[Pagina precedente]...il suo far nulla, e la sorella lo guardava tristamente, cogli occhi fissi, rispondeva: - Forse che vi costo qualche cosa? Dei denari della casa non ne spendo, e il mio pane me lo guadagno da me. - Meglio sarebbe che tu morissi di fame, gli diceva il nonno, e che avessimo a morire tutti oggi stesso! - Infine nessuno parlava più, seduti dov'erano, e voltandosi le spalle. Padron 'Ntoni era ridotto a non aprir bocca, per non litigare col nipote; e 'Ntoni poi, quand'era stanco della predica, piantava lì tutti della paranza, a piagnucolare, e se ne andava a trovar Rocco o compare Vanni, coi quali si stava allegri e se ne trovava sempre una nuova da inventare.
Una volta inventarono di fare la serenata allo zio Crocifisso, la notte in cui s'era maritato colla Vespa, e condussero sotto le finestre di lui tutti coloro cui lo zio Crocifisso non voleva prestare più un soldo, coi cocci, e le pentole fesse, i campanacci del beccaio e gli zufoli di canna, a fare il baccano e un casa del diavolo sino a mezzanotte, talché la Vespa l'indomani s'alzò più verde del solito, e se la prese con quella canaglia della Santuzza, nella taverna della quale s'era macchinata tutta quella birbonata, per gelosia che lei se l'era trovato il marito, onde stare in grazia di Dio, mentre le altre erano sempre nel peccato mortale, e facevano mille porcherie, sotto l'abitino della Madonna.
La gente gli rideva sul muso allo zio Crocifisso, come lo vide sposo sulla piazza, vestito di nuovo, e giallo come un morto, dalla paura che gli aveva fatto la Vespa con quel vestito nuovo che costava denari. La Vespa era sempre a spendere e spandere, che se l'avessero lasciata fare avrebbe vuotato il sacco in una settimana; e diceva che la padrona adesso era lei, tanto che tutti i giorni c'era il diavolo dallo zio Crocifisso. Sua moglie gli piantava le unghie sulla faccia, e gli gridava che voleva aver le chiavi lei, e non voleva star sempre a desiderare un pezzo di pane e un fazzoletto nuovo peggio di prima; perché se avesse saputo quel che le doveva venire dal matrimonio, con quel bel marito che le era toccato, si sarebbe tenuta la chiusa e la medaglia di Figlia di Maria, piuttosto; già , tanto e tanto avrebbe potuto portarla ancora, la medaglia di Figlia di Maria! E lui strillava che era rovinato; che non era più padrone del fatto suo; che v'era tuttora il colèra in casa, e volevano farlo morire di crepacuore prima del tempo, per scialacquarsi allegramente la roba che egli aveva stentato tanto a raggranellare! Lui pure, se avesse saputo tutto questo, avrebbe mandato al diavolo la chiusa e la moglie; ché già lui di moglie non ne aveva bisogno, e l'avevano preso per il collo, facendogli credere che la Vespa avesse acchiappato Brasi Cipolla, e stesse per scappargli insieme alla chiusa, maledetta chiusa!
Giusto in quel punto si seppe che Brasi Cipolla s'era lasciato rubare dalla Mangiacarrubbe, come un bietolone, e padron Fortunato li andava cercando per la sciara, e pel vallone, e sotto il ponte, colla schiuma alla bocca, giurando e spergiurando che se li trovava voleva dar loro tante di quelle pedate, e farsi venire le orecchie di suo figlio nelle mani. Lo zio Crocifisso a quel discorso si cacciava le mani nei capelli anche lui, e diceva che la Zuppidda l'aveva rovinato a non rapire Brasi una settimana prima. - Questa è stata la volontà di Dio! andava dicendo picchiandosi il petto; la volontà di Dio è stata che io m'avessi a pigliar la Vespa per castigo dei miei peccati! - E dei peccati doveva avercene grossi assai, perché la Vespa gli avvelenava il pane in bocca, e gli faceva soffrire le pene del purgatorio, notte e giorno. Per giunta poi si vantava di essergli fedele, che non avrebbe guardato in faccia un cristiano, fosse giovane e bello come 'Ntoni Malavoglia o Vanni Pizzuto, per tutto l'oro del mondo; mentre gli uomini le ronzavano sempre attorno a tentarla come ci avesse il miele nelle gonnelle. - Se fosse vero andrei a chiamarglielo io stesso colui! borbottava lo zio Crocifisso; - purché me la levasse davanti! E diceva pure che avrebbe pagato qualche cosa a Vanni Pizzuto o a 'Ntoni Malavoglia perché gli facessero le corna, giacché 'Ntoni faceva quel mestiere. - Allora potrei mandarla via quella strega che mi son cacciata in casa!
Ma 'Ntoni il mestiere lo faceva dove era grasso, e ci mangiava e beveva, che era un piacere a vederlo. Ora portava la testa alta, e se la rideva se il nonno gli diceva qualche parola a bassa voce; adesso era il nonno che si faceva piccino, quasi il torto fosse suo. 'Ntoni diceva che se non lo volevano in casa sapeva dove andare a dormire, nella stalla della Santuzza; e già non spendevano nulla a casa sua per dargli da mangiare. Padron 'Ntoni, e Alessi, e Mena, tutto quello che buscavano colla pesca, col telaio, al lavatoio, e con tutti gli altri mestieri, potevano metterlo da parte, per quella famosa barca di san Pietro, colla quale si guadagnava di rompersi le braccia tutti i giorni per un rotolo di pesce, o per la casa del nespolo, nella quale si sarebbe andati a crepare allegramente di fame! tanto lui un soldo non l'avrebbe voluto; povero diavolo per povero diavolo, preferiva godersi un po' di riposo, finché era giovane, e non abbaiava la notte come il nonno. Il sole c'era lì per tutti, e l'ombra degli ulivi per mettersi al fresco, e la piazza per passeggiare, e gli scalini della chiesa per stare a chiacchierare, e lo stradone per veder passare la gente e sentir le notizie, e l'osteria per mangiare e bere cogli amici. Poi quando gli sbadigli vi rompevano le mascelle, si giocava alla mora, o a briscola; e quando infine si aveva sonno, ci era lì la chiusa dove pascevano i montoni di compare Naso, per sdraiarsi a dormire il giorno, o la stalla di comare suor Mariangela quand'era notte.
- Che non ti vergogni di fare questa vita? gli disse alfine il nonno, il quale era venuto apposta a cercarlo colla testa bassa e tutto curvo; e piangeva come un fanciullo nel dir così, tirandolo per la manica dietro la stalla della Santuzza, perché nessuno li vedesse. - E alla tua casa non ci pensi? e ai tuoi fratelli non ci pensi? Oh, se fossero qui tuo padre e la Longa! 'Ntoni! 'Ntoni!...
- Ma voi altri ve la passate forse meglio di me a lavorare, e ad affannarvi per nulla? È la nostra mala sorte infame! ecco cos'è! Vedete come siete ridotto, che sembrate un arco di violino, e sino a vecchio avete fatto sempre la stessa vita! Ora che ne avete? Voi altri non conoscete il mondo, e siete come i gattini cogli occhi chiusi. E il pesce che pescate ve lo mangiate voi? Sapete per chi lavorate, dal lunedì al sabato, e vi siete ridotto a quel modo che non vi vorrebbero neanche all'ospedale? per quelli che non fanno nulla, e che hanno denari a palate lavorate!
- Ma tu non ne hai denari, né io ne ho! Non ne abbiamo avuti mai, e ci siamo guadagnato il pane come vuol Dio; è per questo che bisogna darsi le mani attorno, a guadagnarli, se no si muore di fame.
- Come vuole il diavolo, volete dire! Che è tutta opera di Satanasso la nostra disgrazia! Ora sapete quel che ci aspetta, quando non potrete più darvele attorno le mani, perché i reumatismi le avranno ridotte come una radica di vite? Vi aspetta il vallone sotto il ponte per andare a creparvi.
- No! no! esclamò il vecchio tutto giulivo, e gettandogli al collo le braccia rattratte come radiche di vite. I denari per la casa ci son già , e se tu ci aiuti...
- Ah! la casa del nespolo! Credete che sia il più bel palazzo del mondo, voi che non avete visto altro?
- Lo so che non è il più bel palazzo del mondo. Ma non dovresti dirlo tu che ci sei nato, tanto più che tua madre non ci è morta.
- Nemmeno mio padre non ci è morto. Il nostro mestiere è di lasciare la pelle laggiù, in bocca ai pescicani. Almeno, finché non ce la lascio, voglio godermi quel po' di bene che posso trovare, giacché è inutile logorarmi la pelle per niente! E poi? quando avrete la casa? e quando avrete la barca? E poi? e la dote di Mena? e la dote di Lia?... Ah! sangue di Giuda ladro! che malasorte è la nostra!
Il vecchio se ne andò desolato, scuotendo il capo, col dorso curvo, ché le parole amare del nipote l'avevano schiacciato peggio di un pezzo di scoglio piombatogli sulla schiena. Adesso non aveva più coraggio per nulla, gli cascavano le braccia, e aveva voglia di piangere. Non poteva pensare ad altro, se non che Bastianazzo e Luca non ci avevano mai avuto pel capo quelle cose che ci aveva 'Ntoni, e avevano sempre fatto senza lamentarsi quello che dovevano fare; e mulinava pure che era inutile pensare alla dote di Mena, e di Lia, giacché non ci sarebbero arrivati mai.
La povera Mena pareva che lo sapesse anche lei, tanto era avvilita. Le vicine ora tiravano di lungo dinanzi alla porta dei Malavoglia, come durasse il colèra, e la lasciavano sola, accanto alla sorella col fazzoletto colle rose, o insieme alla Nunziata, e alla cugina Anna, quando esse facevano la carità di venire a cianciare un po'; giacché la cugina Anna ci aveva anche lei, poveretta, quell'ubbriacone di Rocco, e oramai tutti lo sapevano; e la Nunziata era troppo piccola quando quel bel mobile di suo padre l'aveva piantata per andarsene a cercare fortuna altrove. Le poverette s'intendevano fra di loro appunto per questo, quando discorrevano a bassa voce, col capo chino, e le mani sotto il grembiule, ed anche quando tacevano, senza guardarsi in viso, pensando ognuno ai casi suoi. - Quando si è ridotti allo stato in cui siamo, diceva Lia che parlava come una donna fatta, bisogna aiutarsi da sé, e che ognuno pensi ai suoi interessi.
Don Michele di tanto in tanto si fermava a salutarle o a dir qualche barzelletta; tanto che le donne si erano addomesticate col berretto gallonato, e non ne avevano più paura: anzi la Lia s'era lasciata andare a dire anche lei le barzellette, e ci rideva sopra; né la Mena osava sgridarla, o andarsene in cucina e lasciarla sola, ora che non aveva più la madre; e restava lì anche lei accasciata su di sé stessa, guardando di qua e di là della strada con gli occhi stanchi. Oramai come si vedeva che i vicini li avevano abbandonati, le si gonfiava il cuore di riconoscenza ogni volta che don Michele con tutto il suo berretto gallonato non sdegnava di fermarsi sulla porta dei Malavoglia a far quattro chiacchiere. E se don Michele trovava la Lia sola, la guardava negli occhi, tirandosi i mustacchi, col berretto gallonato messo alla sgherra, e le diceva: - Che bella ragazza che siete, comare Malavoglia.
Nessuno le aveva detto questo; perciò ella si faceva rossa come un pomodoro.
- Come va che non vi siete maritata ancora? le diceva anche don Michele.
Ella si stringeva nelle spalle, e rispondeva che non lo sapeva.
- Voi dovreste avere la veste di lana e seta, e gli orecchini lunghi; ché allora, in parola d'onore, gli fareste tenere il candeliere a molte signore della città .
- La veste di lana e seta non fa per me, don Michele! rispondeva Lia.
- O perché? La Zuppidda non l'ha? e la Mangiacarrubbe, ora che ha acchiappato Brasi di padron Cipolla, non l'avrà anche lei? e la Vespa, se la vuole, non se la farà come le altre?
- Loro son ricche, loro!
- Sorte scellerata! esclamava don Michele battendo col pugno sulla sciabola. Vorrei pigliare un terno al lotto, vorrei pigliare, comare Lia! per farvi vedere cosa son capace di fare!
Alle volte don Michele aggiungeva: - Permettete? - colla mano nel berretto, e si metteva a sedere lì vicino sui sassi, mentre non aveva da fare. Mena credeva che volesse stare lì per comare Barbara, e non gli diceva nulla. Ma don Michele alla Lia le giurava che non era per la Barbara, e non ci aveva mai pensato, sulla santa parola d'onore! Pensava a tutt'altro lui, se non lo sapeva comare Lia!...
E si fregava il mento, o si stirava i baffi guardandola come il basilisco. La ragazza si faceva di mille colori e si alzava per andarsene. Però don Michele la prendeva per la mano, e le diceva: - Perché volete farmi quest'offesa, comare Malavoglia? Restate lì, che nessuno vi mangia.
Così, mentre aspettavano gli ...
[Pagina successiva]