove Pietro mi aveva tanto amato....
Vi fissai un lungo sguardo, non avvertendo le lagrime che bagnavano le mie guance.
«Che guardi?», mi domandò egli, come se mi avesse domandato: Perché piangi?
«Catania!», risposi colla voce ancora tremante.
Egli sentì forse tutto quanto vi era di passione e di rimembranze in quella parola; e lo provò anch'egli fors'anche in quel momento, poiché soggiunse, come cedendo ad una generosa risoluzione:
«Vuoi che ritorniamo a Catania?».
Non risposi e restai cogli occhi umidi e fissi sul golfo in fondo al quale biancheggiavano le cupole che indicavano la città , appoggiandomi al braccio di lui. Sentivo quanto vi era di nobile sacrifizio in quella proposta; ciò ch'escludeva l'amore, ch'era quello che mi bisognava.
«Dov'è Siracusa?», domandai poscia, come non accorgendomene, cedendo ad un intimo impulso.
Pietro mi additò un punto tra mezzogiorno e ponente, dietro il Capo Passero che si vedeva distintamente, ove dovea essere il suo paese natale.
«Perché non mi conduci a Siracusa piuttosto?», gli dissi gettandogli le braccia al collo, singhiozzando e fissando nei suoi i miei occhi brillanti di lagrime. Egli abbassò gli occhi, baciandomi le mani, e rispose, dopo avere esitato un istante:
«Se lo vuoi...».
«No! io non lo voglio... Ciò che io voglio è il tuo amore! il tuo amore sfrenato, ardente, quale lo sentivi per me, quale cerchi ancora come smanioso e non sai più trovare, quale io spero qualche volta illudendomi, e tento tutte le occasioni per travedere in te... e non m'accorgo, pazza, disgraziata ch'io sono, che tu non lo trovi... che tu hai la generosità , la nobiltà di fingerlo meco; ciò di cui senti rimorso;... e che tutto... tutto!... perfino le tue carezze, perfino i tuoi sacrifizii mi dimostrano che tu non senti più per me...»
«Partiamo!», soggiunsi poco dopo strascinandolo pel braccio, soffocando l'emozione che sentivo prorompere nell'eccitazione della corsa, poiché mi sentivo morire.
L'ultimo raggio di sole rischiarava ancora i merli della più alta torre, e nell'abisso che dovevamo traversare era buio profondo; e gli echi ne erano mugghianti; e gli sprazzi di spuma biancheggiavano come giganteschi fantasmi.
Un momento mi sembrò che l'immenso fascino di quello spaventevole abisso attraesse l'abisso doloroso del mio cuore; che quei bianchi fantasmi mi stendessero le braccia come a prepararmi un letto eterno che dovesse accogliermi assieme all'uomo che adoravo tanto più freneticamente quanto più lo vedevo allontanarsi da me... Un momento il mio piede si stese sul precipizio e la mia mano strinse più forte la sua per allacciarlo in un modo che nulla sarebbe valso a rapirmelo mai più...
«No! no!», gridò il mio cuore gemente, «no!... ch'egli viva! ch'egli sia felice!... io non potrò mai essergli grata abbastanza dei giorni che mi ha dato, dei sacrifizii che ha avuto la bontà d'imporsi per me!... Ch'egli sia felice... anche con un'altra!...»
Un'altra!... Ecco quell'idea terribile, sanguinosa, che mi ha attraversato il cuore come un ferro infuocato, e alla quale non avrei forse saputo resistere se ci avessi prima pensato...
Mi avvidi, quasi con gioia, come se fossi stata salvata da un immenso pericolo, che camminavamo sul selciato della strada.
Una o due volte, in quella notte agitata e febbrile passata al davanzale della mia finestra, ho avuto dei momenti di speranza, d'illusione... speranza tale che mi faceva mettere dei gridi di gioia, che mi faceva comprimere le tempie fra le mani, quasi le arterie che battevano di felicità minacciassero di sconvolgermi la ragione... Egli mi avea proposto di accompagnarmi a Catania!... egli aveva avuto forse un istante d'amore per me!... dell'amore di una volta!...
Oh! Dio! Dio!... morire almeno in tal momento!...
Ieri volli uscire con lui; volli fare una passeggiata in barca. Egli prese i remi, ed entrambi, soli, ci cullammo nella piccola barchetta da pescatori su quelle onde azzurre come il cielo.
Quand'egli è solo, pensieroso, vicino a me... provo un momento di dubbio, d'incertezza... Mi pare di sperare, mi pare di averlo mio! tutto mio!... e che nulla abbia potenza di strapparlo all'amplesso frenetico delle mie braccia.
Appena fummo al largo egli lasciò i remi e venne a prendere la mia mano.
Lo guardai come non l'avevo mai guardato: sentivo che non potevo amarlo più di quanto io l'amavo in quel momento; mi pareva impossibile ch'egli dovesse lasciarmi il dopodomani.
Egli baciava le mie mani, e sostava per guardarle in silenzio, come se avesse temuto di alzare gli occhi nei miei, e per tornare a baciarle... Le sentii umide delle sue lagrime.
«Pietro!», esclamai palpitante di una sublime emozione, mentre tutti i pori del mio cuore si dilatavano ad assorbire le inebbrianti emanazioni di una lusinghiera speranza: «ieri ti pregai di condurmi a Siracusa... con te...».
Egli non poté più frenare il pianto, e scosse la testa tristamente.
«Impossibile!», mormorò con un soffio appena intelligibile.
«Impossibile?...», ripetei radunando tutte le forze di cui mi sentivo capace; «e perché, Pietro?!...»
«Oh! grazia! grazia, Narcisa!», singhiozzò egli stringendomi fra le sue braccia, nascondendo la sua testa nel mio petto; «grazia!... io sono molto vile!!...»
Era orribile a vedersi l'angoscia disperata di quel volto energico, l'annichilamento completo di quel carattere di bronzo.
«Sì, io sono vile! io son colpevole! io sono infame!...», seguitò con voce delirante: «oh! grazia, Narcisa!...».
L'amavo tanto che non sentii tutto lo spasimo sublime che quelle parole mi facevano provare: ebbi soltanto pietà di lui.
Lo abbracciai, piangendo anch'io, tremando convulsivamente del suo tremito, mischiando le mie labbra alle sue.
«Dillo! Pietro... dillo!», gridai con disperato sforzo di volontà , «tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima!».
Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca.
Quel silenzio durò cinque minuti.
Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente.
«Ascoltami, Narcisa!», cominciò egli con voce solenne, quasi calma: «io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno caro le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giuro sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità . Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice, che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce, col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente delle tue labbra, sul tepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze, ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenire folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. Io ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi sono rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poiché la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di questo amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà , non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poiché la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna ch'io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità , per esser pazzo di te come lo ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo alle pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo...».
Egli non poté più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione, tenendosi il petto colle mani increspate da una violenza contrazione, inginocchiato ai miei piedi, coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto, coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore.
Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato.
Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva.
«Addio dunque!», gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: «Addio, Pietro!...».
Egli cercò le mie labbra colle sue, fredde, tremanti d'angoscia e di voluttà .
«Addio!...», gli mormorarono ancora le mie labbra palpitanti nelle sue - E svenni fra le sue braccia.
11 Novembre
Posdomani egli deve partire. Ho numerato minuto per minuto queste ultime ore che io ho passato vicino a lui... cercando illudermi spesso per sentirne poi più amaramente tutta la disperazione del disinganno.
No! lo sento... il suo cuore non può più rinascere per me! Egli tenta lusingarsi nelle sue speranze... o piuttosto ha pietà di quello che soffro...
Quand'egli partirà !... Dio! Dio!... Quando non udrò più la sua voce, il rumore dei suoi passi...; quando non lo vedrò più e non l'attenderò più la sera, affacciata alla finestra!...
Oh! no!... no!... è meglio
prima... prima ch'ei parta...
Riprenderò questa lettera all'ultimo istante, per farla poi mettere alla Posta a catania... Domani egli aspetta il suo amico, forse lei stesso, che deve venire a prenderlo... in tal caso sarebbe forse meglio...
L'ora non può essere molto lontana: egli parte dopodomani...
Ho peccato! e Dio mi punisce col mio peccato!
12 Novembre
L'inverno è sopravvenuto troppo improvvisamente per queste contrade... Dio mio! Ho avuto paura di questo mare burrascoso, di questi nuvoloni che fanno nero e triste il cielo, di questo vento che strappa le ultime foglie dagli alberi...
Sì, ho paura di questa natura, pochi giorni fa ancora tanto ridente, e che sembra fuggirmi con la vita...
Ho ...
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