[Pagina precedente]...a luce, caggiono, quasi come nebulette matutine a la faccia del sole; e rimane libero e pieno di certezza lo familiare intelletto, sì come l'aere da li raggi meridiani purgato e illustrato.
6. Lo terzo verso ancora s'intende per la sposizione litterale infino là dove dice: L'anima piange. Qui si vuole bene attendere ad alcuna moralitade, la quale in queste parole si può notare: che non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore; ma se pur seguire si conviene l'uno e lasciar l'altro, lo migliore è da seguire, con alcuna onesta lamentanza l'altro abbandonando, ne la quale dà cagione, a quello che segue, di più amore. 7. Poi dove dice: De li occhi miei, non vuole altro dire, se non che forte fu l'ora che la prima demonstrazione di questa donna entrò ne li occhi de lo 'ntelletto mio, la quale fu cagione di questo innamoramento propinquissima. 8. E là dove dice: le mie pari, s'intende l'anime libere de le misere e vili delettazioni e de li vulgari costumi, d'ingegno e di memoria dotate. E dice poi: ancide; e dice poi: son morta; che pare contro a quello che detto è di sopra de la salute di questa donna. 9. E però è da sapere che qui parla l'una de le parti, e là parla l'altra; le quali diversamente litigano, secondo che di sopra è manifesto. Onde non è maraviglia se là dice 'sì', e qui dice 'no', se bene si guarda chi discende e chi sale.
10. Poi nel quarto verso, dove dice: uno spiritel d'amore, s'intende uno pensiero che nasce del mio studio. Onde è da sapere che per amore, in questa allegoria, sempre s'intende esso studio, lo quale è applicazione de l'animo innamorato de la cosa a quella cosa. 11. Poi quando dice: tu vedrai Di sì alti miracoli adornezza, annunzia che per lei si vedranno li adornamenti de li miracoli: e vero dice, chè li adornamenti de le maraviglie è vedere le cagioni di quelle; le quali ella dimostra, sì come nel principio de la Metafisica pare sentire lo Filosofo, dicendo che, per questi adornamenti vedere, cominciaro li uomini ad innamorare di questa donna. E di questo vocabulo, cioè 'maraviglia', nel seguente trattato più pienamente si parlerà . 12. Tutto l'altro che segue poi di questa canzone, sofficientemente è per l'altra esposizione manifesto. E così, in fine di questo secondo trattato, dico e affermo che la donna di cu' io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia. E qui si termina lo secondo trattato, [che è ordinato a sponere la canzone] che per prima vivanda è messa innanzi.
TRATTATO TERZO.
CANZONE SECONDA.
Amor che ne la mente mi ragiona
de la mia donna disiosamente,
move cose di lei meco sovente,
che lo 'ntelletto sovr'esse disvia.
5 Lo suo parlar sì dolcemente sona,
che l'anima ch'ascolta e che lo sente
dice: «Oh me lassa! ch'io non son possente
di dir quel ch'odo de la donna mia!»
E certo e' mi conven lasciare in pria,
10 s'io vo' trattar di quel ch'odo di lei,
ciò che lo mio intelletto non comprende;
e di quel che s'intende
gran parte, perchè dirlo non savrei.
Però, se le mie rime avran difetto
15 ch'entreran ne la loda di costei,
di ciò si biasmi il debole intelletto
e 'l parlar nostro, che non ha valore
di ritrar tutto ciò che dice Amore.
Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira,
20 cosa tanto gentil, quanto in quell'ora
che luce ne la parte ove dimora
la donna di cui dire Amor mi face.
Ogni Intelletto di là su la mira,
e quella gente che qui s'innamora
25 ne' lor pensieri la truovano ancora,
quando Amor fa sentir de la sua pace.
Suo esser tanto a Quei che lel dà piace,
che 'nfonde sempre in lei la sua vertute
oltre 'l dimando di nostra natura.
30 La sua anima pura,
che riceve da lui questa salute,
lo manifesta in quel ch'ella conduce:
chè 'n sue bellezze son cose vedute
che li occhi di color dov'ella luce
35 ne mandan messi al cor pien di desiri,
che prendon aire e diventan sospiri.
In lei discende la virtù divina
sì come face in angelo che 'l vede;
e qual donna gentil questo non crede,
40 vada con lei e miri li atti sui.
Quivi dov'ella parla si dichina
un spirito da ciel, che reca fede
come l'alto valor ch'ella possiede
è oltre quel che si conviene a nui.
45 Li atti soavi ch'ella mostra altrui
vanno chiamando Amor ciascuno a prova
in quella voce che lo fa sentire.
Di costei si può dire:
gentile è in donna ciò che in lei si trova,
50 e bello è tanto quanto lei simiglia.
E puossi dir che 'l suo aspetto giova
a consentir ciò che par maraviglia;
onde la nostra fede è aiutata:
però fu tal da etterno ordinata.
55 Cose appariscon ne lo suo aspetto
che mostran de' piacer di Paradiso,
dico ne li occhi e nel suo dolce riso,
che le vi reca Amor com'a suo loco.
Elle soverchian lo nostro intelletto,
60 come raggio di sole un frale viso:
e perch'io non lo posso mirar fiso,
mi conven contentar di dirne poco.
Sua bieltà piove fiammelle di foco,
animate d'un spirito gentile
65 ch'è creatore d'ogni pensier bono;
e rompon come trono
li 'nnati vizii che fanno altrui vile.
Però qual donna sente sua bieltate
biasmar per non parer queta e umile,
70 miri costei ch'è essemplo d'umiltate!
Questa è colei ch'umilia ogni perverso:
costei pensò chi mosse l'universo.
Canzone, e' par che tu parli contraro
al dir d'una sorella che tu hai;
75 che questa donna che tanto umil fai
ella la chiama fera e disdegnosa.
Tu sai che 'l ciel sempr'è lucente e chiaro,
e quanto in sè, non si turba già mai;
ma li nostri occhi per cagioni assai
80 chiaman la stella talor tenebrosa.
Così, quand'ella la chiama orgogliosa,
non considera lei secondo il vero,
ma pur secondo quel ch'a lei parea:
chè l'anima temea,
85 e teme ancora, sì che mi par fero
quantunqu'io veggio là 'v'ella mi senta.
Così ti scusa, se ti fa mestero;
e quando poi, a lei ti rappresenta:
dirai: «Madonna, s'ello v'è a grato,
90 io parlerò di voi in ciascun lato».
CAPITOLO I.
1. Così come nel precedente trattato si ragiona, lo mio secondo amore prese cominciamento da la misericordiosa sembianza d'una donna. Lo quale amore poi, trovando la mia disposta vita al suo ardore, a guisa di fuoco, di picciolo in grande fiamma s'accese; sì che non solamente vegghiando, ma dormendo, lume di costei ne la mia testa era guidato. 2. E quanto fosse grande lo desiderio che Amore di vedere costei mi dava, nè dire nè intendere si potrebbe. E non solamente di lei era così disidiroso, ma di tutte quelle persone che alcuna prossimitade avessero a lei, o per familiaritade o per parentela alcuna. 3. Oh quante notti furono, che li occhi de l'altre persone chiusi dormendo si posavano, che li miei ne lo abitaculo del mio amore fisamente miravano! E sì come lo multiplicato incendio pur vuole di fuori mostrarsi, che stare ascoso è impossibile, volontade mi giunse di parlare d'amore, l[a] quale del tutto tenere non potea. 4. E avvegna che poca podestade io potesse avere di mio consiglio, pure in tanto, o per volere d'Amore o per mia prontezza, ad esso m'accostai per più fiate, che io deliberai e vidi che, d'amor parlando, più bello nè più profittabile sermone non era che quello nel quale si commendava la persona che s'amava.
5. E a questo deliberamento tre ragioni m'informaro: de le quali l'una fu lo proprio amore di me medesimo, lo quale è principio di tutti li altri, sì come vede ciascuno. Chè più licito nè più cortese modo di fare a se medesimo altri onore non è, che onorare l'amico. Chè con ciò sia cosa che intra dissimili amistà essere non possa, dovunque amistà si vede similitudine s'intende; e dovunque similitudine s'intende corre comune la loda e lo vituperio. 6. E di questa ragione due grandi ammaestramenti si possono intendere: l'uno sì è di non volere che alcuno vizioso si mostri amico, perchè in ciò si prende oppinione non buona di colui cui amico si fa; l'altro sì è, che nessuno dee l'amico suo biasimare palesemente, però che a se medesimo dà del dito ne l'occhio, se ben si mira la predetta ragione. 7. La seconda ragione fu lo desiderio de la durazione di questa amistade. Onde è da sapere che, sì come dice lo Filosofo nel nono de l'Etica, ne l'amistade de le persone dissimili di stato conviene, a conservazione di quella, una proporzione essere intra loro che la dissimilitudine a similitudine quasi reduca. 8. Sì com'è intra lo signore e lo servo: chè, avvegna che lo servo non possa simile beneficio rendere a lo signore quando da lui è beneficiato, dee però rendere quello che migliore può con tanta sollicitudine di prontezza, che quello che è dissimile per sè si faccia simile per lo mostramento de la buona volontade; la quale manifesta, l'amistade si ferma e si conserva. 9. Per che io, considerando me minore che questa donna, e veggendo me beneficiato da lei, [proposi] di lei commendare secondo la mia facultade, la quale, se non simile è per sè, almeno la pronta volontade mostra; chè, se più potesse, più farei: e così si fa simile a quella di questa gentil donna. 10. La terza ragione fu uno argomento di provedenza; chè, sì come dice Boezio, «non basta di guardare pur quello che è dinanzi a li occhi», cioè lo presente, e però n'è data la provedenza che riguarda oltre, a quello che può avvenire. 11. Dico che pensai che da molti, di retro da me, forse sarei stato ripreso di levezza d'animo, udendo me essere dal primo amore mutato; per che, a torre via questa riprensione, nullo migliore argomento era che dire quale era quella donna che m'avea mutato. 12. Chè, per la sua eccellenza manifesta, avere si può considerazione de la sua virtude; e per lo 'ntendimento de la sua grandissima virtù si può pensare ogni stabilitade d'animo essere a quella mutabile e però me non giudicare lieve e non stabile. Impresi dunque a lodare questa donna, e se non come si convenisse, almeno innanzi quanto io potesse; e cominciai a dire: Amor che ne la mente mi ragiona.
13. Questa canzone principalmente ha tre parti. La prima è tutto lo primo verso, nel quale proemialmente si parla. La seconda sono tutti e tre li versi seguenti, ne li quali si tratta quello che dire s'intende, cioè la loda di questa gentile; lo primo de li quali comincia: Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira. La terza parte è lo quinto e l'ultimo verso, nel quale, dirizzando le parole a la canzone, purgo lei d'alcuna dubitanza. E di queste tre parti per ordine è da ragionare.
CAPITOLO II.
1. Faccendomi dunque da la prima parte, che proemio di questa canzone fu ordinata, dico che dividere in tre parti si conviene. Che prima si tocca la ineffabile condizione di questo tema; secondamente si narra la mia insufficienza a questo perfettamente trattare: e comincia questa seconda parte: E certo e' mi convien lasciare in pria; ultimamente mi scuso da insufficienza, ne la quale non si dee porre a me colpa: e questo comincio quando dico: Però, se le mie rime avran difetto.
2. Dice adunque: Amor che ne la mente mi ragiona; dove principalmente è da vedere chi è questo ragionatore, e che è questo loco nel quale dico esso ragionare. 3. Amore, veramente pigliando e sottilmente considerando, non è altro che unimento spirituale de l'anima e de la cosa amata; nel quale unimento di propia sua natura l'anima corre tosto e tardi, secondo che è libera o impedita. 4. E la ragione di questa naturalitade può essere questa. Ciascuna forma sustanziale procede da la sua prima cagione, la quale è Iddio, sì come nel libro Di Cagioni è scritto, e non ricevono diversitade per quella, che è semplicissima, ma per le secondarie cagioni e per la materia in che discende. Onde nel medesimo libro si scrive, trattando de la infusione de la bontà divina: «E fanno[si] diverse le bontadi e li doni per lo concorrimento de la cosa che riceve». 5. Onde, con ciò sia cosa che ciascuno effetto ritegna de la natura de la sua cagione - sì come dice Alpetragio quando afferma che quello che è causato da corpo circulare ne ha in alcuno modo circulare essere -, ciascuna forma ha essere de la divina natura in alcun modo: non che la divina natura sia divisa e comunicata in quelle, ma da quelle è participata pe...
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