[Pagina precedente]..., l'attrattiva dell'accento, il profumo aristocratico del fazzoletto, e le trine che cadevano sul guanto grigio - e bastò. Costei prese il braccio del giovane come cosa propria, e la folla li separò ben tosto dal paggetto. Andavano verso i corridoi dei palchi, la donna mascherata prima, salendo le scale con passo franco e leggero, senza dire una pà rola, rialzando un po' i lembi del vestito sulle scarpette di raso. Quando furono arrivati al terz'ordine e nell'angolo piú oscuro del corridoio, si fermò all'improvviso, gli prese le mani, lo guardò in faccia e gli disse:
«Traditore!»
«Mi conosci?» esclamò Alberti attonito.
«Ti rammenti di Belmonte?»
Ei le afferrò le mani, ricercandola dappertutto collo sguardo.
«Chi sei? Dimmi chi sei!»
«Son tua cugina Adele!»
Al primo istante Alberto impallidÃ, l'attirò vivamente verso la parte piú illuminata del corridoio; poi sorrise stentatamente, e mormorò:
«Non è vero.»
Anche la donna mascherata sorrise.
«Per chi mi hai tradita?»
«Dimmi chi sei» ripeté Alberti cercando di leggere in quello sguardo che luccicava nell'ombra.
«È inutile che te lo dica, giacché non mi conosci, e non mi conoscerai giammai.»
«Giammai?»
«Giammai!»
Alberto la fissava ansiosamente, non osando pronunziare un nome che gli veniva alle labbra con certi impeti, direi, vertiginosi.
«Che vita fai?» esclamò alfine colei con bizzarra intonazione di voce. «Perché non ti si vede in nessun luogo? Ami ancora quell'altra?»
«Io vado dappertutto» rispose Alberto eludendo la domanda.
«Dappertutto è troppo poco. Vai sabato al ballo al Casino?»
«No.»
«Vai!» insisté la mascherina con una stretta di mano.
«Ti vedrò colà ?»
«No.»
«Che t'importa allora ch'io ci vada?»
Ella parve esitare.
«Vuoi che ti dia un segno di riconoscimento?»
«Dammelo.»
Si tolse il guanto e gli porse la mano bianca come il marmo e venata d'azzurro.
«Te ne rammenterai?» gli disse sorridendo, con un accento che gli penetrò sino al cuore.
«Oh!...»
«Baciala... Addio.»
«Aspetta!» gridò Alberto. «Non mi lasciare cosÃ. Ci rivedremo?»
«No! no! te l'ho detto!»
Ella s'era svincolata di nuovo, e stava per svoltar l'angolo del corridoio.
«Ti sei innamorato diggià della mia mano?» gli disse fermandosi un istante in capo alla scala.
«Ebbene... t'ho lasciato almeno un ricordo... Rammentati di me. Addio.»
Il giorno dopo Alberti rivide Velleda all'improvviso, e quando meno se lo aspettava - passava in carrozza dinanzi al Doney, e non s'accorse di lui che s'era fermato sul marciapiedi come se gli fosse mancato il respiro - o non volle accorgersene. Allo svoltar di Santa Trinità la contessina mise a caso il capo allo sportello, e guardò dalla parte di via Rondinelli. Ei vide un istante, attraverso il cristallo scintillante, i capelli biondi di lei.
XXI
Alberti avea ricevuto un invito pel ballo al Casino, senza sapere da che parte gli venisse; cotesta era forse una buona ragione per non mancare, se non ce ne fossero state anche delle altre.- Andò.
La prima persona che vide, circondata dalla folla, corteggiata come una granduchessa, fu Velleda. Ella ci stava proprio come una granduchessa e non s'accorgeva di lui. Ad un tratto, come si accorgesse solo allora di lui, gli stese la mano con un bel sorriso, poi, senza lasciare il braccio del suo ballerino, gli agghiacciò la gioia che irrompeva tripudiante negli occhi di lui, rifacendosi a un tratto seria e fredda.
«Tutti sanno che ci conosciamo» gli disse. «M'inviti per un ballo.»
«S'è presentato alla mamma?» gli domandò poscia allo stesso modo.
«...No...»
«Che cosa penserà ... Si presenti.»
La contessa Manfredini accolse Alberti col suo sorriso e col suo cicaleccio melato.
«Troppo gentile, davvero!... Siamo state via da Firenze... Abbiamo viaggiato. Bella città Napoli! la conosce?... E Roma? il Vesuvio?... Abitiamo il villino Flora, appena fuori Porta Romana. Riceviamo il lunedÃ. Non manchi.»
Le allusioni a Belmonte, ed alla famiglia Forlani furono evitate con garbo.
«Hai qualche impegno col signor De Marchi?» domandò la contessa alla figliuola che si era riaccostata: Velleda si fece pensierosa un istante, come non avesse intesa la domanda; scosse il capo un po' vivamente, e rispose:
«No... non rammento...»
Alberti sorprese uno sguardo rapido e acuto che la madre saettò sulla figlia. Mentre conduceva Velleda a prendere il suo posto nella quadriglia, costei gli domandò negligentemente:
«La mamma l'ha invitato a venire ai nostri luned�»
«SÃ!»
Allora aggrottò leggermente il sopracciglio, si mise al suo posto, spinse indietro lo strascico della veste; e non disse altro. Eseguiva le diverse figure della quadriglia colla sua grazia e disinvoltura abituale, alquanto fredda, noncurante, rivolgendo ad Alberti la parola solamente quel po' ch'era necessario per non dar nell'occhio.
«Ieri l'altro l'ho vista a Firenze per la prima volta» incominciò il marchese. Ella non disse verbo.
«Sapeva che ero qui?»
«Sû rispose asciutto asciutto; e si mise a battere il tempo col ventaglio.
E dopo alcuni minuti di silenzio:
«Bella cotesta musica!»
«Sembrami d'averla udita.»
«Dove?»
«A Belmonte... in villa Armandi...»
«S'inganna» disse ella freddamente.
Tacquero.
«S'è divertita in questo viaggio?» domandò Alberti.
«Assai!»
«È stata via molto tempo!»
«Le pare!... appena quattro mesi.»
Ei chinò il capo.
«Troppa gente!» mormorò Velleda per rompere il silenzio.
«È vero.»
«Ha visto la contessa Armandi nelle altre sale?»
«No.»
«Deve esser qui. Sembrami d'averla vista un momento.»
La quadriglia era finita. Mentre Alberti la riconduceva, Velleda gli domandò:
«Ha promesso alla mamma di venire?»
«SÃ... Le rincresce?»
«Perché dovrebbe rincrescermi?» disse ella alteramente.
«Mi dia un bicchiere d'acqua» aggiunse immediatamente, come per mitigare la durezza della sua risposta.
Dopo di avere attraversato due altre sale, riprese, guardando attentamente i disegni del suo ventaglio:
«E non pensa di viaggiare anche lei?»
«Perché?» rispose Alberto con un po' di sorpresa.
«Perché è giovane, e il mondo è bello. Vada a Roma, in Grecia, in Oriente...»
«Mi manda molto lontano» rispose Alberti sorridendo a bocca stretta.
Ella, dopo aver giocherellato col fiocco del ventaglio, rispose lentamente:
«Faccia come vuole.»
«Mi dia i suoi ordini...»
«Degli ordini, io?» esclamò Velleda rizzando il capo, «e a qual titolo, dica?»
«Dei consigli, almeno...»
Per la prima volta l'altera fanciulla alzò gli occhi su di lui, e guardandolo fisso:
«Credevo non ne avesse bisogno» disse. «Ma giacché li desidera... glie li ho dati... Parta.»
Bevve tranquillamente, si passò sulle labbra il fazzoletto ricamato, riprese il braccio di lui, che non diceva piú una parola, e si fece accompagnare al suo posto senza aggiunger altro.
Un bel giovane, che sembrava in qualche intimità con lei, le si avvicinò con premura appena la vide seduta, e si chinò verso di lei per dirle qualche cosa. Alberto udà ch'ella rispondeva freddamente:
«Grazie. Sono stanca.»
«Non balli piú?» domandò la contessa.
«No, mamma; vorrei già essere a casa.»
La mamma rivolse su di lei uno sguardo penetrante e disse:
«Andiamo pure.»
Il giovane, che era rimasto a discorrere con loro, accompagnò le due signore. Mentre Alberto stava per partire anche lui, incontrò la contessa Armandi.
«Oh! Lei qui! Lo credevo ancora a Belmonte. Va via anche lei? M'accompagni sino alla mia carrozza in tal caso...»
Gli porse il suo mantello ovattato, in anticamera, perché l'aiutasse un po'; e andava chiacchierando mentre il maldestro cavaliere era alquanto imbarazzato. «O come va che trovasi qui e solo? e la sua cuginetta?... Quest'altro capo qui, sulla spalla... È andato in fumo dunque?... Badi anche a lei, dicono che fa freddo. Grazie, cosÃ!... Per colpa sua, ne son certa; gliel'avea predetto, si rammenta?... Tiri un po' in su il cappuccio... Non speravo d'incontrarla: che fortuna!»
«Come va che non l'ho vista al ballo?»
«Era cosà occupato! Ma non me l'ho a male, veh!»
In questo momento rientrava il giovanotto che avea accompagnato le signore Manfredini, e salutò profondamente l'Armandi.
«Soletto?» gli disse costei.
Il giovine evitò di rispondere facendo un inchino, e un mezzo sorriso.
«Chi è quel signore?» domandò Alberti accompagnandolo con un lungo sguardo.
Gli occhi della contessa brillarono di un'ironia maliziosa: «Il signor De Marchi» rispose «un amico di casa Manfredini. Bel giovane, non è vero?»
E scese le scale appoggiandosi appena al braccio di Alberto. Questi, mentre le porgeva la mano per montare in carrozza, le domandò:
«Mi permette che l'accompagni?»
«No. Ella non potrebbe piú fingere d'ignorare dove abito, e sarebbe costretto a farmi la visita di Belmonte.»
«Me la son meritata!»
«Non sono in collera» e gli strinse la mano, sorridendogli dal fondo del cappuccio. «No, davvero!»
La carrozza partÃ.
XXII
La prima volta che Alberto andò ai lunedà della contessa Manfredini parvegli di sorprendere negli occhi di Velleda un'espressione di meraviglia e di dispetto. Ma la giovinetta era troppo bene educata per far scorgere cotesto altrimenti che per sorpresa, e l'accolse con un po' di freddezza, è vero, ma convenevolmente. Non evitava, né cercava le occasioni di trovarsi sola con lui, e quando ciò avveniva per caso ella sapeva starci benissimo dominando Alberto con la sua calma superba. Gli rivolgeva la parola come a tutti gli altri, né piú né meno, qualche volta con una sfumatura d'ironia, qualche altra volta con impertinente freddezza, sovente come se volesse col suo contegno domandare tacitamente ad Alberti perché continuasse a frequentare la sua casa, malgrado il suo divieto assai chiaramente espresso. La madre, al contrario, quasi avesse voluto addolcire e far scusare i modi della figliuola, trattava Alberti affabilmente.
Una sera che l'aria piú mite della primavera permetteva di lasciare le finestre aperte, Velleda s'avvicinò ad Alberti colla sua solita disinvoltura, e gli disse tranquillamente:
«Ho da dirle qualcosa, Alberti» e lo precesse sul terrazzino. «Sa che il signor De Marchi ha chiesto la mia mano?»
«Lo sospettavo...»
«Non volevo... non avevo intenzione di maritarmi...» soggiunse con voce breve e risoluta, senza guardarlo. «Ma giacché mi ci avete costretta ho detto di sÃ.»
Alberto tardò alcuni minuti a rispondere.
«Mi ordinate di non venir piú in casa vostra?» domandò alfine.
«Adesso è inutile» diss'ella con un sorriso glaciale e superbo. «Ho bruciato le mie navi.»
La notizia di quel matrimonio non tardò a circolare fra gli amici di casa Manfredini; da prima discretamente, in seguito con maggiore sicurezza. De Marchi avea diradato le sue visite, Velleda lo trattava con grande riserbo, ma sapevasi che dalle due parti stavansi trattando delle questioni d'interesse, e ciò era perfettamente in regola.
«Ardon gl'incensi!» disse una volta l'Armandi sortendo insieme ad Alberto da casa Manfredini.
Velleda aveva alquanto raddolcito il suo contegno verso Alberti, sia che la rassegnazione di lui l'avesse disarmata, o che, dopo la presa risoluzione, egli non le ispirasse piú alcun timore. Ella attraversava colla sua grazia disinvolta quel periodo, tanto difficile per una ragazza delle domande susurrate dalle amiche di casa all'orecchio della mamma, delle allusioni piú o meno velate, degli sguardi indiscretamente curiosi. Di tanto in tanto sembrava un po' astratta e pensierosa, avea certi momenti di silenzio quasi cupo, o di gaiezza come irritata, o di asprezza irragionevole. Tutto ciò cadeva piú frequentemente e piú direttamente sul povero Alberti, quasi ella non potesse perdonargli di averla costretta ad una risoluzione intempestiva. Il sarcasmo le veniva frequente in bocca, ed ella medesima arrossiva alcune volte dei suoi pungenti epigrammi; un momento dopo sembrava ravvedersi e avere l'intenzione di fargli delle scuse, come poteva farle il suo carattere orgoglioso, con una parola gentile o con una attenzione delicata. Alberto impallidiva, o arrossiva, soffriva, ma non osava rinunziare a vederla. Sovente sorprendeva gli occhi di lei che lo fissavano carichi di collera, accigliati, foschi; allora il ris...
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