[Pagina precedente]... quando si alzava e chiamava Alessi per andare al mare, lasciava dormire l'altro; tanto, non sarebbe stato buono a nulla. 'Ntoni da prima se ne vergognava, e andava ad aspettarli sulla riva appena tornavano, colla testa bassa. Ma a poco a poco ci fece il callo, e diceva fra di sé: - Così domani faremo ancora domenica!
Il povero vecchio cercò tutti i mezzi di toccargli il cuore, e di nascosto gli fece persino esorcizzare la camicia da don Giammaria, e spese tre tarì. - Vedi! gli diceva, questo non c'è mai stato nei Malavoglia! Se tu prendi la mala strada di Rocco Spatu, tuo fratello e le tue sorelle ti verranno dietro. "Una mela fradicia guasta tutte le altre", e quei soldi che abbiamo messo insieme con tanto stento se ne anderanno in fumo. "Per un pescatore si perde la barca", e allora che faremo?
'Ntoni restava a capo chino, o brontolava fra i denti; ma l'indomani tornava da capo, e una volta glielo disse: - Che volete? almeno quando non sono più in sensi non penso alla mia disgrazia.
- Che disgrazia! Tu hai la salute, sei giovane, sai il tuo mestiere, che ti manca? Io che son vecchio, e tuo fratello che è ancora un ragazzo, ci siamo tirati su dal fosso. Ora se tu volessi aiutarci, torneremo ad essere quelli che eravamo, se non più col cuore contento, perché quelli che sono morti non tornano più, almeno senza altre angustie; e tutti uniti, come devono stare le dita della mano, e col pane in casa. Se io chiudo gli occhi come resterete voi altri? Adesso, vedi, mi tocca d'aver paura ogni volta che c'imbarchiamo per andar lontano. E son vecchio!...
Quando il nonno riesciva a toccargli il cuore, 'Ntoni si metteva a piangere. I fratelli, che sapevano tutto, si rincantucciavano, appena lo sentivano venire, come ei fosse un estraneo, o quasi avessero paura di lui; e il nonno, col rosario in mano, borbottava: - O anima benedetta di Bastianazzo! O anima di mia nuora Maruzza! fatelo voi il miracolo! - Come Mena lo vedeva arrivare colla faccia pallida e gli occhi lustri, gli diceva: - Entra da questa parte, che ci è il nonno! - E lo faceva entrare dalla porticina della cucina; poi si metteva a piangere cheta cheta accanto al focolare; tanto che 'Ntoni disse alla fine: - Non voglio andarci più all'osteria, neanche se m'ammazzano! E tornò a lavorare di buonavoglia come prima; anzi, si alzava prima degli altri, e andava ad aspettare il nonno alla marina, che ci volevano due ore a far giorno, i Tre Re erano ancora alti sul campanile del villaggio, e i grilli si udivano trillare nelle chiuse come se fossero lì accanto. Il nonno non ci capiva più nella camicia dalla contentezza; andava chiacchierando con lui onde provargli come gli volesse bene, e fra di sé diceva: - Son l'anime sante di sua madre e di suo padre che hanno fatto il miracolo.
Il miracolo durò tutta la settimana, e la domenica 'Ntoni non volle nemmeno andare in piazza, per non vedere l'osteria da lontano e gli amici che lo chiamavano. Ma si rompeva le mascelle a sbadigliare tutto quel giorno in cui non aveva nulla da fare, e non finiva più. Oramai non era un ragazzo per passare il tempo ad andare per le ginestre nella sciara, cantando come suo fratello Alessi e la Nunziata, o a spazzar la casa come Mena, e nemmeno un vecchio come il nonno per divertirsi ad accomodare i barilotti sfondati, e le nasse sfasciate. Egli restò seduto accanto alla porta, nella strada del Nero, che non ci passava nemmeno una gallina, e sentiva le voci e le risate all'osteria. Tanto che andò a dormire per non sapere che fare, e il lunedì tornò a fare il muso lungo. Il nonno gli diceva: - Per te sarebbe meglio che non venisse la domenica; perché il giorno dopo sei come se fossi malato. Ecco quello che era meglio per lui, che non venisse mai la domenica! e gli cascava il cuore per terra a pensare che tutti i giorni fossero dei lunedì. Sicché, quando tornava dal mare, la sera, non aveva voglia nemmeno d'andare a dormire, e si sfogava a scorazzare di qua e di là colla sua disgrazia, tanto che infine venne a capitare di nuovo all'osteria.
Prima, allorché tornava a casa malfermo sulle gambe, si ficcava dentro mogio mogio, facendosi piccino e balbettando delle scuse, o almeno non fiatava. Ma ora alzava la voce, litigava colla sorella se l'aspettava sull'uscio, colla faccia pallida e gli occhi gonfi, e se gli diceva sottovoce d'entrare dalla cucina che in casa c'era il nonno. - A me non me ne importa! rispondeva. Il giorno dopo si levava stravolto e di cattivo umore; e cominciava a gridare e bestemmiare dalla mattina alla sera.
Una volta successe una brutta scena. Il nonno, non sapendo più che fare per toccargli il cuore, l'aveva tirato nell'angolo della cameruccia, ad usci chiusi, perché non udissero i vicini, e gli diceva piangendo come un ragazzo, il povero vecchio: - Oh 'Ntoni! non ti rammenti che qui c'è morta tua madre? Perché vuoi darle questo dolore a tua madre, di vederti fare la riescita di Rocco Spatu? Non lo vedi come stenta e si affatica la povera cugina Anna per quell'ubbriacone di suo figlio? e come piange alle volte, allorché non ha pane da dare agli altri suoi figliuoli, e non le basta il cuore di ridere? "Chi va col lupo allupa" e "chi pratica con zoppi all'anno zoppica". Non ti rammenti quella notte del colèra che eravamo qui tutti davanti a quel lettuccio, ed ella ti raccomandava Mena e i ragazzi? - 'Ntoni piangeva come un vitello slattato, e diceva che voleva morire anche lui; ma poi adagio adagio tornava all'osteria, e la notte, invece di venire a casa, andava per la via, fermandosi dietro gli usci, colle spalle appoggiate al muro, stanco morto, insieme a Rocco Spatu e a Cinghialenta; e si metteva a cantare con loro, per scacciare la malinconia.
Infine il povero padron 'Ntoni non osava più mostrarsi per le strade dalla vergogna. Il nipote invece, per evitare le prediche, veniva a casa colla faccia scura; così non gli rompevano la devozione con le solite prediche. Già le prediche se le faceva da se stesso, a voce bassa, ed era tutta colpa della sua disgrazia che l'aveva fatto nascere in quello stato.
E andava a sfogarsi collo speziale e con altri di quelli che avevano un po' di tempo per chiacchierare dell'ingiustizia sacrosanta che ci è a questo mondo in ogni cosa; che se uno va dalla Santuzza, per dimenticare i suoi guai, si chiama ubbriacone; mentre tanti altri che si ubbriacano a casa di vino buono non hanno guai per la testa, né nessuno che li rimproveri o faccia loro la predica di andare a lavorare, giacché non hanno nulla da fare, e son ricchi per due; eppure tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe avere la sua parte egualmente. - Quel ragazzo lì ha del talento! diceva lo speziale a don Silvestro, e a padron Cipolla, e a chi voleva sentirlo. - Vede le cose all'ingrosso, così alla carlona, ma il sugo c'è; non è colpa sua se non sa esprimersi meglio; è colpa del governo che lo lascia nell'ignoranza.
Per istruirlo gli portava il Secolo e la Gazzetta di Catania. Però 'Ntoni si seccava a leggere; prima di tutto perché era una fatica, e quand'era soldato gli avevano insegnato a leggere per forza; ma adesso era libero di fare quello che gli pareva e piaceva, e aveva un po' dimenticato come si cacciano insieme le parole nello scritto. Poi tutte quelle chiacchiere stampate non gli mettevano un soldo in tasca. Che gliene importava a lui? Don Franco glielo spiegava lui perché avrebbe dovuto importargliene; e quando passava don Michele per la piazza, glielo indicava colla barbona, ammiccando, e gli spifferava sottovoce che passava per donna Rosolina anche quello, ora che aveva sentito come donna Rosolina avesse dei denari, e li dava alla gente per farsi sposare.
- Bisogna cominciare dal levarci dai piedi tutti costoro col berretto gallonato. Bisogna far la rivoluzione. Ecco quello che bisogna fare!
- E voi cosa mi date per fare la rivoluzione?
Don Franco allora si stringeva nelle spalle, e se ne andava indispettito a pestare l'acqua sporca nel mortaio; giacché con gente siffatta era proprio pestar l'acqua nel mortaio, diceva. E Piedipapera, appena 'Ntoni voltava le spalle, soggiungeva sottovoce:
- Se volesse ammazzare don Michele, dovrebbe ammazzarlo per qualche altra cosa; ché gli vuol rubare la sorella; ma 'Ntoni è peggio d'un maiale, tanto che si fa mantenere dalla Santuzza. Piedipapera se lo sentiva sullo stomaco don Michele, dacché guardava cogli occhi torvi lui e Rocco Spatu e Cinghialenta quando li incontrava; perciò voleva levarselo davanti.
Quelle povere Malavoglia erano arrivate al punto che andavano per le bocche di tutti, per colpa del fratello, tanto i Malavoglia erano caduti in bassa fortuna. Ora tutto il paese sapeva che don Michele passava e ripassava per la strada del Nero, onde far dispetto alla Zuppidda, la quale stava a guardia di sua figlia colla conocchia in mano. Intanto don Michele per non perdere i suoi passi, aveva gettato gli occhi su di Lia, la quale si era fatta una bella ragazza anche lei, e non aveva nessuno che le stesse a guardia, tranne la sorella che si faceva rossa per lei, e le diceva: - Rientriamo in casa, Lia. Sulla porta non ci stiamo bene ora che siamo orfane.
Ma la Lia era vanerella peggio di suo fratello 'Ntoni, e le piaceva starsene sulla porta a far vedere il fazzoletto colle rose, che ognuno le diceva: - Come siete bella con quel fazzoletto, comare Lia! e don Michele se la mangiava cogli occhi.
La povera Mena, mentre stava là sulla porta, ad aspettare il fratello che tornava a casa ubbriaco, si sentiva così stanca ed avvilita che le cascavano le braccia quando voleva tirare in casa la sorella, perché passava don Michele, e Lia le rispondeva: - Hai paura che mi mangi? Già , nessuno ne vuole di noi altri, ora che non abbiamo più niente. Non lo vedi come è andato a finire mio fratello, che non lo vogliono nemmeno i cani!
- Se 'Ntoni avesse fegato, andava dicendo Piedipapera, se lo leverebbe dinanzi quel don Michele.
'Ntoni invece voleva levarsi dinanzi don Michele per un'altra cosa. La Santuzza, dopo che l'aveva rotta con don Michele, aveva preso a ben volere 'Ntoni, per quel modo di portare il berretto sull'orecchio, e di dondolare le spalle camminando che aveva preso da soldato; e gli metteva in serbo sotto il banco tutti i piatti coi resti che lasciavano gli avventori; e un po' di qua e un po' di là gli riempiva anche il bicchiere. In tal modo lo manteneva per l'osteria grasso e unto come il cane del macellaio. Al bisogno poi 'Ntoni si disobbligava facendo a pugni con quegli avventori della malannata, che cercano il pelo nell'uovo all'ora del conto, e gridano e bestemmiano prima di pagare. Cogli amici della taverna invece era allegro e chiacchierone, e teneva d'occhio anche il banco, allorché la Santuzza andava a confessarsi. Sicché, tutti colà gli volevano bene come se fosse a casa sua; tranne lo zio Santoro il quale lo guardava di mal'occhio, e borbottava, fra un'avemaria e l'altra, contro di lui, che viveva alle spalle di sua figlia, come un canonico; la Santuzza rispondeva che era la padrona, se voleva far vivere alle sue spalle 'Ntoni Malavoglia, grasso come un canonico; segno che ci aveva il suo piacere, e non aveva più bisogno di nessuno.
- Sì! sì! brontolava lo zio Santoro, quando poteva chiapparla un momento a quattr'occhi. Di don Michele ne hai sempre bisogno. Massaro Filippo m'ha detto dieci volte che è tempo di finirla, che il vino nuovo non può tenerlo più nella cantina, e bisognerebbe farlo entrare in paese di contrabbando.
- Massaro Filippo pensa al suo interesse. Ma io, vedete, dovessi pagare il dazio due volte, e il contrabbando, don Michele non lo voglio più, no e poi no!
Ella non voleva perdonare a don Michele quella partaccia che gli aveva fatta colla Zuppidda, dopo tanto tempo ch'era stato trattato come un canonico nell'osteria, per l'amore dei suoi galloni; e 'Ntoni Malavoglia, senza galloni, valeva dieci volte don Michele; a lui, quello che gli dava glielo dava di tutto cuore. 'Ntoni si guadagnava il pane in tal modo, e quando il nonno gli rimproverava ...
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