[Pagina precedente]...r lo modo quasi che la natura del sole è participata ne l'altre stelle. 6. E quanto la forma è più nobile, tanto più di questa natura tiene; onde l'anima umana, che è forma nobilissima di queste che sotto lo cielo sono generate, più riceve de la natura divina che alcun'altra. 7. E però che naturalissimo è in Dio volere essere - però che, sì come ne lo allegato libro si legge, «prima cosa è l'essere, e anzi a quello nulla è» -, l'anima umana essere vuole naturalmente con tutto desiderio; e però che 'l suo essere dipende da Dio e per quello si conserva, naturalmente disia e vuole essere a Dio unita per lo suo essere fortificare. 8. E però che ne le bontadi de la natura [e] de la ragione si mostra la divina, viene che naturalmente l'anima umana con quelle per via spirituale si unisce, tanto più tosto e più forte quanto quelle più appaiono perfette: lo quale apparimento è fatto secondo che la conoscenza de l'anima è chiara o impedita. 9. E questo unire è quello che noi dicemo amore, per lo quale si può conoscere quale è dentro l'anima, veggendo di fuori quelli che ama. Questo amore, cioè l'unimento de la mia anima con questa gentil donna, ne la quale de la divina luce assai mi si mostrava, è quello ragionatore del quale io dico; poi che da lui continui pensieri nasceano, miranti e esaminanti lo valore di questa donna che spiritualmente fatta era con la mia anima una cosa.
10. Lo loco nel quale dico esso ragionare sì è la mente; ma per dire che sia la mente, non si prende di ciò più intendimento che di prima, e però è da vedere che questa mente propriamente significa. 11. Dico adunque che lo Filosofo nel secondo de l'Anima, partendo le potenze di quella, dice che l'anima principalmente hae tre potenze, cioè vivere, sentire e ragionare: e dice anche muovere; ma questa si può col sentire fare una, però che ogni anima che sente, o con tutti i sensi o con alcuno solo, si muove; sì che muovere è una potenza congiunta col sentire. 12. E secondo che esso dice, è manifestissimo che queste potenze sono intra sè per modo che l'una è fondamento de l'altra; e quella che è fondamento puote per sè essere partita, ma l'altra, che si fonda sopra essa, non può da quella essere partita. Onde la potenza vegetativa, per la quale si vive, è fondamento sopra 'l quale si sente, cioè vede, ode, gusta, odora e tocca; e questa vegetativa potenza per sè puote essere anima, sì come vedemo ne le piante tutte. 13. La sensitiva sanza quella essere non puote, e non si truova in alcuna cosa che non viva; e questa sensitiva potenza è fondamento de la intellettiva, cioè de la ragione: e però ne le cose animate mortali la ragionativa potenza sanza la sensitiva non si truova, ma la sensitiva si truova sanza questa, sì come ne le bestie, ne li uccelli, ne' pesci e in ogni animale bruto vedemo. 14. E quella anima che tutte queste potenze comprende, [e] è perfettissima di tutte l'altre, è l'anima umana, la quale con la nobilitade de la potenza ultima, cioè ragione, participa de la divina natura a guisa di sempiterna intelligenzia; però che l'anima è tanto in quella sovrana potenza nobilitata e dinudata da materia, che la divina luce, come in angelo, raggia in quella: e però è l'uomo divino animale da li filosofi chiamato. 15. In questa nobilissima parte de l'anima sono più vertudi, sì come dice lo Filosofo massimamente nel sesto de l'[Etica]; dove dice che in essa è una vertù che si chiama scientifica, e una che si chiama ragionativa, o vero consigliativa: e con quest[e] sono certe vertudi - sì come in quello medesimo luogo Aristotile dice - sì come la vertù inventiva e giudicativa. 16. E tutte queste nobilissime vertudi, e l'altre che sono in quella eccellentissima potenza, sì chiama insieme con questo vocabulo del quale si volea sapere che fosse, cioè mente. Per che è manifesto che per mente s'intende questa ultima e nobilissima parte de l'anima.
17. E che ciò fosse lo 'ntendimento, si vede: chè solamente de l'uomo e de le divine sustanze questa mente si predica, sì come per Boezio si puote apertamente vedere, che prima la predica de li uomini, ove dice a la Filosofia: «Tu e Dio, che ne la mente te de li uomini mise»; poi la predica di Dio, quando dice a Dio: «Tutte le cose produci da lo superno essemplo, tu, bellissimo, bello mondo ne la mente portante». 18. Nè mai d'animale bruto predicata fue, anzi di molti uomini, che de la parte perfettissima paiono defettivi, non pare potersi nè doversi predicare; e però cotali sono chiamati ne la gramatica 'amenti' e 'dementi', cioè sanza mente. 19. Onde si puote omai vedere che è mente: che è quella fine e preziosissima parte de l'anima che è deitade. E questo è il luogo dove dico che Amore mi ragiona de la mia donna.
CAPITOLO III.
1. Non sanza cagione dico che questo amore ne la mente mia fa la sua operazione; ma ragionevolemente ciò si dice, a dare a intendere quale amore è questo, per lo loco nel quale adopera. 2. Onde è da sapere che ciascuna cosa, come detto è di sopra, per la ragione di sopra mostrata ha 'l suo speziale amore. Come le corpora simplici hanno amore naturato in sè a lo luogo proprio, e però la terra sempre discende al centro; lo fuoco ha [amore a] la circunferenza di sopra, lungo lo cielo de la luna, e però sempre sale a quello. 3. Le corpora composte prima, sì come sono le minere, hanno amore a lo luogo dove la loro generazione è ordinata, e in quello crescono e acquistano vigore e potenza; onde vedemo la calamita sempre da la parte de la sua generazione ricevere vertù. 4. Le piante, che sono prima animate, hanno amore a certo luogo più manifestamente, secondo che la complessione richiede; e però vedemo certe piante lungo l'acque quasi can[s]arsi, e certe sopra li gioghi de le montagne, e certe ne le piagge e dappiè monti: le quali se si transmutano, o muoiono del tutto o vivono quasi triste, sì come disgiunte dal loro amico. 5. Li animali bruti hanno più manifesto amore non solamente a li luoghi, ma l'uno l'altro vedemo amare. Li uomini hanno loro proprio amore a le perfette e oneste cose. E però che l'uomo, avvegna che una sola sustanza sia tutta [sua] forma, per la sua nobilitade ha in sè natura di tutte queste cose, tutti questi amori puote avere e tutti li ha.
6. Chè per la natura del simplice corpo, che ne lo subietto signoreggia, naturalmente ama l'andare in giuso; e però quando in su muove lo suo corpo, più s'affatica. Per la natura seconda, del corpo misto, ama lo luogo de la sua generazione, e ancora lo tempo; e però ciascuno naturalmente è di più virtuoso corpo ne lo luogo dove è generato e nel tempo de la sua generazione che in altro. 7. Onde si legge ne le storie d'Ercule, e ne l'Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo con lo gigante che si chiamava Anteo, tutte volte che lo gigante era stanco, e elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d'Ercule, forza e vigore interamente de la terra in lui resurgea, ne la quale e de la quale era esso generato. 8. Di che accorgendosi Ercule, a la fine prese lui; e stringendo quello e levatolo da la terra, tanto lo tenne sanza lasciarlo a la terra ricongiugnere, che lo vinse per soperchio e uccise. E questa battaglia fu in Africa, secondo le testimonianze de le scritture.
9. E per la natura terza, cioè de le piante, ha l'uomo amore a certo cibo, non in quanto è sensibile, ma in quanto è notribile, e quello cotale cibo fa l'opera di questa natura perfettissima, e l'altro non così, ma falla imperfetta. E però vedemo certo cibo fare li uomini formosi e membruti e bene vivacemente colorati, e certi fare lo contrario di questo. 10. E per la natura quarta, de li animali, cioè sensitiva, hae l'uomo altro amore, per lo quale ama secondo la sensibile apparenza, sì come bestia; e questo amore ne l'uomo massimamente ha mestiere di rettore per la sua soperchievole operazione, ne lo diletto massimamente del gusto e del tatto. 11. E per la quinta e ultima natura, cioè vera umana o, meglio dicendo, angelica, cioè razionale, ha l'uomo amore a la veritade e a la vertude; e da questo amore nasce la vera e perfetta amistade, de l'onesto tratta, de la quale parla lo Filosofo ne l'ottavo de l'Etica, quando tratta de l'amistade.
12. Onde, acciò che questa natura si chiama mente, come di sopra è mostrato, dissi 'Amore ragionare ne la mente', per dare ad intendere che questo amore era quello che in quella nobilissima natura nasce, cioè di veritade e di vertude, e per ischiudere ogni falsa oppinione da me, per la quale fosse sospicato lo mio amore essere per sensibile dilettazione. Dico poi disiosamente, a dare ad intendere la sua continuanza e lo suo fervore. 13. E dico 'move sovente cose che fanno disviare lo 'ntelletto'. E veramente dico; però che li miei pensieri, di costei ragionando, molte fiate voleano cose conchiudere di lei che io non le potea intendere, e smarrivami, sì che quasi parea di fuori alienato: come chi guarda col viso con[tra] una retta linea, prima vede le cose prossime chiaramente; poi, procedendo, meno le vede chiare; poi, più oltre, dubita; poi, massimamente oltre procedendo, lo viso disgiunto nulla vede.
14. E quest'è l'una ineffabilitade di quello che io per tema ho preso; e consequentemente narro l'altra, quando dico: Lo suo parlare. E dico che li miei pensieri - che sono parlare d'Amore - 'sonan sì dolci', che la mia anima, cioè lo mio affetto, arde di potere ciò con la lingua narrare; e perchè dire nol posso, dico che l'anima se ne lamenta dicendo: lassa! ch'io non son possente. 15. E questa è l'altra ineffabilitade; cioè che la lingua non è di quello che lo 'ntelletto vede compiutamente seguace. E dico l'anima ch'ascolta e che lo sente: 'ascoltare', quanto a le parole, e 'sentire', quanto a la dolcezza del suono.
CAPITOLO IV.
1. Quando ragionate sono le due ineffabilitadi di questa matera, conviensi procedere a ragionare le parole che narrano la mia insufficienza. Dico adunque che la mia insufficienza procede doppiamente, sì come doppiamente trascende l'altezza di costei, per lo modo che detto è. 2. Chè a me conviene lasciare per povertà d'intelletto molto di quello che è vero di lei, e che quasi ne la mia mente raggia, la quale come corpo diafano riceve quello, non terminando: e questo dico in quella seguente particula: E certo e' mi conven lasciare in pria. 3. Poi quando dico: E di quel che s'intende, dico che non pur a quello che lo mio intelletto non sostiene, ma eziandio a quello che io intendo sufficiente [non sono], però che la lingua mia non è di tanta facundia che dire potesse ciò che nel pensiero mio se ne ragiona; per che è da vedere che, a rispetto de la veritade, poco fia quello che dirà . E ciò risulta in grande loda di costei, se bene si guarda, ne la quale principalmente s'intende; e quella orazione si può dir bene che vegna da la fabrica del rettorico, ne la quale ciascuna parte pone mano a lo principale intento. 4. Poi quando dice: Però, se le mie rime avran difetto, escusomi da una colpa de la quale non deggio essere colpato, veggendo altri le mie parole essere minori che la dignitade di questa; e dico che se difetto fia ne le mie rime, cioè ne le mie parole che a trattare di costei sono ordinate, di ciò è da biasimare la debilitade de lo 'ntelletto e la cortezza del nostro parlare, lo quale per lo pensiero è vinto, sì che seguire lui non puote a pieno, massimamente là dove lo pensiero nasce da amore, perchè quivi l'anima profondamente più che altrove s'ingegna.
5. Potrebbe dire alcuno: 'tu scusi [e accusi] te insiememente'. Chè argomento di colpa è, non purgamento, in quanto la colpa si dà a lo 'ntelletto e al parlare che è mio; chè, sì come, s'elli è buono, io deggio di ciò essere lodato in quanto così [è, così,] s'elli è defettivo, deggio essere biasimato. A ciò si può brievemente rispondere che non m'accuso, ma iscuso veramente. 6. E però è da sapere, secondo la sentenza del Filosofo nel terzo de l'Etica, che l'uomo è degno di loda e di vituperio solo in quelle cose che sono in sua podestà di fare o di non fare; m...
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