[Pagina precedente]... da me le sere in cui ricevo.»
Il barone s'inchinò allontanandosi per dar retta ad altri invitati.
Narcisa ballò come una silfide e confessò al suo cavaliere di mai essersi divertita come in quella sera.
Verso mezzanotte il barone si avvicinò di nuovo al divano ove sedevano Narcisa e la contessa, accompagnato da un giovane alto e bruno, di cui l'espressione fredda, altiera e quasi severa era appena temperata dal contegno grazioso che gl'imponeva l'atto che andava a compiere.
«Mi permetta, signora contessa R***», disse il barone con il garbo di un uomo di società , «che abbia l'onore di presentarle il signor Pietro Brusio, il giovane autore di cui le feci parola.»
Pietro s'inchinò in silenzio, mentre la dama originale l'esaminava con tutta flemma, attraverso gli occhiali, dal capo alle piante e gli faceva i complimenti d'uso. Anche Narcisa esaminava il nuovo arrivato con una curiosità che andò a finire nella maggior sorpresa.
Ella stentò a riconoscere il giovane incognito che a Catania incontrava ad ogni passo, divorando degli occhi il suo sguardo, e che passava le notti sul marciapiede dirimpetto alla sua casa, in quel giovane che le stava dinanzi con la fronte nobile, quantunque solcata dalle febbrili emozioni della creazione, e dai delirii sublimi del pensiero; coi lineamenti sbattuti dalle fatiche del lavoro, dalle lotte ardenti dell'idea, che aveva sentita immensa, colla forma, che spesso non sentiva abbastanza. Egli avea l'occhio brillante della confidenza che dà la giovinezza e l'avvenire, quando si affaccia ridente; il suo vestito irreprensibile sviluppava la forte e maschia eleganza del corpo; si presentava con tutta la grazia di un abituato alle più aristocratiche riunioni. Ciò che più di ogni cosa servì a farglielo riconoscere, meglio che l'altiero portamento della fronte, ch'egli non avea saputo rendere grazioso in quel momento come il sorriso a cui aveva forzato il suo labbro sdegnoso nel presentarsi alla contessa R***, fu questo.
La contessa gli parlava con la famigliarità che dà la parentela del genio, e gli stringeva la mano. Il cerchio degli ammiratori di lei gli si affollava d'attorno, e lo guardava con occhio invidioso. Tutt'a un tratto ella lo vide diventar pallido come un cadavere, e dirizzarsi sulla persona con un movimento macchinale che non seppe padroneggiare; e ciò fu quando il barone (ch'era rimasto al suo fianco frapponendosi fra di lui e Narcisa) si allontanò. Pietro aveva veduto la contessa di Prato, alla quale il sottotenente dirigeva un complimento ch'ella non ascoltava. Brusio rimase un momento immobile, senza poter parlare, cogli occhi, che si erano fatti di una sorprendente lucidità , fissi in quelli di lei, mentre una leggiera convulsione faceva tremare sul suo labbro superiore i baffi castagni.
La signora R***, che gli parlava in quel momento, fu sorpresa di non avere risposta, e lo guardò con curiosità .
Pietro staccò quasi con isforzo gli occhi da quelli di Narcisa, che lo fissavano col loro sguardo limpido e chiaro, per volgerli all'ufficiale, che anch'esso lo guardava sorpreso, arricciandosi le basette.
Egli fu freddo, distratto, impacciato tutto il tempo che rimase a discorrere colla donna celebre. Quando questa gli parlava dello splendido avvenire che la riuscita della sua produzione l'autorizzava ad aspettarsi, rispose tristamente:
«Forse, signora contessa, giammai in tutta la mia vita potrò compiere un lavoro come quello che scrissi in otto giorni, e al quale il pubblico ha avuto la bontà di fare buon viso».
«È solo modestia che le fa dir ciò?»
«No, signora; forse è presentimento.»
«Bisognerebbe, in tal caso, non ammettere questo dramma come parto del suo ingegno, ma piuttosto...»
«Del cuore?», interruppe il giovane; «sì, signora!».
«Ella ha ragione: in un momento di passione si possono operar miracoli che parrebbero impossibili a tentarsi un minuto dopo. Pel bene del suo avvenire voglio augurarmi che tale non sia il suo
Gilberto.»
«Chi lo sa?»
E lo sguardo del giovane, che s'inchinava per allontanarsi, incontrò quello di Narcisa fisso su di lui con un'espressione che dimostrava più della semplice curiosità .
Si ordinavano le coppie per un valtzer; e l'ufficiale venne a presentare il suo braccio a Narcisa, che vi abbandonò il suo corpo flessibile, splendida di tutta la sua strana bellezza; coi capelli, intrecciati di perle, cadenti sulle spalle bianchissime e vellutate; col bel seno anelante sotto il velo ed il merletto che lo copriva; col suo sorriso indefinibile sulle labbra, e gli occhi che, senza esser brillanti, avevano un'onda di voluttà nei loro raggi.
Ella si avanzò lentamente, mollemente, come immedesimandosi al corpo dell'uomo a cui si accompagnava, con un inimitabile movimento del suo collo da cigno, quasi le perle e i fiori che s'intrecciavano ai suoi capelli, e il volume di questi, fossero troppo pesanti per quella piccola testa; presentendo nello sguardo sorridente e scintillante tutto quel torrente d'impetuose voluttà che il valtzer, questo ballo degli innamorati, dovea darle; come appoggiando tutti i delicati tesori del suo corpo al braccio del suo cavaliere, per trarne quella foga d'esaltazione che la musica, l'eccitamento, il contatto del corpo dell'uomo elegante doveano darle.
Nulla varrà a riprodurre, ad accennare soltanto, l'impressione voluttuosamente affascinante di quel corpo leggiero da silfide, che librava, direi, le ali coll'espressione del suo sguardo, per abbandonarsi a tutto il trasporto di quel ballo.
Le coppie cominciarono a girare; la musica eseguiva
Il Bacio di Arditi.
Dopo il primo giro, quando la contessa si fermò, anelante, come cullandosi al braccio del suo splendido cavaliere, sfiorandogli un'ultima volta il viso coi suoi capelli; colle guance accese, il petto anelante, gli occhi umidi di languore e di piacere, incontrò un altro sguardo, umido ancor esso di una indicibile espressione d'angoscia e quasi di cruccio, che brillava su di una fronte alquanto calva e pallida di una spaventosa pallidezza. Ella fissò un lungo sguardo su quello che si fissava su di lei.
«Vogliamo ricominciare?», le sussurrò all'orecchio l'ufficiale, passandole il braccio attorno alla vita da bajadera.
«È inutile... mi sento stanca... Non ballo più...»
Ella cercò cogli occhi un'altra volta quello sguardo supplichevole e nello stesso tempo minaccioso: era scomparso.
«Oh! questo
Bacio! questo
Bacio!... avrò da sentirlo dappertutto!...», mormorava Pietro delirante scendendo le scale.
«Domani ai Fiorentini si darà un dramma che ha fatto furore; a quanto si dice; avrete la compiacenza di accompagnarmici?», domandò Narcisa al marito.
Questi s'inchinò in silenzio.
L'indomani, infatti, alle 9 e mezzo, la contessa, che non si ricordava di essere entrata in teatro a tal ora, era in un palchetto di seconda fila sul proscenio. Il sipario non era ancora alzato e la sala era affollatissima.
La contessa recava in mano un magnifico mazzo di viole bianche che posò sul parapetto insieme all'occhialetto.
Il dramma fu recitato in mezzo ad una di quelle ovazioni che sembrano strappate agli spettatori quando l'autore ha saputo scuotere tutte le corde dei cuori colla sua mano potente: era una di quelle opere spontanee, tutte di un sol getto, che sono belle perché sono vere, che sono inimitabili perché sono semplici e comuni. Narcisa rivide quel giovanetto che passava le notti sotto i suoi veroni; lo rivide nel protagonista di quel dramma, con tutti i suoi fremiti d'amore e i suoi disinganni disperati, ella sentì che quel dramma parlava di lei, era scritto per lei, in tutte quelle sfumature di rimembranze che l'accennavano ad ogni passo... L'ufficiale, che avea battuto le mani quando l'aristocrazia aveva applaudito, osservò con sorpresa che ella rimaneva indifferente alle sue sollecitudini, tutta assorta in quel
Gilberto che ad ogni parola destava in lei una reminescenza e le svelava quale amore quasi sopra[n]naturale avea saputo destare.
Nel mezzo della scena che l'avea commossa dippiù, ella, coll'ispirazione improvvisa e adorabile della donna leggiera e capricciosa, s'era tolto dal dito un magnifico anello di brillanti e l'avea legato al nastro del mazzetto.
Alla fine del second'atto l'autore, chiamato fragorosamente dal pubblico, venne sulla scena. Egli non ebbe che uno sguardo, in mezzo al turbine di quegli applausi frenetici, in mezzo all'agitazione di quella folla che si levava gridando il suo nome, in mezzo all'inebbriamento di quell'ovazione quasi delirante: uno sguardo che andò a posarsi su di un palchetto di un proscenio al second'ordine.
Egli vi vide la contessa... verso della quale si chinava sorridendo il biondo giovanotto dalla brillante divisa di ufficiale degli Usseri.
Pietro dimenticò quegli applausi, quelle corone che gli cadevano ai piedi, quei fiori che lo coprivano come in un nembo, quelle acclamazioni al suo nome; egli non badò più neanche ad un mazzo di viole bianche che gli era caduto ai piedi dal palchetto di Narcisa e che avea raccolto, per fuggire come un delirante, come un uomo che teme d'impazzire, poiché tutti questi applausi non potevano dargli quello sguardo ch'era venuto a cercare sino a Napoli, che avea voluto comprare a prezzo delle ispirazioni del suo genio, e che avea visto rivolto sul giovane sottotenente.
La folla chiamò invano replicate volte l'autore.
«Che ne dite del dramma?», domandò la contessa all'ufficiale, dopo l'ultimo atto, approfittando del tempo in cui il conte era uscito per fare ordinare la carrozza dal
jo[c]key che aspettava sul corridoio.
«Molto bello, in verità ; e anche assai applaudito.»
«E dell'autore?»
«Che volete che ne dica?... ch'è un autore come tutti gli altri», soggiunse colui con il supremo disprezzo degli uomini di spada.
«Eppure quest'uomo è celebre!», aggiunse la contessa avvolgendosi nella sua
vespertina di
cachemire bianco.
«Sarà anche questo.»
«Sento che amerei quest'uomo come una pazza!», esclamò Narcisa punta dal freddo motteggio del suo vagheggino, colla viva schiettezza del suo carattere mobile ed impetuoso.
«Confessate almeno che questa franchezza è odiosa!...», rispose ridendo il sottotenente, poiché non sapeva se dovesse prendere la cosa sul serio, sebbene l'espressione affatto nuova della contessa gli desse molto a pensare.
«Ha però sempre il merito della franchezza!», replicò con tutta flemma Narcisa: «Quest'uomo io l'amo... poiché la sua celebrità è opera mia!... opera di cui posso andare superba!... Partite per la guerra, signore, a farvi uccidere per me o a ritornare generale d'armata, e allora... ma allora soltanto... forse.... io vi amerò come sento che amo in questo momento quell'uomo!».
«Signora!», esclamò l'ufficiale coi denti stretti, facendosi pallido.
«Non mi accompagnate sino alla mia carrozza?», disse senza scomporsi Narcisa, dandogli la busta dell'occhialetto da recarle, nel momento che suo marito rientrava nel palchetto.
Brusio era ritornato a sua casa agitatissimo, e passò la notte senza dormire.
Ella! Narcisa! avea assistito al suo trionfo, avea palpitato dei suoi sentimenti, gli avea gettato quel mazzetto che avea fatto appassire a furia di baci!... Ma ella non era sola!... quell'uomo, quel soldato, sì giovane, sì bello, sì splendido! che le parlava sì da presso... che le sorrideva in quel modo!... Tutt'a un tratto le sue dita incontrarono l'anello che era legato al mazzo; un dubbio atroce lo fece impallidire: quei fiori, che la donna adorata avea lasciato cadere su di lui, invece di essere l'espressione della simpatia, non dimostravano piuttosto uno di quei volgari applausi, uno di quegli splendidi regali con cui si paga l'abilità di un istrione?... Quest'idea lo martellò a lungo; e l'indomani, ancora sotto questa impressione, scrisse il seguente biglietto a Narcisa - sarcasmo pungente ed amaro velato dalla forma più delicata:
Signora contessa,
Ieri ebbi la fortuna di raccogliere un mazzo che le cadde dal palchetto sulla scena. Se, unita ai fiori che lo compongono, non vi avessi trovato...
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