[Pagina precedente]...almo, serio, freddo, e avea la mano di ferro; volgeva gli occhi sulla folla sbadatamente, col sigaro in bocca, e avea l'occhio smorto, il pallore cadaverico, e l'impassibilità quasi fosca. Guardava quella festa come un defunto avrebbe potuto guardarla dalla tomba. Passando vicino alla calèche volse gli occhi a caso, la Rigalli lo chiamò col piú grazioso sorriso, ed ei si trovò a faccia a faccia con Adele. Una fiamma rapida come un lampo passò per la prima volta dopo tanti anni su quelle pallide guance. Intanto la Rigalli diceva all'Adele:
«Mi permette che le presenti il marchese Alberti?»
«Vuol presentarmi mio cugino?» rispose Adele, ch'era divenuta calma e sorridente con un supremo sforzo di volontà e stese ad Alberto il pomo del frustino attraverso la calèche, come se gli stendesse la mano.
«È proprio un cugino d'America dunque!»
«Son quelli i benvenuti. Da dove ci piovete, cugino?»
«Da Calcutta.»
«Son piú di dieci anni che non lo si vede piú! Cosa avete fatto tutto questo tempo?»
«L'ho passato in ferrovia e in vapore, cugina mia.»
«Vi siete divertito?»
«Ma... assai.»
La calèche si mosse al piccolo trotto; la signora Rigalli si fece promettere una visita dal marchese, e i due cugini si trovarono accanto, in mezzo al gran viale.
«Volete permettermi di accompagnarvi, cugina?» disse Alberto.
«Volentieri.»
Ei voltò le briglie, e si mise al passo, accanto a lei, seguiti dal groom di Adele a distanza.
«Come trovate Firenze?» domandò lei.
«Piú bella che mai.»
«Vi fermerete parecchio?»
«Non lo so io stesso.»
«Raccontatemi qualche cosa dei vostri viaggi.»
«Cosa volete che vi racconti?»
«Ma... quel che avete visto.»
«Ho visto, su per giú, delle vie Calzaiuoli, degli Arni, e delle colline di San Miniato dappertutto, in grande, in piccolo, e in microscopico; e dei fiorentini gialli, rossi, e neri, che dicono giuraddio un po' diversamente di noi altri.»
«E le donne?» domandò ridendo Adele.
«E le donne... quali le hanno fatte gli uomini.»
«Non so se devo ringraziarvi del complimento, cugino.»
«Ringraziatemene, cugina, ché me lo merito.»
Adele salutò una bella giovinetta che passava in phaéton al fianco di un signore elegante. «Conoscete quella signora?» gli domandò.
«No.»
«È Cecilia, la figliuola del conte Armandi, adesso maritata Livoretti.»
Sul viso di Alberto passò una nube rapidissima.
«Sono un uomo dell'altro mondo, cugina mia, abbiate la bontà di mettermi al corrente. E della contessa cosa mi dite?»
«È sul lago di Como da due anni a piangere la morte del marito.»
«Oh!... E della principessa Metelliani?»
« È a Roma, presidentessa di non so qual Congregazione di Carità ... Vi sorprende?»
«No.»
Fecero un centinaio di passi senza dir altro.
«Sapete che ci rivediamo in un modo singolare?» disse Alberti tutt'a un tratto.
«Singolare o no, son lieta di vedervi.»
Ei la fissò di un lungo sguardo, e poscia:
«Avete molto spirito!»
Ella chinò lievemente il capo.
«Cugina mia» domandò Alberti all'improvviso «che cosa direste se vi facessi la corte?»
«La direi la cosa piú naturale di questo mondo.»
«Dopo quel ch'è stato fra di noi?»
«Appunto per quello.»
La sua cavalla fece uno sbalzo, e s'inarcò tutta fremente sotto la mano ferma dell'amazzone.
«Siete forte!» le disse Alberto.
«Cora è docile» rispose lei accarezzandola sul collo.
Tacquero. Andavano al piccolo trotto per uno dei viali al di là del piazzone. Il sole, che tramontava come un gran disco infuocato, lo inondava per tutta la sua lunghezza di pulviscoli dorati. Alcune nuvole un po' alte sull'orizzonte disegnavansi come larghi sprazzi di porpora e d'oro.
«Che bel tramonto!» disse Adele per rompere quel silenzio.
Alberto levò il capo, e soggiunse sbadatamente:
«Par d'essere a Belmonte.»
«Avete buona memoria, cugino!» disse Adele con singolare sorriso. Alberti volle rispondere a quel sorriso.
«È la memoria del cuore, cugina mia.»
«Comincereste a farmi la corte?»
«Non avete detto che sarebbe la cosa piú naturale?»
«Cugino mio, cosa pensereste di me se vi permettessi d farmela?» domandò Adele alla sua volta, seria seria
«Avete ragione» rispose Alberto brevemente.
I viali cominciavano a velarsi d'ombra. Ella guardò di Sottecchi quell'uomo singolare.
«Siete stata felice qualche volta?» domandò Alberti come rispondendo ad una lunga meditazione.
«...Sû disse Adele dopo una lieve esitazione. «Per quanto si può esserlo... E voi?»
«Io mi son divertito» rispose lui con accento glaciale.
Discorrevano a sbalzi, con lunghe interruzioni, come rispondendo ai pensieri che andavano svolgendosi per la loro singolare situazione. Il marchese di tanto in tanto gettava un lungo sguardo sulla cugina, che cavalcava calma e sicura.
«Non serbate rancore, cugina?» domandò alfine.
«No.»
«Che peccato!»
«E voi, cugino?»
«Io non credo averne il diritto in nessun caso... poiché nessuno ha torto a questo mondo!»
«Teoria comoda!»
Ei si rizzò sulle staffe con fredda ed altera serietà :
«Cugina mia, quando m'avete detto che non potevate permettermi di farvi la corte, io vi ho dato ragione!»
C'era tal tranquilla amarezza, tale accento di convinzione nel suo scetticismo, che il seno di Adele gonfiavasi violentemente di tanto in tanto. Egli respirava con forza, a lunghi intervalli. Cavalcavano in silenzio e a capo chino.
«Vi ringrazio per quest'ora che non avevo piú provato da vent'anni» disse alfine con voce sorda quell'uomo il quale non si commoveva piú.
Ella alzò il capo sgomenta quasi cercando da dove venisse quella voce che la faceva trasalire.
«Torniamo indietro!» disse brevemente.
Oltrepassarono il groom che s'era fermato anch'esso, e lo lasciarono molto indietro. Nessuno di loro due osò rompere per qualche tempo il silenzio che seguÃ. Il passo dei cavalli era sonoro; la luna incominciava a sorgere e ad insinuarsi fra gli alberi, strisciando sul bianco viale; a poco a poco i cavalli s'erano accostati e andavano fiutandosi. Alberto prese la mano della cugina, che le cadeva lungo il vestito.
«Lasciatemi...» diss'ella dolcemente.
«Perdonatemi!» rispose Alberto con voce sorda. «È la vostra ora!»
«Lasciatemi» ripeté Adele con tanta maggior vivacità per quanto sentivasi divenir piú debole. «Ora è troppo tardi.»
«Vostro marito?»
«Chi?» diss'ella con voce che lo fece trasalire.
«Gemmati!...»
Ella tirò bruscamente le redini, e si rizzò sulla sella, pallida, immobile, con occhi scintillanti.
«Io mi chiamo ancora Adele Forlani!» esclamò con voce estinta, ma colla fronte alta.
Il marchese ammutolÃ.
«Mi credevate maritata?» riprese ella dopo alcuni istanti. «E parlavate in tal modo alla moglie del vostro migliore amico!...»
Ei non rispose.
«Come siete divenuto, Alberto!» esclamò essa celandosi il viso fra le mani.
«Vi faccio orrore?»
«No... mi fate pietà »
Andavano rasentando gli alberi per non starsi vicini.
«Quanto avete dovuto soffrire per essere cosà cambiato!» diss'ella alfine.
«Lo credete?» mormorò Alberti con un strano sorriso.
«SÃ! Tutte le sante credenze che c'erano nel vostro cuore non si sbarbicano senza dolore. Quando mi avete abbandonata per Velleda, quando vi siete invaghito dell'Armandi, quando avete fatto piangere e avete pianto, c'era ancora qualche cosa in voi. Adesso non ci avete piú nulla. I vostri occhi asciutti mi fanno paura!»
«E voi?» diss'egli con voce che sembrava uscire di sotterra «credete ancora a qualche cosa?»
«Credo a ciò che fa battere il mio cuore.»
Egli sorrise. «Ciecamente?»
«Non posso dubitare di quel che sento.»
«Io vi ho ingannata a vent'anni!»
«Io sono stata per morirne. Come volete che potessi dubitare del sentimento che mi faceva tanto soffrire?»
Alberti non rispose immediatamente. Poi le piantò gli occhi in viso e domandò:
«Voi siete bella, giovane e ricca; come va che non vi siete maritata?»
«Ho sempre rifiutato.»
«Per chi?»
«Per voi.»
«Mi amavate?»
«SÃ.»
«Anche dopo?»
«SÃ.»
Ei rimase pensieroso.
«Cugina mia» disse ad un tratto, con tutt'altro accento e con satanica disinvoltura «io non ho piú capelli, né illusioni; ho quarant'anni e trenta mila franchi di debiti.»
Dapprima Adele rimase come fulminata, cogli occhi sbarrati, quasi ad afferrare il senso di quelle parole che non poteva capire. Tutt'a un tratto si fece rossa come se Alberto l'avesse percossa in viso col frustino.
«Ah!» gridò, «Ah!»
E fuggà di carriera
.
XLI
Dopo alcuni giorni Alberti si presentò all'anticamera di sua cugina, e le fece recapitare il seguente biglietto:
"Ho bisogno di vedervi e di parlarvi. So di avervi fatto un affronto mortale, e son venuto alla vostra porta affinché possiate farmi scacciare, se volete."
Il domestico ritornò dicendo:
«Passi.»
Egli entrò, un po' turbato, ma con passo fermo.
Adele stava presso il camino, sebbene la primavera fosse di molto inoltrata, coi piedi posati su di uno sgabelletto. Era un po' pallida anch'essa, e come vide il cugino impallidà maggiormente. Alberto le strinse la mano e si assise di faccia a lei.
«Adele» le disse con calma «ho quaranta anni, e trenta mila franchi di debiti. Volete esser mia moglie?»
«No.»
Sul volto di lui passò un fosco sorriso.
«Ma se avessi una figliuola bella, ingenua, pura, con tutti i tesori del cuore e dello spirito, ve la darei in moglie.»
Dapprima ei le lanciò uno sguardo di sorpresa; ma poscia, in un altro tono:
«Disgraziatamente non l'avete!»
«Lasciate quel cattivo sorriso che fa male a voi e a me!... Perché siete dunque venuto, Alberto?»
Egli esitò alquanto. «Non lo so» disse alfine. «È la prima volta che non basto a me stesso.»
Quelle parole sembrarono colpire la donna; gli lanciò uno sguardo rapidissimo, e si fece rossa. Poscia ripeté dolcemente:
«Se avessi una figliuola ve la darei; ella vi metterebbe in cuore la sua fede, il suo affetto, i suoi santi entusiasmi, vi rinfrancherebbe lo spirito, vi farebbe rinascere.»
«Non esitereste a dare la figliuola vostra... a me?»
«No.»
«Ora che sono cosà cambiato?» aggiunse con un sorriso ironico.
«Appunto perché siete cosÃ!»
Ei le fissò gli occhi negli occhi.
«Perché non fate voi codesto?»
«Io non ho piú sedici anni, non ho piú la fede... e fra di noi c'è un triste passato.»
«Sia!» diss'egli.
E si mise ad attizzare il fuoco. Rimasero silenziosi lungamente. Adele stendeva verso la fiamma le sue mani pallide e di tanto in tanto Alberto vi fissava uno sguardo distratto.
«Cugina» disse dopo alcuni minuti «se fossi giovane e bello, e avessi pure i torti che ho verso di voi, mi amereste?»
«Perché mi fate questa domanda, Alberto?» rispose Adele rizzandosi sulla poltrona.
«Per sapere alfine in che stia codesto amore» mormorò lui sordamente.
Adele ricadde all'indietro sulla spalliera della seggiola, e rimase alcun tempo senza aggiunger motto. «Quanto avete dovuto soffrire!» esclamò poscia.
«Io ho goduto della vita» rispose egli.
Lei gli volse uno sguardo fra attonito e dolente. Il cugino teneva la fronte fra le mani, parlava con amara e tranquilla convinzione, ma evitava di incontrare gli occhi di lei.
«Ho letto chiaro nella natura umana come in uno specchio: la maggior parte dei nostri dolori ce li fabbrichiamo da per noi: avveleniamo la festa della nostra giovinezza esagerando e complicando i piaceri dell'amore sino a farne risultare dei dolori, e intorbidiamo la serenità della nostra vecchiaia coi fantasmi di un'altra vita che nessuno conosce. Ecco il risultato della nostra civiltà . Ho visto dei selvaggi scotennarsi per la donna o per il ventre, ma fra di loro non ci sono né suicidi, né spleen. Tutta la scienza della vita sta nel semplificare le umane passioni, e nel ridurle alle proporzioni naturali. - Ho regolato su questa verità la mia condotta... Ecco come non ho piú sofferto.»
«Oh!» diss'ella con immenso sgomento. «Oh!»
«Siete stata piú felice di me, cugina?» domandò Alberto con ironico sorriso.
Adele, pallida, come trasognata, gli rivolse un'occhiata paurosa: «No! voi non credete a ciò che dite!»
«È vero!» rispose Alberto con voce sorda, chinando il capo «e per la prima volta!... Mi avete fatto dubitare anche di cotesto, voi! M'avete fatto un gran male!»
«Ammogliatevi!» gli disse Adele, osando stringere finalmente la mano fredda di lui. «La famigli...
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