[Pagina precedente]...altro che di farmi ammazzare. Poco saprei descrivere quel ch'io mi facessi, ma convien pure che assai gagliardamente lo investissi, poiché io al principiare mi trovava aver il sole, che stava per tramontare, direttamente negli occhi a segno che quasi non ci vedeva; e in forse sette o otto minuti di tempo io mi era talmente spinto innanzi ed egli ritrattosi e nel ritrarsi descritta una curva sà fatta, ch'io mi ritrovai col sole direttamente alle spalle. CosÃ, martellando gran tempo, io sempre portandogli colpi, ed egli sempre ribattendoli, giudico che egli non mi uccise perché non volle, e ch'io non lo uccisi perché non seppi. Finalmente egli nel parare una botta, me ne allungò un'altra e mi colse nel braccio destro tra l'impugnatura ed il gomito, e tosto avvisommi ch'io era ferito; io non me n'era punto avvisto, né la ferita era in fatti gran cosa. Allora abbassando egli primo la punta in terra, mi disse ch'egli era soddisfatto, e domandavami se lo era anch'io. Risposi, che io non era l'offeso, e che la cosa era in lui. Ringuainò egli allora, ed io pure. Tosto egli se n'andò; ed io, rimasto un altro poco sul luogo voleva appurare cosa fosse quella mia ferita; ma osservando l'abito essere, squarciato per lo lungo, e non sentendo gran dolore, né sentendomi sgocciolare gran sangue la giudicai una scalfittura piú che una piaga. Del resto non mi potendo aiutare del braccio sinistro, non sarebbe stato possibile di cavarmi l'abito da me solo. Aiutandomi dunque co' denti mi contentai di avvoltolarmi alla peggio un fazzoletto e annodarlo sul braccio destro per diminuire cosà la perdita del sangue. Quindi uscito dal parco, per la stessa strada di Palmall, e ripassando davanti al Teatro, di donde era uscito tre quarti d'ora innanzi, ed al lume di alcune botteghe avendo veduto che non era insanguinato né l'abito, né le mani, scioltomi co' denti il fazzoletto dal braccio e non provatone piú dolore, mi venne la pazza voglia puerile di rientrare al Teatro, e nel palco donde avea preso le mosse. Tosto entrando fui interrogato dal principe di Masserano, perché io mi fossi scagliato cosà pazzamente fuori del suo palco, e dove fossi stato. Vedendo che non aveano udito nulla del breve diverbio seguito fuori del loro palco, dissi che mi era sovvenuto a un tratto di dover parlar con qualcuno, e che perciò era uscito cosÃ: né altro dissi. Ma per quanto mi volessi far forza, il mio animo trovavasi pure in una estrema agitazione, pensando qual potesse essere il seguito di un tal affare, e tutti i danni che stavano per accadere all'amata mia donna. Onde dopo un quarticello me n'andai, non sapendo quel che farei di me. Uscito dal Teatro mi venne in pensiero (già che quella ferita non m'impediva di camminare) di portarmi in casa d'una cognata della mia donna, la quale ci secondava, e in casa di cui ci eramo anche veduti qualche volta.
Opportunissimo riuscà quel mio accidentale pensiero, poiché entrando in camera di quella signora il primo oggetto che mi si presentò agli occhi, fu la stessa stessissima donna mia. Ad una vista sÃ, inaspettata, ed in tanto e sà diverso tumulto di affetti, io m'ebbi quasi a svenire. Tosto ebbi da lei pienissimo schiarimento del fatto, come pareva dover essere stato; ma non come egli era in effetto; che la verità poi mi era dal mio destino riserbata a sapersi per tutt'altro mezzo. Ella dunque mi disse, che il marito sin dal primo mio viaggio in villa n'avea avuta la certezza, dalla persona in fuori; avendo egli saputo soltanto che qualcun c'era stato, ma nessuno mi avea conosciuto. Egli avea appurato, che era stato lasciato un cavallo tutta la notte in tale albergo, tal giorno, e ripigliato poi in tal ora da persona che largamente avea pagato, né articolato una sola parola. Perciò all'occasione di questa seconda rivista, avea segretamente appostato alcun suo familiare perché vegliasse, spiasse, ed a puntino poi lunedà sera al suo ritorno gli desse buon conto d'ogni cosa. Egli era partito la domenica il giorno, per Londra; ed io come dissi, la domenica al tardi di Londra per la villa sua, dove era giunto a piedi su l'imbrunire. La spia (o uno o piú ch'ei si fossero), mi vide traversare il cimitero del luogo, accostarmi alla porticella del parco, e non potendola aprire, accavalciarne gli stecconi di cinta. Cosà poi m'avea visto uscire su l'alba, ed avviarmi a piedi su la strada maestra verso Londra. Nessuno si era attentato né di mostrarmisi pure, non che di dirmi nulla; forse perché vedendomi venire in aria risoluta con la spada sotto il braccio, e non ci avendo essi interesse proprio, gli spassionati non si pareggiando mai cogli innamorati, pensarono esser meglio di lasciarmi andare a buon viaggio. Ma certo si è, che se all'entrare o all'uscire a quel modo ladronesco dal parco, mi avessero voluto in due o tre arrestare, la cosa si riducea per me a mal partito; poiché se tentava fuggire, avea aspetto di ladro, se attaccarli o difendermi, aveva aspetto di assassino: ed in me stesso io era ben risoluto di non mi lasciar prender vivo. Onde bisognava subito menar la spada, ed in quel paese di savie e non mai deluse leggi queste cose hanno immancabilmente severissimo gastigo. Inorridisco anche adesso, scrivendolo: ma punto non titubava io nell'atto d'espormivi. Il marito dunque nel ritornare il lunedà giorno in villa, già dallo stesso mio postiglione, che alle due miglia di là mi avea aspettato tutta notte, gli venne raccontato il fatto come cosa insolita, e dal ritratto che gli avea fatto di mia statura, forme, e capelli, egli mi avea benissimo riconosciuto. Giunto poi a casa sua, ed avuto il referto della sua gente, ottenne al fine la tanto desiderata certezza dei danni suoi.
Ma qui, nel descrivere gli effetti stranissimi di una gelosia inglese, la gelosia italiana si vede costretta di ridere, cotanto son diverse le passioni nei diversi caratteri e climi, e massime sotto diversissime leggi. Ogni lettore italiano qui sta aspettando pugnali, veleni, battiture, o almeno carcerazion della moglie, e simili ben giuste smanie. Nulla di questo. L'inglese marito, ancorché assaissimo al modo suo adorasse la moglie, non perdé il tempo in invettive, in minacce, in querele. Subito la raffrontò con quei testimoni di vista, che facilmente la convinsero del fatto innegabile. Venuta la mattina del martedÃ, il marito non celò alla moglie, ch'egli già da quel punto non la tenea piú per sua, e che ben tosto il divorzio legittimo lo libererebbe di lei. Aggiunse, che non gli bastando il divorzio, voleva anche che io scontassi amaramente l'oltraggio fattogli; ch'egli in quel giorno ripartirebbe per Londra, dove mi troverebbe senz'altro. Allora essa immediatamente per mezzo di un qualche suo affidato mi avea segretamente scritto, e spedito l'avviso di quanto seguiva. Il messaggiere, largamente pagato, avea quasi che ammazzato il cavallo venendo a tutt'andare in meno di du' ore a Londra, e certamente vi giunse forse un'ora prima che non giungesse il marito. Ma per mia somma fortuna, non avendomi piú trovato in casa né il messaggiero, né il marito, io non fui avvisato di nulla, ed il marito vedendomi uscito, s'immaginò ed indovinò ch'io fossi al Teatro Italiano; e là , come io narrai, mi trovò. La fortuna in quest'accidente mi fece due sommi benefici: che io non mi fossi slogato il braccio destro in vece del manco; e ch'io non ricevessi quella lettera dell'amata donna, se non se dopo l'incontro. Non so se non avrei in qualche parte forse operato men bene, ove l'una di queste due cose mi fosse accaduta. Ma intanto, partito appena il marito per Londra, per altra via era anche partita la moglie, e venuta direttamente a Londra in casa di quella sua cognata, che non molto lontana abitava dalla casa del suo marito; quivi già avea saputo che il marito meno d'un'ora prima era tornato a casa in un fiacre; dal quale slanciatosi dentro si era chiuso in camera, senza voler né vedere né favellare con chi che si fosse di casa. Onde essa tenea per fermo ch'egli mi avesse contrato ed ucciso. Tutta questa narrazione a pezzi e bocconi mi veniva fatta da lei; interrotta, come si può credere, dall'immensa agitazione dei sà diversi affetti che ambedue ci travagliavano. Ma per allora però, il fine di tutto questo schiarimento scioglievasi in una felicità per noi inaspettata e quasi incredibile; poiché, atteso l'imminente inevitabil divorzio, io mi trovava nell'impegno (e null'altro bramava) di sottentrare ai lacci coniugali ch'ella stava per rompere. Ebro di un tal pensiero, quasi non mi ricordava piú punto della mia ferituccia; ma in somma poi, alcune ore dopo, visitatomi il braccio in presenza dell'amata donna, si trovò la pelle scalfitta in lungo, e molto sangue raggrumato nei pieghi della camicia, senz'altro danno. Medicato il braccio, ebbi la giovenile curiosità di visitare anche la mia spada, e la trovai, dalle gran ribattiture di colpi fatte dall'avversario, ridotta dai due terzi in giú della lama a guisa d'una sega addentellatissima; e la conservai poi quasi trofeo per piú anni in appresso. Separatomi finalmente in quella notte del martedà assai inoltrata dalla mia donna, non volli tornare a casa mia senza passare dal marchese Caraccioli, per informarlo d'ogni cosa. Ed egli pure, dal modo in cui avea saputo il fatto in confuso, mi tenea fermamente per ucciso, e che fossi rimasto nel parco, che verso la mezz'ora di notte suol chiudersi. Come risuscitato dunque mi accolse, ed abbracciò caldamente, ed in vari discorsi si passarono ancora forse du' altre ore piú della notte; talché arrivai a casa quasi al giorno. Corcatomi dopo tante e sà strane peripezie d'un sol giorno, non ho dormito mai d'un sonno piú tenace e piú dolce.
CAPITOLO UNDECIMO
Disinganno orribile.
Ecco intanto a puntino come erano veramente accadute le cose del giorno dianzi. Il fidato mio Elia, avendo veduto arrivare quel messaggiero col cavallo fradicio di sudore e trafelatissimo, e che tanto e poi tanto gli avea raccomandato di farmi avere immediatamente quella lettera, era subito uscito per rintracciarmi; e cercatomi prima dal principe di Masserano dove mi credeva esser ito, poi dal Caraccioli, che abitavano a piú miglia di distanza, avea cosà consumato piú ore; finalmente riaccostandosi verso casa mia che era in Suffolk street, vicinissima all'Haymarket dov'è il Teatro dell'Opera Italiana, gli venne in capo di veder se io ci fossi; benché non lo credesse, atteso che avea tuttora il braccio slogato fasciato al collo. Appena entrato egli al teatro, e chiesto di me a que' custodi dei palchi che benissimo mi conoscevano, gli fu detto che un dieci minuti prima era uscito con tal persona, che era venuta a cercarmi espressamente nel palco dov'io era. Elia sapeva benissimo (benché non lo sapesse da me) quel mio disperato amore; onde udito appena il nome della persona che mi era venuta cercare, e combinato la lettera di donde veniva, subito entrò in chiaro di ogni cosa. Allora Elia, sapendo benissimo quanto mal destro spadaccino io mi fossi, ed inoltre vedendomi impedito il braccio sinistro, mi reputò anch'egli certamente per un uomo morto; e subito corse al Parco San Giacomo, ma non essendosi rivolto verso il Greenpark, non ci rinvenne; intanto annottò; ed egli fu costretto di uscir del parco, come ogni altra persona. Non sapendo che si fare per venir in chiaro della mia sorte, si avviò verso la casa del marito, credendo quivi poter raccapezzare qualcosa; e forse avendo egli azzeccato cavalli migliori al suo fiacre, che non erano stati quelli del marito; o che questi forse in quel frattempo fosse andato in qualch'altro luogo; fatto si è, che Elia si combinò di arrivar egli nel suo fiacre vicino alla porta del marito, nel punto istesso in cui esso marito era giunto a casa sua; e l'avea benissimo veduto ritornare colla spada, e slanciarsi in casa, e far chiuder la porta subito, ed in aspetto e modi molto turbati. Sempre piú si confermò Elia nel sospetto ch'egli m'avesse ucciso, e non potendo piú far altro, era corso dal Caraccioli, e gli avea dato cont...
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