[Pagina precedente]...er pestilenza di corrompimento d'aere quasi tutto lo popolo perduto, esso saviamente ricorse a Dio e a lui domandò lo ristoro de la morta gente; e per lo suo senno, che a pazienza lo tenne e a Dio tornare lo fece, lo suo popolo ristorato li fu maggiore che prima. 18. Mostra che esso fosse giusto, quando dice che esso fu partitore a nuovo popolo e distributore de la terra diserta sua. Mostra che fosse largo, quando disse a Cefalo dopo la dimanda de lo aiuto: «O Atene, non domandate a me aiutorio, ma toglietevelo; e non dite a voi dubitose le forze che ha questa isola. E tutto questo è [lo] stato de le mie cose: forze non ci menomano, anzi ne sono a noi di soperchio; e lo avversario è grande, e lo tempo da dare è, bene avventuroso e sanza escusa». 19. Ahi quante cose sono da notare in questa risposta! Ma a buono intenditore basti essere posto qui come Ovidio lo pone. Mostra che fosse affabile, quando dice e ritrae per lungo sermone a Cefalo la istoria de la pestilenza del suo popolo diligentemente, e lo ristoramento di quello. 20. Per che assai è manifesto a questa etade essere quattro cose convenienti; per che la nobile natura in essa le mostra, sì come lo testo dice. E perchè più memorabile sia l'essemplo che detto è, dice di Eaco re che questi fu padre di Telamon, [di Peleus] e di Foco, del quale Telamon nacque Aiace, e di Peleus Achilles.
CAPITOLO XXVIII.
1. Appresso de la ragionata particola è da procedere a l'ultima, cioè a quella che comincia: Poi ne la quarta parte de la vita; per la quale lo testo intende mostrare quello che fa la nobile anima ne l'ultima etade, cioè nel senio. 2. E dice ch'ella fa due cose: l'una, che ella ritorna a Dio, sì come a quello porto onde ella si partio quando venne ad intrare nel mare di questa vita; l'altra si è che ella benedice lo cammino che ha fatto, però che è stato diritto e buono e sanza amaritudine di tempesta. 3. E qui è da sapere che, sì come dice Tullio in quello De Senectute, la naturale morte è quasi a noi porto di lunga navigazione e riposo. Ed è così: [chè], come lo buono marinaio, come esso appropinqua al porto, cala le sue vele, e soavemente, con debile conducimento, entra in quello; così noi dovemo calare le vele de le nostre mondane operazioni e tornare a Dio con tutto nostro intendimento e cuore, sì che a quello porto si vegna con tutta soavitade e con tutta pace. 4. E in ciò avemo da la nostra propria natura grande ammaestramento di soavitade, chè in essa cotale morte non è dolore nè alcuna acerbitate, ma sì come uno pomo maturo leggiermente e sanza violenza si dispicca dal suo ramo, così la nostra anima sanza doglia si parte dal corpo ov'ella è stata. Onde Aristotile in quello De Iuventute et Senectute dice che «sanza tristizia è la morte ch'è ne la vecchiezza». 5. E sì come a colui che viene di lungo cammino, anzi ch'entri ne la porta de la sua cittade, li si fanno incontro li cittadini di quella, così a la nobile anima si fanno incontro, e deono fare, quelli cittadini de la etterna vita; e così fanno per le sue buone operazioni e contemplazioni: chè, già essendo a Dio renduta e astrattasi da le mondane cose e cogitazioni, vedere le pare coloro che appresso di Dio crede che siano. 6. Odi che dice Tullio, in persona di Catone vecchio: «A me pare già vedere e levomi in grandissimo studio di vedere li vostri padri, che io amai, e non pur quelli [che io stesso conobbi], ma eziandio quelli di cui udi' parlare». 7. Rendesi dunque a Dio la nobile anima in questa etade, e attende lo fine di questa vita con molto desiderio e uscir le pare de l'albergo e ritornare ne la propria mansione, uscir le pare di cammino e tornare in cittade, uscir le pare di mare e tornare a porto. O miseri e vili che con le vele alte correte a questo porto, e là ove dovereste riposare, per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi là dove tanto camminato avete! 8. Certo lo cavaliere Lancelotto non volse entrare con le vele alte, nè lo nobilissimo nostro latino Guido montefeltrano. Bene questi nobili calaro le vele de le mondane operazioni, che ne la loro lunga etade a religione si rendero, ogni mondano diletto e opera disponendo. 9. E non si puote alcuno escusare per legame di matrimonio, che in lunga etade lo tegna; chè non torna a religione pur quelli che a santo Benedetto, a santo Augustino, a santo Francesco e a santo Domenico si fa d'abito e di vita simile, ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matrimonio stando, chè Dio non volse religioso di noi se non lo cuore. 10. E però dice santo Paulo a li Romani: «Non quelli ch'è manifestamente, è Giudeo, nè quella ch'è manifesta in carne è circuncisione; ma quelli ch'è in ascoso, è Giudeo, e la circuncisione del cuore, in ispirito non in littera, è circuncisione; la loda de la quale è non da li uomini, ma da Dio».
11. E benedice anco la nobile anima in questa etade li tempi passati; e bene li può benedicere, però che, per quelli rivolvendo la sua memoria, essa si rimembra de le sue diritte operazioni, sanza le quali al porto, ove s'appressa, venire non si potea con tanta ricchezza nè con tanto guadagno. 12. E fa come lo buono mercatante, che, quando viene presso al suo porto, essamina lo suo procaccio e dice, 'Se io non fosse per cotal cammino passato, questo tesoro non avre' io, e non avrei di ch'io godesse ne la mia cittade, a la quale io m'appresso'; e però benedice la via che ha fatta. 13. E che queste due cose convegnano a questa etade, ne figura quello grande poeta Lucano nel secondo de la sua Farsalia, quando dice che Marzia tornò a Catone e richiese lui e pregollo che la dovesse riprendere [g]ua[s]ta: per la quale Marzia s'intende la nobile anima. 14. E potemo così ritrarre la figura a veritade. Marzia fu vergine, e in quello stato si significa l'adolescenza; [poi si maritò] a Catone, e in quello stato si significa la gioventute; fece allora figli, per li quali si significano le vertudi che di sopra si dicono a li giovani convenire; e partissi da Catone, e maritossi ad Ortensio, per che [si] significa che si partì la gioventute e venne la senettute; fece figli di questo anche, per che si significano le vertudi che di sopra si dicono convenire a la senettute. 15. Morì Ortensio; per che si significa lo termine de la senettute; e vedova fatta - per lo quale vedovaggio si significa lo senio - tornò Marzia dal principio del suo vedovaggio a Catone, per che si significa la nobile anima dal principio del senio tornare a Dio. E quale uomo terreno più degno fu di significare Iddio, che Catone? Certo nullo.
16. E che dice Marzia a Catone? «Mentre che in me fu lo sangue», cioè la gioventute, «mentre che in me fu la maternale vertute», cioè la senettute, che bene è madre de l'alte [vertu]di, sì come di sopra è mostrato, «io» dice Marzia «feci e compiei li tuoi comandamenti», cioè a dire che l'anima stette ferma a le civili operazioni. Dice: «E tolsi due mariti», cioè a due etadi fruttifera sono stata. 17. «Ora» dice Marzia «che 'l mio ventre è lasso, e che io sono per li parti vota, a te mi ritorno, non essendo più da dare ad altro sposo»; cioè a dire che la nobile anima, cognoscendosi non avere più ventre da frutto, cioè li suoi membri sentendosi a debile stato venuti, torna a Dio, colui che non ha mestiere de le membra corporali. E dice Marzia: «Dammi li patti de li antichi letti, dammi lo nome solo del maritaggio»; che è a dire che la nobile anima dire a Dio: 'Dammi, Signor mio, omai lo riposo di te; dammi, almeno, che io in questa tanta vita sia chiamata tua'. 18. E dice Marzia: «Due ragioni mi muovono a dire questo: l'una si è che dopo di me si dica ch'io sia morta moglie di Catone; l'altra, che dopo me si dica che tu non mi scacciasti, ma di buono animo mi maritasti». 19. Per queste due cagioni si muove la nobile anima; e vuole partire d'esta vita sposa di Dio, e vuole mostrare che graziosa fosse a Dio la sua [oper]azione. Oh sventurati e male nati, che innanzi volete partirvi d'esta vita sotto lo titolo d'Ortensio che di Catone! Nel nome di cui è bello terminare ciò che de li segni de la nobilitade ragionare si convenia, però che in lui essa nobilitade tutti li dimostra per tutte etadi.
CAPITOLO XXIX.
1. Poi che mostrato [ha] lo testo quelli segni li quali per ciascuna etade appaiono nel nobile uomo e per li quali conoscere si puote, e sanza li quali essere non puote, come lo sole sanza luce e lo fuoco sanza caldo, grida lo testo a la gente, a l'ultimo di ciò che di nobilità è ritratto, e dice: 'O voi che udito m'avete, vedete quanti sono coloro che sono ingannati!': cioè coloro che, per essere di famose e antiche generazioni e per essere discesi di padri eccellenti, credono essere nobili, nobilitade non avendo in loro. 2. E qui surgono due quistioni, a le quali ne la fine di questo trattato è bello intendere. Potrebbe dire ser Manfredi da Vico, che ora Pretore si chiama e Prefetto: 'Come che io mi sia, io reduco a memoria e rappresento li miei maggiori, che per loro nobilitade meritaro l'officio de la Prefettura, e meritaro di porre mano a lo coronamento de lo Imperio, meritaro di ricevere la rosa dal romano Pastore: onore deggio ricevere e reverenza da la gente'. E questa è l'una questione. 3. L'altra è, che potrebbe dire quelli da Santo Nazzaro di Pavia, e quelli de li Piscitelli da Napoli: 'Se la nobilitade è quello che detto è, cioè seme divino ne la umana anima graziosamente posto, e le progenie, o vero schiatte, non hanno anima, sì come è manifesto, nulla progenie, o vero schiatta, nobile dicere si potrebbe: e questo è contra l'oppinione di coloro che le nostre progenie dicono essere nobilissime in loro cittadi'. 4. A la prima questione risponde Giovenale ne l'ottava satira, quando comincia quasi esclamando: «Che fanno queste onoranze che rimangono da li antichi, se per colui che di quelle si vuole ammantare male si vive? se per colui che de li suoi antichi ragiona e mostra le grandi e mirabili opere, s'intende a misere e vili operazioni? Avvegna [che, «chi dicerà»], dice esso poeta satiro, «nobile per la buona generazione quelli che de la buona generazione degno non è? Questo non è altro che chiamare lo nano gigante». 5. Poi appresso, a questo cotale dice: «Da te a la statua fatta in memoria del tuo antico non ha dissimilitudine altra, se non che la sua testa è di marmo, e la tua vive». E in questo, con reverenza lo dico, mi discordo dal Poeta, chè la statua di marmo, di legno o di metallo, rimasa per memoria d'alcuno valente uomo, si dissimiglia ne lo effetto molto dal malvagio discendente. 6. Però che la statua sempre afferma la buona oppinione in quelli che hanno udito la buona fama di colui cui è la statua, e ne li altri genera: lo ma[l]estr[u]o figlio o nepote fa tutto lo contrario, chè l'oppinione di coloro che hanno udito bene de li suoi maggiori, fa più debile; chè dice alcuno loro pensiero: 'Non può essere che de li maggiori di costui sia tanto quanto si dice, poi che de la loro semenza sì fatta pianta si vede'. Per che non onore, ma disonore dee ricevere quelli che a li buoni mala testimonianza porta. 7. E però dice Tullio che 'lo figlio del valente uomo dee procurare di rendere al padre buona testimonianza'. Onde, al mio giudicio, così come chi uno valente uomo infama è degno d'essere fuggito da la gente e non ascoltato, così lo ma[l]estr[u]o disceso de li buoni maggiori è degno d'essere da tutti scacciato, e de' si lo buono uomo chiudere li occhi per non vedere quello vituperio vituperante de la bontade, che in sola la memoria è rimasa. E questo basti, al presente, a la prima questione che si movea.
8. A la seconda questione si può rispondere, che una progenie per sè non hae anima, e ben è vero che nobile si dice ed è per certo modo. Onde è da sapere che ogni tutto si fa de le sue parti. È alcuno tutto che ha una essenza simplice con le sue parti, sì come in uno uomo è una essenza di tutto e di ciascuna parte sua; e ciò che si dice ne la parte, per quello medesimo modo si dice essere in tutto. 9. Un altro tutto è che non ha essenza comune con...
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