[Pagina precedente]...stare gli studj. Non è dunque scusabile mai, nè merita gloria quell'uomo, che sprezzatore si fa della propria arte. E si avverta, che le Muse sdegnose non sublimano mai sovra gli altri colui, che non le apprezza e sublima sopra ogni cosa.
Dolce e grandioso spettacolo sarebbe stato, se Atene, in vece di uccidere Socrate, lo avesse fatto sedere pubblicamente in mezzo agli arconti, senza esserlo: così, se gl'Inglesi avessero a Locke e a Milton assegnato luogo in parlamento, senza formalità di elezione, nè esercizio di carica alcuna; ma ivi collocatili, quasi nazionali gemme, degne di rilucere tra il fiore di un colto e libero popolo. Sono questi gli onori, che per essere parte di schietta gloria, potrebbero soli desiderarsi e riceversi dai letterati, senza veruno loro minoramento.
Se io potessi insegnar precetti di cosa non degna, circa agli altri premj tutti possibili ad ottenersi dal principe, a quei letterati, che poco degni di un tal nome volessero pure ottenerne alcuno, consiglierei che accettassero quelli soltanto, i quali più dalla persona del principe allontanandoli, meno d'alquanto gli avvilirebbero. Ma, tra i premj e gli onori tutti che il principe può dare allo scrittore, il primo, il sommo, il solo che desiderare degnamente dallo scrittore si possa sia questo: "Che il principe, non togliendogli il pensare ed il dire, non approvi, non impedisca, e non legga i suoi libri."
CAPITOLO DECIMOTERZO.
CONCLUSIONE DEL SECONDO LIBRO.
Mi pare, che risulti da quanto ho detto in questo secondo libro, che i veri letterati non possono, nè debbono lasciarsi proteggere dai principi; perchè nessuno di essi ha soggiaciuto a tal protezione, senza un gravissimo scapito e delle lettere, e della propria eccellenza e fama. E parmi anche aver dimostrato, che, a eguale ingegno, lo scrittore sprotetto soverchierà il protetto, e d'assai. Ma le principali ragioni da me finora addotte, mi pajono venirsi tutte a ristringere in quest'una: "Che il principe e il letterato, e le arti loro, e il loro fine, essendo cose in tutto diverse e direttamente opposte, non si possono mai ravvicinare il protettore e il protetto, senza che il più debole vi scapiti e ceda."
Vero è, che la penna in mano di un eccellente scrittore riesce per se stessa un'arme assai più possente e terribile, e di assai più lungo effetto, che non lo possa mai essere nessuno scettro, nè brando, nelle mani d'un principe. Ma, verissimo è altresì, che la penna perde ogni sua forza natÃa, ogniqualvolta non viene impugnata da uno scrittore non meno libero ed ardito, che ingegnoso, trasportato, ed esperto nell'arte sua. Quindi è, che se il letterato ed il principe si fanno amici, il principe ne diventa tosto il più forte; ma se rimangono lontani, e nemici, quali la natura ed il vero gli han fatti, il più forte, il più terribile, il vincitor trionfante della onorevol battaglia, riuscirà pur sempre a lungo andare l'imperturbabile, impavido, e verace scrittore; ove per la illustre causa della umanità oppressa e schernita, soltanto ei combatta.
DEL PRINCIPE
E
DELLE LETTERE
LIBRO TERZO
ALLE OMBRE DEGLI ANTICHI LIBERI SCRITTORI.
Nessuno certamente di voi, onorati scrittori, che o liberi nascevate, o tali con più vostra gloria facendovi, liberamente scrivevate; nessuno di voi, certamente, crederebbe che in questi nostri tempi non solamente sorgesse la politica questione; Se le lettere possano per se stesse sussistere e perfezionarsi; ma che definitivamente dai più venisse creduto e sentenziato pel no. E, per somma disgrazia nostra, col tristo e continuo esempio degli odierni scrittori, pur troppo si va finora confermando ogni giorno nel pensiero dei più questa falsa e funestissima impossibilità .
Io perciò a voi indirizzo questo mio terzo libro, come cosa vostra del tutto; poichè da voi soli, dalla energia dell'animo e dell'opere vostre, dalla forza primitiva dei lumi con che rischiaraste i contemporanei vostri ed i posteri, io spero trarre argomenti invincibili, che mi vagliano a combattere e distruggere questo universale servile assurdo: "Che le lettere, non possono, nè perfezionarsi, nè sussistere, senza protezion principesca."
Voi dunque o Socrati, Platoni, Omeri, Demosteni, Ciceroni, Sofocli, Euripidi, Pindari, Alcéi, e tanti altri incontaminati e liberi scrittori, inspiratemi or voi, non meno che salde ragioni, virile e memorando ardimento. Quanto, necessarj mi siano, sì l'uno che l'altro, per convincere una così acciecata gente, ve lo potete argomentar da voi stessi, paragonando la presente questione a quella che ai tempi vostri si sarebbe più giustamente potuta innalzare, opposta in tutto alla nostra; e stata sarebbe: "Se le lettere, o nessuna virtuosa cosa, nascere, sussistere, e prosperare potesse nel principato."
Instrutti voi ora da me pienamente quale sia la total differenza dei tempi, piacciavi non solo di compatire a questa mia forse non meritata infelicità , del nascere servo; ma piacciavi ancora di porgermi ajuto, affinchè io uscire possa di servitù, e trarne i miei contemporanei scrittori, od i posteri. Se io ardisco pur supplicarvi di rimirarmi con benigno occhio, e di scevrarmi dalla moderna turba dei letterati, una tale audacia in me nasce soltanto dalla mia propria coscienza; che se il destino mi volle pur nato in queste moderne età , per quanto in mio potere è stato, io sono tuttavia sempre vissuto col desiderio e con la mente nelle età vostre, e fra voi.
CAPITOLO PRIMO.
INTRODUZIONE AL TERZO LIBRO.
Benchè nei due superiori libri convenuto mi sia di toccare qua e là per incidenza la quistione che ora mi propongo di trattare, SE LE LETTERE ABBISOGNINO DI PROTEZIONE, non credo io perciò di dovermi esimere dal ragionarne ora più lungamente, e profondamente per quanto il saprò. E siccome io dovrò munire il mio assunto di esempj e di prove, imploro preventivamente l'indulgenza de' miei lettori per alcune cose che mi bisognerà forse ripetere, a fine di togliere così del tutto le apparenti contraddizioni, che dai due libri antecedenti potrebbero alle volte risultare. Avendo io nel primo consigliato ai principi di proteggere le lettere al modo loro, e nel secondo, ai letterati di non sottoporle a protezione veruna, spero di conciliare in questo terzo codesti due diversi pareri. Ma certamente, ogni attento e scaltro lettore gli avrà anche già conciliati da se. Avrà osservato che nel consigliare io i principi a proteggerle, ho bastantemente accennato di quali lettere io intendessi di parlare, e di qual protezione: ed era, di quelle mezze lettere, che per essere oggimai sparse ed allignate per tutto, impedire più non si possono; lettere, che per essere elle, non già il sommo prodotto dell'umano ingegno, ma il saggio appena di esso, e che nascendo già avvilite, e inceppate, non possono mai per ricevuta protezione menomarsi. Così parimente avrà rilevato il lettore, che io nel consigliare, supplicare, e dimostrare ai letterati, che mai non debbono essi lasciarsi protegger dal principe, ho inteso di parlare soltanto a quei pochi, i quali avendo ali proprie per trarsi dalla classe volgare, se stessi e le lettere farebbero scapitare d'assai, se da vergognosa protezione invischiati rimanessero.
CAPITOLO SECONDO.
SE LE LETTERE POSSANO NASCERE, SUSSISTERE, E PERFEZIONARSI, SENZA PROTEZIONE.
Il solo titolo che promuove una sì fatta quistione, mi pare a bella prima una cosa interamente degna di riso. Egli è lo stesso per l'appunto, come il muovere quest'altra: Se sia vero che abbiano esistito e scritto, un Platone, un Cicerone, un Locke, e la lunga serie di tanti altri e Greci, e Romani, ed Inglesi sommi; i di cui libri rimanenti e palpabili immediatamente la sciolgono.
Ma la viltà moderna, che si fa riparo ed usbergo di se stessa, non osa pure, abbenchè sfacciatissima, negare che tali lettere e sì perfetti letterati senza protezione nessuna esistessero; ma ella afferma bensì, ciò non potere oramai esser più, vista la differenza dei tempi e degli uomini. Ed in prova di quanto asserisce, ne arreca gli esempj di diciotto secoli consecutivi; ed armandosi dei venerandi nomi di Virgilio, di Orazio, e degli altri dell'aureo secolo Augustano; e quindi dei nomi a noi non men cari, dell'Ariosto, Tasso, Bembo, Casa, e degli altri molti benchè inferiori posti pure a confronto co' grandi del secolo Leonino; ed in ultimo armandosi dei recenti nomi dei Corneille, Racine, Moliere, Boileau, ed altri del bel secolo gallico; a conchiudere ne viene la moderna viltà , che senza gli Augusti, i Leoni, e i Luigi, codesti sommi scrittori non sarebbero stati; e che altri simili non ne potrebbero rinascere, senza dei simili protettori.
Io discuterò da prima, se non ne potrebbero esistere dei simili a questi, senza protezione veruna; quindi, se non sarebbero molto migliori, cioè più utili, que' sommi scrittori, che in quasi nulla si assomigliassero a questi, e in quasi tutto si assomigliassero a quelli del secolo d'Atene.
E incomincio, col domandare: "Qual parte dell'ingegno e del libro di Orazio e di Virgilio era loro somministrata da Augusto?" Mi si risponde: "L'ozio, e gli agj, e quella pubblica stima, necessaria pur tanto al ben fare: e n'ebbero in oltre, i molli costumi di una splendida corte, la purità ed eleganza di un aureo sermone, che soltanto si può creare o perfezionare nelle corti." Cioè (interpreto io la parola, nelle corti) in que' tristi luoghi, dove gli uomini pel troppo desiderare e temere, nulla vagliono; dove, pel molto conoscersi ed odiarsi fra loro, e dal non ardirsi mostrare a viso scoperto il loro vicendevole dispregio, ne cavano i sottili e delicati modi di offendere, di lusingare, di chiedere, di negare, e di prendere. E questi sottili modi dappoi (perchè la tirannide, finchè non è giunta al sommo, non ritorna mai indietro) dai popoli, che nascendo dopo, nascono più schiavi ancora dei precedenti, vengono qualificati e reputati in appresso come la vera perfezione dell'eleganza del favellare.
Ecco dunque quanto può aver somministrato Augusto a Virgilio e ad Orazio. Ma poniamo, che Virgilio ed Orazio, fossero nati cavalieri romani, bastantemente provvisti dei beni di fortuna, e altamente educati, non avrebbero essi potuto senza Augusto scrivere con la stessa eleganza, e pensare qualche cosa più? Così l'Ariosto ed il Tasso, senza gli Esti, in Italia; Corneille, Racine, e Moliere, senza i Luigi, in Francia? Costoro dunque avrebbero, per se ed in se stessi, avute tutte le facoltà del loro ingegno per iscrivere, e ad un tempo tutti i mezzi che a loro venivano somministrati dai protettori; ma di più avuta ne avrebbero tutta quell'altezza d'animo che è sì necessaria al fortemente pensare, al fortemente sentire, ed al dir fortemente: e questa suole esser figlia soltanto degli indipendenti natali; e questa mai non s'impara: ma questa bensì dai protettori necessariamente si viene a togliere a chi da natura l'avesse; nè questa in somma si potrà mai da nessun protettore prestare a chi non l'avesse. Degli scrittori adunque simili a Virgilio Orazio, Ariosto, Tasso, Racine, Moliere, &cc., ne possono nei nostri, come in tutti i tempi, sussistere e fiorire senza protezione veruna, tosto che bisognosi di essa non nascono.
Ora, perchè dunque sempre gridare, che non vi sono Mecenati? che, se vi fossero..... Quanto più ragionevole grido sarebbe il dolersi, che nella classe dei ben nati ed agiati uomini non vi siano degli animi forti innestati sopra forti ed acuti ingegni: poichè chiarissima cosa è, che alto animo, libere circostanze, forte sentire, ed acuto ingegno, sono i quattro ingredienti che compongono il sublime scrittore; ma non mai la mediocrità innestata su la protezione. Ma, se pure alcuno di questi sopra nomati, avvedendosi in tempo d'avere queste quattro doti, si riscuote, e si pone all'impresa, chi può negare che quegli senza Mecenate nessuno il tutto farà ? e che tanto maggiormente il farà , che niuno protetto schiavo? Ora, perchè mai questi nobili o ricchi, e non stolti, che tanto orgoglio insultatore dispiegano nella pompa del loro servagg...
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