[Pagina precedente]...rza, Sesta e Nona, e chiamansi ore temporali. 3. L'altro modo si è, che faccendo del dì e de la notte ventiquattr'ore, tal volta ha lo die le quindici ore, e la notte le nove; tal volta ha la notte le sedici e lo die le otto, secondo che cresce e menoma lo die e la notte: e chiamansi ore equali. E ne lo equinozio sempre queste e quelle che temporali si chiamano sono una cosa; però che, essendo lo dì equale de la notte, conviene così avvenire.
4. Poi quando dico: Ogni Intelletto di là su la mira, commendo lei, non avendo rispetto ad altra cosa. E dico che le Intelligenze del cielo la mirano, e che la gente di qua giù gentile pensano di costei, quando più hanno di quello che loro diletta. E qui è da sapere che ciascuno Intelletto di sopra, secondo ch'è scritto nel libro de le Cagioni, conosce quello che è sopra sè e quello che è sotto sè. 5. Conosce adunque Iddio sì come sua cagione, conosce quello che è sotto sè sì come suo effetto; e però che Dio è universalissima cagione di tutte le cose, conoscendo lui, tutte le cose conosce in sè, secondo lo modo de la Intelligenza. Per che tutte le Intelligenze conoscono la forma umana in quanto ella è per intenzione regolata ne la divina mente; e massimamente conoscono quella le Intelligenze motrici, però che sono spezialissime cagioni di quella e d'ogni forma generata, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro regola ed essemplo. 6. E se essa umana forma, essemplata e individuata, non è perfetta, non è manco de lo detto essemplo, ma de la materia la quale individua. Però quando dico: Ogni Intelletto di là su la mira, non voglio altro dire se non ch'ella è così fatta come l'essemplo intenzionale che de la umana essenzia è ne la divina mente e, per quella, in tutte l'altre, massimamente in quelle menti angeliche che fabbricano col cielo queste cose di qua giuso.
7. E a questo affermare, soggiungo quando dico: E quella gente che qui s'innamora. Dove è da sapere che ciascuna cosa massimamente desidera la sua perfezione, e in quella si queta ogni suo desiderio, e per quella ogni cosa è desiderata: e questo è quello desiderio che sempre ne fa parere ogni dilettazione manca; chè nulla dilettazione è sì grande in questa vita che a l'anima nostra possa torre la sete, che sempre lo desiderio che detto è non rimagna nel pensiero. 8. E però che questa è veramente quella perfezione, dico che quella gente che qua giù maggiore diletto riceve quando più hanno di pace, allora rimane questa ne' loro pensieri, per questa, dico, tanto essere perfetta quanto sommamente essere puote l'umana essenzia. 9. Poi quando dico: Suo esser tanto a Quei che lel dà piace, mostro che non solamente questa donna è perfettissima ne la umana generazione, ma più che perfettissima in quanto riceve de la divina bontade oltre lo debito umano. 10. Onde ragionevolmente si puote credere che, sì come ciascuno maestro ama più la sua opera ottima che l'altre, così Dio ama più la persona umana ottima che tutte l'altre; e però che la sua larghezza non si stringe da necessitade d'alcuno termine, non ha riguardo lo suo amore al debito di colui che riceve, ma soperchia quello in dono e in beneficio di vertù e di grazia. Onde dico qui che esso Dio, che dà l'essere a costei, per caritade de la sua perfezione infonde in essa de la sua bontade oltre li termini del debito de la nostra natura.
11. Poi quando dico: La sua anima pura, pruovo ciò che detto è per sensibile testimonianza. Ove è da sapere che, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, l'anima è atto del corpo: e se ella è suo atto, è sua cagione; e però che, sì come è scritto nel libro allegato de le Cagioni, ogni cagione infonde nel suo effetto de la bontade che riceve da la cagione sua, infonde e rende al corpo suo de la bontade de la cagione sua, ch'è Dio. 12. Onde, con ciò sia cosa che in costei si veggiano, quanto è da la parte del corpo, maravigliose cose, tanto che fanno ogni guardatore disioso di quelle vedere, manifesto è che la sua forma, cioè la sua anima, che lo conduce sì come cagione propria, riceva miracolosamente la graziosa bontade di Dio. 13. E così [si] pruova, per questa apparenza, che è oltre lo debito de la natura nostra (la quale in lei è perfettissima come detto è di sopra) questa donna da Dio beneficiata e fatta nobile cosa. E questa è tutta la sentenza litterale de la prima parte de la seconda parte principale.
CAPITOLO VII.
1. Commendata questa donna comunemente, sì secondo l'anima come secondo lo corpo, io procedo a commendare lei spezialmente secondo l'anima; e prima la commendo secondo che 'l suo bene è grande in sè, poi la commendo secondo che 'l suo bene è grande in altrui e utile al mondo. 2. E comincia questa parte seconda quando dico: Di costei si può dire. Dunque dico prima: In lei discende la virtù divina. Ove è da sapere che la divina bontade in tutte le cose discende, e altrimenti essere non potrebbero; ma avvegna che questa bontade si muova da simplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, da le cose riceventi. Onde scritto è nel libro de le Cagioni: «La prima bontade manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento». 3. Veramente ciascuna cosa riceve da quello discorrimento secondo lo modo de la sua vertù e de lo suo essere; e di ciò sensibile essemplo avere potemo dal sole. Vedemo la luce del sole, la quale è una, da uno fonte derivata, diversamente da le corpora essere ricevuta; sì come dice Alberto in quello libro che fa de lo Intelletto. Chè certi corpi, per molta chiaritade di diafano avere in sè mista, tosto che 'l sole li vede diventano tanto luminosi, che per multiplicamento di luce in quelle e ne lo loro aspetto, rendono a li altri di sè grande splendore, sì come è l'oro, e alcuna pietra. 4. Certi sono che, per esser del tutto diafani, non solamente ricevono la luce, ma quella non impediscono, anzi rendono lei del loro colore colorata ne l'altre cose. E certi sono tanto vincenti ne la purità del diafano, che divengono sì raggianti, che vincono l'armonia de l'occhio, e non si lasciano vedere sanza fatica del viso, sì come sono li specchi. Certi altri sono tanto sanza diafano, che quasi poco de la luce ricevono, sì com'è la terra. 5. Così la bontà di Dio è ricevuta altrimenti da le sustanze separate, cioè da li Angeli, che sono sanza grossezza di materia, quasi diafani per la purità de la loro forma, e altrimenti da l'anima umana, che, avvegna che da una parte sia da materia libera, da un'altra è impedita, sì come l'uomo ch'è tutto ne l'acqua fuor del capo, del quale non si può dire che tutto sia ne l'acqua nè tutto fuor da quella; e altrimenti da li animali, la cui anima tutta in materia è compresa, ma alquanto è nobilitata; e altrimenti da le piante, e altrimenti da le minere; e altrimenti da la terra che da li altri [elementi], però che è materialissima, e però remotissima e improporzionalissima a la prima simplicissima e nobilissima vertude, che sola è intellettuale, cioè Dio.
6. E avvegna che posti siano qui gradi generali, nondimeno si possono porre gradi singulari; cioè che quella riceve, de l'anime umane, altrimenti una che un'altra. E però che ne l'ordine intellettuale de l'universo si sale e discende per gradi quasi continui da la infima forma a l'altissima [e da l'altissima] a la infima, sì come vedemo ne l'ordine sensibile; e tra l'angelica natura, che è cosa intellettuale, e l'anima umana non sia grado alcuno, ma sia quasi l'uno a l'altro continuo per li ordini de li gradi, e tra l'anima umana e l'anima più perfetta de li bruti animali ancor mezzo alcuno non sia; e noi veggiamo molti uomini tanto vili e di sì bassa condizione, che quasi non pare essere altro che bestia; e così è da porre e da credere fermamente, che sia alcuno tanto nobile e di sì alta condizione che quasi non sia altro che angelo: altrimenti non si continuerebbe l'umana spezie da ogni parte, che esser non può. 7. E questi cotali chiama Aristotile, nel settimo de l'Etica, divini; e cotale dico io che è questa donna, sì che la divina virtude, a guisa che discende ne l'angelo, discende in lei.
8. Poi quando dico: E qual donna gentil questo non crede, pruovo questo per la esperienza che aver di lei si può in quelle operazioni che sono proprie de l'anima razionale, dove la divina luce più espeditamente raggia; cioè nel parlare e ne li atti che reggimenti e portamenti sogliono essere chiamati. Onde è da sapere che solamente l'uomo intra li animali parla, e ha reggimenti e atti che si dicono razionali, però che solo elli ha in sè ragione. 9. E se alcuno volesse dire contra, dicendo che alcuno uccello parli, sì come pare di certi, massimamente de la gazza e del pappagallo, e che alcuna bestia fa atti o vero reggimenti, sì come pare de la scimia e d'alcuno altro, rispondo che non è vero che parlino nè che abbiano reggimenti, però che non hanno ragione, da la quale queste cose convegnono procedere; nè è in loro lo principio di queste operazioni, nè conoscono che sia ciò, nè intendono per quello alcuna cosa significare, ma solo quello che veggiono e odono ripresentare. 10. Onde, secondo la imagine de le corpora in alcuno corpo lucido si ripresenta, sì come ne lo specchio, e sì la imagine corporale che lo specchio dimostra non è vera; così la imagine de la ragione, cioè li atti e lo parlare [che] l'anima bruta ripresenta, o vero dimostra, non è vera.
11. Dico che 'qual donna gentile non crede quello ch'io dico, che vada con lei, e miri li suoi atti' - non dico 'qual uomo', però che più onestamente [di donna] per le donne si prende esperienza che per l'uomo -; e dico quello che di lei colei sentirà , dicendo quello che fa lo suo parlare, e che fanno li suoi reggimenti. 12. Chè il suo parlare, per l'altezza e per la dolcezza sua, genera ne la mente di chi l'ode uno pensiero d'amore, lo quale io chiamo spirito celestiale, però che là su è lo principio e di là su viene la sua sentenza, sì come di sopra è narrato; del qual pensiero si procede in ferma oppinione che questa sia miraculosa donna di vertude. 13. E suoi atti, per la loro soavitade e per la loro misura, fanno amore disvegliare e risentire là dovunque è de la sua potenza seminata per buona natura. La quale natural semenza si fa come nel sequente trattato si mostra.
14. Poi quando dico: Di costei si può dire, intendo narrare come la bontà e la vertù de la sua anima è a li altri buona e utile. E prima, com'ella è utile a l'altre donne, dicendo: Gentile è in donna ciò che in lei si trova; dove manifesto essemplo rendo a le donne, nel quale mirando possano [sè] far parere gentili, quello seguitando. 15. Secondamente narro come ella è utile a tutte le genti, dicendo che l'aspetto suo aiuta la nostra fede, la quale più che tutte l'altre cose è utile a tutta l'umana generazione, sì come quella per la quale campiamo da etternale morte e acquistiamo etternale vita. 16. E la nostra fede aiuta; però che, con ciò sia cosa che principalissimo fondamento de la fede nostra siano miracoli fatti per colui che fu crucifisso - lo quale creò la nostra ragione, e volle che fosse minore del suo potere -, e fatti poi nel nome suo per li santi suoi; e molti siano sì ostinati che di quelli miracoli per alcuna nebbia siano dubbiosi, e non possano credere miracolo alcuno sanza visibilmente avere di ciò esperienza; e questa donna sia una cosa visibilmente miraculosa, de la quale li occhi de li uomini cotidianamente possono esperienza avere, ed a noi faccia possibili li altri; manifesto è che questa donna, col suo mirabile aspetto, la nostra fede aiuta. 17. E però ultimamente dico che da etterno, cioè etternamente, fu ordinata ne la mente di Dio in testimonio de la fede a coloro che in questo tempo vivono. E così termina la seconda parte [de la seconda parte], secondo la litterale sentenza.
CAPITOLO VIII.
1. Intra li effetti de la divina sapienza l'uomo è mirabilissimo, considerato come in una forma la divina virtute tre nature congiunse, e come sottilmente armoniato conviene esser lo corpo suo, a cotal forma esse...
[Pagina successiva]