DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 1
Leon Battista Alberti
DE ICIARCHIA
LIBRO I
Io tornava dal tempio su alto di San Miniato dove parte per satisfare alla religione, parte per affermarmi a sanità, era mio uso non raro conscendere a essercitarmi.
In via sul ponte presso all'Oratorio postovi da' nostri Alberti trovai Niccolò Cerretani e Paulo Niccolini, omini certo prudenti e moderati e a me benivolentissimi.
Salutammoci insieme, e disse Niccolò: - A' prossimi dì passati le molte piove e la molestia de' venti ci tenne in casa e non potemmo visitarti.
Oggi questo lieto sole ci piacque.
Venavamo a te.
Dissonci que' tuoi dove tu eri, ma ci parse tardi uscire lassù a ritrovarti.
Però ci fermammo qui per aspettarti mirando questo fiume già molto escresciuto e 'nviato a crescere ancora più.
- Ferma'mi ancora io con loro, maravigliandoci così subito tanta acqua fusse sopra modo gonfiata.
Qui disse Paulo: - E quanto sarebbe felice questa nostra città, se questo Arno sequisse perpetuo così pieno.
E sarebbe tua opera, Niccolò, qual fusti più volte prefetto navale, dar modo che le galee salissero cariche sino qua su.
Che dici tu, Battista? Pàrt'egli che quinci venissi alla patria nostra maravigliosa utilità? - Dirotti per ora, Paulo mio, - dissi io, - quel che mi pare, che sarà il meglio levarci da questa brezza e crudità dell'acqua, e apresso il foco ragioneremo più con riposo.
In questo che noi già presso eravamo per entrare in casa, uno e un altro de' nostri nepoti e insieme uno de' figliuoli di Paulo Niccolini si levorono a salutarci e dissonci che il fiume era traboccato ne' piani sopra presso alla terra, e avea battuto e dirupato il muro grosso qual prima lo sostenea.
Dispiacqueci.
Io mi volsi a Paulo e dissi: - Eccoti una delle utilità che ti porge questo fiume tuo così cresciuto! Ma io vedo che noi principieremo ragionamento qual sarà degno, e spero sarà utile a questi giovani, e a noi sarà sollazzo disputarne.
Venitene, giovani, su, e udirete cose quali vi deletteranno e gioveranno.
- Adunque su in casa sedemmo presso al foco noi tre, e circa noi stettero que' giovani in pié.
BATTISTA.
Per rispondere a te, Paulo, vorrei non però errare, dico che in la vita de' mortali nulla cosa troppo acresciuta e troppo ingrandita fu mai sanza publico e privato incommodo e poco da volerla.
E come vedesti oggi el fiume troppo innaltato danneggia e' culti, e lieva il frutto e merito delle fatiche a quelli che tu e gli altri buoni non vorrebbono, così interviene in tutte l'altre cose, massime in quelle che molti troppo stimano.
Figliuoli, dico a voi, el troppo sopra modo potere in qualunque sia la cosa importa licenza temeraria, e fa traboccare le voglie e incita gl'impeti delle nostre imprese.
Onde potendo quello che tu vuoi, ne seguita che tu vuoi tutto ciò che tu puoi, e ardisci e usiti a volere ancora più che non si lice né si conviene.
Così a me pare, le immoderate voluntà quasi il più delle volte sono coniunte con la impunita licenza, e quinci e' pensieri poco considerati fanno l'animo precipitoso, impetuoso, insolente, audace.
Così li segue ch'ello transcende e' limiti della equità e onestà, e diffundesi occupando, e rapisce quel che si dovea all'ozio e quiete degli altri cittadini.
Però ben detto fu quello antiquo proverbio: «in tutte le cose pònti che nulla vi sia troppo».
Della sanità chi sarà che recusi averne quanto se ne può ricevere? E questa, dicono e' fisici, quando ella sia molto a pieno, ella sarà da dubitarne: però che delle cose tutte qual vede il sole, niuna mai si trovò sì stabile che d'ora in ora ella non fusse in continuato moto.
Quello adunque che giunse al summo e non può in alto più ascendere, né molto così starsi, certo li consequita el descendere; e beato a chi sia concesso descendere da uno stato eccelso senza ruina.
Una delle cose che fanno la vita degli omini beata si è avere quello che bisogni a te, ed essere tale che tu satisfaccia a te e giovi agli altri; e così certo si debba, sì certo.
E bastici essere in questa riputazione della plebe non ultimi, quando contendere d'essere el primo, se ben repetirete le istorie di questa e dell'altre republice, sempre fu faccenda e condizion tale che per ottenerla bisogna ostinata sollecitudine, rissosa importunità, servile summissione e confederazion d'ingegni fallaci, maligni, petulanti.
Poi per mantenerla continuo ti conviene agitar te stessi concitando in te sospetti, fingendo, simulando, dissimulando, sofferendo, temendo più e più cose indegne e gravi a chi voglia vivere con tranquillità e grato riposo.
E quello che più si biasima da chi conosce il vivere, si è che tu non puoi deponere quella grandezza senza periculo e ruina tua e de' tuoi.
Chi racconterà le dure condizioni di questi così primi ambiziosi? Convienti a chi ti favoreggia concederti nulla repugnante, molto ossequente in più cose quali sono ingratissime a' buoni e a te imprima nulla piaceno, e pur le fai; servi a pochi scellerati audacissimi per non essere pari agli altri quieti cittadini; concedili te stessi, mantieni e' loro errori per non diminuire a te que' sussidi infedelissimi del tuo stato.
Godiànci adunque, figliuoli, questa medioclità amica della quiete, vincolo della pace, nutrice della felice tranquillità dell'animo nostro e beato riposo in tutta la vita.
E così più e più cose dissi persuadendo a que' nostri nipoti ed eccitandoli a moderarsi e terminare e' pensieri e voluntà loro in queste cose instabili e caduche e fragili qual molti non savi stimano troppo; e addussi loro essemplo che mai sarà chi abiti non male se non pone il tetto, onde e' seguiti che le perturbazioni de' tempi nulla offendino, e alle estuazioni dell'animo nostro l'ambizione e cupidità meno s'accendino.
In questo, uno de' giovani che era doppo a me, porgea parole agli altri e massime al figliolo di Paulo con riguardo e sotto voce.
Paulo si volse e porse al figliuolo suo il fronte e occhi non senza qualche poco indizio di severità paterna, e disseli: - Tu più solevi altrove udire con attenzione e volentieri chi ragionasse di cose degne e dotte, qual costume buono in te molto mi piacea ed erine lodato.
-
BATTISTA.
Non ti dispiaccia, Paulo.
Domanda quello che e' diceano.
NICCOLÒ.
Dirottelo io che in parte tutto intesi.
Non lodano questa tua esquisita mediocrità.
Vorrebbono essere grandi e sopra gli altri rarissimi.
BATTISTA.
E così mi parse intendere che diceano.
O letizia mia! che questa voluntà generosa e degna di molta lode fussi in voi figliuoli quanto io vorrei! Ma vediamo se io intendo bene, e se 'l desiderio mio s'aconfà col vostro.
Or ditemi, voi giovani.
Vorresti essere grandi e molto dissimili dagli altri? Vorresti voi essere Polifemo, del quale dicono i poeti vostri cose maravigliose? Già saresti pur grandi! Uno intero arbero di pino sarebbe in mano a voi meno che a Niccolò costì testé quella forchetta.
E per essere dissimili dagli altri vorresti, beato a voi, avere non solo in fronte uno occhio grande, ma e ancora in la collottola e altrove più e più occhi e orecchie e mani.
Non ridete; dimandatene me, se io vorrei essere con tanti occhi e tante mani; e vorrei sì, e dico certo, sì vorrei.
Voi qui che dite?
GIOVANE.
Che farei io di tante mani e di tante orecchie? Tutto il dì odo e vedo più cose che io non vorrei.
El bisogno nostro sarebbe avere e potere, e in questo essere, non dico simile ad Alessandro Macedone o a Cesare (non voglio tanto presumere di me), ma simile a' nostri maggiori, a messer Benedetto, vostro avo, a messer Niccolò e agli altri quali edificorono queste nostre case, onestamento della famiglia nostra e ornamento di questa città.
Simili sono quelli ch'io chiamo grandi, quali sopra gli altri possono colle ricchezze e collo stato.
Minimi saremo noi se mai ci converrà pregare chi possi sopra noi.
BATTISTA.
Ottima e accommodatissima risposta.
Voglio che di voi creda niuno che a' nostri avi le ricchezze dessero stato, o contro, lo stato ricchezze.
Anzi la 'ndustria acrebbe loro il peculio domestico, e la virtù gli aperse publico addito e luogo onorato in la republica.
Ultimo la prudenza loro gli affermò in bene e in stato dovuto a' meriti loro.
Ma quanto io manifesto potrei pe' gesti e vita loro mostrarvi, affermo questo, che essi non fecero tanto stima di queste abundanze delle cose caduche quanta farebbe chi si persuadesse essere felice solo per le ricchezze, quale in verità sono di sua natura alla vita dell'uomo utile, ma non tanto necessarie quanto molti credono Non vi niego, dura parola agli animi liberi dire «io ti priego».
Ma vedi che questa necessità non sia da te più che altronde.
La natura diede all'omo bisogni pochi e di cose minime, e tali che per satisfarsi non accade troppo richiederne altri che te stessi.
Restaci che per adempiere le cupidità e voluttà diventiamo servili, ove ci sarebbe più facile e pronto qui spegnere in noi quello che ci sollecita che ivi ossecundarli altronde.
E queste ricchezze tanto desiderate, se bene vi porrete mente, sono per sua condizione né tutte nostre né sempre nostre, anzi in minima parte nostre.
Molte ne scemano le perturbazioni de' tempi: molte ne rapiscano e' pessimi omini.
Quello che se ne adoperi in tutta la vita in tua utilità e necessità sarà pur poco, se già tu non imponessi a te stessi quella servitù in quale alcuni inettissimi si gloriano d'avere a pascere molti oziosi o scorridori e ministri delle loro voluttà e insolenza sua.
Del resto, s'tu le tieni inchiuse, elle a te sono come alienate e rebuttate dal fine e condizione loro.
Né saranno da reputarle tue, se tu l'arai dedicate ad altrui uso che al tuo nolle adoperando.
D'altra parte, se tu ne fai quello si conviene, elle sono al tutto più d'altri che tue.
A te solo ne resta qualche istoria della tua liberalità, forse non creduta da molti.
E le più volte resulta più invidia e odio verso chi dona da chi non assegue quanto e' chiedea, che grata memoria in altrui pel dono e beneficio ricevuto da lui.
Agiugni che a molti le ricchezze spesso importorono calamità ed eccidio miserabile.
Ma invero, e che male è questo insito e innato nelle ricchezze? Ciascuno, per vilissimo che sia, ti si porge severissimo censore e immoderato moderatore della vita e costumi tuoi.
Questo vorrebbe largissi, effundessi, alienassi da te dove e come pare a lui.
Quest'altro si move con altra opinione: tutti a biasimare ciò che tu spendi e non spendi.
Parvi, giovani, ch'io dica il vero? Rispondete.
PAULO.
Risponderò io per loro.
Sì, pare.
Non però recuserei per questo qualunque occasione onesta mi rendesse ben pecunioso.
Ma qui questi giovani, come vedi l'aria loro, nati a magnificenza e a signorile amplitudine, s'io scorgo bene dove essi stendono con l'animo, vorrebbono per sé ciascuno essere un grande e ricco principe.
Diss'io il vero? Ma che domandiamo noi? Eccoti, ponvi mente...
tutti, non dico più, solo per queste parole si rallegrano.
BATTISTA.
E io vorrei così vederli che invero e' fussero principi; non che e' paressero alla multitudine imperita e stolta principi, ma fussero.
PAULO.
Come si può parere in questo e non essere?
BATTISTA.
Dissi agli imperiti, quali sono molti.
E par loro che 'l summo stato e bene del principato sia trovarsi in quella copia e affluenza di superchie delizie, accerchiato da molti assentatori, temuto dalla multitudine, e ogni suo cenno osservato da tutti.
Tutte queste cose saziano e per uso assiduo fastidiano, e vedera'li non raro per avere qualche ora quieta si rinchiuggono in qualche cantuccio della casa solitari.
E non vorrei che questi nostri figliuoli desiderassero simile vita.
Nulla peggio, nulla maior infelicità in qualunque sia stato che aggiudicarsi nato per servire al ventre e all'altre oscenità lascive.
E che furore fia questo degli animi bestiali, se vorranno più essere temuti che amati? Quanti saranno che temano te, tanti odieranno te.
Se tu sarai odiato da molti, per certo a te sarà necessario temer molti.
Tu adunque fusti cagione di questo tuo infortunio.
Niuna mala fortuna piggiore che avere molti nimici.
E a chi sia malvoluto e odiato, suo debito, gli sequita pessimo fine in tempo e miserabile eccidio.
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