[Pagina precedente]...lo scoprimento di palpabili verità , queste al rimettere sempre in luce le verità morali già bastantemente dimostrate dai buoni ed alti esempj, ma sempre pure dalla malizia e reità d'alcuni uomini alterate, nascoste, scambiate col falso, impedite, perseguitate, o sepolte; nasce da questo diversissimo loro uffizio una diversità non picciola di vicende e di effetti, ancorchè i mezzi dell'une e dell'altre ne siano pur sempre lo ingegno e la penna. Di questa diversità di vicende e d'effetti mi conviene ora ragionar lungamente, per sempre più munire di salde incontrastabili prove quanto finora ho asserito delle lettere.
Le scienze, come ogni altra egregia cosa, ci derivano anch'esse dai Greci: vale a dire da uomini liberi. E pare in fatti, che al ritrovamento dei principj nascosti e sublimi delle cose, si richiegga un così grande sforzo di pensare, che nel capo d'uno tremante schiavo sì alta e difficile curiosità non sarebbe potuta entrare giammai. Ma pure, posati una volta i principj delle scienze, la influenza delle fisiche verità sovra lo stato politico riesce così lenta e lontana, e perciò vien così poco impedita dalla tirannide, ch'io non dubito punto che se Newton con lo stesso suo ingegno e con la dottrina che lo precedeva, fosse anche venuto a nascere, o a traspiantarsi nel più servile governo d'Europa, egli avrebbe nondimeno potuto creare tutto il sistema suo, quale per l'appunto il creava nel seno della libertà dove nacque. Ma nel dire io, con la dottrina che lo precedeva, mi par dimostrare ad un tempo che la libertà era pur sempre necessaria a quei primi scienziati scopritori delle leggi dei corpi, per crearle; ma non necessaria ai susseguenti per ampliarle, spingerle all'ultima possibilità , ed anche, con gli stessi già scoperti mezzi affatto variandole, in un certo modo, di bel nuovo crearle. Il posare dunque i loro principj, lo inventare, o il primo ritrovare, egli è quel tal pregio, in cui e le lettere e le scienze ebbero tra loro comune la sorte; pregio che ottener non poteano se non in un libero governo fra uomini molto e arditamente pensanti. Ma, nel loro progredire poi, le une dalle altre si scostano, quanto i due scopi ch'elle si propongono dissimili sono fra se, e quanto sono diversi i soggetti ch'elle trattano; cioè la materia, e il morale delle cose. E in fatti, le lettere sono pervenute al loro sommo apice nella libertà , non protette; le scienze, par che facessero lentissimi progressi fra quei due sovrani popoli, greci e romani, mentre altissimo splendore acquistarono poscia nei moderni principati, dove non libere crebbero e protette. Nè a questa asserzione si abbisogna d'altra prova, fuorchè di paragonare nei loro libri ed effetti la fisica, la geometria, l'astronomia, l'algebra, la nautica, l'anatomia, la botanica, e quasichè tutte le altre scienze degli antichi, con le simili dei moderni: e ad un tempo paragonare il valore, l'influenza e gli effetti delle lettere nei moderni principati al loro valore, influenza, ed effetti nelle antiche repubbliche. Non occorrendo dunque per ora il discutere quanto ai fatti, parmi, che ne siano prima da investigar le cagioni. Tra queste, la più chiara ed innegabile stimo, o credo almeno di ritrovarla da prima, nella parola da me soprammentovata nel definire le scienze: LEGGI DEI CORPI. Molti e molti secoli di non interrotta applicazione divengono necessarj al bene investigare e al sanamente stabilire tai leggi; e chi ciò fa, nulla altro può nè dee fare. Molte generazioni di uomini non interrotti nè sturbati, son dunque necessarie consecutivamente, affinchè una legge qualunque di corpo riceva infallibili prove ed evidenti dimostrazioni. È necessario quindi un lungo ozio, ed una intera quiete in quella nazione che dee progredire nelle scienze: sono oltre ciò necessarie infinite spese, invenzioni ed esecuzioni costose di macchine, infinite esperienze, sterminati viaggi, espresso favore dei governi, e somma tranquillità e protezione per gli osservatori: il che tutto, suppone più assai principato, che repubblica,
Le vere antiche repubbliche, non che premiarlo, non tolleravano un uomo che col consiglio e con la mano non cooperasse all'utile presente di tutti. E l'utile che si ricava dalle scienze, è uno di quelli (come fra poco spero di mostrare) che appurar non si possono o non si sanno dall'universale, finchè l'applicazione della scoperta verità praticata non venga. Nelle repubbliche dunque, quasi nessuna opera dell'ingegno ben allignare potea, fuorchè l'insegnare e il cantare la vera virtù; come nel principato tutte allignare vi possono, e vi allignano, meno questa.
Ma, che le scienze per veramente prosperare abbisognassero di molta protezione e favore, ne sono indubitabile prova i giganteschi progressi fatti da esse nei moderni principati. Così il deterioramento delle lettere, o il loro scopo affatto scambiato, o tanto più debolmente ricercato nelle moderne servitù, sono indubitabile prova, che non solamente esse non abbisognano di protezione o favore, ma che immenso danno ne ricevono. A corroborare quanto io asserisco concorrono a gara le diverse accademie di scienze e di lettere, seminate nei principati d'Europa, che di effetto così diverso fra esse riescono: le prime diedero e danno in ogni parte gran lumi e grandi scienziati; dalle seconde non è uscito mai un grand'uomo; ma se pure alcun grande è stato da esse allacciato e fatto entrar nei lor ceti, di tanto minore lo han fatto, col dargli questa cittadinanza di raddoppiato servaggio. E ben vede ciascuno, semplicissimamente osservando, che una tal differenza sta tutta nella sola definizione di questi due generi. Le leggi dei corpi non offendono il principato; le leggi e passioni dell'uomo, alla loro più vera e utile via indirizzate, il principato annullano e sradicano. Dai principi quindi protette sono le scienze per veramente inalzarle; protette le lettere, per avvilirle, deviarle, ed opprimerle: poichè annichilare affatto elle pur non si possono, finchè ci son uomini che leggere sappiano, e passioni che sovra il loro cuore ruggiscano.
Provano dunque, e con prova di evidenza, i semplici fatti; che la protezione non solamente non nuoce alla perfezione delle scienze, ma che le giova non poco; e che al contrario sommamente ella nuoce alla più divina parte delle lettere, cioè alla verità e all'utile che da esse può ridondare. Ma ciò non mi basta; e più oltre spingendomi, dico; che senza protezione non avrebbero mai prosperato le scienze; e che non hanno prosperato mai vere lettere, dove protezione elle avessero. E di passo mi conviene osservare, che la protezion principesca nuoce moltissimo alle lettere anche nella persona di quello stesso scrittore, che non la ricerca. Il proteggere è sinonimo del potere; l'assai potere cagiona sempre il timore. Quel potente che, ricercato, proteggere può un dato scrittore menomandolo, pur troppo può, se egli ne vien dispregiato, impedir lo scrittore, ed opprimerlo. Dalla parola PROTEGGERE non si dee perciò mai scompagnare la parola IMPEDIRE; poichè chi non vuole essere protetto, sarà certamente impedito; ove egli così lontano non si ricoveri, che non meno l'ira che la protezione arrivar non vel possano.
Ma un'altra evidentissima prova che niuna scienza avrebbe mai prosperato senza protezione, si è, che nessuna traccia di scienza si vede allignare nelle contrade d'Oriente che totalmente son serve, e dove niuna util cosa non è nè conosciuta nè protetta. Al contrario, a provare che le lettere nascono e prosperare possono senza protezione, basta il vedere che fra quelle stesse nazioni serve e barbare d'Oriente, vi sono pure nate e vi allignano a dispetto di un sì mostruoso governo, in un certo modo, le lettere. Le nazioni tutte e le più oppresse dall'assoluta autorità , e fra le altre principalmente la ebraica, hanno avuto poeti; e nei loro torbidi civili, hanno avuto oratori e politici; e benchè filosofi di professione la servitù non ammetta, pure una certa filosofia naturale si è anche fatto strada fra quei soggiogati poeti, oratori, e politici; e forse era quella, che li trasmutava in profeti. E quanti altri filosofi vi saranno stati e vi sono tuttavia fra quelle stesse barbare e serve nazioni, i quali conosciuti non sono perchè non sono stampati? Il conoscere e studiare il cuore dell'uomo viene, o più o meno, concesso dalla natura a tutti gli uomini che ottusi non siano; nessun lo può togliere; e ognuno per semplice forza d'intelletto si può in così alta scienza perfezionare da se. Abbenchè raro e più difficile, è dunque possibile il pensare, il sentire, lo inventare, e lo scrivere da se, anche all'uomo che nasce il più schiavo. Ma non si sono visti giammai, nè mai si vedranno, sorgere degli alti matematici dove non ci siano scuole e protezione di governo: nè si sono mai scoperte importanti verità nelle scienze, se i potenti non vi hanno prestato la mano. I moti dei pianeti, la forma del globo, la costruzione e armatura delle navi, le virtù dell'erbe, la meccanica analisi del corpo umano, la diversità degli animali e dei climi, &cc. &cc.; queste scoperte tutte, noi le dobbiamo non meno alla borsa del principe, che all'ingegno dell'osservatore, il quale o nulla o pochissimo avrebbe scoperto senza l'ajuto di quello. Ma il nudo corredo di un vero letterato, che tutto ritrova in se stesso, e quali per esempio furono Omero e Platone, altro mai non fu nè dev'essere, fuorchè ingegno, salute, pochi libri, e libertà moltissima. Cose tutte, che il principe può torre, impedire, o scemare, ma non mai dare, nè accrescere.
Fra gli scienziati tuttavia il gran Newton è una eccezione ad ogni regola; egli è figlio di se stesso; le sue scoperte non si ardiscono intitolare col nome dì progressi; elle sono creazioni: e quella somma di lumi, che i dotti in tale materia dicono aver egli attinta dal Galileo, e dal Bacone, o da altri, non mi risolvo io a crederla assolutamente la cagione di tutti i nuovi lumi da lui ritrovati, ma una parte soltanto di detta cagione: talchè, se anche mancato gli fosse codesto ajuto, avrebbe egli con tutto ciò tentato un nuovo sistema, che sarebbe forse riuscito alquanto meno perfetto, ma sempre grande, straordinario, e ad ogni modo veramente ben suo. Ma, benchè questo insignissimo promotore delle scienze, non avendo in apparenza altro corredo, che quello stesso che s'ebbero Omero e Platone, senza nessuna espressa protezione abbia potuto scoprire e creare la vera anima dell'universo; con tutto ciò non mi rimuovo io in nulla dal parer mio, che le scienze non possano fare da se; poichè a Newton fu pure accordata (e necessaria gli era) quella tacita protezione che sta nella quiete libertà e sicurezza. Ma, per averla egli ottenuta da una nazione libera, di tanto più giovevole, ed onorevole gli è stata una tal protezione, che se ottenuta l'avesse dall'assoluto capriccio di un principe. A convalidar quant'io dico, mi si appresentano tosto gli esempj di Galileo e di Cartesio, i quali, o per non aver avuto protezione, o per averla avuta equivocamente dai principi, non andarono esenti da molte altre persecuzioni e disturbi; e quindi da infiniti ostacoli.
Mi viene ora osservato, che parlando io dei capi-setta innovatori nelle scienze, me li conviene in gran parte sottrarre dalle leggi, a cui ho sottoposto le scienze stesse; e chiaramente vedo, che le loro vicende accomunare si debbono a quelle dei letterati; poichè, come filosofi, un così splendido loco riempiono degnamente fra essi. Questi pochi innovatori-creatori si debbono dunque in tutto eccettuare da quegli altri tutti, che nelle scienze esatte, dotti soltanto dello scibile, e facendo pure alcuni benchè impercettibili passi più in là del di già saputo, si debbono quindi riputare come le vere ruote dei progressi delle scienze. Questi sono gli scienziati proteggibili e protetti: ed a questi, l'esserlo può sommamente giocare. Ma gli altri, come Euclide, Archimede, Newton, Galileo, e Cartesio, interamente corrono la vicenda dei letterati. Onde, se hanno avuto (come i tre primi) la for...
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