[Pagina precedente]...tuna di nascere in paesi liberi, di poco altro abbisognano che di essere lasciati fare; ma, se nati sono (come i due ultimi) in terra di servitù, facilmente saranno dalla civile e religiosa potenza perseguitati e impediti più assai che protetti; e in fatti, perseguitati e impediti furono questi due ultimi.
Lo inventare dunque sistemi nella scienza dell'universo soggiace in tutto alle stesse vicende, a cui soggiace lo scoprimento delle proibite morali verità : ma il semplice aggiungere alcuna cosa ai già scoperti e dimostrati sistemi, e il far progredire le scienze, principalmente nella natura dei corpi a parte a parte pigliandoli, in tutto soggiace alle vicende annesse al coltivare le verità non offendenti l'assoluto potere, come quelle che in nulla influiscono sopra lo stato politico, e in nulla migliorano la proibita scienza del cuore dell'uomo.
CAPITOLO QUARTO.
SE ABBIA GIOVATO MAGGIORMENTE LA PERFEZIONE DELLE SCIENTE AI POPOLI SERVI MODERNI, O LA PERFEZIONE DELLE LETTERE AI LIBERI ANTICHI.
Paragonate ho fin quì le lettere e le scienze fra loro nella origine, cagioni, mezzi, e vicende: mi resta ora a paragonarle nei loro diversi effetti. Da questi principalmente potrà ogni uomo tra l'une e l'altre giudicare quali più importanti siano ed utili; e quali, sotto un tale aspetto, debbano necessariamente più apprezzarsi dagli uomini, e meno temersi dai principi.
Dalla dottrina di Euclide e di Archimede, ne risultava quasi perfezionata la geometria sublime. Ma la geometria triviale e la più necessaria (cioè le primitive leggi delle linee) era già ben conosciuta da tutte le nazioni anche barbare, senza ch'elle ne sapessero pure il nome. Così ai nostri tempi, i popoli i più idioti e rozzi fabbricano pure tuttavia e case, e tetti, e carri, ed aratri, ed ogni altra stromento di prima necessità ; geometri in ciò, senza punto avvedersene. Da quei grandissimi abbiamo noi dunque ricevuto la geometria sublime, che d'ogni altra scienza è base e radice. Per mezzo di essa si ebbe poi la misura dei pianeti, se ne calcolarono i moti, e le cagioni di tai moti furono assoggettate a inalterabili leggi dall'ingegno dell'uomo, che certo più oltre giungere non potea. Quindi la perfezione di tante arti minori; la navigazione spinta alle estremità tutte del globo, e i limiti di esso trovati angusti dalla moderna cupidigia: quindi la Fisica e la Storia naturale così maravigliosamente ampliate. Cose tutte in vero grandiose, e per cui, i Romani, credutisi signori del mondo, assai piccioli si troverebbero se potessero ora convincersi co' loro occhi qual menoma parte di questo globo occuparono, e qual minima parte dell'universo è dimostrato essere questo globo stesso dalla investigazione rettificata della universale armonia dei corpi celesti. Gran pascolo alla insaziabile umana curiosità ; la quale pure, per quanto ai fonti della verità si disseti, vede e tocca ogni giorno con mano, che quanto più si sa, più ne rimane a sapersi. Che se le leggi dei moti dei corpi, scoperte e dimostrate, lusingano pur tanto la superbia dell'uomo, la ignota cagione di esse leggi, e la sola terrestre generazione delle piante e degli animali, nascoste entrambe negli arcani di una profondissima notte, assai più lo lasciano avvilito e scontento.
Risulta dunque dalle scienze perfezionate questo immenso umano sapere; a cui nondimeno, affinchè il tutto si sappia, rimane assai più strada da farsi che non se n'è fatta. E da questo sapere, qual ch'egli sia, risulta ai moderni popoli l'utile dimostrato della navigazione e del commercio, in cui superano pur tanto gli antichi. Ma, dalla navigazione e dal commercio ci derivano ad un tempo le infinite arti superflue, lo sterminato lusso, e i tanti infami suoi figli, per cui siamo in ogni politica e morale virtù inferiori di tanto agli antichi. Nè da questa universale perfezione delle scienze mi pare che le umane società ne abbiano in quasi nulla ricevuto la perfetta o maggiore utilità delle necessarie instituzioni. Dalla meccanica più raffinata, e quindi dalla perfezione dei rurali strumenti, L'AGRICOLTURA, quell'arte necessaria e divina che la base è di tutte, non ha perciò ricevuto quell'accrescimento che ella promettere parea: e perchè? perchè migliori erano le generose braccia di un libero agricoltore con un pessimo aratro, che non con un ottimo le vili braccia di un mal pasciuto schiavo. Ed in fatti, in queste nostre scienziate e serve regioni, si vede per lo più la stessa quantità di terrà nutrire un assai minor numero di uomini, che non ne nutriva fra le antiche poco scienziate, ma libere.
Dalla Fisica rettificata e ampliata, dalla Botanica così immensamente estesa, dalla Anatomia perfezionata, dalla Chimica tanto insuperbita, e da tante altre simili scienze, LA MEDICINA, che è la seconda arte necessaria ai corpi umani, non ne ha per ciò ricevuto dimostrabile accrescimento di utilità . Moltiplicati sono i libri, ed i medici, ed i malori; ma le mortalità sono pur sempre o le stesse, o maggiori; niente di più, o forse men lungamente, si vive fra noi popoli dotti moderni, che fra i rozzissimi antichi; e dopo un lungo ragionare, osservate, e scrivere; dopo la stessa circolazione del sangue scoperta e dimostrata; bisogna pure con certezza d'imparziale giudizio venirne a conchiudere, che la poca scienza medica possibile a dimostrarsi, stava già quasi tutta nel libriccino di Ippocrate. LA CHIRURGIA pare aver fatto molti più progressi; e certamente gli ha fatti sopra i tempi barbari di mezzo infra i Romani e noi; tempi in cui ogni scienza ed arte perduta si era: ma come sappiamo noi se bene o male operassero gli antichi chirurgi delle colte nazioni? Ogni giorno, con lo scoprimento di inscrizioni, o di pitture, o di instrumenti, o di altro, ci disingannano gli antiquarj su le invenzioni di molte cose moderne, che privativamente ci andavamo attribuendo.
Ed ecco, a un di presso, gli utili divini effetti che le scienze, di tanto accresciute, hanno recato ai moderni popoli. Esaminiamo ora gli effetti, che hanno arrecato le lettere ai popoli liberi antichi; e fra loro paragonandoli, poniamo in chiaro, se maggiormente giovassero a quelli le lettere, o a noi le scienze; e così, se più nuocesse a quelli la ignoranza nelle scienze, o a noi il deviamento delle lettere.
Atene, tal ch'ella fu colla sua sublimità e con i suoi difetti; Atene madre d'ogni sforzo di politica virtù, madre di un così bel vivere e libero e civile; Atene in gran parte era pur tale creata da Solone. E Solone, non uomo scienziato, ma letterato era e filosofo; e il cuor dell'uomo profondamente studiato e conosciuto avea, più assai che le leggi dei corpi. Ma, Solone, in un tale e sì importante studio, quanto non avrà egli imparato da Omero profondo conoscitore, descrittore, e commovitore sovrano di tutte le umane passioni ed affetti? E Socrate quindi, e Platone, e Aristotile, e Sofocle, ed Euripide, e Demostene, e Tucidide, e Pindaro, e tutti in somma i sublimi filosofi e letterati di Grecia, figli essi stessi di libertà e dì virtù, non furono poscia costoro in ogni tempo, a chi ben li lesse e sentì, un possente stimolo un irresistibile incentivo al praticare, amare, e difendere la libertà e la virtù? Ed ogni bel vivere civile, ogni virtuoso sforzo dell'uomo, ogni vera e durevole felicità , ogni importante superiorità di un popolo su l'altro; queste cose tutte, non sono elle nate pur sempre da libertà e da virtù? e non sono elle sempre sparite all'apparire della schiavitù, e dei vizj che di necessità ne derivano?
Veniamo ora a Sparta. Quella sua maschia feroce virtù e libertà , che sì lungamente durò con maraviglia dei Greci stessi, avvezzi pure a raccogliere il frutto delle ben fatte e ben osservate leggi; quella sublime Sparta, non era ella interamente figlia di Licurgo? E Licurgo, quale altra scienza coltivò mai nè conobbe, fuorchè quella del cuore dell'uomo, e del retto? Che se Sparta in appresso non volle ammettere letterati nessuni, ciò fu, perchè inutili affatto i veri letterati riuscivano là dove le severe leggi accendendo i cittadini a virtù, insegnamento era e diletto il praticarla a gara con sovrannaturale furore; e perchè i falsi letterati sussistere non poteano certamente là dove regnava la sola vera virtù. Ma i poeti nondimeno, come caldissimi ed efficacissimi encomiatori di virtù, o nascevano a Sparta, o vi erano accolti e ascoltati, ancorchè stranieri. Tirtéo, e le sue maschie odi militari, ne fanno prova. Oratori avea Sparta pur anche, e di ben altro nerbo forse, che Atene; appunto, perchè a più maschi risentiti animi più forte e men lungo parlare abbisognasi. Non avea Sparta, no, di quegli oratori e poeti, da' quali più assai diletto che utile traendo si vada: e a ben costituita repubblica, non solamente necessarj costoro non sono, ma potrebbero anzi più nuocerle assai che giovarle, perchè in un tal governo il maggior diletto vien giustamente riposto nel sempre e bene operare; ed il molto leggere non si scompagna mai dallo starsi. Quanto alle scienze, Sparta nè i nomi pur ne conobbe.
Roma, se non per istituzioni e virtù, per vicende e grandezza almeno, assai più illustre di Sparta e di Atene; Roma, ricevea pure l'impulso alla virtù militare che mai non perdette, da Romolo; alle civili e religiose virtù, da Numa; alla libertà e grandezza, da Bruto. E Bruto, e Numa, e Romolo stesso, erano, sovra ogni cosa, conoscitori profondi, e scaltri commovitori del cuore umano e delle sue tante passioni: ciò viene a dire, che costoro, in altre circostanze trovatisi, sommi scrittori si sarebbero fatti. A pochi uomini concede il destino di poter operare, e di giovare al pubblico in atto pratico col presente lor senno. Quindi, se alcuni di quei pochi a ciò atti, ed a ciò non eletti, si trovano dalle loro circostanze impediti d'operare, questi colla lor penna insegnano agli altri ciò ch'essi eseguir non potevano; alle vacillanti pubbliche virtù soccorrono con dilettevoli ajuti; ovvero al vizio già trionfante ed in trono, muovono essi quella virtuosa guerra di verità , che sola può, smascherandolo, felicemente combatterlo, e col tempo distruggerlo. Sono questi a parer mio i veri, anzi i soli scrittori; e i più perfetti reputo tra i loro libri, quelli che maggiormente un tale effetto producono. Onde, dividendo io questa stessa classe di uomini sommamente capaci a commuovere e guidarne molti altri, in letterati attori, e in letterati scrittori; osservo che Roma, nel fiore e nerbo della sua libertà , moltissimi dei primi ne annovera; e sono, gli Orazj, gli Scevoli, gli Emilj, gli Attilj, e Regoli, e Scipioni, e Decj, e Catoni; e quei tanti altri in somma, grandissimi tutti, bollenti a gara d'amor di virtù, di libertà , e di gloria; tre sacre faville, onde si dee comporre ed incendere l'animo di ogni grande, e massimamente quello del vero e sublime scrittore. Ma di letterati scrittori incominciò poscia ad abbondar Roma nel suo primo decrescere; cioè in proporzione che scemando andavano i letterati attori; e così avvenir pur dovea; poichè, per la nascente corruzione, diveniva necessario il predicare e l'insegnar la virtù non meno con la voce e co' scritti, che con l'esempio. Quindi fra i più antichi grandi scrittori di Roma, alcuni dei massimi, come Catone e Cicerone, riunirono in loro stessi le due divine parti dell'alto operare e dell'altamente dire: ma divenendo poi di giorno in giorno più difficile e pericolosa cosa il praticare non meno che l'inculcare la virtù, gli scrittori romani da Augusto in poi si assomigliarono pressochè tutti in ogni cosa agli scrittori nostri moderni; che la virtù nè praticare omai sanno, nè inculcarla si attentano. Il frutto dunque delle scienze, nei nostri principati perfezionate e promosse, siam noi moderne nazioni; in ogni arte dottissime, fuorchè nel libero, sublime, e necessario esercizio dei dritti i più sacri dell'uomo. Ma delle antiche e vere lettere, non distornate dal loro caldo ed unico fine, di render gli uomini sotto ogni aspetto migliori, erano il nobil frutto le antiche, libere, ed illustr...
[Pagina successiva]