[Pagina precedente]...violetta sulle calde tinte dell'occidente; l'aria era imbalsamata da mille fragranze estive; una nebbia sottile si levava dal fondo della valle, dove si udiva mormorare il torrente, i buoi che c'erano stati a bere risalivano l'erta lentamente, brucando l'erba qua e là , e facendo risuonare di tanto in tanto i loro campanacci.
Le due fanciulle, silenziose da un pezzo, stavano appoggiate alla balaustrata della terrazza, e guardavano sbadatamente.
«Tuo cugino verrà stasera?»
«SÃ.»
E dopo una breve pausa:
«È biondo tuo cugino?»
«SÃ.»
«Alto?»
«Sû
«È bello?»
Adele sorrise e chinò il capo.
La sua amica si voltò verso di lei, la guardò in viso, e disse lentamente:
«L'ami?»
«Oh!...» esclamò Adele tirandosi bruscamente indietro e facendosi di fuoco.
Le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta. Tutta la verginità che c'era nel cuore della fanciulla sembrò trasalire a quella domanda. L'altra, ch'era di due o tre anni maggiore di lei, l'abbracciò strettamente, viso contro viso, cullandosi insieme a lei sulla ringhiera, con un movimento di grazia inimitabile, e le susurrò piano all'orecchio: «L'ami?».
Ella si voltò all'improvviso, rossa come fiamma, e le stampò un bacio sulla guancia.
«Ed egli ti ama?»
Adele rispose senza alzare il capo: «Non lo so».
«Eh, via!»
«Non me l'ha mai detto.»
«Certe cose non c'è bisogno di dirle.»
«O come si fa allora?»
L'altra la guardò ridendo: «Deve amarti moltissimo, perché sei carina davvero!»
«Come sei bella tu!» esclamò Adele, buttandole le braccia al collo.
Una carrozza s'avvicinava rapidamente; il bel giovanetto che c'era dentro levò, fra timido e sorridente, i grandi occhi azzurri verso la terrazza, fece un saluto un po' imbarazzato, volse uno sguardo festoso, e arrossà leggermente.
«Come s'è fatto grande!» esclamò sottovoce Adele, aggrappandosi, senza saper perché, al vestito della sua amica.
«E un bel giovane» disse costei.
«Aveva il sigaro in bocca, hai visto?»
«Non è elegante, ma ha un'aria distinta. È marchese, non è vero?»
«SÃ, a momenti sarà qui.»
Velleda rizzò il capo con un movimento impercettibilmente altero, civettuolo e grazioso al tempo istesso, e si mise a frustare i ramoscelli piú bassi con una bacchetta che aveva in mano.
«Se fossi bella come te!» esclamò ingenuamente l'Adele, forse colpita da quel rapido corruscare della vanità , o forse rispondendo ai pensieri che le si affollavano in mente.
La sua amica era infatti una magnifica bionda, aristocratica e delicata beltà , modellata come una Venere, e leggiadra come un figurino di mode, dalle folte e morbide chiome cinerine, dai grand'occhi azzurri e dalle labbra rugiadose; sotto i suoi guanti grigi celava unghie d'acciaio, colorate di rosa; il suo stivalino sembrava animato da fremiti impazienti, e con quel suo tacco alto, con quella sua curva elegante, avea l'aria di gentile arroganza, come se sentisse di render beata l'erba che calpestava; il sorriso di lei era affascinante, lo sguardo profondo ed un po' altero, l'accento carezzevole, il vestito avea artificiose semplicità , e la blonda pudiche civetterie - ecco che cosa era quella fanciulla che frustava i ramoscelli con un virgulto di salcio, e che si chiamava Velleda, al modo stesso che era bionda, che era capricciosa, che era elegante, e che un bel fiore da stufa ha un bel nome straniero. Ella sembrava sopraffare la verginale leggiadria della sua amica col semplice portamento superbo del capo, o con un solo de' suoi sorrisi affascinanti. Adele era magrina, delicata, pallidetta, cosà bianca che sembrava diafana, e che le piú piccole vene trasparivano con vaga sfumatura azzurrina; avea grand'occhi turchini, folte trecce nere, mani candide e un po' troppo affusolate; il vento, innamorato, modellava le vesti sul suo corpiccino svelto e gentile come una statua d'Ebe; i movimenti di lei avevano certa elasticità carezzevole e felina; - accanto a ciò una timidità quasi selvaggia, un sorriso spensierato, e dei rossori improvvisi. Un conoscitore avrebbe indovinato nella leggiadria modesta e quasi infantile della fanciulla il prossimo sbocciare di una bellezza tale da rivaleggiare con quella della superba bionda; ma Alberto non era conoscitore, e allorché la cuginetta gli corse incontro stendendogli le mani e salutandolo col suo grazioso rossore, i capelli biondi, la veste di seta, e lo sguardo da regina dell'altra gli si gettarono, direi, alla testa, in un lampo. Povera Adele! se avesse potuto udire il ronzÃo di tutti quei calabroni inquieti che si destavano nella mente di Alberto, mentre ella credeva di fare una presentazione in regola, dicendo: «Mio cugino!» «La signorina Velleda!»
La signorina Velleda fece una bella riverenza da ballo, ed Alberto se ne rammentò scrivendo il giorno stesso all'amico Gemmati: "Se avessi visto con quanta grazia inchinandosi spingeva indietro il suo vestito!".
Velleda andava innanzi, giocherellando sempre colla sua bacchettina a mo' di frustino, un po' da bambina capricciosa, un po' da leggiadra civettuola. Allo svoltar d'un viale scomparve.
Adele, che chiacchierava col cugino, tutta giuliva, arrossà improvvisamente, ed Alberto se ne avvide.
«Che hai?» le domandò.
«Il babbo non sa nulla del tuo arrivo... cerco di vederlo.»
Il babbo li vedeva benissimo dalla sua finestra, e si fregava le mani.
Al rammentarsi dello zio il giovane si fe' scuro in viso, e pensò agli esami andati a monte. Ma lo zio, ch'era il miglior zio del mondo, abbracciò teneramente il nipote, come se costui non avesse delle palle nere sulla coscienza; anzi a tavola comparve un certo fiasco di vecchio chianti, di quel delle grandi occasioni, e se l'avessero lasciato fare, lo zio avrebbe fatto crepare il nipote di indigestione, per provargli la sua tenerezza. L'Adele fu ciarliera e taciturna a sproposito, la signorina Manfredini disinvolta e piena di brio, Alberto un po' imbarazzato, un po' distratto, e di quando in quando aveva certi assalti di allegria che gli montavano al viso, gli luccicavano negli occhi e si risolvevano in bizzarre effusioni di affetto per lo zio Bartolomeo.
«La bella luna!» esclamò Adele affacciandosi alla finestra. «O che non si va in giardino?»
Velleda, interrogata a quel modo, si mise a ridere.
«Vacci anche tu» disse lo zio ad Alberto, che non faceva le viste di muoversi.
«E lei, zio?»
«O cosa vuoi che venga a farci io? Ci ho il mio giornale da digerire. Vai pure.»
IV
Le due ragazze irruppero in giardino allegre e chiassose; la luna sembrava inondarle di un pallido chiarore, traeva dei riflessi turchinicci dai capelli di Adele, dava un che di vaporoso a quelli di Velleda, luccicava sulla seta, giocava colle ombre, frastagliavasi fra i cespugli, disegnava nettamente in bianco i viali; il cielo era terso, leggermente azzurro; le gaie voci e gli allegri scrosci di risa avevano cristalline sonorità .
«Sono stanca!» disse Adele lasciandosi andare su di un sedile, e raccolse la sua vesticciuola volgendosi verso di Alberto con un tacito invito; costui che chiacchierava spensieratamente tacque all'improvviso.
«Ho dimenticato il mio scialletto» disse Velleda con singolare vivacità .
«Andrò a prenderlo» rispose premuroso Alberto.
La ragazza non poté dissimulare un sorriso maliziosetto.
«Grazie, non s'incomodi» rispose, e partà correndo.
Adele s'era ritirata in là per far posto al cugino accanto a lei; ma egli si mise a passeggiare innanzi e indietro, gettando di tempo in tempo sguardi avidi e imbarazzati sul sedile.
«Vuoi metterti a sedere?» diss'ella.
«No... grazie... non ti comoda?»
«Che!»
Ella si mise a strappare le foglie del rosaio. Alberto accavallava ora una gamba ora l'altra, guardava gli alberi, il viale, la punta dei suoi stivali, e non sapeva che farsene delle mani.
«Mi permetti di fumare?» disse dopo un lungo silenzio, e come se avesse fatto una grande scoperta.
«Fai pure.»
Egli trionfante accese un sigaro, e si diede a buffare il fumo con enfasi.
«Ti dà noia il fumo?» le domandò.
«No» rispose Adele tossendo e fregandosi gli occhi.
E tacquero di nuovo.
«Bella sera!» esclamò finalmente Alberto col naso in aria.
«Bellissima.»
«E punta fredda!»
«Punta.»
«È un pezzo che non ci vediamo, sai!»
«Due anni.»
«È vero.»
Ella lo stava a guardare seria seria.
«Hai imparato a fumare!» gli disse finalmente con un sorriso, e come se gli confidasse un segreto che nascondeva da qualche tempo.
«Cosa vuoi, i vizi si imparano facilmente!» rispose Alberto con gravità .
«Però il sigaro ti sta bene!»
Ei la guardò nei grand'occhi turchini che luccicavano al chiaro di luna, chinò i suoi prestamente, e si soffiò il naso. Adele riduceva in pezzi minutissimi le foglie che avea strappato dal rosaio.
«Ma il tuo giardino è molto bello!» disse finalmente Alberto.
La giovanetta guardò attorno, come se vedesse quegli alberi per la prima volta, e rispose:
«SÃ, molto bello.»
«Una delizia!»
«Una vera delizia. Quella fontana là ce l'ho voluta io.»
«Davvero?»
«SÃ, non è bellina?»
«Bellina tanto!»
«È tutta di marmo, sai!»
«Oh!»
«Il babbo non voleva, per via della spesa...»
«Deve aver costato parecchio!»
«Altro! Ma il babbo mi vuol tanto bene!»
«Oh! (in un altro tono).»
«E anche te, sai, ti vuol bene!»
Il dialogo che si reggeva sui trampoli, minacciò d'inciampare in quel sassolino.
«Ha detto che ti terrà qui sino a novembre» soggiunse Adele vedendo che il cugino stava zitto.
«Ma...»
«Ti rincresce?»
«No!... no...!»
«Non ti annoierai?»
Egli si volse, la guardò, poi si mise a scuotere col mignolo la cenere del sigaro Adele rimase alquanto pensierosa, la povera bambina, e soggiunse, un po' trepidante: «Ci starai volentieri?»
«Figurati!»
«Anche Velleda ci starà sino a novembre. Che festa!» Il cugino si senti maledettamente ridicolo per non sapere metter fuori il piú meschino complimento.
«Ti piace la mia Velleda?» riprese Adele.
«A me?...»
«Non è bella?»
«Oh sÃ!»
«Anch'essa ha detto che sei un bel giovanotto.»
A quelle parole parve ad Alberto che la luna irradiasse di un'aureola l'Adelina.
«Anche te ti sei fatta bella!...» disse col coraggio della gratitudine.
«Davvero?»
«Davvero.»
Ella sorrise, chinò il capo, incrociò le pallide manine sulle ginocchia, e il raggio della luna sembrò farsi vermiglio sulle sue guance.
L'usignuolo cantava: passò un alito di venticello che fece stormire lievemente le foglie. Essi si sentivano l'uno accanto l'altra. Tutt'a un tratto la fanciulla scoppiò a ridere.
«Oggi volevo darti del lei, vedi!»
«O perché?»
«Perché ti sei fatto grande: avevo suggezione di te... ecco!»
«Oh!»
Ella si volse verso di lui, con un improvviso movimento d'espansione e d'abbandono - i sentimenti puri e le anime vergini hanno di codeste arditezze innocenti - ed egli si tirò in là modestamente.
«Ma se tu m'avessi dato del lei non te l'avrei perdonato mai!»
«Perché?»
«Perché... perché... non lo so il perché.»
Tacquero entrambi, e sentivano che quel silenzio li dominava. Alberto era tutto intento a fumare, e l'Adele a pungersi le mani sul rosaio. Si udiva il fruscÃo della sua veste ad ogni movimento di lei.
«L'ultima volta che partisti pel collegio pioveva, ti rammenti ?»
«SÃ, tu mi scrivesti per domandarmi come fossi arrivato.»
«Ti rammenti anche di codesto?»
«Ho ancora la lettera.»
«Davvero?» arrossà e volse il capo. «E Velleda che non ritorna!»
«Mi par di vederla laggiú.»
«Velleda!»
«Oh, siete ancora costà ?» gridò Velleda da lontano.
«Parlavamo di te, sai!» esclamò Adele correndole incontro, e buttandole le braccia al collo le sussurrò qualcosa all'orecchio.
«Cattiva!» mormorò Velleda chinando il capo e facendosi rossa.
«Grulla!» borbottò il signor Bartolomeo quando lo seppe.
Alle undici tutti i lumi della villa erano, o sembravano, spenti. Alberto che stava alla finestra, come uno che abbia bisogno di mettersi in cuore tutta la serena bellezza di una notte estiva, credette di scorgere un fil di luce che trapelava fra le stecche della persiana di una finestra al pianterreno, di faccia alla sua. E si sporse in fuori per meglio vedere; ma la luce si fece all'improvviso piú viva, come pel dileguarsi di un'ombra frapposta, e si spense qua...
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