DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 5
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L'altro errore si è che io non lo so adoperare in quello a cui fine e' fu trovato, e per questo lo tengo troppo inchiuso e constretto.
Dimmi, Paulo, chi domandassi uno de' vostri cittadini togati su in senato: «Chi chiami tu ricco?», che risponderebb'egli?
PAULO.
Credo risponderebbe costui è ricco quale ha molti danari, e così forse qui crede Niccolò.
NICCOLÒ.
E chi ne dubita?
BATTISTA.
Costui qual facessi questa risposta si ravedrebbe quando io lo ridomandassi: «Dimmi, quanto oro basterà ch'io possa dire: questi sono que' molti che ti faranno ricco?».
Fu chi disse, solo colui sarà ricco quale arà danari da satisfare a' bisogni suoi, alle voglie sue qualunque elle siano, da prestarne, donarne, gittarne, nasconderne, smarrirne, perderne senza sentire el mancamento.
Pazza risposta! Due affetti c'impose la condizione umana: l'uno per satisfare al corpo.
Atto strumento a questo furon trovati e' danari.
L'ardente desiderio e affezione al danaio si chiama avidità.
L'altra affezione fu per satisfare all'animo, qual sempre desidera essere più pieno di sapienza.
Se l'animo non fusse in tutto vacuo di quello che si li richiede, all'omo circa il corpo basterebbon poche cose, però ch'egli s'auserebbe vivere col poco, e a chi basta il poco, a costui avanza molte cose qual mancano agli altri non moderati.
L'uno di questi due affetti, cioè la cupidità, o venga dalla corruttela del vivere, o dalla diffidenza e innata sua paura che no' gli manchi, o da stultizia per essere in questa cosa caduca più abbiente che no' gli giova, questa cupidità, dico, si vede che sempre cresce.
L'altro affetto di sua natura non può avere fine, però che le cose quale per sé ciascun di noi non sa, e sono belle e utili e degne e necessarie alla perfezion dell'omo, e pertanto richieste dalla natura, sono infinite.
Adonque all'omo in questa parte niuna quantità mai satisfarebbe.
Ma vedete voi se questa mia fussi atta risposta.
Dico che colui qual io chiamerò ricco, in tutto sarà contrario al povero.
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Colui è povero a cui mancano le cose atte a vivere bene, e più povero colui a cui mancano le cose necessarie secondo quello si richiede all'omo.
NICCOLÒ.
Piace.
BATTISTA.
Se così è, colui sarà più ricco che gli altri, a cui suppediteranno le cose migliori in tutta la vita.
Le ricchezze sopra modo acumulate sono più gravi e moleste che la povertà ben moderata.
El più delle volte le ricchezze venute senza virtù furon pestifere, e raro vedesti tiranno a congregar pecunia che fusse omo bono.
La cupidità de arricchire fa gli omini violenti.
Dicesi che l'omo ignorante sempre fu la più dura cosa, e fra gli altri el peggio trattevole animale che sia.
Summa ignoranza sapere lodare altro nulla che la pecunia.
La vera ricchezza, giovini, sta in essere copioso di cose buone; e quelle sono ottime quali fanno l'omo ottimo, e non li possono essere tolte da persona.
Questa sarà la virtù, figliuoli, la bontà, la sapienza.
Quale omo non al tutto senza mente non recusasse, non dico essere, ma solo parere ignorante, senza niuna virtù e scellerato? Qual premio sì grande vi sarebbe preposto a quel fine che voi non lo recusassi? E pur vedete in quel cupido, tanto può la sua imprudenza e summa stultizia, che egli pospone ogni cosa al guadagno; improbità da castigarla! Chi vendessi il figliuolo per danari sarebbe scellerato.
Sì.
L'omo cupido vende sé stessi, la fama sua, spesso per minor pregio che non gli costò l'asino.
Ove troverrai tu omo più duro che questo quale non sa vivere almen co' suoi.
Quasi tutte le quotidiane controversie fra coniunti in le famiglie vengono da questa cupidità.
Lo stimare e desiderare cose superflue e a sé più tosto gravi che utili, mai caderà in un savio e prudente.
Qualunque cosa io non saprò adoperare, quella a me sarà superflua.
Non sarà adonque senza stultizia desiderare e con tanta industria cercare quello ch'io né sappia né voglia adoperare.
El cupido avaro omo non conosce a che siano utili le ricchezze.
Se le conoscesse, non perderebbe tanto frutto quanto ricoglie chi ben l'adopera.
Disse colui: «desidero d'essere ricco solo per murare e donare».
Degna risposta.
Acquistasi col benificare mediante el danaio amici e fama.
E costui, non che e' non benefichi agli altri, ma e' frauda sé stessi, e ripolle forse per adoperarle altrove in bisogni forse minori che questi presenti, e questo non è senza insania, soffrire testé disagio in cose certe sotto espettazione delle incerte.
E se pur così fusse, arebbe men biasimo.
Ma l'avaro le ripone solo per averle a custodire dalle mani de' furoni.
Molestia laboriosa e dannosa el non por modo alla cupidità di quello che non vuole usufruttarlo! Diremo noi che sia altro che solo uno gareggiare stolto contro a sé stessi?
E scusansi quasi come fusse licito essere rapace pe' figliuoli.
Non vi credo, padri: non credo che i vostri figliuoli tanto vi siano cari, quando di quel che gioverebbe e bisogna loro, voi non avete alcuna cura.
Studiate, padri, che i vostri siano modesti, e sappino quanto sia da posponere el danaro alla virtù, e in che modo a noi mortali la vera ricchezza venga altronde che dalla fortuna.
E in questo dovresti spendere tutto el patrimonio, ed esporvi tutte le sollecitudini e fatiche vostre, che a' vostri non mancassero e' ricordi e instruzioni vostre e degli altri ottimi precettori.
E' non sarà poco, s'tu lascerai loro quello che fa ricchi gli altri, la industria e buoni costumi.
Gli omini dati al guadagno, quanto e' saranno più modesti, tanto aranno più favore e indi più frutto e più utilità.
E prossime, quello che molto gioverà, lasciate loro copia d'amici sotto la protezione de' quali e' siano ben retti.
Pazzia troppo dannosa lasciare più letigi a' suoi che beni ereditari! Voglio, sì, che il tuo sia tuo, ma quanto all'uso e liberalità, sia pari de' tuoi, presertim buoni.
E' buoni meritano ricevere bene e dagli altri e imprima da' buoni simili a te; e l'officio dell'omo buono sarà sempre far pur bene.
Ma che fo io? Quasi come io qui a te, Niccolò, e a te, Paulo, omini maturi e prudentissimi e padri di molti costumatissimi figliuoli, volessi insegnare con che riguardi e con che instituti si regga la famiglia.
E raveggomi uscito del nostro proposito.
NICCOLÒ.
Non così; anzi, come tu dicevi testé, così pare a me: ciò che si dice utile a questi giovani in tutta la vita fa molto a proposito e tuo e nostro, quali tutti vorremmo vederli felicissimi.
E quanto io, Paulo, confermo el detto suo: certo e' padri debbono avere gran cura di fare i suoi virtuosi.
Questo si vede, che la virtù d'uno omo solo spesso rende beata una terra, non che una famiglia.
PAULO.
Verissimo, Niccolò, quello che Battista e tu dici.
E io, come tu sai, sempre curai ch'e' miei fussero molto morigerati.
Ma forse e' pensieri di molti padri sono questi: «né posso fare a costui la persona maggiore che gli conceda la natura, né immettervi bontà e dottrina se non quanto agradi a lui: questo sussidio delle mie fortune molto necessario alla vita posso io accumulare e lasciare loro, e debbo».
BATTISTA.
Non neghiam questo, Paulo, che la cura, diligenza, assiduità de' buoni precettori rende a miglior grado le menti giovanili tènere e atte a ogni impressione.
E vedesi quanto e' giovani, cresciuti sotto la reverenza de' padri circunspetti e gravi, siano poi omini differenti da questi quali crebbero senza freno e buon consiglio.
Ma torniamo.
Noi espurgammo da quella parte dell'animo in quale abitano le perturbazioni, alcuni errori e vizi molto nocui, massime a chi propose essere principe e moderatore di sé stessi, e prossime superiore al numero degli altri.
Ora procederemo esplicando ricordi de' nostri maggiori, omini sapientissimi, pe' quali la parte dell'animo retta dalla ragione sia ben culta e bene ornata, senza qual cosa, come più chiaro vederete, non possiamo assequire quanto desideriamo.
Acconsentimmo noi nel discurso fatto di sopra, che il vero principato stava in essere per virtù e buoni costumi e cognizione di cose degne, superiore al numero degli altri?
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Qual di queste sia più facile ad asseguirla, più utile a colui in chi ella sia, più accommodata alla nostra investigazione, sarebbe lungo qui a me e non pronto el diffinirlo.
Pur noi vediamo rari omini periti e dotti, quali non siano a' primi luoghi con dignità richiesti e preposti agli altri; e per questo forse molti iudicherebbono ch'el primo nostro officio sia dedicarci agli studi e cognizione delle dottrine, a quale opera iudicano e' savi che l'omo sia atto, nato, e da natura pronto, e dicono quello che non possono negare ancora que' che sono meno intelligenti: l'uomo nacque non per essere simile a una bestia, ma in prima per adoperarsi in quelle cose quale sono proprie all'omo.
Comune a tutti gli animali e insieme all'omo sta el vivere, el moversi e sentire e appetere le cose buone e accomodate alla conservazione della spezie sua, e fuggire le contrarie.
All'omo resta proprio suo fra' mortali lo investigar le cagioni delle cose, ed essaminare quanto sia questo che ora li occorre simile al vero, e cognoscere quanto e' movimenti suoi siano da reputarli boni.
Questo non è altro che solo adoperarsi in quelle facultà onde s'acquisti dottrina.
Ma di questo ne lascerò il giudizio a voi.
PAULO.
E' litterati, vero, certo sono molto stimati quando e' sono eccellenti, ma questo grado non l'acquista sempre ciascuno sanza molta fatica e difficultà ben grande.
Non siamo per ingegno tutti atti alla dottrina, e senza la buona disposizione del corpo e senza le suvvenzioni della fortuna mal si può dare opera quanta si richiede a simili studi.
BATTISTA.
Concedere'ti in parte che le fortune siano commode agli studi quanto tu stimi, s'io non vedessi fra gli studiosi acquistar dottrina men numero di que' che sono più ricchi che di que' che sono men fortunati.
E simile assenterei che la imbecillità del corpo disturba questa opera, s'io non vedessi che tutte l'altre cose per età mancano all'omo: solo le forse dello intelletto persino all'ultima imbecillità della vecchiezza tuttora fioriscono e inverdiscono.
Che ci bisogni fatica, tutto el contrario.
El nostro ingegno, cosa in molta parte divina, non patisce violente servitù.
Le fatiche hanno in sé violenza.
Qui solo si richiede affezione, diligenza e perseveranza; e spesso in lo studio la diligenza val più che l'ingegno, e quasi sempre la perseveranza farà più che la veemenza e impeto non attemperato.
E troverrete in questo studio delle dottrine che 'l moderato adoperarsi segue ogni dì più pieno di maravigliose voluttà.
L'animo nostro si pasce della investigazione e aprensione delle cose degne; e quando ben vi fusse qualche fatica, niuna cosa si fa in vita sì facile ch'ella non sia laboriosa a chi ella non piace.
Così niuna delle cose degne sarà tanto laboriosa qual non sia con voluttà a chi la tratti con desiderio d'assequirla.
Voi giovani alle cacce e altrove soffristi freddo, fame, sete, durasti fatica molte e molte ore, sudasti e vegghiasti.
O beato a voi, se voi ponessi pari studio e pari diligenza presso a dotti in apreendere le cose di più pregio! E quanto frutto assequiresti, quanto contentamento! Non si può descrivere né stimare il piacere qual seque a chi cerca presso a' dotti le ragioni e cagioni delle cose; e vedersi per questa opera fare da ogni parte più esculto, non è dubbio, supera tutte l'altre felicità qual possa l'omo avere in vita.
Che più? Il mercatante per acquistar qualche pecuglio espone la vita sua a molti e grandissimi pericoli, soffre in mare e in terra dure e lunghe fatiche e molti disagi, e noi altri recusiamo vigilar qualche ora della notte per essere poi lume agli altri omini! E recuseremo de adoperarci in quello che rende maraviglioso frutto alle fatiche nostre.
E certo sarà maiore el frutto nostro a noi che il suo a qualunque altri si trovi altrove.
Ed ecci palese questa differenza, che le ricchezze e 'l poter più che gli altri nelle cose della fortuna, mai fecero più savio alcuno.
E' dotti acquistano a sé pecunia quanta e' vogliono.
Sono riceuti da fortunati principi, e riceveno da loro.
E' ricchi sono accetti a niuno se non quanto patiranno diminuire il suo.
E spesso e' dotti fanno ricchi e beati molti altri con suoi ricordi e consigli e con emolumento e acrescimento di grata memoria e fama.
Agiugni che l'utile, qual porge la dottrina, sarà per sé maggiore che qualunque premio si possa mai sperare alle nostre fatiche, se ben cavassi tesoro ascoso e inchiuso in qualche muro di casa tua; però che l'oro non potrà essere utile a te, se prima in altri non viene qualche voglia o bisogno pel quale tu commuti l'oro tuo coll'opere e cose sue.
La dottrina testé qui mentre che tu la sequiti, e poi sempre quando tu l'arai compresa, sempre sarà tua, utile a te testé e in tutta la vita tua.
E quanto vi porrai studio, tanto di presente ti s'accresce per lei felicità, e dì per dì ti si rende più pronta e molto facile.
Poi non ti può essere rapita, continuo ti sta in seno, in parte niuna ti dà gravezza, e possedila senza niuna sollecitudine.
L'altre cose adoperate scemano: questa una solo, dono agli omini dato da Dio, continuo diventa maggiore e di più pregio trattandola.
Vuolsi adunque con virilità d'animo continuo profferirsi e adoperarsi per acquistar dottrina, cercando, frequentando omini e cose onde tu ritorni a casa più dotto, e vuolsi perseverare in questa assiduità.
Oggi benché poco sia quello che tu imparasti, domani saprai quello che tu non sapevi iersera, e in molti dì saprai molte cose, e chi sa molte cose, costui si rende in questo molto superiore agli altri.
Reverisconlo e maravigliansi di lui.
Seguiamo adunque, giovani, questa utile e degnissima impresa, dedichiànci a questo studio, ma più confermiànci a nulla recusar fatica per esser dì per dì quello che noi non eravamo, e facciam sì che questo dì giovi agli altri giorni che verranno, a noi e a' nostri.
Seguiamo cercando sempre ciascuno da sé e pari co' pari e tutti insieme cose ottime e lodate, e perseveriamo e imitando e ottemperando a chi prima le trovò.
Nella vita dell'omo lo essercitarsi in qualunque cosa rende la via ad acquistarvi lode e fama ogni dì più aperta, equabile e luminosa.
Chi conosce il bene e amalo quanto e' merita, e fra le cose ottime ama le più degne, costui pospone tutte l'altre men degne, e tanto gli diletta quello ch'egli acquista con sua diligenza, quanto e' si vede per questo differente da quello che egli era, e differente da quello che sarebbe sanza questo ornamento.
O giovani studiosi, Dio buono, beati voi quando qui e quivi e dirimpetto sederanno mille e mille e più volte mille omini in teatro o in qualche altro publico spettaculo, o giovani, beato a qualunque di voi potrà dire seco: «Qui, fra tanto numero di questi nati omini simili a me, niuno è omo tale a cui merito io volessi potius esser simile che a me, e a quelli che sanno più di me.
Tanti che sono belli, tanti che sono agilissimi del corpo e robustissimi, tanti che sono molto fortunati e nati in nobile famiglia, e niun di loro sarà qual non desiderasse che il padre, il fratello fussi simile a me, e sarà niuno che non si gloriasse nominare fra' suoi un simile a me tale qual io mi sia».
O gaudio maraviglioso! O incredibile contentamento! O gloriosissima remunerazione agli studi nostri, alle fatiche nostre! Chi non esponesse, non che il sudore, ma più el sangue per asseguirlo! E che monta delle fatiche passate? Oggi tu senti nulla, el premio loro frutterà sino dopo la vita.
Adunque, giovani, sequite, come spero farete, investigando e adoperandovi continuo con ogni studio, diligenza, perseveranza in acquistar dottrina, per esser instrutti almeno in quelle cose qual sarebbono mancamento a te nato omo nobile non le sapere.
E datevi a conoscere quelle che sono necessarie a chi desideri essere, quanto merita la virtù vostra, pregiato e amato da' nostri cittadini e adoperato in le amministrazione della republica.
O Dio, che piacere sarebbe el mio vedervi qui insieme, quando occorresse lassù in senato si trattasse forse di prendere l'arme o di iungere nuove collegazioni o innovar qualche legge e simili: che piacere sarebbe el mio vedervi disputare insieme di quella cosa, e producere vari argomenti, suadendo e dissuadendo questa e quell'altra parte, ed emendar l'un l'altro con carità e grave discurso! Quanto sarebbono questi simili ragionamenti vostri allora più belli che non sono quelli quali fanno molti sedendo pe' muricciuoli! E per mio consiglio fatelo, figlioli, fatelo, essercitatevi in simili cose, eccitate, sollecitate l'uno l'altro, perseverate in questo certame utile e pieno di voluttà con l'animo cupidissimo d'acquistare virtù.
Simili preludi vi faranno più dotti e circunspetti a riconoscere le cagioni e ragioni delle cose, e più destri a ordinarle a luoghi e tempi atti, deputati.
Sarete indi più pronti, ove accaderà, a profferirle ed esplicarle in publico.
E così diventerete quello che molto e molto vale fra la moltitudine: diventerete eloquenti e utili alle cose che succederanno nelle faccende publiche.
Credetemi, uno omo eloquente facile farà che gli altri seguano la sentenza sua.
E chi ubbidirà a' detti tuoi sarà costui altro in questa parte che suddito dello imperio tuo?
Sarà forse non qui fra voi, quali sete d'ingegno prestante e d'ottimo intelletto, ma fra gli altri giovani chi dirà: «Io conosco e affermo che tu mi dai util consiglio, e non recuserei fatica alcuna per acquistare tanta eccellenza, ma non mi servirebbe lo 'ngegno a queste suttilità, né mi vedo atto a compreendere tanta cosa».
A costui risponderei io: «Dimmi, figliuolo, che sai tu quanto tu possa s'tu nollo provi? E se tu ti conosci nell'altre cose non da meno che gli altri ove bisogni adoperare intelletto e discrezione, vedi che questo recusare qui l'acquistar dottrina non sia in te tanto diffidenza inetta quanto timidità puerile e fuga d'affaticarti».
Inerzia dannosa, desidia brutta fare come e' fanciugli vezzosi quando la mamma li vuole lavare il capo: gridano e piangono prima che sentano se 'l ranno è freddo o caldo.
Escludete da voi questa lentezza e tardità effeminata.
Vinca l'animo generoso e virile.
Spesso interverrà che 'l disporsi a far le cose laboriose eccita la virtù in noi, e rendeti che tu puoi molto più che tu non credevi.
L'omo da natura si è cupidissimo di sapere ogni cosa.
Di qui viene che tu e io e gli altri tutti siamo curiosi e cerchiamo intendere etiam le cose levissime, e chi fia questo forestiere, e quanta copia e che ordine fu al convito, e che crucci siano innovati fra Mirzia e chi l'ama, e simili.
Con questa cupidità di sapere se la natura non avesse immesso all'omo lo 'ngegno attissimo ad imparare, arebbe errato.
Qual cosa chi dicesse, errerebbe lui.
Mai in cosa niuna la natura per sé mai errò, mai errerà.
Adonque, non inculpar l'ingegno tuo: inculpane la propria desidia e poca cura tua di te stessi.
E quanti diventerebbono dotti, se si vergognassero esser gravi a sé e inutili agli altri per la sua ignoranza! Dissi degli studi dovuti alle dottrine.
Non so quanto io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ.
Dirò di me, e così credo affermerà qui Paulo e costoro: queste ragioni adutte da te molto mi dilettorono e persuasero; e così mi pare le dottrine sono molto commode alla vita dell'omo, rendono grande emolumento, non sono difficili a conseguirle, più amano diligenza e perseveranza che fatica.
E confesso questo: certo chi sa, costui tanto è differente da chi non sa, quanto da te omo compiuto a quelli che ancora sono fanciulli.
BATTISTA.
Dicesti commode, vero, ma sono in prima necessarie.
Le dottrine insegnano conoscere il vero dal falso ed eleggere il meglio.
Senza questa cognizione e providenza, che differenza faremo noi da uno omo annoso, non dico a un fanciullo, ma da lui non dotto, non perito a una inutilissima bestia? E hanno in sé questo le dottrine, che in la famiglia dove elle furon ricevute, elle perseverano più tempo conservandovi ornamento privato e publico onestamento.
Giovani, sequite essercitandovi, leggendo, udendo e' precettori, ragionate insieme e con gli altri studiosi delle cose lodate e utili a vivere bene e beato; disputate ovunche acade insieme cercando il vero, investigando le cagioni e ragioni delle cose, imparando da chi sa, e referendo l'uno all'altro con instituto de accrescere publica utilità alla famiglia vostra.
Così asequirete in voi mirabile contentamento, e appresso de' vostri cittadini autorità e preeminenze nulla differente dal vero imperio.
Conseque alle dottrine, - e forse sono consimili le cognizioni e perizie delle cose utili e degne, e quelle sono in prima degne qua' sono utili alla patria, come e' dicono in ozio e negozio, - sapere i gesti e provedimenti de' maggiori quali constituirono e acrebbero sì questa sì l'altre republiche, sapere gli ordinamenti e osservanze prescritte e usitate nella terra, sapere e' costumi e reggimenti pubblici e privati delle comunità, e' principi co' quali bisognasse in tempo confederarsi, conoscere le voglie e portamenti de' suoi cittadini utili e inutili al ben publico, e simili.
Queste sono cose molto degne a uno omo civile, e molto utili a chi presunse essere moderatore degli altri, e avere perizia di quello che bisogni a reggere e conducere lo essercito e armati per terra e per mare, e avere perizia di quel che giovi a difendere e propulsare ed espugnare inimici e simili.
Queste son cose che dànno a chi le 'ntende molta autorità e reputazione in senato e presso e' principi, questi sono commendati e primari gradi in le faccende publiche.
Ma quello che sopra ogn'altra cosa in la vita dell'omo si debba, e in qual bisogna con ogni opera, studio, assiduità continuo essercitarsi per assequirlo, faccenda iocundissima, degnissima, utilissima a te, a' tuoi, sarà la virtù, saranno i buon costumi.
LIBRO II
Levati adonque da desinare, tornammo a sedere a' luoghi nostri presso al foco secondo l'ordine di sopra.
Ivi ancora simile come a tavola fra noi sequimmo dicendo e rispondendo a uno e un altro motteggiamento con molta iocundità e festività.
Stati così alquanto, Paulo si volge a me, e con quella sua modestia riposata porse la mano e disse: - Or sì, Battista, noi aspettavamo il resto de' ragionamenti tuoi.
E questo richiederli ti sia demostrato di quello che noi stimiamo e confessiamo esser in te.
E qual sia questo nostro iudizio non accade profferirlo in tua presenza.
Tanto basti: se noi non li reputassimo ragionamenti degni, utili, atti a por l'omo in tanta eccellenza che meriti esser pregiato, reverito e amato, noi non ti daremmo questa fatica.
Ma so che tu non la negherai a questi giovani, quali ti sono grati quanto figlioli, e anche a noi, a' quali insieme con loro i ricordi tuoi saranno utili e piaceno.
Sequita.
BATTISTA.
E' ragionamenti delle cose degne sono per sé utili e piaceno di sua natura a chi gli ode, ma più molto dilettano a que' che sono nati per esser omini prestantissimi e rari, come io spero saranno costoro, e molto me ne rallegro.
Questo per molti altri loro ottimi costumi, pe' quali e' mi sono cari quanto la vita mia, e massime perché qui li vedo attentissimi; e spero come e' sono parati a intender da me il ben loro, così essi da sé saranno operosissimi in vendicarselo.
Da te, Paulo, e da te, Niccolò, omini prudenti, voglio io questa licenza, che senza repetere altri princìpi, senza prefinire altro ordine a questa materia, io, come feci sino a qui, referisca solo quanto di cosa in cosa mi verrà in mente atto a questo ch'io proposi.
Non è qui il proposito nostro tenere scola filosofica accurata e da ogni parte circunspetta.
Basterammi in questi ragionamenti familiari informare la mente e l'animo nostro con ottimi instituti a essere egregi omini, dissimili da' volgari, ignoranti, indotti, imperiti, inetti; e adatterenci ad acquistare in noi ora per ora principato e moderamento di noi stessi con virtù e buon costumi, onde segua facultà ben reggendoci d'essere primari e superiori agli altri.
Abbiamo a ragionare della virtù e de' costumi.
Questi chiamati eloquenti, come altrove così in le funerali collaudazioni, annumerano fra le virtù ancora le perizie e cognizioni delle cose e delle buone arti, e dicono: «Costui fra l'altre sue virtù fu citarista, pittore, architetto, e simili».
Ma noi proprio chiameremo virtù solo la vera e sincera bontà alla quale sia contrario el vizio, e diremo: costui è virtuoso quale sia in sé tale che niuna cupidità, niuna voluttà, niuno sdegno o molestia mai lo inducerebbe a far cosa iniqua, nociva ad altri o brutta a sé.
Vorrei potere esplicare con qualche notabile proprietà in che fusse differente questa bontà da quel che noi appelliamo buon costume.
Non mi viene per ora altro in mente, e forse questo vi satisfarà.
Diremo così: per la bontà l'omo constituisce e afferma in sé vera e perpetua tranquillità e quietudine d'animo, e vive a sé libero e, quanto sia in sé, utile agli altri, contento de' pensieri suoi, vacuo d'ogni perturbazione.
E' buon costumi forse sono corrispondenti alla virtù come alla sanità del corpo el buon colore, e sono quasi ornamento della virtù, e acquistano all'omo presso agli altri bona grazia.
Ma come il buon colore può in molti modi e ancora ne' febricitosi apparere altronde che da sanità, così qui con gesti e parole simulate e fitte qualche fallace potrà in tempo ostentarsi vero costumato e religioso, e pertanto asseguirà forse presso a molti buona opinione e favore.
Ma in noi mai otterremo quiete e tranquillità d'animo constante senza vera e intera virtù.
Occorremi un'altra similitudine: come al pomo insieme con la maturità li succresce odore e sapore suavissimo, così il buon costume innato con la matura perfezione della mente, cioè colla virtù, porge di sé amenità e grazia.
Diventasi virtuoso imitando e assuefacendosi a esser simile a coloro quali sono iusti, liberali, magnifichi, magnanimi, prudenti, constanti, e in tutta la vita ben retti dalla discrezione e ragione.
A questa imitazione sussegue el vero buon costume, quale in sé non è altro che pura onestà retta con certo riguardo, e destinazione d'animo parato fuggire ogni biasimo, e pronto di gratificare a tutti contribuendo e accomodando a ciascuno secondo el poter suo e secondo e' meriti loro, e massime dove e quando l'opera sua giovi alla patria sua.
E sarà ben costumato chi sequirà quanto da lui richiede il viver civile e la buona disciplina e religione de' suo' maiori.
E in prima costui così costumato, per osservare in sé quanto richiederà la onestà, non recuserà fatica, non schiferà disagio, non fuggirà periculo alcuno per satisfarli.
E quel che molto porge suave e gratissima la presenza dell'omo costumato si è la modestia, mansuetudine, umanità, equabilità, affabilità in gesti, detti, fatti, accommodati, accetti e grati.
Bella cosa la virtù, giovani: bella cosa la bontà!
Chi mai potrebbe raccontare quanta sia differente la vita dell'omo bono a quella del non buono.
L'omo bono fra' suoi privati cittadini sarà sopra gli altri reputato, e in le faccende publiche raro sarà posposto agli altri.
Vederassi amato da tutta la multitudine, frequentato, richiesto, e appresso qualunque lo conoscerà, riporterà ottima grazia.
L'omo, contro, non buono, dato alle voluttà e ozio, desidioso, inerte e pieno di cupidità, vive tedioso in sé, negletto, abietto, svilito dagli altri.
Fuggono e' cittadini apparentarsi con lui, fuggono crederli, fuggono ogni sua pratica, non lo vorrebbono per vicino.
Onde con questa sua mala disgrazia el misero omo rimane escluso da ogni onestamento e aministrazione publica, nulla reputato.
Rursus l'omo bono gode nel far bene, dilettagli il pensare alle cose oneste, dassi alle cose molto lodate, falle con ottima speranza di felice successo col favor degli omini e ancor di Dio, a cui piace le cose ben fatte, e acquistane premio incomparabile, cioè gloria e immortal fama.
Questa memoria in sé lo rende beato in tutta la vita e quinci gode quando e' fece cosa onde e' meriti bene da' suoi, dalla patria, dal numero de' mortali.
Niuno diletto, niuna iocundità in vita dura continuo eccetto che 'l far bene.
El vizioso, contro, non può pensare altro che di far le cose grate a sé, dannose ad altri, e di sua natura inique e iniuste e disoneste, sanza duri e molesti incitamenti d'animo, gravi sospetti, acerbe cure e turbulentissima instabilità di mente.
Non s'adopera in sequire la sua improbità e pravità senza vessazione e concertazione in sé di qualche paura contro alla sua audacia.
Ultimo, adempiuto el concetto suo, ehi misero lui! - lo assiduo rimordimento, qual sempre si li representa rimproverandogli quanto e' commise cose scellerate, lo tien in perpetuo e acerbissimo tormento.
Agiugni, se l'omo buono forse in qualche cosa errò, molti lo scusano, in molti modi lo sollievano, e da molti sono le scuse loro accette.
Contrario interviene al vizioso.
Le scuse dell'omo non buono tutte sono inutili, niuno le approva, niuno le conferma.
E quello che molto più nuoce loro, se fanno o dicono cosa alcuna da riceverla in buona parte, tutti la stimano dedutta con fraude, atta a nuocere e diritta a male.
E aviemmi non raro ch'io mi maraviglio, sendo questo sì proprio all'omo, sì facile, sì parato, sendo l'acquistar virtù sì necessaria cosa in tutta la vita, sendo tanto degna, stimata, amata la bontà, qual cose tu acquisti con tanta voluttà, onde tu ne ricevi tanto frutto e sì maraviglioso premio; dico, mi maraviglio onde e' sia che gran numero degli omini la recusino, anzi la escludino da sé.
Error pieno di nequizia laudare e pregiare in altri quello che lui non degna ricevere e non sostiene averlo in sé.
A chi piacesse più mantenere in sé la infermità del corpo suo che la buona sua sanità, massime potendo con facile modo liberarsi, ditemi, giovani, di costui che iudicheresti voi? Che fusse molto savio o molto che...?
GIOVANI.
Molto pazzo e bestiale.
BATTISTA.
Simile sarà bestiale quest'altro quale perseveri vivere servo a' vizi con brutti costumi.
E tanto più sarà vero pazzo, quanto la buona disposizione e valitudine dell'animo sia da più stimarla che quella del corpo; e ancora tanto più quanto sia più facile sanificare l'animo che raffermare il corpo.
Le corruttele dell'animo sono e' vizi, quali per sua natura dispiaceno sì agli altri, sì ancora a colui in chi e' sono più familiari.
Vedilo, per scelerato che sia, niuno sarà quale non studi occultare e' suoi biasimi.
E se ci penseremo, lo vederemo che dura più fatica in non parere quello ch'egli è, che non durerebbe in essere quello che non è.
Sono adonque e' vizi corruttele dell'animo, ingrate alla natura, odiose agli omini, moleste a colui in chi e' sono.
E chi ne dubita? Deposto il vizio, l'animo riman libero e valido.
Per espurgare ed escludere tanto male, non ti bisogna amminicoli o argumenti altronde che da te stessi.
Qualunque, in qualunque luogo, in qualunque tempo disporrà esser simile a' buoni e ben costumati, certo ivi presente arà modo d'esser vero buono e costumato.
Niuna cosa estrinseca potrà impedire a te questo concetto.
E se qui a te nulla bisogna a questo, altro che la tua bona volontà, non aremo da inculparne altri che solo te.
Molte altre cose in vita all'omo sono belle e lodate: pur ci è licito senza repreensione non le avere.
E possiamo non esser poeti, non essere astronomi, e simili; ma senza aver modo e ragione di vivere con quel che si richiede agli omini, non ci sarà concesso.
Saremo simili a' buoni prudenti e ben morigerati quando e' nostri pensieri e gesti e parole e fatti saranno retti e moderati con ragione e ordine non dissimile a e' loro.
Dal buon pensiere e da buon instituto sequitano le buone operazioni in tutta la vita.
Dalle buone operazioni succede buon fine a' nostri desideri.
Buon fine sarà quello che giovi a te con molta onestà.
Miglior fine sarà quello che gioverà non solo a te, ma insieme a molti con buona grazia.
Ottimo fine sarà quando e' gioverà in prima a' buoni simili a te, e sarà lodato dagli omini gravi e savi.
De' pensieri dell'omo alcuni sono generali circa tutta la ragione del vivere, alcuni determinati a qualche certa faccenda.
Al tutto e' pensieri e instituti de' prudenti e virtuosi sono differenti da que' de' viziosi.
El vizioso prepone l'utile suo a ogni equità.
Nulla cura se non quanto a lui satisfaccia.
Al buono, contro, piace nulla se non quanto la onestà, equità e umanità gli persuade, onde adirizza tutti e' suoi pensieri e volontà solo in far cose non inutili a sé, utili a molti, e di sua natura oneste e lodate da' dotti omini e ben composti.
E così el primo suo instituto sarà fugare da sé l'ozio, la voluttà, la cupidità e gli altri eccitamenti e nutrimenti de' vizi; e per questo da' primi dì che cominciò per età esser maturo, egli essaminò in sé quello che e' potesse, e quello che gli mancava, e quello che a lui si condiceva e da sé bisognasse astenersi, e a che industria, a che arte e disciplina e' fusse più atto e da natura più inclinato, e delle cose degne qual fusse più da eleggere in sé.
Così faremo noi e questo: disporremo l'animo virile e generoso, prontissimi a non recusar fatica o disagio alcuno per assequirlo.
E stimeremo che niuna cosa sia tanto da fuggirla e temerla, non povertà, non dolore, non inimicizie, quanto il biasimo e infamia.
La paura del biasimo, figliuoli, costudisce in noi la ragione, eccita la virtù, modera el discurso, adirizza le voglie nostre a buono e lodato fine.
E sarà la summa de' nostri pensieri, non in avere più roba, ma men vizi, o più stato o favore, ma meno arroganza, con più virtù e meno invidia.
E proporrenci, quasi come legge destinata al viver nostro, al tutto posporre ogn'altra cosa alla virtù.
Simili adunque saranno circa tutto l'ordine della vita e' pensieri nostri.
Le cose particulari in molta parte pendono da' tempi, luoghi e condizione delle persone, e per questo saranno qui e' pensieri nostri per sua natura più da chiamarli consultazione per intendere e assequire il meglio, che da iudicarli instituto determinato e quasi posto come segno certo, immobile, dove ogni nostro desiderio s'adirizzi.
Dicono: «chi non sa pensare quanto basti, non saprà fare quello che bisogni».
Fra le cose buone molti populari stimano le voluttà, e non pochissimi le ricchezze, alcuni le dignità.
Que' ch'hanno l'animo più generoso appetiscono l'onore, gloria, posterità.
Circa tutti questi simili pensieri mommentani si danno alcuni precetti utili e da non li preterire.
La cogitazione nostra civile non è altro che discurso di mente, per quale tu repeti le cose note a te, e compari le similitudini loro con quelle che sono testé qui presente, e indi argumenti quello che possa avvenirne; e questo si chiama prudenza, quasi providenza onde sequita contro al mal la cauzione, e, quanto al bene, l'ordine e modo a consequirlo.
E dicono che la prudenza si è un muro tutissimo, quale non si può con macchine prosternere, né con perfidia e tradimento superare.
El vero fundamento della prudenza si è la buona mente, e ben maturata e ben essaminata ragione.
La pravità disvia il iudicio dalla dovuta rettitudine, e le perturbazioni escludeno la ragione.
Di questi sorgono vizi al tutto contrari alla prudenza.
Massimo inimico della prudenza la falsa opinione, e molto piggiore avversario sarà la iattanza pervicace di chi gli pare intendere quanto bisogna cose che non intende, e stima il iudizio suo sopra tutti gli altri, e per questo ostinato vuole con troppa veemenza quello che l'opinione sua gli persuade esser buono a sé.
El savio non si lascia sudducere dalla opinione o vincere di essistimazione inconsiderata, ma discerne le cose da' suoi princìpi distinguendo e riconoscendo le parti loro, e iudica componendo le cause co' loro effetti, ed elegge con disquisizione ben digesta e con ragione quello che sia ottimo.
E vengono da questa falsa opinione, come altri molti vizi, così ancora le suspizioni, onde alcuni iudicano prudenza pensare e ripensare a cose spesso molto vili e al tutto inette.
Sarà certo meglio pensare a nulla, che assuefarsi trattare in sé cose vili e vane.
Bene adunque amoniscono e' dotti che ne' pensier tuoi tu in prima escluda la opinione, sequiti la ragione, freni l'appetito.
La ragione per sua natura sempre provoca l'animo a cose ottime e lodatissime, e modera le voglie, e ritien che tu non cerchi le cose senza buon modo e molta circunspezione.
Per escludere da sé l'opinione e sicurarsi da tutte le sue decezioni, convien che tu abbi gran riguardo a non far stima de' piaceri e dispiaceri tuoi più che la cosa in sé meriti.
Lodasi quel prudente omo qual dicea: «Io reputo che gli omini siano animali atti ad errare e verso di sé e verso degli altri; ma stimo e' loro errori fatti verso di me non più che si richiegga la natura delle cose, e oppongo all'impeto delle iniurie e della fortuna ne' miei pensieri la buona fiducia di me stessi, a cui nulla può esser tolto di quelle cose ch'io curo, e alle perturbazioni che mi si presentano, meco me stessi confermo con la ragione repetendo che a me non può mancare cose ch'io cerchi».
E certo, figliuoli, egli è così: l'uomo buono, costumato, dotto, qual nulla desidera altro che dottrina e solo ama la virtù, si sente sì pieno degli ornamenti suoi, sì parato con quello che non gli può esser vietato ad acquistar buon nome e fama, che non li bisogna o temere o cercare altronde cosa alcuna estrinseca per adempiere le voglie e voluttà sue.
Molti omini diventorono scellerati e iniquissimi, e molti, contro, perché gli pesava la fatica e tediava la perseveranza nel prodursi a più virtù, intermisero l'opere virili e gloriose, e così l'uno e l'altro di costoro rimase misero e infelicissimo.
Prossime, ne' ragionamenti quali tu arai teco pensando e deliberando le cose, bisogna che tu preponga a te qualche non verisimile, ma certa e indubitata ragione e vero principio, onde tu discerna senza alcuna dubitazione le successioni di quel che investigando si dimostri atto e parato a pervenire.
Saravvi per questo ne' successi felici ed espettati doppia voluttà: ciò sarà avere quello che vi satisfaccia e ottenere quello che voi provedesti.
E ne' successi non grati vi sarà meno molesto quello che voi stimasti e in parte vi preparasti a sofferirlo.
Fare ch'e' casi non seguano, non è in nostra podestà; ma che e' non vengano per nostro errore e negligenza, possiamo noi, e dobbiamo con maturo consiglio provedervi.
La oppinione sempre fu ambigua, inconstante, inferma.
La ragione sequita la verità, qual mai serà se non unica, perpetua e immortale.
Adonque, se nel disputar con teco toccare' qualche argumento nel quale sia da dubitare se questo sia o vero o buono, come forse ti può parere, non accedere; guarda.
Niuna cosa può esser buona se non quanto ella sia onesta, né utile se non quanto ella sia buona a qualche cosa di sua natura buona.
E se in parte alcuna benché minima ella ti sentirà d'iniuria o disonestà, fuggila, e al tutto abdica da te ogni speranza di celare e occultare le cose malfatte.
L'omo grave, circunspetto, dato alla virtù, ornato di buon costumi, mai fra' pensieri suoi accetterà deliberazione alcuna quale e' recusasse esporla e palesarla a tutti e' suoi amici e nimici.
E così noi che instituimmo esser simile a loro, esplicaremo a noi stessi e' pensieri nostri non con altra mente che se tutti e' nostri amici e nimici in presenza ci vedessero.
Ultimo, constituito in questa causa el fine onesto, atto a noi e da volerlo, bisogna provedere che ordine e modo si condica a pervenirvi.
El modo in gran parte s'adatta dalle occasioni de' tempi, dalle condizioni de' luoghi e delle persone.
A questo bisogna ossecundare, più tosto che cercar di commutarle.
Ma voglionsi ben ritrattare, e come e' dicono, riconoscerle per ogni loro quadra, acciò che tu non presuponga noto a te quello che, riponendovi meglio mente, t'avederai che tu erravi.
Dannosa negligenza per quale tu doppo il fatto dica: «i' non pensai questo».
L'ordine in sé si è una atta disposizione delle cose, bene accomodate a' luoghi loro, in tempo, e con ragione ottima.
Non sarà ottimo quello a che si possa agiugnere parte alcuna, onde e' sia per questo da più eleggerlo.
Saranno adonque, insomma, le ragioni e diffinizioni de' nostri pensieri circa le cose quali acaggiono d'ora in ora, moderate e pesate, come dissi.
In particulare circa le voluttà non bisogna farvi deliberata deliberazione e immutabile.
Proporci di fugarle da sé tutte, sarebbe immanità: dedicarsi a esser simile a un cavallaccio, e marcire e perdersi nella voluttà, sarebbe cosa oscena e vituperosa: adattarsi a' tempi e non le appetere con avidità, e non dolersi s'elle mancano, sarà officio d'omo ben costumato.
Circa le cose della fortuna bisogna preparare l'animo, e precludere ogni addito onde ella in tempo possa perturbarci.
Nulla dobbiamo desiderare, nulla sperare, nulla temere più che si richiegga all'omo grave e prudente: ricordarsi che la fortuna sempre fu volubile, inconstante, e così stimare che la fortuna per niuna tua providenza e consiglio mai muterà la sua natura.
L'omo pratico in mare provede con molte ancore, sartie e armamenti, più a' casi avversi che a secondare la facile sua navigazione.
Così a noi bisogna nel corso della vita prepararci che la instabilità e durezza de' tempi diano quanto men danno si può.
Poco ti graverà la fortuna avversa o non ti dando o levandoti quello che tu conoscevi caduco, fragile, e per sé instabile, e per questo non lo stimavi né te ne fidavi.
E massime circa le ricchezze bisogna avere l'animo grande.
Chi impara soffrire la povertà senza perturbazione, soffre bene ogn'altra molestia.
Gloriosa vittoria superare in sé quello che vince gran numero degli omini.
E vincesi escludendo e' desideri con poco stimar le cose caduce e fragili e adiudicate alla voluttà, per qual solo fine el volgo desidera esser pecunioso.
All'animo grande, ben constituito, non può parer gran cosa alcuna sopra quella che fa lui essere grande: la virtù.
E per questo quanto ello ama sé, tanto pari ama la virtù: l'altre cose al tutto stima poco.
Indi mai accaderà che faccia per avidità cosa alcuna brutta, e vorrà più tosto questa cosa degna e preclara senza frutto, che quella fruttuosa senza splendore di qualche virtù, però che 'l bene in questa cosa ottima è migliore che 'l molto contentamento in cose men buone.
E dobbiamo fra le cose ottime ne' primi luoghi collocar quelle che siano vacue d'ogni indignità.
Le lascivie, temerità, petulanze, protervità, e simili cose indegne, meno sono familiari a' poveri che a' ricchi.
Adonque ben dissero e savi: «le ricchezze non le desiderare a summa felicità s'tu non l'hai: s'elle ti suppeditano, adoperale in benificenza e magnificenza».
Accaderanno occasioni che forse ti soverrà pigliare determinazione circa qualche magistrato o dignità o cose onorate, dove tu possa mostrarti virtuoso e acquistar fama e buona grazia.
A questo niuna via più certa, più breve che proporsi d'essere eccellente in virtù tanto quanto tu vorresti essere onorato e pregiato.
Chi ferma e' pensieri suoi a essere ambizioso, e piaceli acquistarsi fautori, se costui forse cerca questo con summissione e diventa servile, farà cosa al tutto contraria al fine che cerca; e se propone acquistarsi fautori con premiarli, costui si fida in la fede e constanza d'omini cupidi, servili e venderecci; e se propone assequir le cose con importunità, costui sollieva contro sé molto odio, e chiude a sé stessi la via ad assequire simile grado più altre volte.
Adonque si fiderà ne' meriti suoi più che nel favore e concession degli altri.
E quando e' pur ami parere agli altri omo degno ed eccellente, bisogna che prima e' paia a sé, e poi sia tale che i nimici suoi non possano invero negarlo.
Per questo l'omo ben consigliato mai resterà d'investigar tutte le cose onde e' diventi dì per dì omo più degno e di più autorità.
Dicono che a' fanciugli si vuole assiduo narrare cose onde e' diventino più virili.
Così tu a te stessi continuo renumera e preponi e richiedi da te come tuo gran debito ciò che ti renda continuo più eccellente.
La virtù accresciuta splende, e non li bisogna per farsi conoscere altronde nuovo aiuto.
Quelli sono reputati da nulla quali sono inutili a sé e inutili agli altri.
Tu, contro, quanto per le tue virtù sarai utile a' tuoi, ornamento della patria tua, tanto meriterai più onore.
L'onore, cosa publica, non si conviene se non a chi merita publico premio pe' benefici dati in publico.
E l'animo generoso non desidera tanto assequir luogo superiore agli altri quanto meritarlo per virtù, e vorrà più tosto essere da più che gli altri molto che parere.
E gratificherà l'onore all'animo generoso, non come satisfazione e premio de' meriti, ma come segno e nota delle virtù sue, onde e' confermi sé stessi a meritare indi più gloria.
Simile adunque saranno e' pensieri di chi desideri essere grande omo e trovarsi superiore agli altri.
E convie'gli da' primi principi e movimenti dell'animo bene pararsi, e dirizzarsi con ragione a buone opere moderando le voglie sue, gastigando le opinioni, preponendosi come fine e necessario termine a tutti e' suoi instituti certa speranza e ardente desiderio di meritar per sua virtù gloria e immortalità.
E siavi quasi come summa delle cose dette.
El savio non cede alla opinione, non accede alla volontà, ma distingue, iudica, elegge con ragione quello in che sia più bene o almeno men male.
Così farete voi.
PAULO.
Questi ricordi tuoi son molto degni, e parmi certo che chi preparasse l'animo suo in questa forma, gli sarebbe molto facile diventare omo prestantissimo.
NICCOLÒ.
Anzi sarebbe la sua una beatitudine.
Conoscerebbesi essere buono e valere molto, e sarebbe come gli altri buoni ben voluto e pregiato.
Agiugni che in tutta la vita mai accaderebbe che per suo errore e' si dolesse o pentisse.
BATTISTA.
Udite, giovani.
Paulo qui e Niccolò dicono il vero, e così è.
Da' buoni pensieri sequitano buone operazioni grate a Dio, accette agli omini, onde tu conscendi in grado onoratissimo fra' primari cittadini con molto splendore di gloria e buona fama.
Dicemmo de' pensieri: ora discorreremo breve quali siano e' gesti e abiti dell'omo civile ben costumato: poi diremo quali convengano essere fra gli altri cittadini e' nostri ragionamenti, conversazioni e portamenti; e udirete cose da farne stima, e diletteranvi.
Quando io era della età vostra mi piacea il cavalcare, e ascoltavo attento chi ragionava de' cavagli.
Un prudente antiquo omo dotto disse queste parole: «Sono alcune cose in qual bisogna che l'omo vi metta tutto l'animo, ogni diligenza, summo studio in farle bene.
E pare che farle bene sia non altro che porgersi con molta modestia giunta con leggiadria e aria signorile tale ch'elle molto dilettino a chi ti mira.
Queste sono el cavalcare, el danzare, l'andar per via, e simili.
Ma vi bisogna soprattutto moderar e' gesti e la fronte, e' moti e la figura di tutta la persona con accuratissimo riguardo e con arte molto castigata al tutto, che nulla ivi paia fatto con escogitato artificio, ma creda chi le vede che questa laude in te sia dono innato dalla natura».
Non fie senza biasimo in un omo civile vederlo continuo frettoloso, quasi come tratto da molte faccende.
L'animo grande e generoso piglia faccende simili a sé, non vili e abiette, ma rare e preclare; e queste di sua natura non possono essere molte.
E chi non apprese varie occupazioni, non li bisogna molto agitarsi, né molto essere frettoloso e precipitoso, massime nelle cose prima constituite da sé e diffinite con buon ordine e assegnata deliberazione.
E a questa solo sarà curioso a quale e' sia dedicato, cioè a farsi per sua virtù beato in sé e presso agli altri famoso e immortale.
E contro, così mi fastidiano alcuni inetti e superstiziosi.
A ogni passo prima summuovono el capo, porgono oltre il pie' con certa affettata gravità senza piegare il ginocchio passeggiando: non volgono la faccia verso parte alcuna senza adducervi insieme tutto el petto: producono le spalle ad amplitudine: gonfiano il collo: stringano e' labbri: aprono le ciglie: spandono le gomite; e ogni loro moto par fatto con arte di schermidore o di danzatore a molta ostentazione.
Ben disse quel prudente a un simile: «O sciocco, non bisogna tanta incomposta gravità per parere al popolo tanto leggiere e vano».
E della incontinenza, alcuni alla mensa (spurcizia odiosa!), che ne può parere a chi gli vede? Sta el guloso prono, e pende con gli occhi e col fronte sopra a quello che sia posto in mensa tutto parato a grappirlo e aboccarlo come se fusse cosa fuggitiva e lungo tempo sequitata; sollecita le mani simili alle secchie della tinta al pozzo, l'una in su verso la bocca, l'altra in giù al catino spesseggiando senza intermissione e carpendo per volta quanto se n'empia ambo le mascelle, e per la fretta ne cade molta parte sul mento e in sul petto, e pell'impeto del divorare gli gronda il naso e viso di sudore; e sentesi né sazio né stracco d'ingurgitare se non quando la copia de' rutti scoppian fuori, spesso bene spumosi e bene inzuppati del vino beuto senza misura.
Appresso degli antichi, certo dì festivo dell'anno, e' padri della famiglia paravano a' servi la cena ben copiosa con molto vino, e voleano che loro figliuoli e minori vedessero le ubriachezze loro, acciò ch'egli imparassero biasimare, odiare e fuggire tanta oscenità.
Ottimo instituto tra le cose ottime sempre fu el discorrere e riconoscere el male.
E vuolsi in noi quello che tu conosci brutto in altri schifarlo in te, e non credere essere reputato omo ben costumato se tu sarai in parte alcuna simile a uno ingluvioso.
Voglionsi fuggire da' primi anni quelle difformità onde alla fama di molti fu imposta macula per tutta la vita indelebile.
Quinci el bomba, el succione, el mangione; e così a molti altri costumi ingrati agli omini, el pispiglia, el ghigna, el vespa, el tempione, el pazzaglia.
Niuno luogo dimostra e' buoni costumi d'un bene allevato quanto la mensa.
E chi arà l'animo nobile più tosto vorrà levarsi con fame che porgersi simile a un guattero affamato pieno di lordura.
Bella cosa la mondizie, massime in mensa.
Una sposa, per formosa ch'ella sia, e non servi al convito degna riverenza, piacerà non al padre, non alla madre, non a chi più l'ama; e meno piacerebbe a sé, s'ella si vedesse nello specchio.
E del vestire dico a voi figliuoli quello a che io posi mente lungo tempo: un famiglio co' panni stracciati e lordi mai lo troverrete che non sia o inertissimo o barattiero.
Gli uccelli s'adobbano le penne adosso; l'omo non al tutto desidiosissimo vorrà parere uno spaventacchio che vada? E chi non può oggi vestirsi, potrà domani, purché no' gli giuochi.
Piacerammi in un giovane l'abito giovanile, in quale appaia non venustà effeminata, ma dignità virile; e piacerammi l'abito più tosto atto e la vesta pulita che suntuosa.
Non si condice a un giovane la toga, né agli omini maturi l'abito fanciullesco.
Ricordano e' savi, e parmi qui da non preterirlo, che tu imiti il vestire de' paesani per più rispetti.
In Perusia a' nostri dì interlassorono l'abito de' loro antiqui usitato in testa ben caldo.
Per questo molti periron d'apoplesia; a un numero maggiore mancoron e' denti.
Non senza ragione ciascuna gente assuefece i suoi al proprio abito per essere difeso dalle offensioni quale ivi più nuoceno.
E tu, adunque, simile cura la salute tua, e d'altra parte non volere singulare essere fra gli altri sempre come testé giunto forestiere.
E qualche volta giovò non parere forestiere; e par che concili grazia el conformarsi agli altri.
E piacciati in questo imitare non uno o un altro differente dagli altri, ma conformarti con que' che sono per età e condizione pari a te e non ultimi reputati.
Massime fuggiremo e con costumi e con portamenti e abiti nostri essere simili agli omini audaci, arroganti, ostentatori; fuggiremo parere lievi, lascivi, voluttuosi; non comporremo el viso, e' gesti, l'abito, le parole, in essere fitti simulatori con odiosa gravità e importuna santimonia: ma da ogni parte porgeremo in tutti e' modi indizio che in noi sia animo ben pacato, mente ben composta, e ben moderata ragion di vivere.
Circa le parole accade referire più cose molto utili e molto necessarie.
Pigliaremo, a questa recitazione, da' principi dalla natura.
Noi vediamo comune agli altri animali le voci loro date dalla natura a qualche fine, con qualche cagione.
Sarebbe iniuria se alle bestie lo esplicare e' concetti loro fusse concesso con più ragione che all'omo.
El cane, dicono, abaia per la fame, urla per desiderio, ringhia per ira, mugola per amore.
Non è da credere che in noi siano le parole senza ragione e fine ottimo, quanto siamo differenti e superiori al resto di tutti gli altri animali.
El favellare per sua natura mostra l'ordine delle cose passate, e rende la ragione delle presenti; e dicesi ch'egli è vinculo della società fra gli omini, dimandando per imparare e dicendo per esplicare insieme quello che bisogni loro a bene e beato vivere.
Richièdevisi, adunque, carità e prudenza.
Non sarà prudenza dire a caso ciò che ti viene testé in bocca senza discernere quello che importino le tue parole.
Per questo si conviene in altro tempo formare quello che accade a dire, altro a recitare quello che sia da non tacere.
Ma vuolsi non men prudenza circa il tacere che circa el favellare.
Lodavasi altrove chi disse più, altrove chi disse meno.
Sarà non biasimato chi dirà cose convenienti a sé e a chi l'ode.
Delle poche parole e delle tarde risposte sequita quasi sempre meno errore.
La loquacità sì come ella abita negli omini ignoranti, temerari, insolenti, impudenti, così accade loro che peccano spesso nel molto favellare e nelle fatue e subite risposte.
E sono le subite risposte raro senza levità; e delle parole lievi spesso ricevettero molti gravissime pene.
Vorrebbesi poter pesare ogni sillaba colle bilance e minutoli di chi assaggia l'oro, e forse non basterebbe al riguardo qual bisogna che abbi el savio a profferire la parola.
Ma noi almeno saremo rattenuti, e diremo solo quello che non si può ben tacere.
Non sempre sarà necessario a me dire qualunque cosa sia utile a te udirla.
Verum dir le busie e tacere il vero pare che in qualche parte siano finittimi mancamenti; ma e' mi sarà non raro più utile tacere, che laude dire in questo luogo a questi tempi cose per altro di sua natura degne e dotte.
L'omo circunspetto dove si richiederà, dirà cose utili agli altri, non dannose a sé, e arà per suggello delle parole el silenzio, e apprenderà dal tempo norma del suo tacere.
Affermano e' dotti che niuna voce si sente più suave che la nuda e semplice verità.
Ma spesso la arroganza e temerità di chi la porge, la rende insuave e male accetta.
Saranno pertanto e' nostri ragionamenti con modestia e buon riguardo almeno tali che non mostrino essere nell'animo qualche vizio, e saranno fra gravi omini.
Come la gemma rende splendore perché ella in sé è pura e limpida, così la buona mente rende parole simili a sé composte bene e costumate.
Ed è come si dice: tale quale è l'omo in sé, tal cose pensa, dice e fa.
L'omo pravo, in cui la mente sempre furia agitata dalle perturbazioni, continuo pensa, dice e studia cose perverse, ottrettazioni, calunnie, raportamenti e simile altre pestilenze; onde si dice che uno male omo tal sia piggiore che mille pessime bestie.
Chi raccontarebbe quanta ruina sequiti spesso alle famiglie, alla republica, da simili omini pestiferi? E che furore è questo? Del numero de' viziosi alcuni sono in prima dannosi sol a sé quanto e' si lasciano vincer dalle voluttà, libidini, gulosità e simili.
Ma tu da questi accetti qualche scusa: che furono poco savi; fecero come omini giovani non ben consigliati.
Alcuni nuoceno ad altri, e questi allegano lo sdegno prima conceputo, e la speranza e occasione dell'utile, e altre condizioni che gli mosse.
Ma questi maledici quali peccano mossi non da ignoranza ma da escogitata malizia, e concitati da nulla altro che dal piacere quale e' pigliano nel far male, certo sono senza scusa niuna, sono perdutissimi nell'ultima sentina della nequizia, omini scellerati, dannosissimi, nuoceno a sé e nuoceno agli altri.
Dicea quello iniquissimo calunniatore: «Mordi pur forte sul collo; almeno vi si vedrà el livore e macula della morsura».
Non cerca chi ode s'egli è questo vero; assai basta che sia verisimile.
Egli è più facile el credere che il discredere.
Malignità essecrabile! Omini sopra tutti gli altri pessimi! Niuno latrone, niuno pirata, niuno tiranno mai potrà quanto la calunnia levarti cosa da stimarla e da mettervi la vita per recuperarla.
Gli omini sordidi, a' quali nulla piace la virtù e fastidiano e' virtuosi, godono udire e referire simili diffamazioni, e diranno altrove: Io vidi non solo quello ch'egli odono qui, ma quello ancora che loro vi potranno agiugnere fingendo per fare che altri il creda.
Ma e' buoni e pesati omini stimano quello che non si può non consentire.
S'tu mi amassi, tu non diresti male di me; ed essendo tu inimico, niuno ti debba credere; e non puoi fingere d'essere non malivolo, quando in cosa dove a te risulta niuno utile, el fare iniuria capitale a uno innocente ti diletta.
E in questo modo confermi che tu vorresti che così fusse, non che così sia quello che tu predichi e promulghi; qual turpitudine de' ditti tuoi più impone lordura a te, che a colui verso cui tu la effundi con tanto veneno, senza riguardo della fama tua, e senza reverenza del iudizio di chi t'ode.
Chi potrà mirare un maledico ottrettatore, calunniatore, e non avere orrore della rabbia sua? Omini ancora e ancora pessimi, degni d'essere persequitati da tutto el populo, non dirò con l'arco e colle saette, ma co' funali e face infiammate, e brustulati tanto che l'ossa rimangono denudate, acciò che niuna fizione possa più in quel mostro essere latente! Giovani, mai vederete omo maledico a cui non resulti in tempo qualche miserabile calamità.
E merito chi offende molti, molti lo vegghiano per vendicarsi: e spesso per far qualche gran vendetta, basta uno e forse el minimo fra gli offesi.
E quando contro a tanta offesa non apparisse altro vendicatore che Dio, non mancherà loro gravissima punizione.
A Dio dispiace sopra tutto la iniquità, perfidia, tradimento, massime fatto verso chi non può per sé difendersi né ancora pe' suoi.
Che difesa si può fare contro a chi in più luoghi dove tu non se' e non lo sai, ti lacera, e quanto in lui sia, ti sotterra vivo? Quale iniquità sarà più odiosa che nuocere senza cagione chi mai offese te? Qual perfidia sarà più scellerata che rapire ad altri quello che a te giova nulla, e più mai sarà che tu gliel possi rendere, e insieme estingue e' primari frutti della vita a chi richiesto da te ti servirebbe? Qual tradimento sarà mai tanto crudele quanto nuocere a chi tu mostri essere non inimico, e nuocere in quella cosa quale ancora dopo la vita torni in danno a quello innocente e chi sarà di lui? Non è da credere che Dio, quando che sia, non mostri dispiacerli tanta improbità.
Non dirò qui a voi figliuoli: fuggite tanto errore; non vi profferite alle inimicizie maculando la fama altrui e lo onore vostro; non fate poco stima de' tempi qua' possono occorrere; temete la severità della iustizia di Dio.
Questo non bisogna ricordarlo a voi.
Tanta perversità non fu mai nella famiglia vostra, e so che niuno di voi ce la importerà.
Ma abbiatevi riguardo: fuggite la familiarità e presenza di questi fracidi e fetidi ollocutori linguacciuti, acciò che non paia che vi piaccia quello a che forse voi dessi orecchie con attenzione.
Nel favellare sono da natura due parti primarie e necessarie agli omini: l'una sarà interrogare per imparare, l'altra el rispondere per insegnare.
Gli altri ragionamenti, quali non vanno a questo fine, sono o per voluttà d'essere ascoltato, o perché gli diletta dar piacere ad altri favellando; e questi ultimi quanto meno imiteranno que' primi, tanto saranno men necessari, e così meno convenienti a costui a cui più deletti tacendo pensare cose degne, che favellando recitare cose non degne.
Ma dicono che della eloquenza una parte governa la republica, e tanto può nella republica la eloquenza quanto nelle guerre el ferro: l'altra si è indagatrice della verità; l'altra si è questa civile della quale noi disputiamo.
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