[Pagina precedente]...nel divino pensiero, ch'è esso intelletto, essa era quando lo mondo fece; onde seguita che ella lo facesse. 16. E però disse Salomone in quello de' Proverbi in persona de la Sapienza: «Quando Iddio apparecchiava li cieli, io era presente; quando con certa legge e con certo giro vallava li abissi, quando suso fermava [l'etera] e suspendeva le fonti de l'acque, quando circuiva lo suo termine al mare e poneva legge a l'acque che non passassero li suoi confini, quando elli appendeva li fondamenti de la terra, con lui e io era, disponente tutte le cose, e dilettavami per ciascuno die».
17. O peggio che morti che l'amistà di costei fuggite, aprite li occhi vostri e mirate: che, innanzi che voi foste, ella fu amatrice di voi, acconciando e ordinando lo vostro processo; e, poi che fatti foste, per voi dirizzare, in vostra similitudine venne a voi. 18. E se tutti al suo conspetto venire non potete, onorate lei ne' suoi amici e seguite li comandamenti loro, sì come [quelli] che nunziano la volontà di questa etternale imperadrice - non chiudete li orecchi a Salomone che ciò vi dice, dicendo che la 'via de' giusti è quasi luce splendiente, che procede e cresce infino al die de la beatitudine' -; andando loro dietro, mirando le loro operazioni, che essere debbono a voi luce nel cammino di questa brevissima vita.
19. E qui si può terminare la vera sentenza de la presente canzone. Veramente l'ultimo verso, che per tornata è posto, per la litterale esposizione assai leggermente qua si può ridurre, salvo in tanto quanto dice che io [s]ì chiamai questa donna fera e disdegnosa. Dove è da sapere che dal principio essa filosofia pareva a me, quanto da la parte del suo corpo, cioè sapienza, fiera, chè non mi ridea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea; e disdegnosa, chè non mi volgea l'occhio, cioè ch'io non potea vedere le sue dimostrazioni: e di tutto questo lo difetto era dal mio lato. 20. E per questo, e per quello che ne la sentenza litterale è dato, è manifesta l'allegoria de la tornata; sì che tempo è, per più oltre procedere, di porre fine a questo trattato.
TRATTATO QUARTO.
CANZONE TERZA.
Le dolci rime d'amor ch'i' solia
cercar ne' miei pensieri,
convien ch'io lasci; non perch'io non speri
ad esse ritornare,
5 ma perchè li atti disdegnosi e feri
che ne la donna mia
sono appariti m'han chiusa la via
de l'usato parlare.
E poi che tempo mi par d'aspettare,
10 diporrò giù lo mio soave stile,
ch'i' ho tenuto nel trattar d'amore;
e dirò del valore,
per lo qual veramente omo è gentile,
con rima aspr'e sottile;
15 riprovando 'l giudicio falso e vile
di quei che voglion che di gentilezza
sia principio ricchezza.
E, cominciando, chiamo quel signore
ch'a la mia donna ne li occhi dimora,
20 per ch'ella di se stessa s'innamora.
Tale imperò che gentilezza volse,
secondo 'l suo parere,
che fosse antica possession d'avere
con reggimenti belli;
25 e altri fu di più lieve savere,
che tal detto rivolse,
e l'ultima particula ne tolse,
chè non l'avea fors'elli!
Di retro da costui van tutti quelli
30 che fan gentile per ischiatta altrui
che lungiamente in gran ricchezza è stata;
ed è tanto durata
la così falsa oppinion tra nui,
che l'uom chiama colui
35 omo gentil che può dicere: 'Io fui
nepote, o figlio, di cotal valente',
benchè sia da niente.
Ma vilissimo sembra, a chi 'l ver guata,
cui è scorto 'l cammino e poscia l'erra,
40 e tocca a tal, ch'è morto e va per terra!
Chi diffinisce: 'Omo è legno animato',
prima dice non vero,
e, dopo 'l falso, parla non intero;
ma più forse non vede.
45 Similemente fu chi tenne impero
in diffinire errato,
chè prima puose 'l falso e, d'altro lato,
con difetto procede;
chè le divizie, sì come si crede,
50 non posson gentilezza dar nè torre,
però che vili son da lor natura:
poi chi pinge figura,
se non può esser lei, non la può porre,
nè la diritta torre
55 fa piegar rivo che da lungi corre.
Che siano vili appare ed imperfette,
chè, quantunque collette,
non posson quietar, ma dan più cura;
onde l'animo ch'è dritto e verace
60 per lor discorrimento non si sface.
Nè voglion che vil uom gentil divegna,
nè di vil padre scenda
nazion che per gentil già mai s'intenda;
questo è da lor confesso:
65 onde lor ragion par che sè offenda
in tanto quanto assegna
che tempo a gentilezza si convegna,
diffinendo con esso.
Ancor, segue di ciò che innanzi ho messo,
70 che siam tutti gentili o ver villani,
o che non fosse ad uom cominciamento;
ma ciò io non consento,
ned ellino altressì, se son cristiani!
Per che a 'ntelletti sani
75 è manifesto i lor diri esser vani,
ed io così per falsi li riprovo,
e da lor mi rimovo;
e dicer voglio omai, sì com'io sento,
che cosa è gentilezza, e da che vene,
80 e dirò i segni che 'l gentile uom tene.
Dico ch'ogni vertù principalmente
vien da una radice:
vertute, dico, che fa l'uom felice
in sua operazione.
85 Questo è, secondo che l'Etica dice,
un abito eligente
lo qual dimora in mezzo solamente,
e tai parole pone.
Dico che nobiltate in sua ragione
90 importa sempre ben del suo subietto,
come viltate importa sempre male;
e vertute cotale
dà sempre altrui di sè buono intelletto;
per che in medesmo detto
95 convegnono ambedue, ch'en d'uno effetto.
Onde convien da l'altra vegna l'una,
o d'un terzo ciascuna;
ma se l'una val ciò che l'altra vale,
e ancor più, da lei verrà più tosto.
100 E ciò ch'io dett'ho qui sia per supposto.
È gentilezza dovunqu'è vertute,
ma non vertute ov'ella;
sì com'è 'l cielo dovunqu'è la stella,
ma ciò non e converso.
105 E noi in donna e in età novella
vedem questa salute,
in quanto vergognose son tenute,
ch'è da vertù diverso.
Dunque verrà , come dal nero il perso,
110 ciascheduna vertute da costei,
o vero il gener lor, ch'io misi avanti.
Però nessun si vanti
dicendo: 'Per ischiatta io son con lei',
ch'elli son quasi dei
115 quei c'han tal grazia fuor di tutti rei;
chè solo Iddio a l'anima la dona
che vede in sua persona
perfettamente star: sì ch'ad alquanti
che seme di felicità sia costa,
120 messo da Dio ne l'anima ben posta.
L'anima cui adorna esta bontate
non la si tiene ascosa,
chè dal principio ch'al corpo si sposa
la mostra infin la morte.
125 Ubidente, soave e vergognosa
è ne la prima etate,
e sua persona adorna di bieltate
con le sue parti accorte;
in giovinezza, temperata e forte,
130 piena d'amore e di cortese lode,
e solo in lealtà far si diletta;
è ne la sua senetta
prudente e giusta, e larghezza se n'ode,
e 'n se medesma gode
135 d'udire e ragionar de l'altrui prode;
poi ne la quarta parte de la vita
a Dio si rimarita,
contemplando la fine che l'aspetta,
e benedice li tempi passati.
140 Vedete omai quanti son l'ingannati!
Contra-li-erranti mia, tu te n'andrai;
e quando tu sarai
in parte dove sia la donna nostra,
non le tenere il tuo mestier coverto
145 tu le puoi dir per certo:
«Io vo parlando de l'amica vostra».
CAPITOLO I.
1. Amore, secondo la concordevole sentenza de li savi di lui ragionanti, e secondo quello che per esperienza continuamente vedemo, è che congiunge e unisce l'amante con la persona amata; onde Pittagora dice: «Ne l'amistà si fa uno di più». 2. E però che le cose congiunte comunicano naturalmente intra sè le loro qualitadi, in tanto che talvolta è che l'una torna del tutto ne la natura de l'altra, incontra che le passioni de la persona amata entrano ne la persona amante, sì che l'amore de l'una si comunica ne l'altra, e così l'odio e lo desiderio e ogni altra passione. Per che li amici de l'uno sono da l'altro amati, e li nemici odiati; per che in greco proverbio è detto: «De li amici essere deono tutte le cose comuni». 3. Onde io, fatto amico di questa donna, di sopra ne la verace esposizione nominata, cominciai ad amare e odiare secondo l'amore e l'odio suo. Cominciai adunque ad amare li seguitatori de la veritade e odiare li seguitatori de lo errore e de la falsitade, com'ella face. 4. Ma però che ciascuna cosa per sè è da amare, e nulla è da odiare se non per sopravenimento di malizia, ragionevole e onesto è, non le cose, ma le malizie de le cose odiare e procurare da esse di partire. E a ciò s'alcuna persona intende, la mia eccellentissima donna intende massimamente: a partire, dico, la malizia de le cose, la qual cagione è d'odio; però che in lei è tutta ragione e in lei è fontalemente l'onestade. 5. Io, lei seguitando ne l'opera sì come ne la passione quanto potea, li errori de la gente abominava e dispregiava, non per infamia o vituperio de li erranti, ma de li errori; li quali biasimando credea far dispiacere, e, dispiaciuti, partire da coloro che per essi eran da me odiati. 6. Intra li quali errori uno io massimamente riprendea, lo quale non solamente è dannoso e pericoloso a coloro che in esso stanno, ma eziandio a li altri, che lui riprendano, porta dolore e danno. 7. Questo è l'errore de l'umana bontade in quanto in noi è da la natura seminata e che 'nobilitade' chiamare si dee; che per mala consuetudine e per poco intelletto era tanto fortificato, che [l']oppinione, quasi di tutti, n'era falsificata; e de la falsa oppinione nascevano li falsi giudicii, e de' falsi giudicii nascevano le non giuste reverenze e vilipensioni; per che li buoni erano in villano dispetto tenuti, e li malvagi onorati ed essaltati. La qual cosa era pessima confusione del mondo; sì come veder puote chi mira quello che di ciò può seguitare, sottilmente. 8. Per che, con ciò fosse cosa che questa mia donna un poco li suoi dolci sembianti transmutasse a me, massimamente in quelle parti dove io mirava e cercava se la prima materia de li elementi era da Dio intesa, - per la qual cosa un poco dal frequentare lo suo aspetto mi sostenni -, quasi ne la sua assenzia dimorando, entrai a riguardare col pensiero lo difetto umano intorno al detto errore. 9. E per fuggire oziositade, che massimamente di questa donna è nemica, e per istinguere questo errore, che tanti amici le toglie, proposi di gridare a la gente che per mal cammino andavano, acciò che per diritto calle si dirizzassero; e cominciai una canzone nel cui principio dissi: Le dolci rime d'amor ch'i' solia. Ne la quale io intendo riducer la gente in diritta via sopra la propia conoscenza de la verace nobilitade; sì come per la conoscenza del suo testo, a la esposizione del quale ora s'intende, vedere si potrà . 10. E però che in questa canzone s'intese a rimedio così necessario, non era buono sotto alcuna figura parlare, ma conveniesi per via tostana questa medicina, acciò che fosse tostana la sanitade; la quale corrotta, a così laida morte si correa.
11. Non sarà dunque mestiere ne la esposizione di costei alcuna allegoria aprire, ma solamente la sentenza secondo la lettera ragionare. Per mia donna intendo sempre quella che ne la precedente ragione è ragionata, cioè quella luce virtuosissima, Filosofia, li cui raggi fanno ne li fiori rifronzire e fruttificare la verace de li uomini nobilitade, de la quale trattare la proposta canzone pienamente intende.
CAPITOLO II.
1. Nel principio de la impresa esposizione, per meglio dare a intendere la sentenza de la proposta canzone, conviensi quella partire prima in due parti, che ne la prima parte pr[oemi]almente si parla, ne la seconda si seguita lo trattato; e comincia la seconda parte nel cominciamento del secondo verso, dove dice: Tale imperò che gentilezza volse. 2. La prima parte ancora in tre membra si può comprendere: nel primo si dice perchè da lo parlare usato mi parto; nel secondo dico quello che è di mia intenzione a trattare; nel terzo domando aiutorio a quella cosa che più aiutare mi può, cioè a la veritade. Lo secondo membro comincia: E poi che tempo mi par d'aspettare. Lo terzo comincia: E, cominciando, chiamo quel signore.
3. Dico adunque che 'a me conviene lasciare le dolci rime d'amore le quali solieno cercare li miei pensieri'; e la cagione assegno, perchè dico che ciò non è per intendimento di più non rimare d'amore, ma però che ne la donna mia nuovi sembianti sono appariti li quali m'hanno tolto materia di dire al presente d'amore. 4. Ov'è da sapere che non si dice qui li atti di quest...
[Pagina successiva]