CONVIVIO, di Dante Alighieri - pagina 1
CONVIVIO
1.
2.
3.
Da la parte de l'anima è quando la malizia vince in essa, sì che si fa seguitatrice di viziose delettazioni, ne le quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile.
4.
L'altra è lo difetto del luogo dove la persona è nata e nutrita, che tal ora sarà da ogni Studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano.
5.
Le due di queste cagioni, cioè la prima da la parte [di dentro e la prima da la parte] di fuori, non sono da vituperare, ma da escusare e di perdono degne; le due altre, avvegna che l'una più, sono degne di biasimo e d'abominazione.
6.
7.
Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! 8.
9.
E acciò che misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri, e sono quasi fonte vivo, de la cui acqua si refrigera la naturale sete che di sopra è nominata.
10.
11.
12.
E questo [è quello] convivio, di quello pane degno, con tale vivanda qual io intendo indarno [non] essere ministrata.
E però ad esso non s'assetti alcuno male de' suoi organi disposto, però che nè denti nè lingua ha nè palato; nè alcuno settatore di vizii, perchè lo stomaco suo è pieno d'omori venenosi contrarii, sì che mai vivanda non terrebbe.
13.
14.
La vivanda di questo convivio sarà di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici canzoni sì d'amor come di vertù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d'alcuna oscuritade ombra, sì che a molti loro bellezza più che loro bontade era in grado.
15.
Ma questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente.
16.
17.
E io in quella dinanzi, a l'entrata de la mia gioventute parlai, e in questa dipoi, quella già trapassata.
18.
19.
CAPITOLO II.
1.
Nel cominciamento di ciascuno bene ordinato convivio sogliono li sergenti prendere lo pane apposito, e quello purgare da ogni macula.
Per che io, che ne la presente scrittura tengo luogo di quelli, da due macule mondare intendo primieramente questa esposizione, che per pane si conta nel mio corredo.
2.
L'una, è che parlare alcuno di se medesimo pare non licito; l'altra è, che parlare in esponendo troppo a fondo pare non ragionevole: e lo illicito e 'l non ragionevole lo coltello del mio giudicio purga in questa forma.
3.
Non si concede per li retorici alcuno di se medesimo sanza necessaria cagione parlare, e da ciò è l'uomo rimosso, perchè parlare d'alcuno non si può che il parladore non lodi o non biasimi quelli di cui elli parla; le quali due cagioni rusticamente stanno, a far [dire] di sè, ne la bocca di ciascuno.
4.
La ragione è che qualunque cosa è per sè da biasimare, è più laida che quella che è per accidente.
5.
Dispregiar se medesimo è per sè biasimevole, però che a l'amico dee l'uomo lo suo difetto contare strettamente, e nullo è più amico che l'uomo a sè; onde ne la camera de' suoi pensieri se medesimo riprender dee e piangere li suoi difetti, e non palese.
6.
7.
Lodare sè è da fuggire sì come male per accidente, in quanto lodare non si può, che quella loda non sia maggiormente vituperio.
È loda ne la punta de le parole, è vituperio chi cerca loro nel ventre: chè le parole sono fatte per mostrare quello che non si sa, onde chi loda sè mostra che non creda essere buono tenuto; che non li incontra sanza maliziata conscienza, la quale, sè lodando, discuopre e, discoprendo, si biasima.
8.
E ancora la propria loda e lo proprio biasimo è da fuggire per una ragione igualmente, sì come falsa testimonianza fare; però che non è uomo che sia di sè vero e giusto misuratore, tanto la propria caritate ne 'nganna.
9.
10.
Per che, parlando di sè con loda o col contrario, o dice falso per rispetto a la cosa di che parla; o dice falso per rispetto a la sua sentenza, c'ha l'una e l'altra falsitate.
11.
12.
Veramente, al principale intendimento tornando, dico, come è toccato di sopra, per necessarie cagioni lo parlare di sè è conceduto: e intra l'altre necessarie cagioni due sono più manifeste.
13.
L'una è quando sanza ragionare di sè grande infamia o pericolo non si può cessare; e allora si concede, per la ragione che de li due sentieri prendere lo men reo è quasi prendere un buono.
E questa necessitate mosse Boezio di se medesimo a parlare, acciò che sotto pretesto di consolazione escusasse la perpetuale infamia del suo essilio, mostrando quello essere ingiusto, poi che altro escusatore non si levava.
14.
L'altra è quando, per ragionare di sè, grandissima utilitade ne segue altrui per via di dottrina; e questa ragione mosse Agustino ne le sue Confessioni a parlare di sè, chè per lo processo de la sua vita, lo quale fu di [non] buono in buono, e di buono in migliore, e di migliore in ottimo, ne diede essemplo e dottrina, la quale per sì vero testimonio ricevere non si potea.
15.
Per che se l'una e l'altra di queste ragioni mi scusa, sufficientemente lo pane del mio formento è purgato de la prima sua macula.
Movemi timore d'infamia, e movemi desiderio di dottrina dare la quale altri veramente dare non può.
16.
Temo la infamia di tanta passione avere seguita, quanta concepe chi legge le sopra nominate canzoni in me avere segnoreggiata; la quale infamia si cessa, per lo presente di me parlare, interamente, lo quale mostra che non passione ma vertù sia stata la movente cagione.
17.
Intendo anche mostrare la vera sentenza di quelle, che per alcuno vedere non si può s'io non la conto, perchè è nascosa sotto figura d'allegoria: e questo non solamente darà diletto buono a udire, ma sottile ammaestramento e a così parlare e a così intendere l'altrui scritture.
CAPITOLO III.
1.
Degna di molta riprensione è quella cosa che, ordinata a torre alcuno difetto, per se medesima quello induce; sì come quelli che fosse mandato a partire una rissa e, prima che partisse quella, ne iniziasse un'altra.
2.
E però che lo mio pane è purgato da una parte, convienlomi purgare da l'altra, per fuggire questa riprensione, che lo mio scritto, che quasi comento dir si può, è ordinato a levar lo difetto de le canzoni sopra dette, ed esso per sè fia forse in parte alcuna un poco duro.
La qual durezza, per fuggir maggiore difetto, non per ignoranza, è qui pensata.
3.
4.
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