[Pagina precedente]...io; perchè costoro, con più vera nobiltà d'animo, non si fanno eglino, non protettori inetti di lettere, ma valenti letterati e scrittori essi stessi, e protettori quindi efficaci della verità e degli uomini? Ben altri mezzi avrebbero costoro nel principato, che ogni altr'uomo natovi umile e povero. Ma il timore, che maggiormente può in chi più ha, li disvia e impedisce; oltre che il nascere, per opinione stolta, fra i primi, toglie lor quell'impulso e quel divino furore di volersi far primi per realità . Ma, se pure il timore non concederà ai nobili o ricchi di divenire nel principato sublimi scrittori di feroci verità , qual cosa mai potrà loro impedire di assomigliarsi ai Virgilj, agli Orazj, Ariosti, Tassi, Racine, e simili? Si noti in oltre, che questi nobili facendosi scrittori, a eguale ingegno, tosto maggiori sarebbero di quelli non nobili e poveri: poichè, come non necessitosi, e assai men dipendenti, mondati sarebbero ed essi e i loro libri dalla feccia della vile adulazione e della sfacciata menzogna.
Ma i nobili e i ricchi nel principato, non vogliono essere (pur troppo!) nè poeti filosofi, nè semplicemente poeti. Quindi, vedendo io che in tale governo, chi ha più mezzi per coltivare le lettere, meno le coltiva; e vedendo, che vi si danno solamente coloro che a ciò fare hanno tutti gli ostacoli; o quelli, che mossi da un mediocrissimo impulso d'ingegno, sospinger si lasciano da un impulso assai più incalzante, dalla necessità , che è morte in parte del primo; verrei facilmente a conchiudere: "Che le lettere nel principato, ancorchè protette, non vi possono sussistere se non a stento, e male, e posticcie; appunto, per quella necessaria protezione che elle vi ricevono." Il che mi pare assai diverso dal non potere esse sussistere senza protezione.
Venendo quindi alla seconda parte del mio assunto, brevemente dimostrerò, che quegli scrittori che farsi saprebbero dissimili dai sopra mentovati scrittori cortigiani, sarebbero assai migliori di essi. Chi vuole con imparzialità riflettere ed attribuire gli effetti alle vere cagioni, ed a ciascuno restituire il suo, è pur costretto a dire; che, sì il nascimento come la perfezione delle lettere, sono stati frutto da prima di libertà , e non di principato: ma, che i principi trovandosele poscia tra' piedi, le hanno, col proteggerle, assai più deviate al mero diletto, che non accresciutele col farle più utili. E gli esempj pure una tal cosa ci provino. Virgilio ed Orazio tolsero bensì le invenzioni ed i metri dai Greci; ma da Augusto e dai loro tempi null'altro ne trassero che la timidità e la lusinga; e non ardirei aggiungervi, l'eleganza; poichè certamente questi due autori, come tutti gli altri Latini, più assai ne accattarono e ne trasportarono nel loro idioma dal Greco, che non dal bel favellare di Augusto e de' suoi cortigiani. La più nobile parte di questi due eccellenti scrittori era dunque in loro trasmessa dalla passata greca libertà ; la peggiore e la men necessaria, dal loro presente servaggio.
Così l'Ariosto ed il Tasso, che sono pure le due gemme del nostro bel secolo, presero dai nostri antichi, Dante, Petrarca, e Boccaccio, le invenzioni, i metri, e di più tutto il nerbo, il fiore, e la eleganza del favellare, che già si era perfezionato in Toscana, senza nè l'ombra pure di niuna medÃcea protezione. Ma, da essi stessi, e dai loro protettori, e dai tempi, altro non presero l'Ariosto ed il Tasso fuorchè il timore, le adulazioni, il poco e debolmente pensare. E così in Francia gli eleganti scrittori, benchè non vi appajano se non sotto l'apice della tirannide di Lodovico decimoquarto, non sono per ciò figli di essa: ma, le lettere preparate già nel precedente meno avvilito secolo, fiorirono poscia in quello; e, a dir vero, più assai vi fiorirono per forza d'imitazione dei Greci, Latini, e Toscani, che non per forza di protezione. Che la protezione, in somma, altro ajuto non può dare ai letterati, fuorchè i mezzi d'investigare, traspiantare, e farsi (ma deviandole) proprie, quelle lettere già nate, coltivate, e perfezionate senza protezione nel seno della creatrice libertà .
Ma questo triplice incalzante esempio di Dante, Petrarca, e Boccaccio, che non fiorirono sotto nessun principe, più che niun altro è atto a terminar la questione. La lingua toscana si è fatta colossale in mano di questi tre grandi, che per proprio impulso scrivevano, e non protetti: nelle loro mani riuniva questa lingua in se stessa la maggiore eleganza e delicatezza alla maggior brevità ed energia: ed ecco che la toscana, come la greca, perfezionavasi senza macchia di protezione. Ma nei due secoli susseguenti l'italiana letteratura essendo dai protettori traviata, poco o nulla si accrebbe la lingua quanto alla nuda eleganza, e tutto perdè quanto al sugo, brevità , e robustezza. In oltre, questi stessi tre sommi scrittori mi vagliano anche per una viva prova della immensa superiorità degli ingegni sprotetti sopra i protetti, A volersi convincere di quanto questi tre, e massime Dante, soverchiassero tutti i nostri seguenti scrittori, sì pel robusto pensare e forte sentire, che pel libero e ardito inventare, e per la eleganza e originalità di locuzione, credo che basti il metter loro a confronto l'Ariosto ed il Tasso come i due migliori che a quelli succedessero. E lascierò anche giudice colui, che sarà il più parziale di questi, se ci sia in essi cosa, e massime quanto alla locuzione e al concepire, che si possa agguagliare all'Ugolino, e ai tanti altri squarci non meno perfetti, ma meno conosciuti, di Dante; ovvero, ai perfetti sonetti, canzoni, e squarci dei trionfi del Petrarca. E giudice lascio parimente ciascuno, se il Tasso e l'Ariosto scrivendo fra i ceppi di corte, avrebbero ardito mai concepire quei veracissimi sonetti del Petrarca su Roma, o le tante satiriche, ma vere e libere terzine di Dante; ed anche quel solo suo verso su Roma; Paradiso, canto 17, verso 49.
Là dove Cristo tutto dì si merca:
e così, se l'Ariosto e il Tasso avrebbero senza l'ajuto di quei nostri due primi, e con l'ajuto dei soli loro Esti, inventata e condotta a sì alto punto la lingua. Ma giudichi pur anco chiunque all'incontro, se quegli stessi Dante e Petrarca, nati due secoli dopo, e preceduti già da due altri Danti e Petrarchi, non avrebbero anch'essi potuto eseguire i due poemi dell'Ariosto e del Tasso, e forse qualche cosa anche meglio: mentre a me par dimostrato, che l'Ariosto e il Tasso, o sia per l'essere stati protetti, o per l'essere nati minori, non avrebbero potuto mai eseguire molte canzoni, trionfi, e squarci liberi e forti del Petrarca, e nulla quasi del maschio, e feroce poema di Dante. E mi conviene pure osservare di passo, che in codesto poema di Dante era facile a chi fosse venuto dopo lui di emendare o sfuggirne le bizzarrie e le incoerenze; ma non mai di agguagliarne le infinite stragrandi bellezze. E circa al Petrarca, si osservi, che ancorchè andasse egli vagando di corte in corte, non essendo tuttavia inceppato in nessuna, non si contaminò quindi nè di adulazione, nè di falsità . Attribuisco io ciò, al non essere egli nato suddito di nessun di quei principi, in corte di cui praticava; al non essere i principi d'allora così immensamente assoluti, nè così oltraggiosamente distanti dai privati, come i nostri; poichè il re Roberto di Napoli, che poetava egli stesso, (e Dio sa come) più amico era e compagno, che non protettor del Petrarca: lo attribuisco in fine all'animo stesso del poeta, che per non essere egli nato in servitù, ancorchè perseguitato poscia dalla fortuna e bisognoso d'ogni cosa, non potè pure mai in appresso in nessun modo smentire i suoi non servi natali. Il Tasso all'incontro, nato figlio d'un segretario di un principuccio di Sorrento, ancorchè d'alto animo ei fosse, si trovava pure abbagliato dalla corte dei principotti estensi, che bisognoso di tutto lo aveano raccolto.
Ma d'una in un'altra prova, e seguendo io oramai più assai l'impeto del cuore che l'ordine delle ragioni, parmi pure che due se ne presentino a me così forti, che bastino sole a provare l'assunto di questo capitolo. Per convincere anche i più ostinati, che degli scrittori simili a Virgilio ed Orazio ne possono pure nascere e sussistere senza protezione, basta l'esempio del nostro Petrarca. Questi, per quanto le moderne povere e inceppate lingue ardiscano correre a prova delle due bellissime antiche, diede alla nostra una tale lirica sublimità ed eleganza, che non si andò mai più oltre. Il divino Petrarca, nel fraseggiare imitato con poca felicità , e con assai minore negli affetti, non è tuttavia niente sentito nè imitato nell'alto e forte pensare ed esprimersi; anzi, sotto un tale aspetto non è conosciuto se non da pochissimi. Così, a convincere che degli scrittori meno simili ai sopraccennati dei tre ultimi bei secoli, ma più simili a quelli del secolo primo d'Atene sussistere potrebbero e perfezionarsi nei moderni tempi, basti soltanto l'esempio di Dante. Se questo poeta non agguaglia sempre gli scrittori d'Atene nell'eleganza o delicatezza, o sia che nol voglia, o che nol creda necessario, o che inventando egli stesso la propria lingua nol possa; non resta certamente egli mai indietro di loro nella profondità , nell'ardire, nell'imitazione, evidenza, brevità , libertà , ed energia; qualità , che quasi tutte non ammettono principato, o che certo almeno protezion non ammettono. E se in una nazione due Danti consecutivi nascessero, il secondo ritroverebbe certamente il non plus ultra della letteratura; e tali due scrittori farebbero pensare gli uomini assai più, che non dieci Orazj e Virgilj.
Da quanto ho allegato finora, o siano ragioni, o sian fatti, mi pare (se pur non m'inganno) che non solamente possano sussistere le lettere e perfezionarsi senza protezione, ma che la sublimità di esse non possa veramente sussistere sotto protezione. E di Dante mi sono prevaluto per prova, perchè io molto lo leggo, e mi pare di sentirlo, e d'intenderlo: di Omero, di Sofocle, o di altri simili massimi e indipendenti scrittori mi sarei pure prevaluto per prova, se nella loro divina lingua mi fosse dato di leggerli. Ma in Dante solo mi pare d'aver io bastantemente ritrovata la irrefutabile dimostrazione del mio assioma; poichè Dante senza protezione veruna ha scritto, ed è sommo, e sussiste, e sempre sussisterà : ma nessuna protezione ha mai fatto, nè vorrebbe, nè potrebbe far nascere un Dante. Potrebbe la protezion principesca bensì, dove un tanto uomo nascesse, impedirlo; pur troppo!
CAPITOLO TERZO.
DIFFERENZA TRA LE BELLE LETTERE E LE SCIENZE, QUANTO AL SUSSISTERE
E PERFEZIONARSI SENZA PROTEZIONE.
Ma infino ad ora ho parlato delle lettere in tal guisa, che ognuno può veder, chiaramente, che sotto il nome di esse non ho inteso mai di comprendervi le scienze esatte. E facendo io la rassegna di tanti uomini sommi, lo aver finora sempre taciuto i venerabili nomi di Euclide, di Archimede, di Galileo, e in ultimo del divino Newton, sia questa la maggior prova che io, nel dir LETTERE, non ho mai preteso dire SCIENZE. Di queste mi conviene ora parlare tremando, come quegli che è intieramente digiuno di tutte. Ma siccome mi tocca il ragionare, non delle scienze prese in se stesse, ma delle loro vicende influenze ed effetti; io, guidato dal solo lume di verità e di ragione, spero in questo mio dire di non dovere errare molto più, che all'uomo non arrogante soglia venir fatto di errare.
Le scienze dunque, che io così definirei; Gli arcani e le leggi della natura dei corpi, investigate e spiegate, per quanto il possa l'intelletto dell'uomo; le scienze dico, mi pajono una provincia di letteratura affatto da se, e interamente diversa dalle belle lettere, che io per contrapposto definirei: Gli arcani, le leggi, e le passioni del cuore umano, sviluppate, commosse, e alla più alta utile e vera via indirizzate. Diversissimo è dunque il tema che trattano queste due arti; e quelle avendo ad investigare i corpi sensibili, queste a commuovere le intellettuali passioni; consecrandosi quelle al...
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