[Pagina precedente]...e la parola EPICO, parmi che debba importare alti eroi, alta impresa, alti effetti, altamente pensati e descritti; e qualunque di queste altezze vi manchi, io credo che l'epico cessi. Quindi il moderno epico e libero poeta, invece d'intrudere nel suo tema episodiche lodi di Augusti, o di altri principi meno possenti ancora e più vili, vi inserirà le lodi dei veri eroi, degli illustri cittadini passati; sempre o poco o nulla dei viventi parlando, per rispettare ad un tempo e l'altrui modestia e la propria. Un sì fatto poema riuscirà di assai più giovamento che nessunissima storia, appunto perchè dilettando assai più, non insegnerà niente meno: e gli uomini preferiscono sempre quell'utile che più vien misto al diletto.
Così gli scrittori che la tragedia maneggiano, potranno allora alla antica sua maestà ritornare il coturno: potranno di ben altre passioni discorrere, e ben altre destarne, e con ben altre infiammare, che col solo ed anche snervatello amoruccio.
Così la commedia imprenderà allora a combattere e porre nel dovuto ridicolo i veri vizj, e più i maggiormente dannosi. Perciò si verranno a trarre i soggetti di commedia non meno dalle stolte e superbe aule dei re, e dei loro scimmiotti, i potenti, che dalle case dei semplici ed oscuri privati. Non saranno queste tali tragedie e commedie recitate nel principato: che importa? introdotte pure vi saranno elle di furto, e tanto più lette, quanto più impedite; e approvate, e per così dire affigliate saranno dalla repubblichetta dei nobili letterati, finchè poi venga quel giorno, che in pieno teatro recitarsi potranno. E verrà quel tal giorno, perchè tutti i giorni già stati, ritornano. E allora, tanta più gloria ne riuscirà a quegli autori, quanta più n'è dovuta a chi ha saputo disprezzare la falsa glorietta del subito, ed anteposto ha di scrivere per uomini veri, ancorchè da nascere fossero, allo scrivere, degradando l'arte e se stesso, per quei mezz'uomini fra cui nato era.
Così le satire, non a mordere i privati vizj e laidezze, e molto meno a nominarne gli attori; (niun uomo vizioso meritando mai d'essere nominato da sublime scrittore) ma le satire il loro veleno tutto, ed i loro fulmini rivolgeranno unicamente a smascherare, a trafiggere, atterrare, e distruggere il pubblico vizio, da cui, come da impuro fonte, i privati tutti derivano.
Così gli oratori non intenderanno a laudar la potenza, ma la sola virtù; non al persuadere i principi a giustizia e a clemenza, ma al persuadere i popoli a cercare con più stabilità nelle sole leggi la prima, e a non abbisognar mai di quest'ultima: non al convincere e dimostrare agli uomini con ampollosità di parole, e con sottigliezza di tortuosi argomenti, che la virtù, nell'adattarsi ai tempi consiste, ma al dimostrare che ella veramente consiste nel riadattare i tempi a virtù.
Così le storie, pochissime allora saranno, e di quelle sole nazioni che di storia sian degne, e che possano servir di modello alle nostre, e d'incitamento al meritare un giorno storia elle stesse. Onde, non di vane battaglie, non di leggende di nomi di principi (nè degni pure di essere nominati) non di raggiretti di corte, non di puerili insipidi e scostumati aneddoti si intesseranno le storie; ma le vittoriose pugne di pochi liberi uomini contro innumerabili eserciti di schiavi; le generose ed utili contese fra la plebe ed i nobili; le atterrate tirannidi; i gastigati tiranni; gli alti esempj di ardire, d'amor patrio, di spregio di ricchezze, di severità nei politici costumi; le focose concioni di magistrati a popoli, e di liberi capitani a liberi soldati: fian queste allora le storie; e storico veramente sarà colui che le scrive.
Così la lirica poesia, dalle vicende di amore risalirà anche spesso a cantare altamente quelle della virtù e del coraggio. Si udiranno allora degli inni di tal forza, e una così divina fiamma spiranti, che soli basteranno a trasfigurare gli schiavi in cittadini, ed a spingergli in battaglia per crearsi una patria, e creata, difenderla. Ed odi, e canzoni si udranno di così alto dettato, che, al rendere eterni i nomi dei guerrieri estinti per la patria, varranno più assai che le statue e i bronzi: ed a premiare la vera virtù dei rimanenti liberatori della patria, le eccellenti ed eterne poesie di ben altra possanza saranno, che i fragili infamanti onori e le viziose ricchezze, con cui possono i principi pagare soltanto gli oppressori di essa.
Così finalmente, i filosofi di qualunque genere e setta, liberamente scrivendo e senza nessuno timido velo la verità , o quello che crederanno esser tale, potranno, anche ingannandosi, giovar nondimeno moltissimo: che nessuna verità mai, nè morale nè fisica, non è nata, nè può nascere e dimostrarsi, se ella dal grembo di cento errori non sorge. Ma niuno errore è mai stato, nè esser può più fatale a una società d'uomini, che quello di non cercar sempre la verità , di porre ostacoli a chi ne va in traccia, e di premiare chi la nasconde o falsifica.
Ecco dunque, quali esser potranno le lettere in questi moderni tempi, ogniqualvolta maneggiate elle vengano da liberi ingegni in terra di libertà rifugiati; e ogniqualvolta coltivate, accolte, e tacitamente propagate elle vengano da ingegni liberi, ancorchè costretti dal peso del principato. Il sublime fine, che dalle lettere così maneggiate ed accolte ne ridonderebbe col tempo, facil cosa è l'antivederlo: ne risulterebbe senza dubbio, ed in breve, la intera conoscenza e la severa pratica delle vere politiche virtù: il che chiaramente vuoi dir, LIBERTÀ.
CAPITOLO NONO
QUALE RIUSCIREBBE UN SECOLO LETTERARIO, CHE, SFUGGITO NON MENO ALLA PROTEZIONE CHE ALLA PERSECUZIONE DI OGNI PRINCIPE, NON VENISSE QUINDI A CONTAMINARSI COL NOME DI NESSUNO DI ESSI.
Grande e singolar gloria dei Greci ella è, che il loro bel secolo letterario porta il nome di secolo di Atene, e non di Pisistrato, nè di Alessandro; nè di Pericle stesso; ancorchè la moderna letteraria viltà abbia pure voluto in ciò assomigliare gli Ateniesi a se stessa, così da questo ultimo semi-tiranno di Atene intitolando quel secolo. E da ciò solo indubitabilmente nasceva la maggior perfezione delle greche lettere, e la ben altra copia d'importanti politiche e morali verità da quegli scrittori fortemente lumeggiate, e nel mondo intero poi sparse.
Ma, per qual ragione i tre seguenti secoli letterarj, in vece di intitolarsi da Roma, da Firenze, e da Parigi, si appellano da Augusto, da Leone, e da Lodovico? perchè gli scrittori di questi tre secoli scrissero veramente per li suddetti tre principi più assai che per le loro città . Mi si dirà che non avrebbero prosperato le lettere in Roma, se elle non vi fossero state protette da Augusto. Ma, di grazia, si rifletta bene a queste parole; LE LETTERE, PROTETTE DA AUGUSTO; cioè, da colui che con orribile ingratitudine e vile perfidia vendeva ad Antonio la testa del primo scrittore e filosofo, che fosse mai stato in Roma; del gran Cicerone. E in fatti, da un tal protettore argomentar si poteva quali doveano divenire sott'esso le lettere. Quale scrittore d'alto animo si sarebbe mai potuto risolvere a lasciarsi proteggere dall'uccisore di Cicerone? Ma come, volendone pure scansare la insultante protezione, ne avrebbe egli potuto sfuggire la tirannica persecuzione? col rimanersi egli sempre lontano da Augusto, e da tutti i suoi vili satelliti.
Le perfezionate lettere non sono dunque state di nessun giovamento ai latini popoli, poichè da Augusto per l'appunto comincia la loro viltà , e la decadenza fra essi di ogni sublime costume e virtù.
Mi si dirà , che in Italia pure non sarebbero risorte le lettere, se i Medici non ve le avesser protette. E questo assolutamente lo negano per me il divino Dante, Petrarca, e Boccaccio, che erano stati prima di loro, e spinta aveano al più eccellente ed alto grado la loro lingua, senz'essi. Mi si replica; che senza i Medici si perdeva affatto il latino, e non si restituiva certamente la piena intelligenza del greco all'Italia. E questo, su che potrei pur disputare, in parte lo voglio ammettere; e gran perdita sarebbe stata per l'Italia. Ma pure, da quella così gran luce di lettere latine, greche, e italiane, quale accrescimento, qual virtù, qual viver civile e libero, qual grandezza, felicità , e ricchezza di popoli, quale altezza di sensi ne scaturiva per gl'Italiani dappoi? nessuna, ch'io sappia. Poco era la fiorentina repubblica prima de' suoi medÃcei tiranni, e nulla divenne dappoi; così il rimanente d'Italia. E un vero letterato potrà egli mai intitolare e reputar veramente protettori di lettere quei Medici stessi, sotto cui il Machiavelli viveva negletto; il Galileo, impedito e perseguitato?
Di Lodovico decimoquarto non parlerò. Era costui il primo ritrovatore in Europa degli eserciti smisurati e perpetui: onde ben altro danno agli uomini moderni ha egli arrecato coll'accrescere e perpetuare quasi la lor servitù, di quello che alla Francia ei giovasse col darle un teatro, che sospirando esclusivamente d'amore, ai Francesi insegnava a nè pure più sospirare d'amore. Ed in fatti, il vero amore sublime, che pure di tanto innalzar ci può l'animo, e che i francesi nei tempi dei lor paladini aveano bastantemente conosciuto e trattato, non si ritrova più presso loro, dopo che ne è stata stabilita per così dire in teatro la scuola. Tanto è più forte insegnator di ogni vizio l'assoluto governo, che insegnatore di una anche minima virtù il teatro, allorchè, nato egli fra i ceppi, viene come tale dall'oppressore di tutti approvato e protetto. Quindi, l'accrescimento e splendore apparente della monarchia francese da Lodovico decimoquarto in appresso, si deve in molto maggior parte attribuire alla forza e agli eserciti loro, che non alle loro lettere e accademie; le quali, benchè molto perfezionassero la loro lingua, stata fin a quel punto barbara, di pochissimo accrebbero la somma della luce per gli uomini tutti. Nè i francesi filosofi sono stati veramente tali, se non in quanto la loro filosofia accattarono dai liberi e non protetti antichi, o inglesi, scrittori.
Il prodotto dunque di questi tre secoli letterarj era, come io più sopra accennava, il seguente: del primo di Augusto, i Romani di Tiberio, di Nerone, di Caracalla, di Costantino, e della lunga sequela dei susseguenti imperatori in nulla romani: del secondo e terzo letterario secolo dei Leoni e Luigi, ne sono il prodotto i moderni Italiani e Francesi. Ma, del greco secolo era ad un tempo e cagione e prodotto, il popolo sublime di Atene; e quindi in parte fors'anco, per la influenza dei lumi e dell'imitazione, lo stesso popolo di Roma in appresso. Questi due popoli, presi insieme, vengono a comporre la grandezza, felicità , e virtù tutta, quanta fra gli uomini allignare mai ne potesse. E si noti, che figli di quella stessa Atene (ancorchè spurj) si possono poi dir parimente tutti quest'altri tre raggi di non così pura, nè efficace luce, che rischiarando venivano alquanto, ma non abbastanza, le susseguenti nazioni. Ben altro dunque era il fonte da cui nati erano codesti lumi e sforzi dell'umano ingegno, poichè così diverso ne riusciva l'effetto, e così possente ancora, tanti secoli dopo, l'impulso. Quindi a me pare, che il volere originare le vere lettere dai principi, e non dalla libertà , sarebbe come il volere qual più preziosa ed utile pianta sul nostro globo si alligni, attribuirla piuttosto al freddo Saturno, che all'almo vivificante pianeta.
Ma, qual nuova ed altissima cosa non potrebbe egli riuscire un quinto secolo letterario, che per non essere protetto da nessun principe, da nessuno di essi venisse appellato? e che, per essere le sue lettere stesse procreatrici e protettrici di libertà , da essa sola il nome assumesse? Nuovo ei sarebbe per certo; nè perchè non sia stato mai, lo credo io perciò impossibile. L'invecchiare del mondo, e la influenza dei quattro passati secoli letterarj, hanno oramai moltiplicato i mezzi, sminuzzato i materiali, ed appianate tutte le vie. Fissate sono le lingue, introdotta una certa smania di le...
[Pagina successiva]