[Pagina precedente]...hanno fatto come il furetto col coniglio. Le donne son messe al mondo per castigo dei nostri peccati. Senza di loro si starebbe meglio. Chi ce l'avrebbe detto, eh? padron Fortunato! Noi che avevamo la pace degli angeli! Guardate com'è fatto il mondo! C'è gente che va cercando questo negozio del matrimonio colla lanterna, mentre chi ci si trova vorrebbe levarsene.
Padron Fortunato stette un po' a fregarsi il mento, e poi si lasciò andare: - Il matrimonio è come una trappola di topi; quelli che son dentro vorrebbero uscirne, e gli altri ci girano intorno per entrarvi.
- A me mi sembrano pazzi! Vedete don Silvestro, cosa gli manca? e s'è messo in testa di far cascare la Zuppidda coi suoi piedi, vanno dicendo; e se comare Venera non trova di meglio, bisogna che la lasci cascare.
Padron Cipolla continuò a fregarsi il mento e non disse altro. - Sentite, compare Alfio, - seguitò Campana di legno, - fatemelo conchiudere quel negozio della casa coi Malavoglia, finché ci hanno quei soldi, che vi regalerò poi da comprarvi le scarpe, per i passi che farete.
Compare Alfio tornò a parlare ai Malavoglia; ma padron 'Ntoni ora scuoteva il capo, e diceva di no. - Adesso della casa non abbiamo che farne, perché Mena non si può più maritare, e dei Malavoglia non ci è nessuno! Io ci sono ancora perché gli sfortunati hanno i giorni lunghi. Ma quando avrò chiuso gli occhi Alessi piglierà la Nunziata e se ne andrà via dal paese.
Anch'egli stava per andarsene. Il più del tempo lo passava in letto, come un gambero sotto i ciottoli, abbaiando peggio di un cane: - Cosa ci ho a far qui io? - balbettava; e gli pareva di rubare la minestra che gli davano. Invano Alessi e la Mena cercavano di dissuaderlo. E' rispondeva che rubava loro il tempo e la minestra, e voleva che gli contassero i denari messi sotto la materassa, e se li vedeva squagliare a poco a poco, borbottava: - Almeno se non ci fossi io non spendereste tanto. Ora non ho più niente da far qui, e potrei andarmene.
Don Ciccio, il quale veniva a tastargli il polso, confermava che era meglio lo portassero all'ospedale, perché lì dov'era si mangiava la carne sua e quella degli altri, senza utile. Intanto il poveraccio stava a vedere quello che dicessero gli altri, cogli occhi spenti, e aveva paura che lo mandassero all'albergo. Alessi non voleva sentirne parlare di mandarlo all'albergo, e diceva che finché ci era del pane, ce n'era per tutti; e la Mena, dall'altra parte, diceva di no anch'essa, e lo conduceva al sole, nelle belle giornate, e si metteva accanto a lui colla conocchia, a raccontargli delle fiabe, come ai bambini, e a filare, quando non aveva da andare al lavatoio. Gli parlava pure di quel che avrebbero fatto quando arrivava un po' di provvidenza, per fargli allargare il cuore; gli diceva che avrebbero comprato un vitellino a San Sebastiano, ed ella bastava a procurargli l'erba e il mangime per l'inverno. A maggio si sarebbe venduto con guadagno; e gli faceva vedere pure la nidiata di pulcini che aveva messo, e venivano a pigolare davanti ai loro piedi, al sole, starnazzando nella polvere della strada. Coi denari dei pulcini avrebbe anche comperato un maiale, per non perdere le bucce dei fichidindia, e l'acqua che serviva a cuocere la minestra, e a fin d'anno sarebbe stato come aver messo dei soldi nel salvadanaio. Il vecchio, colle mani sul bastone, approvava del capo, guardando i pulcini. Ci stava così attento, poveretto, che arrivava fino a dire che se avessero avuto la casa del nespolo si poteva allevarlo nel cortile, il maiale, giacché quello era un guadagno sicuro con compare Naso. Nella casa del nespolo c'era pure la stalla pel vitello, e la tettoia pel mangime, e ogni cosa; se ne andava ricordando a poco a poco, cercando qua e là cogli occhi morti e col mento sul bastone. Poi domandava sottovoce alla nipote: - Cosa ha detto don Ciccio dell'ospedale? - Mena allora lo sgridava come si fa coi bambini, e gli rispondeva: - Perché pensate a quelle cose? - Egli stava zitto, e ascoltava cheto cheto tutto quello che diceva la ragazza. Ma poi tornava a ripetere: - Non mi ci mandare all'ospedale, perché non ci sono avvezzo.
Infine non si alzava più dal letto, e don Ciccio disse che era proprio finita, e non ci era più bisogno di lui, ché là in quel letto dove era, poteva starci anche degli anni, e Alessi o la Mena ed anche la Nunziata dovevano perdere le loro giornate a far la guardia; se no se lo sarebbero mangiato i porci, come trovavano l'uscio aperto.
Padron 'Ntoni intendeva benissimo quello che si diceva, perché guardava tutti in viso ad uno ad uno, con certi occhi che facevano male a vedere; ed appena il medico se ne fu andato, mentre stava a parlare ancora sull'uscio con Mena che piangeva, e Alessi il quale diceva di no e batteva i piedi, fece segno alla Nunziata di accostarsi al letto, e le disse piano:
- Se mi mandate all'ospedale sarà meglio; qui ve li mangio io i denari della settimana. Mandami via quando non ci sarà in casa la Mena e Alessi. Direbbero di no perché hanno il buon cuore dei Malavoglia; ma io vi mangio i soldi della casa, e poi il medico ha detto che posso starci degli anni qui dove sono. E qui non ci ho più nulla da fare. Però non vorrei camparci degli anni, laggiù all'ospedale.
La Nunziata si metteva a piangere anch'essa e diceva di no, tanto che tutto il vicinato sparlava di loro, che volevano fare i superbi senza aver pane da mangiare. Si vergognavano di mandare il nonno all'ospedale, mentre ci avevano tutti gli altri di qua e di là , e dove poi!
E la Santuzza baciava la medaglia che portava sul petto, per ringraziare la Madonna che l'aveva protetta dal pericolo dove era andata a cascare la sorella di Sant'Agata, come tante altre. - Quel povero vecchio dovrebbero mandarlo all'ospedale, per non fargli avere il purgatorio prima che muoia, - diceva. Almeno lei non gli faceva mancar nulla a suo padre, adesso che era invalido, e se lo teneva sull'uscio. - E vi aiuta anzi! aggiungeva Piedipapera. - Quell'invalido lì vale tant'oro quanto pesa! Par fatto apposta per la porta di un'osteria, così cieco e rattrappito com'è. E dovreste pregare la Madonna che vi campi cent'anni. Già cosa vi costa?
La Santuzza aveva ragione di baciare la medaglia; nessuno poteva dire nulla dei fatti suoi; dacché don Michele se n'era andato, massaro Filippo non si faceva veder più nemmeno lui, e la gente diceva che colui non sapeva stare senza l'aiuto di don Michele. Ora la moglie di Cinghialenta veniva di tanto in tanto a fare il diavolo davanti all'osteria, coi pugni sui fianchi, strillando che la Santuzza le rubava il marito, e perciò quando costui tornava a casa ella si buscava delle frustate colle redini della cavezza, dopo che Cinghialenta aveva venduto il mulo, e non sapeva più che farsene delle redini, che la notte i vicini non potevano chiuder occhio dalle grida.
- Questo non va bene! diceva don Silvestro, la cavezza è fatta per il mulo. Compare Cinghialenta è un uomo grossolano. - Egli andava a dire queste cose quando c'era comare Venera la Zuppidda, la quale dopo che la leva si portava via i giovanotti del paese, aveva finito per addomesticarsi un po' con lui.
- Ognuno sa gli affari di casa sua, rispondeva la Zuppidda; - se lo dite per ciò che vanno predicando le male lingue, che io metto le mani addosso a mio marito, vi rispondo che non sapete un corno, tuttoché sapete di lettera. Del resto ognuno in casa sua fa quel che gli pare e piace. Il padrone è mio marito.
- Tu lasciali dire, - rispondeva suo marito. - Poi lo sanno che se vengono a toccarmi il naso ne faccio tonnina!
La Zuppidda adesso predicava che il capo della casa era suo marito, ed egli era il padrone di maritare la Barbara con chi gli piaceva, e se voleva darla a don Silvestro voleva dire che gliela aveva promessa, e aveva chinato il capo; e quando suo marito aveva chinato il capo, era peggio di un bue.
- Già ! sentenziava don Franco colla barba in aria, - ha chinato il capo perché don Silvestro è di quelli che tengono il manico nel mestolo.
Dacché era stato al tribunale in mezzo a tutti quegli sbirri, don Franco era più arrabbiato di prima, e giurava che non ci sarebbe tornato più neanche in mezzo ai carabinieri. Allorché don Giammaria alzava la voce per discutere, ei gli piantava le unghie negli occhi, rizzandosi sulle gambette, rosso come un gallo, e lo cacciava in fondo alla bottega. - Lo fate apposta per compromettermi! - gli sputava in faccia colla schiuma alla bocca; e se due quistionavano nella piazza, correva a chiudere l'uscio acciò non lo chiamassero per testimonio. Don Giammaria era trionfante; quell'asparagio verde aveva del coraggio quanto un leone, perché ci aveva la tonaca sulle spalle, e sparlava del governo, pappandosi la lira al giorno, e diceva che se lo meritavano quel governo, giacché avevano fatto la rivoluzione, e ora venivano i forestieri a rapire le donne e i denari della gente. Ei sapeva di chi parlava, che gli era venuta l'itterizia dalla collera, e donna Rosolina era dimagrata dalla bile, massime dopo che se n'era andato don Michele, e s'erano sapute tutte le porcherie di quest'altro. Adesso non faceva che andare a caccia di messe e di confessori, di qua e di là , sino all'Ognina e ad Aci Castello, e trascurava la conserva dei pomidoro e il tonno sottolio, per darsi a Dio.
Don Franco allora si sfogava mettendosi a ridere come una gallina, all'uso di don Silvestro, rizzandosi sulla punta dei piedi, coll'uscio spalancato a due battenti, che per questo non c'era pericolo d'andare in prigione; e diceva che finché ci sarebbero stati i preti era sempre la stessa cosa, e bisognava fare tavola rasa, s'intendeva lui, trinciando colla mano in giro.
- Io per me li vorrei tutti arsi! rispondeva don Giammaria, che intendeva anche lui di chi parlava.
Ora lo speziale non teneva più cattedra; e quando veniva don Silvestro, andava a pestare i suoi unguenti nel mortaio, per non compromettersi. Già tutti quelli che bazzicano col governo, e mangiano il pane del re, son tutta gente da guardarsene. E si sfogava soltanto con don Giammaria, e con don Ciccio il medico, quando lasciava l'asinello alla spezieria per andare a tastare il polso a padron 'Ntoni, e ricette non ne scriveva, perché diceva che erano inutili, con quella povera gente che non aveva denari da buttar via.
- Allora perché non lo mandano all'ospedale, quel vecchio? tornavano a dire gli altri, - e perché se lo tengono in casa a farselo mangiare dalle pulci?
Tanto che, pesta e ripesta, il medico ripeteva che andava e veniva per niente, e faceva il viaggio del sale, e allorché c'erano le comari davanti al letto del malato, comare Piedipapera, la cugina Anna o la Nunziata, predicava sempre che se lo mangiavano le pulci. Padron 'Ntoni non osava più fiatare, colla faccia bianca e disfatta. E come le comari cinguettavano fra di loro, e fino alla Nunziata cascavan le braccia, un giorno che Alessi non c'era, disse infine: - Chiamatemi compare Mosca, che lui me la farà la carità di portarmi all'ospedale sul suo carro.
Così padron 'Ntoni se ne andò all'ospedale sul carro di Alfio Mosca, il quale ci aveva messo la materassa ed i guanciali, ma il povero malato, sebbene non dicesse nulla, andava guardando dappertutto, mentre lo portavano fuori reggendolo per le ascelle, il giorno in cui Alessi era andato a Riposto, e avevano mandato via la Mena con un pretesto, che se no non l'avrebbero lasciato partire. Sulla strada del Nero, nel passare davanti alla casa del nespolo, e nell'attraversare la piazza, padron 'Ntoni continuava a guardare di qua e di là per stamparsi in mente ogni cosa. Alfio guidava il mulo da una parte, e Nunziata, la quale aveva lasciato in custodia a Turi il vitello, i tacchini, e le pollastre, veniva a piedi dall'altro lato, col fagotto delle camicie sotto il braccio. Al vedere passare il carro ognuno si affacciava sulla porta, e stava a guardare; e don Silvestro disse che avevano fatto bene, per questo il comune pagava la sua rata all'ospedale; e don Franco avrebbe anche spifferata la sua p...
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