[Pagina precedente]...o testo, dicendo quelle, quantunque collette, non solamente non quietare, ma dare più sete e rendere altri più defettivo e insufficiente. 2. E qui si vuole sapere che le cose defettive possono aver li loro difetti per modo, che ne la prima faccia non paiono, ma sotto pretesto di perfezione la imperfezione si nasconde; e possono avere quelli sì, che del tutto sono discoperti, sì che apertamente ne la prima faccia si conosce la imperfezione. 3. E quelle cose che prima non mostrano li loro difetti sono più pericolose, però che di loro, molte fiate prendere guardia non si può; sì come vedemo nel traditore, che ne la faccia dinanzi si mostra amico, sì che fa di sè fede avere, e sotto pretesto d'amistade chiude lo difetto de la inimistade. E per questo modo le ricchezze pericolosamente nel loro accrescimento sono imperfette, che, sommettendo ciò che promettono, apportano lo contrario. 4. Promettono le false traditrici sempre, in certo numero adunate, rendere lo raunatore pieno d'ogni appagamento; e con questa promissione conducono l'umana volontade in vizio d'avarizia. E per questo le chiama Boezio, in quello De Consolatione, pericolose, dicendo: «Ohmè! chi fu quel primo che li pesi de l'oro coperto e le pietre che si voleano ascondere, preziosi pericoli, cavoe?». 5. Promettono le false traditrici, se bene si guarda, di torre ogni sete e ogni mancanza, e apportare ogni saziamento e bastanza; e questo fanno nel principio a ciascuno uomo, questa promissione in certa quantità di loro accrescimento affermando: e poi che quivi sono adunate, in loco di saziamento e di refrigerio danno e recano sete di casso febricante intollerabile; e in loco di bastanza recano nuovo termine, cioè maggiore quantitade a desiderio, e, con questa, paura grande e sollicitudine sopra l'acquisto. Si che veramente non quietano, ma più danno cura, la qual prima sanza loro non si avea. 6. E però dice Tullio in quello De Paradoxo, abominando le ricchezze: «Io in nullo tempo per fermo nè le pecunie di costoro, nè le magioni magnifiche, nè le ricchezze, nè le signorie, nè l'allegrezze de le quali massimamente sono astretti, tra cose buone o desiderabili esser dissi; con ciò sia cosa che certo io vedesse li uomini ne l'abondanza di queste cose massimamente desiderare quelle di che abondano. Però che in nullo tempo si compie nè si sazia la sete de la cupiditate; nè solamente per desiderio d'accrescere quelle cose che hanno si tormentano, ma eziandio tormento hanno ne la paura di perdere quelle». 7. E queste tutte parole sono di Tullio, e così giacciono in quello libro che detto è. E a maggiore testimonianza di questa imperfezione, ecco Boezio in quello De Consolatione dicente: «Se quanta rena volve lo mare turbato dal vento, se quante stelle rilucono, la dea de la ricchezza largisca, l'umana generazione non cesserà di piangere». 8. E perchè più testimonianza, a ciò ridurre per pruova, si conviene, lascisi stare quanto contra esse Salomone e suo padre grida; quanto contra esse Seneca, massimamente a Lucillo scrivendo; quanto Orazio, quanto Iuvenale e, brievemente, quanto ogni scrittore, ogni poeta; e quanto la verace Scrittura divina chiama contra queste false meretrici, piene di tutti defetti; e pongasi mente, per avere oculata fede, pur a la vita di coloro che dietro a esse vanno, come vivono sicuri quando di quelle hanno raunate, come s'appagano, come si riposano. 9. E che altro cotidianamente pericola e uccide le cittadi, le contrade, le singulari persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d'avere appo alcuno? Lo quale raunamento nuovi desiderii discuopre, a lo fine de li quali sanza ingiuria d'alcuno venire non si può. E che altro intende di meditare l'una e l'altra Ragione, Canonica dico e Civile, tanto quanto a riparare a la cupiditade che, raunando ricchezze, cresce? 10. Certo assai lo manifesta e l'una e l'altra Ragione, se li loro cominciamenti, dico de la loro scrittura, si leggono. Oh com'è manifesto, anzi manifestissimo, quelle in accrescendo essere del tutto imperfette, quando di loro altro che imperfezione nascere non può, quanto che accolte siano! E questo è quello che lo testo dice.
11. Veramente qui surge in dubbio una questione, da non trapassare sanza farla e rispondere a quella. Potrebbe dire alcuno calunniatore de la veritade che se, per crescere desiderio acquistando, le ricchezze sono imperfette e però vili, che per questa ragione sia imperfetta e vile la scienza, ne l'acquisto de la quale sempre cresce lo desiderio di quella; onde Seneca dice: «Se l'uno de li piedi avesse nel sepulcro, apprendere vorrei». 12. Ma non è vero che la scienza sia vile per imperfezione: dunque, per la distruzione del consequente, lo crescere desiderio non è cagione di viltade a le ricchezze. Che sia perfetta, è manifesto per lo Filosofo nel sesto de l'Etica, che dice la scienza essere perfetta ragione di certe cose.
13. A questa questione brievemente è da rispondere; ma prima è da vedere se ne l'acquisto de la scienza lo desiderio si sciampia come ne la questione si pone, e se sia per ragione. Per che io dico che non solamente ne l'acquisto de la scienza e de le ricchezze, ma in ciascuno acquisto l'umano desiderio si sciampia, avvegna che per altro e altro modo. 14. E la ragione è questa: che lo sommo desiderio di ciascuna cosa, e prima da la natura dato, è lo ritornare a lo suo principio. E però che Dio è principio de le nostre anime e fattore di quelle simili a sè (sì come è scritto: «Facciamo l'uomo ad imagine e similitudine nostra»), essa anima massimamente desidera di tornare a quello. 15. E sì come peregrino che va per una via per la quale mai non fue, che ogni casa che da lungi vede crede che sia l'albergo, e non trovando ciò essere, dirizza la credenza a l'altra, e così di casa in casa, tanto che a l'albergo viene; così l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, e però, qualunque cosa vede che paia in sè avere alcuno bene, crede che sia esso. 16. E perchè la sua conoscenza prima è imperfetta, per non essere esperta nè dottrinata, piccioli beni le paiono grandi, e però da quelli comincia prima a desiderare. Onde vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; e poi, più procedendo, desiderare uno augellino; e poi, più oltre, desiderare bel vestimento; e poi lo cavallo; e poi una donna; e poi ricchezza non grande, e poi grande, e poi più. E questo incontra perchè in nulla di queste cose truova quella che va cercando, e credela trovare più oltre. 17. Per che vedere si può che l'uno desiderabile sta dinanzi a l'altro a li occhi de la nostra anima per modo quasi piramidale, che 'l minimo li cuopre prima tutti, ed è quasi punta de l'ultimo desiderabile, che è Dio, quasi base di tutti. Sì che, quanto da la punta ver la base più si procede, maggiori appariscono li desiderabili; e questa è la ragione per che, acquistando, li desiderii umani si fanno più ampii, l'uno appresso de l'altro. 18. Veramente così questo cammino si perde per errore come le strade de la terra. Che sì come d'una cittade a un'altra di necessitade è una ottima e dirittissima via, e un'altra che sempre se ne dilunga (cioè quella che va ne l'altra parte), e molte altre quale meno allungandosi e quale meno appressandosi, così ne la vita umana sono diversi cammini, de li quali uno è veracissimo e un altro è fallacissimo, e certi meno fallaci e certi meno veraci. 19. E sì come vedemo che quello che dirittissimo vae a la cittade, e compie lo desiderio e dà posa dopo la fatica, e quello che va in contrario mai nol compie e mai posa dare non può, così ne la nostra vita avviene: lo buono camminatore giugne a termine e a posa; lo erroneo mai non l'aggiugne, ma con molta fatica del suo animo sempre con li occhi gulosi si mira innanzi. 20. Onde avvegna che questa ragione del tutto non risponda a la questione mossa di sopra, almeno apre la via a la risposta, chè fa vedere non andare ogni nostro desiderio dilatandosi per un modo. Ma perchè questo capitolo è alquanto produtto, in capitolo nuovo a la questione è da rispondere, nel quale sia terminata tutta la disputazione che fare s'intende al presente contra le ricchezze.
CAPITOLO XIII.
1. A la questione rispondendo, dico che propriamente crescere lo desiderio de la scienza dire non si può, avvegna che, come detto è, per alcuno modo si dilati. Chè quello che propriamente cresce, sempre è uno: lo desiderio de la scienza non è sempre uno, ma è molti, e finito l'uno, viene l'altro; sì che, propriamente parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione di picciola cosa in grande cosa. 2. Che se io desidero di sapere li principii de le cose naturali, incontanente che io so questi, è compiuto e terminato questo desiderio. E se poi io desidero di sapere che cosa e com'è ciascuno di questi principii, questo è un altro desiderio nuovo, nè per l'avvenimento di questo non mi si toglie la perfezione a la quale mi condusse l'altro; e questo cotale dilatare non è cagione d'imperfezione, ma di perfezione maggiore. Quello veramente de la ricchezza è propriamente crescere, chè è sempre pur uno, sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione. 3. E se l'avversario vuol dire che, sì come è altro desiderio quello di sapere li principii de le cose naturali e altro di sapere che elli sono, così altro desiderio è quello de le cento marche e altro è quello de le mille, rispondo che non è vero; che 'l cento sì è parte del mille, e ha ordine ad esso come parte d'una linea a tutta linea, su per la quale si procede per uno moto solo, e nulla successione quivi è nè perfezione di moto in parte alcuna. 4. Ma conoscere che siano li principii de le cose naturali, e conoscere quello che sia ciascheduno, non è parte l'uno de l'altro, e hanno ordine insieme come diverse linee, per le quali non si procede per uno moto, ma, perfetto lo moto de l'una, succede lo moto de l'altra. 5. E così appare che, dal desiderio de la scienza, la scienza non è da dire imperfetta, sì come le ricchezze sono da dire per lo loro, come la questione ponea; chè nel desiderare de la scienza successivamente finiscono li desiderii e viensi a perfezione, e in quello de la ricchezza no. Sì che la questione è soluta, e non ha luogo.
6. Ben puote ancora calunniare l'avversario dicendo che, avvegna che molti desiderii si compiano ne lo acquisto de la scienza, mai non si viene a l'ultimo: che è quasi simile a la 'mperfezione di quello che non si termina e che è pur uno. 7. Ancora qui si risponde, che non è vero ciò che si oppone, cioè che mai non si viene a l'ultimo: chè li nostri desiderii naturali, sì come di sopra nel terzo trattato è mostrato, sono a certo termine discendenti; e quello de la scienza è naturale, sì che certo termine quello compie, avvegna che pochi, per male camminare, compiano la giornata. 8. E chi intende lo Commentatore nel terzo de l'Anima, questo intende da lui. E però dice Aristotile nel decimo de l'Etica, contra Simonide poeta parlando, che «l'uomo si dee traere a le divine cose quanto può»; in che mostra che a certo fine bada la nostra potenza. E nel primo de l'Etica dice che «'l disciplinato chiede di sapere certezza ne le cose, secondo che [ne] la loro natura di certezza si riceva»; in che mostra che non solamente da la parte de l'uomo desiderante, ma deesi fine attendere da la parte de lo scibile desiderato. 9. E però Paulo dice: «Non più sapere che sapere si convegna, ma sapere a misura». Sì che, per qualunque modo lo desiderare de la scienza si prende, o generalmente o particularmente, a perfezione viene. E però la scienza ha perfetta e nobile perfezione, e per suo desiderio sua perfezione non perde, come le maladette ricchezze.
10. Le quali come ne la loro possessione siano dannose, brievemente è da mostrare, che è la terza nota de la loro imperfezione. Puotesi vedere la loro possessione essere dannosa per due ragioni: l'una, che è cagione di male; l'altra, che è privazione di bene. Cagione è di male, c...
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