[Pagina precedente]...hè fa, pur vegliando, lo possessore timido e odioso. 11. Quanta paura è quella di colui che appo sè sente ricchezza, in camminando, in soggiornando, non pur vegliando ma dormendo, non pur di perdere l'avere ma la persona per l'avere! Ben lo sanno li miseri mercatanti che per lo mondo vanno, che le foglie che 'l vento fa menare, li fa tremare, quando seco ricchezze portano; e quando sanza esse sono, pieni di sicurtade, cantando e sollazzando fanno loro cammino più brieve. 12. E però dice lo Savio: «Se voto camminatore entrasse ne lo cammino, dinanzi a li ladroni canterebbe». E ciò vuol dire Lucano nel quinto libro, quando commenda la povertà di sicuranza, dicendo: «Oh sicura facultà de la povera vita! oh stretti abitaculi e masserizie! oh non ancora intese ricchezze de li Iddei! A quali tempii o a quali muri poteo questo avvenire, cioè non temere con alcuno tumulto, bussando la mano di Cesare?» E quello dice Lucano quando ritrae come Cesare di notte a la casetta del pescatore Amiclas venne, per passare lo mare Adriano. 13. E quanto odio è quello che ciascuno al possessore de la ricchezza porta, o per invidia o per desiderio di prendere quella possessione! Certo tanto è, che molte volte contra la debita pietade lo figlio a la morte del padre intende: e di questo grandissime e manifestissime esperienze possono avere li Latini, e da la parte di Po e da la parte di Tevero! E però Boezio nel secondo de la sua Consolazione dice: «Per certo l'avarizia fa li uomini odiosi».
14. Anche è privazione di bene la loro possessione. Chè, possedendo quelle, larghezza non si fa, che è vertude ne la quale è perfetto bene e la quale fa li uomini splendienti e amati; che non può essere possedendo quelle, ma quelle lasciando di possedere. Onde Boezio nel medesimo libro dice: «Allora è buona la pecunia, quando, transmutata ne li altri per uso di larghezza, più non si possiede». Per che assai è manifesto la loro viltade per tutte le sue note. 15. E però l'uomo di diritto appetito e di vera conoscenza quelle mai non ama, e, non amandole, non si unisce ad esse, ma quelle sempre di lungi da sè essere vuole, se non in quanto ad alcuno necessario servigio sono ordinate. Ed è cosa ragionevole, però che lo perfetto con lo imperfetto non si può congiugnere; onde vedemo che la torta linea con la diritta non si congiunge mai, e se alcuno congiungimento v'è, non è da linea a linea, ma da punto a punto. 16. E però seguita che l'animo che è diritto, cioè d'appetito, e verace, cioè di conoscenza, per loro perdita non si disface; sì come lo testo pone nel fine di questa parte. E per questo effetto intende di provare lo testo che elle siano fiume corrente di lungi da la diritta torre de la ragione, o vero di nobilitade; e per questo, che esse divizie non possono torre la nobilitade a chi l'ha. E per questo modo disputasi e ripruovasi contra le ricchezze per la presente canzone.
CAPITOLO XIV.
1. Riprovato l'altrui errore quanto è in quella parte che a le ricchezze s'appoggiava, [seguita che si riprovi quanto è] in quella parte, che tempo diceva essere cagione di nobilitade, dicendo antica ricchezza. E questa riprovagione si fa in quella parte che comincia: Nè voglion che vil uom gentil divegna. 2. E in prima si ripruova ciò per una ragione di costoro medesimi che così errano; poi, a maggiore loro confusione, questa loro ragione anche si distrugge: e ciò si fa quando dice: Ancor, segue di ciò che innanzi ho messo. Ultimamente conchiude manifesto essere lo loro errore, e però essere tempo d'intendere a la veritade: e ciò si fa quando dice: Per che a 'ntelletti sani.
3. Dico adunque: Nè voglion che vil uom gentil divegna. Dove è da sapere che oppinione di questi erranti è che uomo prima villano mai gentile uomo dicer non si possa; nè uomo che figlio sia di villano similemente dicere mai non si possa gentile. E ciò rompe la loro sentenza medesima, quando dicono che tempo si richiede a nobilitade, ponendo questo vocabulo 'antico'; però ch'è impossibile per processo di tempo venire a la generazione di nobilitade per questa loro ragione che detta è, la quale toglie via che villano uomo mai possa esser gentile per opera che faccia, o per alcuno accidente, e toglie via la mutazione di villano padre in gentile figlio. 4. Chè se lo figlio del villano è pur villano, e lo figlio fia pur figlio di villano e così fia anche villano, e anche suo figlio, e così sempre, e mai non s'avrà a trovare là dove nobilitade per processo di tempo si cominci. 5. E se l'avversario, volendosi difendere, dicesse che la nobilitade si comincerà in quel tempo che si dimenticherà lo basso stato de li antecessori, rispondo che ciò fia contra loro medesimi, che pur di necessitade quivi sarà transmutazione di viltade in gentilezza, d'un uomo in altro o di padre a figlio, ch'è contra ciò che essi pongono.
6. E se l'avversario pertinacemente si difendesse, dicendo che bene vogliono questa transmutazione potersi fare quando lo basso stato de li antecessori corre in oblivione, avvegna che 'l testo ciò non curi, degno è che la chiosa a ciò risponda. E però rispondo così: che di ciò che dicono seguitano quattro grandissimi inconvenienti, sì che buona ragione essere non può. 7. L'uno si è che quanto la natura umana fosse migliore tanto sarebbe più malagevole e più tarda generazione di gentilezza; che è massimo inconveniente, con ciò sia cosa, com'ho no[t]ato, che la cosa quanto è migliore tanto è più cagione di bene; e nobilitade intra li beni sia commemorata. 8. E che ciò fosse così si pruova. Se la gentilezza o ver nobilitade, che per una cosa intendo, si generasse per oblivione, più tosto sarebbe generata la nobilitade quanto li uomini fossero più smemorati, [chè] tanto più tosto ogni oblivione verrebbe. Dunque, quanto li uomini smemorati più fossero, più tosto sarebbero nobili; e per contrario, quanto con più buona memoria, tanto più tardi nobili si farebbero.
9. Lo secondo si è, che 'n nulla cosa, fuori de li uomini, questa distinzione si potrebbe fare, cioè nobile o vile; che è molto inconveniente, con ciò sia cosa che in ciascuna spezie di cose veggiamo l'imagine di nobilitade e di viltade: onde spesse volte diciamo uno nobile cavallo e uno vile, e uno nobile falcone e uno vile, e una nobile margherita e una vile. 10. E che non si potesse fare questa distinzione, così si pruova. Se l'oblivione de li bassi antecessori è cagione di nobilitade, e là ovunque bassezza d'antecessori mai non fu, non può essere l'oblivione di quelli - con ciò sia cosa che l'oblivione sia corruzione di memoria, e in questi altri animali e piante e minere bassezza e altezza non si noti, però che in uno sono naturati solamente ed iguale stato -, in loro generazione di nobilitade essere non può; e così nè viltade, con ciò sia cosa che l'una e l'altra si guardi come abito e privazione, che sono ad uno medesimo subietto possibili; e però in loro de l'una e de l'altra non potrebbe essere distinzione. 11. E se l'avversario volesse dicere che ne l'altre cose nobilità s'intende per la bontà de la cosa, ma ne li uomini s'intende perchè di sua bassa condizione non è memoria, rispondere si vorrebbe non con le parole ma col coltello a tanta bestialitade, quanta è dare a la nobilitade de l'altre cose bontade per cagione, e a quella de li uomini principio di dimenticanza.
12. Lo terzo si è che molte volte verrebbe prima lo generato che lo generante; che è del tutto impossibile; e ciò si può così mostrare. Pognamo che Gherardo da Cammino fosse stato nepote del più vile villano che mai bevesse del Sile o del Cagnano, e la oblivione ancora non fosse del suo avolo venuta: chi sarà oso di dire che Gherardo da Cammino fosse vile uomo? e chi non parlerà meco, dicendo quello essere stato nobile? Certo nullo, quanto vuole sia presuntuoso, però che egli fu, e fia sempre la sua memoria. 13. E se la oblivione del suo basso antecessore non fosse venuta, sì come si suppone, ed ello fosse grande di nobilitade e la nobilitade in lui si vedesse così apertamente come aperta si vede, prima sarebbe stata in lui che 'l generante suo fosse stato: e questo è massimamente impossibile.
14. Lo quarto si è che tale uomo sarebbe tenuto nobile morto che non fu nobile vivo; che più inconveniente essere non potrebbe; e ciò così si mostra. Pognamo che ne la etade di Dardano de' suoi antecessori bassi fosse memoria, e pognamo che ne la etade di Laomedonte questa memoria fosse disfatta, e venuta l'oblivione. Secondo l'oppinione avversa, Laomedonte fu gentile e Dardano fu villano in loro vita. Noi, a li quali la memoria de li loro anticessori, dico di là da Dardano, [anche non è rimasa, dir dovremmo che Dardano] vivendo fosse villano e morto sia nobile. 15. E non è contro a ciò, che si dice Dardano esser stato figlio di Giove, chè ciò è favola, de la quale, filosoficamente disputando, curare non si dee; e pur se volesse a la favola fermare l'avversario, di certo quello che la favola cuopre disfà tutte le sue ragioni. E così è manifesto, la ragione che ponea la oblivione causa di nobilitade essere falsa ed erronea.
CAPITOLO XV.
1. Da poi che, per la loro medesima sentenza, la canzone ha riprovato tempo non richiedersi a nobilitade, incontanente seguita a confondere la premessa loro oppinione, acciò che di loro false ragioni nulla ruggine rimagna ne la mente che a la verità sia disposta; e questo fa quando dice: Ancor, segue di ciò che innanzi ho messo. 2. Ove è da sapere che, se uomo non si può fare di villano gentile o di vile padre non può nascere gentile figlio, sì come messo è dinanzi per loro oppinione, che de li due inconvenienti l'uno seguire conviene: l'uno sì è che nulla nobilitade sia; l'altro sì è che 'l mondo sempre sia stato con più uomini, sì che da uno solo la umana generazione discesa non sia. 3. E ciò si può mostrare. Se nobilitade non si genera di nuovo, sì come più volte è detto che la loro oppinione vuole (non generandosi di vile uomo in lui medesimo, nè di vile padre in figlio), sempre è l'uomo tale quale nasce, e tale nasce quale è lo padre; e così questo processo d'una condizione è venuto infino dal primo parente: per che tale quale fu lo primo generante, cioè Adamo, conviene essere tutta l'umana generazione, chè da lui a li moderni non si puote trovare per quella ragione alcuna transmutanza. 4. Dunque, se esso Adamo fu nobile, tutti siamo nobili, e se esso fu vile, tutti siamo vili; che non è altro che torre via la distinzione di queste condizioni, e così è torre via quelle. E questo dice, che di quello ch'e messo dinanzi seguita che siam tutti gentili o ver villani. 5. E se questo non è, [e] pur alcuna gente è da dire nobile e alcuna è da dir vile, di necessitade, da poi che la transmutazione di viltade in nobilitade è tolta via, conviene l'umana generazione da diversi principii essere discesa, cioè da uno nobile e da uno vile. E ciò dice la canzone, quando dice: O che non fosse ad uom cominciamento, cioè uno solo: non dice 'cominciamenti'. E questo è falsissimo appo lo Filosofo, appo la nostra Fede che mentire non puote, appo la legge e credenza antica de li Gentili. 6. Chè, avvegna che 'l Filosofo non pogna lo processo da uno primo uomo, pur vuole una sola essenza essere in tutti li uomini, la quale diversi principii avere non puote; e Plato vuole che tutti li uomini da una sola Idea dependano, e non da più, che è dare loro uno solo principio. E sanza dubbio forte riderebbe Aristotile udendo fare spezie due de l'umana generazione, sì come de li cavalli e de li asini; che, perdonimi Aristotile, asini ben si possono dire coloro che così pensano. 7. Che appo la nostra fede, la quale del tutto è da conservare, sia falsissimo, per Salomone si manifesta, che là dove distinzione fa di tutti li uomini a li animali bruti, chiama quelli tutti figli d'Adamo; e ciò fa quando dice: «Chi sa se li spiriti de li figliuoli d'Adamo vadano suso, e quelli de le bestie vadano giuso?». 8. E che appo li Gentili falso fosse, ecco la testimonianza d'Ovidio nel primo del suo Metamorfoseos, dove tratta la mondiale const...
[Pagina successiva]