[Pagina precedente]...lisco, e stava appollaiato sulla scranna, colle mani fra le gambe, che se le fregava di tanto in tanto di nascosto dalla contentezza. - È venuto con suo figlio Brasi, il quale adesso si è fatto grande - seguitava padron 'Ntoni.
- Sicuro, i ragazzi crescono, e ci spingono per le spalle nella fossa, rispose padron Fortunato.
- Ora bevete un bicchier di vino che è di quello buono, aggiunse la Longa, e questi ceci qui li ha abbrustoliti mia figlia. Mi dispiace che non sapevo niente, e non vi ho fatto trovare cose degne del vostro merito.
- Eravamo qui vicino di passaggio, rispose padron Cipolla, ed abbiamo detto: andiamo a vedere comare Maruzza.
Brasi si riempì le tasche di ceci, guardando la ragazza, e dopo i monelli diedero il sacco al tondo, che invano la Nunziata colla bambina in collo cercava di trattenerli, parlando basso come se fosse in chiesa. I vecchi in questo tempo si erano messi a discorrer fra di loro, sotto il nespolo, colle comari che facevano cerchio e cantavano le lodi della ragazza, com'era brava massaia, che teneva quella casa meglio di uno specchio. "La figliuola com'è avvezzata, e la stoppa com'è filata".
- Anche la vostra nipote è cresciuta, osservò padron Fortunato - e sarebbe tempo di maritarla.
- Se il Signore le manda un buon partito noi non vogliamo altro, rispose padron 'Ntoni.
- "Matrimonii e vescovadi dal cielo sono destinati" aggiunse comare la Longa.
- "A buon cavallo non gli manca sella" - conchiuse padron Fortunato; ad una ragazza come vostra nipote un buon partito non può mancare.
Mena stava seduta accanto al giovanotto, com'è l'uso, ma non alzava gli occhi dal grembiule, e Brasi si lamentava con suo padre, quando se ne andarono, che ella non gli avesse offerto il piatto con i ceci.
- Che ne volevi ancora! gli diè sulla voce padron Fortunato, quando furono lontani; se non si sentiva rosicare altri che te, come ci fosse un mulo davanti a un sacco d'orzo! Guarda che ti sei lasciato cascare il vino sui calzoni, Giufà ! e mi hai rovinato un vestito nuovo!
Padron 'Ntoni tutto contento si fregava le mani, e diceva alla nuora:
- Non mi par vero d'essere in porto, coll'aiuto di Dio! La Mena non avrà nulla da desiderare, ed ora aggiusteremo tutte le altre nostre cosucce e potrete dire "Lasciò detto il povero nonno, il riso con i guai vanno a vicenda".
Quel sabato, verso sera, la Nunziata venne a prendere un pugno di fave per i suoi bambini e disse: - Compare Alfio se ne va domani. Sta levando tutta la sua roba.
Mena si fece bianca e smise di tessere.
Nella casa di compar Alfio c'era il lume, e ogni cosa sottosopra. Egli venne a picchiare all'uscio poco dopo, e aveva la faccia in un certo modo anche lui, e faceva e disfaceva dei nodi alla frusta che teneva in mano.
- Sono venuto a salutarvi tutti, comare Maruzza, padron 'Ntoni, i ragazzi, e anche voi, comare Mena. Il vino di Aci Catena è finito. Ora la Santuzza ha preso quello di massaro Filippo. Vado alla Bicocca, dove c'è da fare col mio asino.
Mena non diceva nulla; sua madre sola aprì la bocca per rispondere: - Volete aspettarlo padron 'Ntoni? che avrà piacere di salutarvi.
Compar Alfio allora si mise a sedere in punta alla scranna, colla frusta in mano, e guardava intorno, dalla parte dove non era comare Mena.
- Ora quando tornate? domandò la Longa.
- Chi lo sa quando tornerò? Io vado dove mi porta il mio asino. Finché dura il lavoro vi starò; ma vorrei tornar presto qui, se c'è da buscarmi il pane.
- Guardatevi la salute, compare Alfio. Alla Bicocca mi hanno detto che la gente muore come le mosche, dalla malaria.
Alfio si strinse nelle spalle, e disse che non poteva farci nulla. - Io non vorrei andarmene, ripeteva, guardando la candela. E voi non mi dite nulla, comare Mena?
La ragazza aprì la bocca due o tre volte per dire qualche cosa, ma il cuore non le resse.
- Anche voi ve ne andate dal vicinato, ora che vi maritano, aggiunse Alfio. Il mondo è fatto come uno stallatico, che chi viene e chi se ne va, e a poco a poco tutti cambiano di posto, e ogni cosa non sembra più quella. - Così dicendo si fregava le mani e rideva, ma colle labbra e non col cuore.
- Le ragazze, disse la Longa, vanno come Dio le ha destinate. Ora son sempre allegre e senza pensieri, e com'entrano nel mondo cominciano a conoscere i guai e i dispiaceri.
Compar Alfio, dopo che furono tornati a casa padron 'Ntoni e i ragazzi, e li ebbe salutati, non sapeva risolversi a partire, e rimaneva sulla soglia, colla frusta sotto l'ascella, a stringere la mano a questo e a quello, anche a comare Maruzza, e ripeteva, come si suol fare quando uno se ne va lontano, e non si sa bene se ci si rivede più: - Perdonatemi se ho mancato qualche volta. - La sola che non gli strinse la mano fu Sant'Agata, la quale stava rincantucciata vicino al telaio. Ma le ragazze si sa che devono fare così.
Era una bella sera di primavera, col chiaro di luna per le strade e nel cortile, la gente davanti agli usci, e le ragazze che passeggiavano cantando e tenendosi abbracciate. Mena uscì anche lei a braccetto della Nunziata, ché in casa si sentiva soffocare.
- Ora non si vedrà più il lume di compar Alfio, alla sera, disse Nunziata, e la casa rimarrà chiusa.
Compar Alfio aveva caricato buona parte delle sue cosuccie sul carro, e insaccava quel po' di paglia che rimaneva nella mangiatoia, intanto che cuocevano quelle quattro fave della minestra.
- Partirete prima di giorno, compar Alfio? gli domandò Nunziata sulla porta del cortile.
- Sì, vado lontano, e quella povera bestia bisogna che si riposi un po' nella giornata.
Mena non diceva nulla, e stava appoggiata allo stipite a guardar il carro carico, la casa vuota, il letto mezzo disfatto, e la pentola che bolliva l'ultima volta sul focolare.
- Siete là anche voi, comare Mena? - esclamò Alfio appena la vide, e lasciò quello che stava facendo.
Ella disse di sì col capo, e Nunziata intanto era corsa a schiumare la pentola che riversava, da quella brava massaia che era.
- Così son contento, che posso dirvi addio anche a voi! disse Alfio.
- Sono venuta a salutarvi, - disse lei, e ci aveva il pianto nella gola. - Perché ci andate alla Bicocca se vi è la malaria?
Alfio si mise a ridere, anche questa volta a malincuore, come quando era andato a dirle addio. - O bella! perché ci vado? e voi perché vi maritate con Brasi Cipolla? Si fa quel che si può, comare Mena. Se avessi potuto fare quel che volevo io, lo sapete cosa avrei fatto!... - Ella lo guardava e lo guardava, cogli occhi lucenti. - Sarei rimasto qui, che fino i muri mi conoscono, e so dove metter le mani, tanto che potrei andar a governare l'asino di notte, anche al buio; e vi avrei sposata io, comare Mena, ché in cuore vi ci ho da un pezzo, e vi porto meco alla Bicocca, e dappertutto ove andrò. Ma questi oramai sono discorsi inutili, e bisogna fare quel che si può. Anche il mio asino va dove lo faccio andare.
- Ora addio, concluse Mena; anch'io ci ho come una spina qui dentro... ed ora che vedrò sempre quella finestra chiusa, mi parrà d'avere chiuso anche il cuore, e d'averci chiusa sopra quella finestra, pesante come una porta di palmento. Ma così vuol Dio. Ora vi saluto e me ne vado.
La poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi, e se ne andò insieme alla Nunziata a pianger sotto il nespolo, al chiaro di luna.
CAPITOLO 9
Né i Malavoglia, né alcun altro in paese sapevano di quel che stavano almanaccando Piedipapera collo zio Crocifisso. Il giorno di Pasqua padron 'Ntoni prese quelle cento lire che ci erano nel canterano, e si mise il giubbone nuovo per andare a portarle allo zio Crocifisso.
- Che son tutte qui? disse costui.
- Tutte non ci possono essere, zio Crocifisso; voi lo sapete quel che ci vuole a far cento lire. Ma "meglio poco che nulla" e "chi dà acconto non è cattivo pagatore". Ora viene l'estate, e coll'aiuto di Dio pagheremo ogni cosa.
- A me perché venite a contarmela? Sapete che non c'entro, ed è affare di compare Piedipapera.
- È tutta una cosa, perché il debito mi pare di avercelo sempre con voi, quando vi vedo. A voi compare Tino non vi dirà di no, per aspettare sino alla Madonna dell'Ognina.
- Queste qui non bastano per le spese! ripeteva Campana di legno, facendo saltare i denari nella mano. Andate a dirglielo voi se vuole aspettarvi; perché non è più affar mio.
Piedipapera cominciò a bestemmiare e a buttare il berretto per terra, al solito suo, dicendo che non aveva pane da mangiare, e non poteva aspettare nemmeno sino all'Ascensione.
- Sentite, compare Tino, gli diceva padron 'Ntoni colle mani giunte come dinanzi al Signore Iddio, se non mi volete aspettare sino a san Giovanni, ora che sto per maritare mia nipote, è meglio che mi date un colpo di coltello addirittura.
- Santo diavolone! gridò compare Tino, mi fate fare quello che non posso, maledetto sia il giorno e il minuto in cui mi misi in quest'imbroglio! e se ne andò stracciando il berretto vecchio.
Padron 'Ntoni tornò a casa ancora pallido, e disse alla nuora: - Ce l'ho tirato, ma ho dovuto pregarlo come Dio, - e tremava ancora il poveretto. Però era contento che padron Cipolla non ne sapesse nulla, e il matrimonio della nipote non andasse in fumo.
La sera dell'Ascensione, mentre i ragazzi saltavano attorno ai falò, le comari si erano riunite di nuovo dinanzi al ballatoio dei Malavoglia, ed era venuta anche comare Venera la Zuppidda a sentir quello che si diceva, e a dir la sua. Oramai come padron 'Ntoni maritava la nipote, e la Provvidenza s'era rimessa in gambe, tutti tornavano a far buon viso ai Malavoglia, che non sapevano nulla di quel che ci aveva nello stomaco Piedipapera, nemmeno comare Grazia, sua moglie, la quale chiacchierava con comare Maruzza quasi suo marito non ci avesse niente di male nello stomaco. 'Ntoni andava ogni sera a far quattro chiacchiere colla Barbara e le aveva confidato che il nonno aveva detto: Prima deve maritarsi la Mena. - E dopo vengo io! - conchiuse 'Ntoni. La Barbara perciò aveva mandato in regalo alla Mena il vaso del basilico, tutto ornato di garofani, e con un bel nastro rosso, che era l'invito di farsi comari; e tutti le facevano festa a Sant'Agata, persino sua madre s'era levata il fazzoletto nero, perché dove ci sono sposi è di malaugurio portare il lutto; e avevano scritto anche a Luca, per dargli la notizia che Mena si maritava.
Ella sola, poveretta, non sembrava allegra come gli altri, e pareva che il cuore le parlasse e le facesse vedere ogni cosa in nero, mentre i campi erano tutti seminati di stelline d'oro e d'argento, e i ragazzi infilavano le ghirlande per l'Ascensione, ed ella stessa era salita sulla scala per aiutare sua madre ad appendere le ghirlande all'uscio e alle finestre.
Mentre tutte le porte eran fiorite, soltanto quella di compar Alfio, nera e sgangherata, stava sempre chiusa, e non c'era più nessuno che appendesse i fiori dell'Ascensione.
- Quella civetta di Sant'Agata! andava dicendo la Vespa colla schiuma alla bocca, tanto ha detto e tanto ha fatto che ha mandato via del paese compar Alfio!
Intanto a Sant'Agata le avevano messa la veste nuova, e aspettavano la festa di san Giovanni per toglierle la spadina d'argento dalle trecce, e spartirle i capelli sulla fronte, prima d'andare in chiesa, sicché ognuna al vederla passare diceva: - Beata lei!
La mamma invece, poveretta, si sentiva dentro tutta in festa, perché la sua ragazza andava in una casa dove non le sarebbe mancato nulla, e intanto ella era sempre in faccende a tagliare e cucire. Padron 'Ntoni voleva vedere anche lui, quando tornava a casa la sera, e teneva la tela e la matassa del cotone, e ogni volta che andava alla città portava qualche cosuccia. Il cuore tornava ad aprirsi col bel tempo, i ragazzi guadagnavano tutti, chi più chi meno, e la Provvidenza si buscava il pane anch'essa, e facevano il conto che coll'aiuto di Dio a san Giovanni si sarebbero cavati d'imbarazzo. Padron Cipolla allora stava delle sere intere seduto sugli scalini della chiesa con padron 'Ntoni, a discorrere di quel che aveva fatto la Provvidenza. Brasi girandolava sempre...
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