[Pagina precedente]...rillante e vaporoso in cui la farfalla mi fa dimenticare il bruco.»
«Via, via... vedo bene che scherza...»
«Dica dunque...»
«Ella si alza alle dieci o alle dieci e mezzo; prende un bagno di cui i profumi costano ciascun giorno otto o nove lire; e poi si mette allo specchio, ove impiega da un'ora e mezzo a due ore per l'abbigliamento della mattina, da due a tre per quello della sera, e da tre a tre e mezzo e spesso sino a quattro per la toletta da ballo o da teatro... È sorprendente... miracoloso, come una donna possa star tanto ad appuntarsi gli spilli!...»
«Ammirabile!... Avanti.»
«Dopo la toletta viene la colazione: ella ha l'affettazione di mangiare pochissimo, ma i suoi cibi costano un occhio del capo, in compenso; indi si mette al pianoforte, o al verone, sdraiata su di una poltroncina, e vi resta, spesso dormendo, sino all'ora di pranzo. Suo marito...»
«Un uomo di quasi 38 anni, alto e biondo?»
«Sì, il conte di Prato; lo conosce?»
«Me l'immagino.»
«Suo marito l'ama alla follia; passa i giorni al suo fianco, scherzando coi suoi capelli, e guardandola coll'occhialetto faccia a faccia.»
«Ed ella?...»
«Ella gli sorride... e chiude gli occhi come se temesse di fargli perdere la testa seguitando a guardarlo com'ella fa.»
«In fede mia!... credo che n'abbia ben ragione!...»
«Questi dettagli li ho risaputi da una mia amica che abita dirimpetto alla casa della contessa...»
«
En place pour la quadrille!», fu gridato.
Pietro si alzò e prese il cappello.
«Se ne va, così presto!»
«Sì; devo andare a finire le tesi...»
«O a passare una mezz'ora sotto le finestre della bella?...»
«Sarebbe agire da stolido, almeno, dopo quanto ella mi ha detto.»
Ed il giovane sorrise del suo sorriso che si sforzava di rendere allegro mentre era amaro.
Per andare a casa sua prese la strada che a lui parve la più corta, passando cioè dal
Rinazzo.
Nella casa della contessa non c'era lume. Pietro si fermò a guardare in silenzio quei veroni oscuri, poscia chinò la testa sul petto con un sospiro, mormorando: «Stassera al teatro si dà un dramma molto in voga... È al teatro certamente... ella...».
Indi, come vergognandosi di questo monologo, scrollò le spalle con dispetto ed affrettò il passo.
«Andiamo a teatro stassera?», disse a Raimondo l'indomani appena furono assieme.
«Andiamoci, se così ti piace. E le tesi?»
«Dormiranno anche stassera. Avrò sempre il tempo di finirle.»
Alla piazza della Cattedrale incontrarono un amico che si fermò a discorrere con loro.
«Andrete a teatro stassera?», domandò egli.
«Perché questa domanda?»
«Perché si darà una bellissima commedia nuova e ci verrà tutta Catania.»
«Ci sarò allora... poiché in tal caso verrà anche la mia bella»; disse Pietro scherzando.
«Ah!... Ah!... la tua bella di numero... Non so più a qual numero sii... buona lana!»
«Sul serio; sono innamorato come uno stolido.»
«E di chi?»
«Di una signora ch'è una maga... involta fra i merletti e i velluti..., della quale so il nome da ieri soltanto.»
«La contessa di Prato?»
«La conosci?»
«Per bacco! Al ritratto che ne fai... non c'è altra qui che possa appropriarselo.»
«È veritiero però questo ritratto?»
«Perdio!... E tu l'ami, costei?!...»
«Non so quello che farei per una parola di quella donna...»
«Non ci sarebbe bisogno di far tante cose; basterebbe farti amico con suo marito... ed anche col suo amante; ed uno di questi due ti presenterebbe... il resto verrebbe da sé.»
«Amante!», esclamò Pietro impallidendo suo malgrado mentre cercava di sorridere; «ah! c'è dunque un amante?».
«Pel momento però... bada!... A Napoli sembra che sieno stati più d'uno; ciò che diede luogo a molti scandali, che finirono con un duello in cui il marito ruppe, con una sciabola, il braccio ad uno dei più indiscreti.»
«E ciò non è bastato?»
«Ella fa quello che vuole di quest'uomo che comanda col gesto del suo dito mignolo; e che ha il coraggio di andare a battersi in duello mentre non osa fare la minima rimostranza alla moglie. È la storia di molti mariti.»
«E quel giovane bruno, dalla barba nera, che l'accompagna spesso?...»
«È l'amante di cui ti parlavo.»
«Che peccato!», esclamò Pietro fatto pensieroso.
«Fatti presentare», insisté Antonino.
«Io!...», esclamò, con un accento indefinibile di stupore, Pietro.
«Sì; tu sarai il secondo dei suoi adoratori presenti, senza calcolare gli assenti... Perdio! perché ti fai triste?... ne saresti innamorato sul serio?...»
«Sei tanto ingenuo da crederlo?»
«Fatti presentare allora.»
«Sarebbe inutile.»
«Chi lo sa!»
«La mia condizione mi proibisce di averla a prezzo di una viltà , e non ho danari bastanti per mettermi nel numero di questi signori che le fanno la corte... Del resto sento che non son fatto sul loro stampo... poiché non saprei amarla in comune, com'essi fanno...»
«Dimenticala dunque.»
«Non ci ho mai pensato che come uno scherzo.»
«A rivederci stassera.»
«Addio.»
Alle nove e mezzo i due inseparabili amici erano alla porta del teatro, in mezzo alla folla dei giovanotti che fumando stavano ad osservare le signore che scendevano dalle carrozze.
La recita era cominciata da cinque minuti. I giovanotti erano entrati a prender posto. Raimondo strepitava, tentando di trascinare l'amico, poiché protestava di non voler perdere la prima scena. L'ultima carrozza avea deposto l'ultima signora sul marciapiede, e Brusio non si muoveva ancora.
Raimondo finalmente perdé la pazienza e lo lasciò solo per entrare in platea.
Poco dopo le dieci si udì il rumore di una carrozza che si avvicinava; ed il solo orecchio di Pietro poté distinguere che il passo dei cavalli non avea l'uniforme regolarità di quello dei cavalli signorili.
«Una carrozza da nolo... è la sua!», mormorò egli appoggiandosi alla porta.
La carrozza si fermò infatti alla prima porta, ov'egli si trovava, ed un uomo, nel quale Pietro riconobbe il conte, saltò il primo a terra, per dare la mano alla signora che accompagnava.
Brusio istintivamente fece un passo in avanti.
La contessa appoggiò appena alla mano del signor di Prato la sua mano da ragazzina coperta dal guanto bianco; mise lentamente il piede, che sembrava appena accennato nel suo stivalettino di raso, sul predellino, e saltò sul marciapiede. Con una perfezione di grazia assai distinta, ella tirò con sé il lungo strascico della sua veste di seta
granadine, per impedire che, rialzandosi nello scendere, scoprisse più del basso della sua gamba sottile e ben modellata. Soltanto, non potendo, nel tempo istesso, raccorre il
bóurnous che le copriva le spalle, questo, nel momento in cui curvava fuori dello sportello la sua testolina ornata di fiori, le scivolò per le spalle e per gli omeri nudi di un'abbagliante bianchezza.
Quell'uomo che, solo e fermo sull'ingresso, dimostrava chiaramente di attendere qualcheduno, mentre tutti erano dentro il teatro, le recò forse sopresa, poiché, passando dinanzi a lui, mentre raccoglieva le pieghe della sua veste perché non lo sfiorassero, ella alzò un momento gli occhi su di lui.
Indi, come infastidita da quello sguardo scintillante che s'incrociava col suo e che sembrava assorbirne tutto il fluido, ella si volse un istante verso il conte, che dava alcuni ordini al cocchiere, prima di salire le scale del corridoio.
Vi fu un momento, quando un lembo del leggerissimo tessuto di quella veste strisciò sui suoi abiti, che le gambe di Pietro tremarono.
Pochi minuti dopo egli si diresse lentamente verso la platea. Entrando, il riflesso dei cristalli di un occhialetto fisso sulla porta colpì i suoi sguardi. Alzò gli occhi su quel palchetto della prima fila da dove partiva quel raggio, e vide la contessa che abbassava lentamente l'occhialetto, appoggiandolo, col braccio disteso, sul velluto del parapetto, mentre lo fissava ancora ad occhio nudo, quasi con curiosità : aveva voluto conoscere certamente, per una bizzarrìa da donna elegante, quest'uomo che aspettava sull'ingresso, tre quarti d'ora dopo alzata la tela.
Pietro cercò il suo posto e sedette quasi dirimpetto alla loggia della contessa.
La commedia fu applauditissima; ma Pietro non applaudì giammai, poiché soltanto alcuni squarci attrassero la sua attenzione; e in quegli squarci, quando il suo cuore provava potentemente quello che aveva sentito l'autore, egli rivolgevasi, senza accorgersene anche, verso il palchetto di Narcisa, e cercava negli occhi di lei l'eco di quello che egli provava nel suo cuore.
La contessa voltava le spalle alla scena; e solo di tratto in tratto, in quei momenti che avevano il potere di strappare Pietro alle sue frequenti preoccupazioni, ella volgeva i suoi limpidi occhi verso gli attori. Del resto ella discorreva qualche volta con i numerosi visitatori che occupavano successivamente le seggiole del suo palchetto; e pochissime volte si servì dell'occhialetto per esaminare le tolette delle signore. Giammai però l'abbassò verso la platea.
Nel suo sguardo, nel suo gesto, nella sua attitudine, fin nel modo in cui parlava e sorrideva qualche volta con quei signori che le tenevano compagnia, c'era un'indefinibile espressione di stanchezza e di noia, che si traduceva in sfumature molli, in pose voluttuosamente accidiose.
L'occhialetto di Pietro stava quasi sempre fissato su quella loggia. Due o tre volte, ella, sorpresa di quella molesta assiduità , volse gli occhi verso quel binocolo che aveva l'indiscretezza di guardarla sì a lungo dalla platea. Una volta infine alzò lentamente il suo, e bruscamente, senza quelle transazioni che sono assai comuni in teatro per mascherare il vero scopo, ella lo fissò di contro a quello del giovane che si abbassò subito.
Ella rimase alcuni secondi in quella positura; indi lasciò quasi cadere sul parapetto il binocolo, e fece un leggiero movimento di spalle d'impazienza.
Prima che terminasse la recita Brusio lasciò il suo posto e si recò sul corridoio.
Il suo occhio era acceso e brillante; le sue gote, abitualmente pallide, si coloravano di un rossigno febbrile.
Pochi minuti dopo, prima ancora che il sipario fosse abbassato, udì aprire la porta di un palchetto sul corridoio, e dei passi che si avvicinavano, mischiandosi al fruscio di una veste.
La contessa gli passò dinanzi, questa volta allegra e ridente, al braccio di uno di coloro ch'erano stati nel suo palchetto.
Pietro in quel momento avrebbe dato dieci anni della sua vita per uno sguardo di quella donna. Le sue vesti lo toccarono senza che ella mostrasse di avvedersi di lui. Solo il conte si volse a fissarlo con occhio assai cupo e sospettoso.
Il giovane scese le scale quasi insieme a lei; la vide montare in carrozza col conte, dopo aver dato la mano agli altri, e partire.
Egli rimase immobile sul limitare.
«Non vai a casa?», gli disse alle spalle la voce di Raimondo.
«Sì... ti aspettavo per dirti addio...»
«A domani, non è vero?»
«Non lo so... Avrò forse da studiare tutto il giorno...»
E s'incamminò lentamente per la
Marina.
A due ore del mattino Raimondo si disponeva tranquillamente ad andare a letto, quando fu bussato con furia alla sua porta.
«Chi può esser a quest'ora?», disse fra sé il giovane sorpreso andando ad aprire.
«Son io, Raimondo... son io! Aprite, di grazia!», udì la voce della signora Brusio, quasi delirante dietro la porta.
«Che c'è, signora?... Dio mio!... ella mi spaventa!», esclamò il giovane introducendo la madre del suo amico nella sua camera.
«Pietro!... Dov'è Pietro? Dov'è mio figlio, signor Angiolini?», disse la povera madre colle lagrime agli occhi.
«Pietro non è in casa?», domandò Raimondo vieppiù sorpreso.
«Son due ore del mattino e mio figlio non si è ancora ritirato... Ho mandato il domestico a cercarlo al teatro, e ritornò dicendo che il teatro era chiuso da un pezzo, ma che sulla porta era avvenuta una rissa fra alcuni giovanotti; che vi erano stati dei feriti e degli arrestati... Mio Dio!... gli sarà accaduta qualche disgrazia!... Dove lo lasciaste voi?...»
«Ci separammo all'ingresso del teatro, e mi disse che andava subito a casa... Ma io non so nulla di risse...»
«Dio!... Dio mio!...», singhiozzò la madre torcendosi le braccia, «come farò,...
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