[Pagina precedente]...a vi salverebbe... So quel che vuol dire essere soli al mondo! Se potessi, col sacrificio della mia vita, mettervi qualcosa in cuore, vi giuro che lo farei.»
Ei la guardò in modo singolare, a lungo, senza aprir bocca. «Cugina mia!» disse dopo una lunga esitazione «io non ho quasi conosciuto mio padre; mia madre non ebbe nemmeno il tempo di abbracciarmi prima di morire; una volta fui sorpreso da un marito che avrebbe avuto il diritto e il dovere di uccidermi come un cane... Sapete cosa mi disse quell'uomo? "che mi risparmiava perché ero figlio della marchesa Alberti!..."»
Adele si celò il viso fra le mani.
«Addio!» diss'egli alfine
«Ve ne andate?»
«SÃ.»
«Cosa farete?»
«Quel che ho fatto.»
«Non avete nessuno scopo?»
«Non vi pare uno scopo il viver come meglio si può?»
«Non siete nemmeno ambizioso?»
«Cosa potrebbe ricompensarmi della pena che mi darei per esserlo?»
«Che ci avete dunque dinanzi a voi, nel vostro avvenire?»
«Nulla.»
A quella parola ella trasalÃ, e si alzò risolutamente.
«Alberto se acconsentissi ad esser vostra moglie, credereste che vi amo davvero?»
Ei rimase stupefatto.
«Se ci credete» ripigliò Adele stendendogli la mano. «Stringetela son vostra.»
XLII
Il matrimonio fu celebrato in ottobre. Alberti si prestò a quelle pratiche che esigevano gli usi e le convenienze con perfetta compiacenza. In questa occasione molti suoi conoscenti, che non sapevano piú nulla di lui, lo rividero. Ei piegava il capo con una tinta di galanteria a tutto quello che Adele trovava necessario, o semplicemente conveniente - fossero anche stati dei pregiudizi - la schiettezza delle convinzioni di lei glieli rendevano rispettabili, ci credesse o no. Adele, al contrario, mettevaci il giulivo entusiasmo di chi è felice - un tal riverbero del suo affetto vergine e schietto; amava il cugino francamente, senza reticenze, senza dubbi, a cuore aperto, abbandonandogli con spensierata generosità tutti i tesori che per lui avea accumulato in segreto nel suo cuore. Alberto fece tutto quello che fanno gli altri, colla massima semplicità , senza esitazione. Andò in chiesa, serio e rispettoso, almeno al vedere, e allorché Adele gli mise la mano nella sua, e udà che si univa a lui per sempre con un fil di voce, e la vide dolcemente commossa, anche quell'uomo si turbò alquanto, e con lieve tremito strinse nella sua la mano che tremava.
Dopo la cerimonia religiosa partirono per Belmonte.
Il marchese avea preso un coupé riservato sino a Pistoia, e allorché furono in vagone, e Adele si fu assisa, chiuse i vetri della parte dov'era lei, tirò le tendine, le mise il plaid sotto i piedi, le rese con delicatezza paterna tutte quelle piccole cure, poi le si assise di faccia, le prese le mani, e le disse dolcemente, sorridendo con certa solennità :
«Vi saluto, marchesa Alberti.»
Era commossa anche lei, ed un po' turbata, guardava fuori lo sportello pudibonda del suo imbarazzo, e si lasciava stringere le mani con un abbandono affettuoso.
Aveva un bel vestito grigio, un cappellino di paglia, dei lunghi guanti di Svezia, ed il suo viso delicato sembrava piú pallido attraverso il velo azzurro. Pareva che Alberto non potesse saziarsi di contemplare quella donna leggiadra che ormai gli apparteneva - ella, senza vederlo, sentiva quello sguardo, e ne era tutta penetrata. Ad un certo punto, sempre col viso allo sportello, posò una mano su quelle di lui.
«Non vi faccio paura?» le chiese Alberto dolcemente.
Ella raccolse le sue vesti, andò a sedere a fianco di lui, e senza rispondergli direttamente si misero a discorrere di mille argomenti comuni, di ricordi, che per loro avevano significati reconditi, e racchiudevano non so quali misteriose attrattive. Ei parlava poco, e l'ascoltava intento, con una certa avidità , come se stesse analizzando minutamente, con affetto gli avvolgimenti di quelle trecce, l'alitare di quel velo, le balze di quel vestito, le trine di quei polsini, i rossori improvvisi e irragionevoli che salivano al viso di lei, e che egli sentivasi dolcemente scorrere nelle vene. Ad un tratto:
«Vorrei tornare ai miei vent'anni!» disse collo sguardo fiso nel vuoto.
La locomotiva fermavasi sbuffante.
«Diggià !» esclamò lei.
«No, siamo a Prato.»
«Oh!... lasciami vedere!»
E si misero l'uno accanto all'altro presso lo sportello a guardar la campagna - ei con un sentimento che non avea provato da lungo tempo. Tutto ciò che vedevasi era verde ed azzurro. Adele, colle mani appoggiate alla manopola, gli diceva sommessamente qualche parola insignificante, come se stesse a parlargli di un gran segreto. Il nastro del suo cappellino svolazzava di tanto in tanto sul viso ad Alberto. Sembrava che i polmoni di lui si dilatassero avidamente, onde abbeverarsi di tutte quelle vergini sensazioni che gli erano quasi sconosciute. «Non vi faccio paura... proprio?» domandò quasi timidamente e a voce bassa. Adele cercò di nascosto la mano di lui, e la strinse a lungo, mentre il conduttore verificava i biglietti. Anche quel non so che di furtivo che vi era in tanta schiettezza faceva una potente impressione su di Alberto. Ei le prese le mani, serio serio, e guardandola negli occhi:
«Adele mia, quel prete m'ha stregato.»
Adele s'era fatta seria anch'essa.
«Stregato o no, son contento, e non saprei spiegarti il sentimento che mi lega a te. Non è solo amore il mio: sembrami che tu faccia parte di me, della mia casa, del mio nome. Tu sei la continuazione di mia madre, e mi è dolce chiamarti col suo nome. Ho amato in tutti i modi, ma non ho provato mai nulla di ciò che provo adesso. Sembrami che noi ci apparteniamo per qualche cosa che è in noi e al di fuori di noi - il mondo, la legge, gli uomini, Dio, che so?... Se mai avessi a dubitare di quel che sento adesso, vorrei morire.»
A poco a poco le era caduto ai piedi, e parlava con tale accento di calma e salda convinzione, che le lagrime spuntarono nell'orbita di Adele. Ella piegossi dolcemente verso di lui, gli cinse il collo delle sue braccia, e reclinò mollemente il capo sul capo di Alberto.
XLIII
I due sposi andarono a nascondere la loro felicità a Belmonte - quella di lui però era un po' chiusa, esistante, ombrosa, e avea sempre una tinta di melanconia; quella di Adele era franca ed espansiva.
Alberto non avea piú rivisto quei luoghi da oltre vent'anni, e ciascun ricordo, ciascuna novella impressione che passava su quell'anima esulcerata, malgrado il grande imperio ch'egli aveva su se stesso, lo faceva trasalire; Adele se ne avvedeva, e si sentiva piú strettamente, piú intimamente legata a lui appunto per tutto quel bene ch'essa facevagli. Erano sempre insieme, in carrozza, a cavallo, o a passeggiare pei dintorni. Alberti, quell'uomo tormentato dalla febbre del movimento, perseguitato dalla noia dappertutto, aveva passato delle lunghe ore deliziose, guardando accanto a lei la pioggia che sgocciolava sui vetri, o la fiamma che crepitava nel camino. Ogni piccola cosa avea una fisonomia nuova, serena, festosa. Le occupazioni piú comuni avevano un'attrattiva delicata. Egli era andato con lei a rintracciare a passo a passo i luoghi che racchiudevano i ricordi della loro prima giovinezza: quel banco dove avevano provato il primo imbarazzo stando seduti accanto, quella ringhiera appoggiati alla quale avevano litigato e avevano fatto pace per la prima volta, quell'albero dal quale egli aveva còlto i primi fiori per lei e dicevano: "Ti rammenti?". A volte questi ti rammenti racchiudevano un dolce rimprovero che adesso lo penetrava sino all'intimo e gli era caro. Li cercava anzi quasi a far risaltare colle ombre il raggio festoso che splendeva su di loro adesso. Ridevano e si abbracciavano. Se qualche cosa avea cambiato aspetto, se un albero era caduto, se il banco era Zoppicante, se il giardiniere avea disposto altrimenti l'aiuola, erano delle vere perdite, e dicevano: - Era piú bello allora, n'è vero?
Con una nobile franchezza, e come se il fallo non valesse il pentimento, Alberto aveva mostrato all'Adele quel viale dove avea parlato l'ultima volta con Velleda, e le avea messo la mano nella mano e gli occhi negli occhi. Adele avea chinato il capo cercando di riderne, impallidendo, arrossendo, e non gli avea detto quante volte si fosse fermata piangendo in quel medesimo viale.
«Come tutto ciò è lontano!» diceva Alberto.
Ella, dopo lunghe esitazioni, gli avea fatto vedere tutti i ricordi che avea conservato di lui religiosamente: il bottone del guanto che gli avea rimesso la sera ch'erano andati a villa Armandi, il fiore disseccato ch'ei avea lasciato cadersi dall'occhiello, la corteccia d'albero ch'egli avea staccato col temperino, il foglio spiegazzato su cui s'erano divertiti a schizzare degli sgorbi e delle caricature, seduti al medesimo tavolino, sotto la medesima lucerna, mentre la pioggia scrosciava allegramente sui vetri. Egli, che avea buttato dalla finestra al vento di cento città , o sulla cenere di cento caminetti, le lettere d'eterno amore di donne che aveano messo in giuoco la loro vita e quella di lui per un capriccio, non arrivava a comprendere del tutto la tenacità di quel sentimento che rendeva preziosi quegli oggetti insignificanti. - Tra di loro due che s'amavano tanto, ch'erano cosà intimamente legati, c'era sempre un abisso che egli non osava confessare a sé stesso, e che ella non voleva vedere, e per non vederlo chiudeva gli occhi. L'ottica delle loro idee era immensamente diversa: il cuore della donna, giovane, fresco, ricco, era lieto d'amare, s'attaccava alla felicità , ci credeva senza esitazioni, ci si abbandonava con fiducia. Alberto non possedeva piú né cotesta fede, né cotesto entusiasmo, né cotesta serenità ; la vita che avea menato avea alterato profondamente il suo modo di vedere e di giudicare; avea osservato e studiato le passioni in sé e negli altri, ma non le avea mai combattute, e, disgraziatamente per lui, non le avea visto combattere. Il sentimento del giusto e del dovere restava quindi per lui una formula astratta, poco meno di un'illusione.
In tali disposizioni d'animo, e alla sua età , l'amore era perciò una debolezza - e l'amore istesso rendeva il suo scetticismo un'infermità piuttosto che una corazza. Sentiva rigermogliare dentro di sé quei sentimenti sui quali avea messo i piedi, ma che nondimeno avevano turbata la serenità epicurea dei suoi piaceri, ora che li trovava freschi e rigogliosi nella donna a cui sentiva il bisogno di identificarsi. Però al vedere cotesti sentimenti cosà diversi in sé e in lei nello sviluppo e negli effetti, in sentirli agitarsi penosamente nel suo animo, piuttosto che rinvigorirsi, ne provava un grande sconforto, un dubbio piú amaro. La fede d'Adele - quella che per lui era la cecità - rivelavasi cosà salda ed intera, che trovavasi costretto ad ammirarla, ad invidiarla quasi, senza poterla dividere. Istintivamente sentivasi inferiore a lei di tutta quella triste scienza del mondo e del male, che aveva acquistato.
Fosse pudore, timidezza, o alterigia, c'era sempre in lui qualcosa di chiuso, anche nei momenti in cui abbandonava il capo sui ginocchi di lei come un fanciullo. Adesso, al contrario, possedeva l'ingenua curiosità di chi non ha nulla da nascondere, e gli faceva delle domande cui egli rispondeva evasivamente, sorridendole come ad una bambina, o abbuiandosi alquanto.
Quella serenità un po' nebbiosa, quella specie di mistero che intravedevasi in fondo ai sentimenti piú espansivi di lui era un'altra attrattiva per l'innocenza di Adele - pericolosa attrattiva. Ella indovinava nell'uomo amato delle ferite che era lieta di sanare, delle ritrose debolezze che lusingavano gli istinti materni e protettori della donna; l'altera riserbatezza con cui il marito celavale agli occhi di lei, davagli un carattere di dignità e di forza, un che di superiore a mo' di Lucifero. Cento curiose domande, che le erano venute sulle labbra, erano spirate dinanzi al sorriso calmo, velato e impenetrabile di quell'uomo.
«Che cosa vuoi saperne tu, bambina mia?» le diceva egli.
Ed ella che avea la pretesa di non essere piú una bambina, gli face...
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