DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE, di Vittorio Alfieri - pagina 1
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VIRTUS, ET SUMMA POTESTAS
NON COEUNT.
LUCANO, LIBRO VII.
VERSO 444.
DEL PRINCIPE
E
DELLE LETTERE
LIBRI TRE
DI VITTORIO ALFIERI
DA ASTI.
Secordiam eorum inridere libet, qui presenti potentia
credunt extingui posse etiam sequentis ævi memoriam.
TACITO, ANNALI, LIBRO IV.
DALLA TIPOGRAFIA DI KEHL
CO' CARATTERI DI BASKERVILLE.
MDCCXCV.
TAVOLA DEI CAPITOLI
LIBRO PRIMO.
Ai principi che non proteggono le lettere.
Se il principe debba protegger le lettere.
CAPITOLO SECONDO.
Cosa sia il principe.
CAPITOLO QUARTO.
Qual fine si proponga il principe, e quale le lettere.
CAPITOLO QUINTO.
In qual modo i letterati protetti giovino al principe.
Che i letterati negletti arrecano discredito al principe.
Che i letterati perseguitati riescono d'infamia e danno al principe.
CAPITOLO OTTAVO.
Che il principe, quanto a se stesso, dee poco temere chi legge, e nulla chi scrive.
CAPITOLO NONO.
Che gioverebbe al principe di estirpar le lettere affatto, potendo.
CAPITOLO DECIMO.
Non potendo il principe estirpare affatto le lettere, gli giova parerne il rimuneratore, e l'appoggio.
CAPITOLO UNDECIMO.
Quai premj giovi più al principe di dare ai letterati.
CAPITOLO DUODECIMO.
Conclusione del primo libro.
LIBRO SECONDO.
Ai pochi letterati che non si lasciano proteggere.
CAPITOLO PRIMO.
Se i letterati debbano lasciarsi protegger dai principi.
CAPITOLO SECONDO.
Se le lettere, che sembrano inseparabili dai costumi corrotti, ne siano la cagione, o l'effetto.
CAPITOLO TERZO.
Che le lettere nascono da se, ma sembrano abbisognare di protezione al perfezionarsi.
CAPITOLO QUARTO.
Come, e fin dove, gli uomini sommi possano assoggettarsi agli infimi.
CAPITOLO QUINTO.
Differenza totale che passa, quanto alla protezion principesca, fra i letterati e gli artisti.
CAPITOLO SESTO.
Che il lustro momentaneo si può ottenere per via dei potenti; ma il vero ed eterno, dal solo valore.
CAPITOLO SETTIMO.
Quanto sia importante, che il letterato stimi con ragione se stesso.
CAPITOLO OTTAVO.
Qual sia maggior cosa; o un grande scrittore, o un principe grande.
CAPITOLO NONO.
Se sia vero, che le lettere debbano maggiormente prosperare nel principato che nella repubblica.
CAPITOLO DECIMO.
Quanto il letterato è maggiore del principe, altrettanto diviene egli minore del principe e di se stesso, lasciandosene proteggere.
CAPITOLO UNDECIMO.
Che tutti i premj principeschi avviliscono i letterati,
CAPITOLO DUODECIMO.
Quai premj avviliscano meno i letterati.
CAPITOLO DECIMOTERZO.
Conclusione del secondo libro.
LIBRO TERZO.
All'ombre degli antichi liberi scrittori.
CAPITOLO PRIMO.
Introduzione al terzo libro.
CAPITOLO SECONDO.
Se le lettere possano nascere, sussistere, e perfezionarsi, senza protezione.
CAPITOLO TERZO.
Differenza tra le belle lettere e le scienze, quanto al sussistere e perfezionarsi senza protezione.
CAPITOLO QUARTO.
CAPITOLO QUINTO.
Dei capi-setta religiosi; e dei santi e martiri.
CAPITOLO SESTO.
Dell'impulso naturale.
CAPITOLO SETTIMO.
Dell'impulso artificiale.
CAPITOLO OTTAVO.
Come, e da chi si possano coltivare le vere lettere nel principato.
CAPITOLO NONO.
Quale riuscirebbe un nuovo secolo letterario, che, sfuggito non meno alla protezione che alla persecuzione di ogni principe, non venisse quindi a contaminarsi col nome di nessuno di essi.
CAPITOLO DECIMO.
Che da tali nuove lettere nascerebbero a poco a poco dei nuovi popoli.
CAPITOLO UNDECIMO.
Esortazione a liberar la Italia dai barbari.
CAPITOLO DUODECIMO.
Ricapitolazione dei tre libri, e conclusione dell'opera.
PREFAZIONE.
PAREAMI, in sogno, al sacro monte in cima
Venir per l'aure a voi sovr'ali snelle
Fra il coro delle vergini sorelle,
Per cui l'uom tanto il viver suo sublima,
Quì t'abbiam tratto, (a me dicea la prima)
Non perchè invan del tuo volar ti abbelle,
Ma perchè appien, quanto il saprai, scancelle
Un rio volgar parer, che mal ci estima.
Sia malizia, o ignoranza, o sia viltade,
Giove per padre ognun ci da; ma tace,
Che vera madre nostra è Libertade.
Tu vanne, e dillo, espertamente audace,
In suon sì forte, che in più maschia etade
Vaglia a destar chi muto schiavo or giace.
DEL PRINCIPE
E
DELLE LETTERE
LIBRO PRIMO
AI PRINCIPI, CHE NON PROTEGGONO LE LETTERE.
La forza governa il mondo, (pur troppo!) e non il sapere: perciò chi lo regge, può e suole essere ignorante.
Il principe dunque che protegge le lettere, per mera vanità e per ambizioso lusso le protegge.
Si sa, che le imprese mediocri vengono a parer grandi in bocca degli eccellenti scrittori; quindi, chi grande non è per se stesso, ottimamente fa di cercare chi grande lo renda.
Ma, tutti gli uomini buoni si debbono bensì dolere, e non poco, che queste penne mendaci si trovino, ed anche a vil prezzo; e che spesso i più rari ed alti ingegni si prostituiscano a dar fama ai più infimi; e che, in somma, tentando d'ingannare i posteri, gli scrittori disonorino la loro arte e se stessi.
Principi, che non proteggete le lettere, a voi indirizzo questo primo mio libro, che specialmente tratta dell'aderenza principesca coi letterati.
A dedicarvelo mi trae una vera e piena gratitudine: poichè, non corrompendo voi scrittori di specie nessuna, schiettamente pervenite a mostrarvi tali appunto quai siete, sì alle presenti, che alle future età; se quelle pur mai nominare vi udranno.
CAPITOLO PRIMO.
SE IL PRINCIPE DEBBA PROTEGGER LE LETTERE.
Protezione, onori, incoraggimenti, mercede; odo per ogni parte gridare dalla ingorda turba, che delle sacre lettere (come d'ogni più rea cosa) vuol traffico fare e guadagno.
Ma, che altro per lo più da queste grida ridonda, se non la viltà del chiedere e l'obbrobrio delle ripulse?
Risponde il principe: Che i letterati sono inutili al ben pubblico (il quale da lui vien tutto riposto in se stesso); che riescono talvolta dannosi e nocivi alla perfetta obbedienza, come indagatori di cose che debbono rimanere nascoste; e che ad ogni modo sono i letterati più assai da temersi che non da pregiarsi.
Io mi propongo di trattare profondamente, per quanto il saprò, queste politiche questioni qui accennate.
E da prima, investendomi io, per quanto il potrò, del pensare del principe, anderò investigando in questo primo libro le ragioni che militano in lui a favore e contro alle lettere; e se debba egli quindi proteggerle, o no.
CAPITOLO SECONDO.
COSA SIA IL PRINCIPE.
Ma, prima d'ogni altra cosa, per intendersi, e spiegarsi, mi par necessario il definire esattamente le due parole, che saranno per così dire il continuo perno di questo trattato.
E, dovendo io definire cosa intender si voglia per principe; dico, che ai tempi nostri la parola PRINCIPE importa: Colui, che può ciò che vuole, e vuole ciò che più gli piace; nè del suo operare rende ragione a persona; nè v'è chi dal suo volere il diparta, nè chi al suo potere e volere vaglia ad opporsi.
Costui, che in mezzo agli uomini sta come starebbe un leone fra un branco di pecore, non ha legami con la società, se non quelli di padrone a schiavo; non ha superiori, nè eguali, nè parenti, nè amici; e, benchè abbia egli per inimico l'universale, le forze tuttavia sono tanto dispari stante l'opinione, che si può anche asserire che egli non abbia nemici.
Costui non si crede di una stessa specie che gli altri uomini; e veramente troppo diverso dee credersi, poichè gli altri tutti, che hanno pure (quanto all'apparenza almeno) e faccia e atti e intendimento umano, soggiacciono a lui ciecamente, e nell'obbedirlo fan fede ad un tempo e della loro inferiorità, e della di lui maggioranza.
Costui, per lo più poco avvezzo a ragionare, e molto meno a pensare, non conosce e non prezza altra distinzione fra gli uomini, che la maggior forza: e non la forza di corpo, (che egli per se non ne ha niuna) ma la forza che sta nella opinione dei molti uomini esecutori venduti delle principesche volontà.
Il principe vede soggiacere a lui qualunque merito, qualunque dottrina, qualunque virtù, che in eminente grado distinguano l'un uomo dall'altro: il dotto non meno che l'ignorante, il coraggioso non men che il codardo, il fortissimo non men che il più debole; tutti egualmente egli vede tremare di lui: quindi, senza sforzo veruno d'ingegno, il principe fra se stesso conchiude, (e ottimamente conchiude) che l'uomo veramente sommo è quel solo, che comanda e atterrisce un maggior numero d'altri uomini.
Posato questo principio, giustissimo nel capo di chi regna, verrà dunque il principe a stimare se stesso sopra ogni cosa, e ad accarezzare, e proteggere infra il suo branco quei soli che più l'obbediscono, e che più s'immedesimano nelle di lui opinioni.
CAPITOLO TERZO.
COSA SIANO LE LETTERE.
Ma, che sono elle le vere lettere? Difficilissimo è il ben definirle: ma per certo elle sono una cosa contraria affatto alla indole, ingegno, capacità, occupazioni, e desiderj del principe: e in fatti nessun principe non fu mai vero letterato, nè lo può essere.
Or dunque, come può egli ragionevolmente proteggere, e favorire una sì alta cosa, di cui, per non esserne egli capace, difficilissimamente può farsi egli giudice? E se giudice competente non ne può essere, come mai rimuneratore illuminato può farsene? per giudizio d'altri.
E di chi? di chi gli sta intorno.
E chi gli sta intorno?
Se le lettere sono l'arte d'insegnar dilettando, e di commuovere, coltivare, e bene indirizzare gli umani affetti; come mai il toccare ben addentro le vere passioni, lo sviluppare il cuore dell'uomo, l'indurlo al bene, il distornarlo dal male, l'ingrandir le sue idee, il riempirlo di nobile ed utile entusiasmo, l'inspirargli un bollente amore di gloria verace, il fargli conoscere i suoi sacri diritti; e mille e mille altre cose, che tutte pur sono di ragione delle sane e vere lettere; come mai potranno elle un tale effetto operare sotto gli auspicj di un principe? e come le incoraggirà a produrlo, il principe stesso?
L'indole predominante nelle opere d'ingegno nate nel principato, dovrà dunque necessariamente essere assai più la eleganza del dire, che non la sublimità e forza del pensare.
Quindi, le verità importanti, timidamente accennate appena qua e là, e velate anche molto, infra le adulazioni e l'errore vi appariranno quasi naufraghe.
Quindi è, che i sommi letterati (la di cui grandezza io misuro soltanto dal maggior utile che arrecassero agli uomini) non sono stati mai pianta di principato.
La libertà li fa nascere, l'indipendenza gli educa, il non temer li fa grandi; e il non essere mai stati protetti, rende i loro scritti poi utili alla più lontana posterità, e cara e venerata la loro memoria.
Fra i letterati di principe saranno dunque da annoverarsi Orazio, Virgilio, Ovidio, Tibullo, Ariosto, Tasso, Racine, e molti altri moderni, che sempre temono che il lettore troppo senta quando vien loro fatto di toccare altre passioni che l'amore.
Ma, que' tuoni di verità, i quali, perchè pajono forse meno eleganti, sono assai meno letti, e che essendo più maschi, più veritieri, incalzanti, e feroci, sono assai meno sentiti dall'universale, perchè appunto fan troppo sentire; quelli non sono mai di ragione di principe.
Tali in alcuna o in tutte le parti sono, per esempio: Demostene, Tucidide, Eschilo, Sofocle, Euripide, Cicerone, Lucrezio, Sallustio, Tacito, Giovenale, Dante, Machiavelli, Bayle, Montesquieu, Milton, Locke, Robertson, Hume, e tanti altri scrittori del vero, che se tutti non nacquero liberi, indipendenti vissero almeno, e non protetti da nessuno.
CAPITOLO QUARTO.
QUAL FINE SI PROPONGA IL PRINCIPE, E QUALE LE LETTERE.
Se comunanza può esservi, amistà, concordia, e legami fra gli uomini, la parità del fine che si propongono, e la reciprocità d'interesse, li generano sole e mantengono.
Ma, che pari siano il fine e l'interesse del principe, e quelli del vero letterato, chi asserirlo ardirebbe? Vuole, e dee volere il principe, che siano ciechi, ignoranti, avviliti, ingannati ed oppressi i suoi sudditi; perchè, se altro essi fossero, immediatamente cesserebbe egli di esistere.
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