DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 7
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Ma noi proprio chiameremo virtù solo la vera e sincera bontà alla quale sia contrario el vizio, e diremo: costui è virtuoso quale sia in sé tale che niuna cupidità, niuna voluttà, niuno sdegno o molestia mai lo inducerebbe a far cosa iniqua, nociva ad altri o brutta a sé.
Vorrei potere esplicare con qualche notabile proprietà in che fusse differente questa bontà da quel che noi appelliamo buon costume.
Non mi viene per ora altro in mente, e forse questo vi satisfarà.
Diremo così: per la bontà l'omo constituisce e afferma in sé vera e perpetua tranquillità e quietudine d'animo, e vive a sé libero e, quanto sia in sé, utile agli altri, contento de' pensieri suoi, vacuo d'ogni perturbazione.
E' buon costumi forse sono corrispondenti alla virtù come alla sanità del corpo el buon colore, e sono quasi ornamento della virtù, e acquistano all'omo presso agli altri bona grazia.
Ma come il buon colore può in molti modi e ancora ne' febricitosi apparere altronde che da sanità, così qui con gesti e parole simulate e fitte qualche fallace potrà in tempo ostentarsi vero costumato e religioso, e pertanto asseguirà forse presso a molti buona opinione e favore.
Ma in noi mai otterremo quiete e tranquillità d'animo constante senza vera e intera virtù.
Occorremi un'altra similitudine: come al pomo insieme con la maturità li succresce odore e sapore suavissimo, così il buon costume innato con la matura perfezione della mente, cioè colla virtù, porge di sé amenità e grazia.
Diventasi virtuoso imitando e assuefacendosi a esser simile a coloro quali sono iusti, liberali, magnifichi, magnanimi, prudenti, constanti, e in tutta la vita ben retti dalla discrezione e ragione.
A questa imitazione sussegue el vero buon costume, quale in sé non è altro che pura onestà retta con certo riguardo, e destinazione d'animo parato fuggire ogni biasimo, e pronto di gratificare a tutti contribuendo e accomodando a ciascuno secondo el poter suo e secondo e' meriti loro, e massime dove e quando l'opera sua giovi alla patria sua.
E sarà ben costumato chi sequirà quanto da lui richiede il viver civile e la buona disciplina e religione de' suo' maiori.
E in prima costui così costumato, per osservare in sé quanto richiederà la onestà, non recuserà fatica, non schiferà disagio, non fuggirà periculo alcuno per satisfarli.
E quel che molto porge suave e gratissima la presenza dell'omo costumato si è la modestia, mansuetudine, umanità, equabilità, affabilità in gesti, detti, fatti, accommodati, accetti e grati.
Bella cosa la virtù, giovani: bella cosa la bontà!
Chi mai potrebbe raccontare quanta sia differente la vita dell'omo bono a quella del non buono.
L'omo bono fra' suoi privati cittadini sarà sopra gli altri reputato, e in le faccende publiche raro sarà posposto agli altri.
Vederassi amato da tutta la multitudine, frequentato, richiesto, e appresso qualunque lo conoscerà, riporterà ottima grazia.
L'omo, contro, non buono, dato alle voluttà e ozio, desidioso, inerte e pieno di cupidità, vive tedioso in sé, negletto, abietto, svilito dagli altri.
Fuggono e' cittadini apparentarsi con lui, fuggono crederli, fuggono ogni sua pratica, non lo vorrebbono per vicino.
Onde con questa sua mala disgrazia el misero omo rimane escluso da ogni onestamento e aministrazione publica, nulla reputato.
Rursus l'omo bono gode nel far bene, dilettagli il pensare alle cose oneste, dassi alle cose molto lodate, falle con ottima speranza di felice successo col favor degli omini e ancor di Dio, a cui piace le cose ben fatte, e acquistane premio incomparabile, cioè gloria e immortal fama.
Questa memoria in sé lo rende beato in tutta la vita e quinci gode quando e' fece cosa onde e' meriti bene da' suoi, dalla patria, dal numero de' mortali.
Niuno diletto, niuna iocundità in vita dura continuo eccetto che 'l far bene.
El vizioso, contro, non può pensare altro che di far le cose grate a sé, dannose ad altri, e di sua natura inique e iniuste e disoneste, sanza duri e molesti incitamenti d'animo, gravi sospetti, acerbe cure e turbulentissima instabilità di mente.
Non s'adopera in sequire la sua improbità e pravità senza vessazione e concertazione in sé di qualche paura contro alla sua audacia.
Ultimo, adempiuto el concetto suo, ehi misero lui! - lo assiduo rimordimento, qual sempre si li representa rimproverandogli quanto e' commise cose scellerate, lo tien in perpetuo e acerbissimo tormento.
Agiugni, se l'omo buono forse in qualche cosa errò, molti lo scusano, in molti modi lo sollievano, e da molti sono le scuse loro accette.
Contrario interviene al vizioso.
Le scuse dell'omo non buono tutte sono inutili, niuno le approva, niuno le conferma.
E quello che molto più nuoce loro, se fanno o dicono cosa alcuna da riceverla in buona parte, tutti la stimano dedutta con fraude, atta a nuocere e diritta a male.
E aviemmi non raro ch'io mi maraviglio, sendo questo sì proprio all'omo, sì facile, sì parato, sendo l'acquistar virtù sì necessaria cosa in tutta la vita, sendo tanto degna, stimata, amata la bontà, qual cose tu acquisti con tanta voluttà, onde tu ne ricevi tanto frutto e sì maraviglioso premio; dico, mi maraviglio onde e' sia che gran numero degli omini la recusino, anzi la escludino da sé.
Error pieno di nequizia laudare e pregiare in altri quello che lui non degna ricevere e non sostiene averlo in sé.
A chi piacesse più mantenere in sé la infermità del corpo suo che la buona sua sanità, massime potendo con facile modo liberarsi, ditemi, giovani, di costui che iudicheresti voi? Che fusse molto savio o molto che...?
GIOVANI.
Molto pazzo e bestiale.
BATTISTA.
Simile sarà bestiale quest'altro quale perseveri vivere servo a' vizi con brutti costumi.
E tanto più sarà vero pazzo, quanto la buona disposizione e valitudine dell'animo sia da più stimarla che quella del corpo; e ancora tanto più quanto sia più facile sanificare l'animo che raffermare il corpo.
Le corruttele dell'animo sono e' vizi, quali per sua natura dispiaceno sì agli altri, sì ancora a colui in chi e' sono più familiari.
Vedilo, per scelerato che sia, niuno sarà quale non studi occultare e' suoi biasimi.
E se ci penseremo, lo vederemo che dura più fatica in non parere quello ch'egli è, che non durerebbe in essere quello che non è.
Sono adonque e' vizi corruttele dell'animo, ingrate alla natura, odiose agli omini, moleste a colui in chi e' sono.
E chi ne dubita? Deposto il vizio, l'animo riman libero e valido.
Per espurgare ed escludere tanto male, non ti bisogna amminicoli o argumenti altronde che da te stessi.
Qualunque, in qualunque luogo, in qualunque tempo disporrà esser simile a' buoni e ben costumati, certo ivi presente arà modo d'esser vero buono e costumato.
Niuna cosa estrinseca potrà impedire a te questo concetto.
E se qui a te nulla bisogna a questo, altro che la tua bona volontà, non aremo da inculparne altri che solo te.
Molte altre cose in vita all'omo sono belle e lodate: pur ci è licito senza repreensione non le avere.
E possiamo non esser poeti, non essere astronomi, e simili; ma senza aver modo e ragione di vivere con quel che si richiede agli omini, non ci sarà concesso.
Saremo simili a' buoni prudenti e ben morigerati quando e' nostri pensieri e gesti e parole e fatti saranno retti e moderati con ragione e ordine non dissimile a e' loro.
Dal buon pensiere e da buon instituto sequitano le buone operazioni in tutta la vita.
Dalle buone operazioni succede buon fine a' nostri desideri.
Buon fine sarà quello che giovi a te con molta onestà.
Miglior fine sarà quello che gioverà non solo a te, ma insieme a molti con buona grazia.
Ottimo fine sarà quando e' gioverà in prima a' buoni simili a te, e sarà lodato dagli omini gravi e savi.
De' pensieri dell'omo alcuni sono generali circa tutta la ragione del vivere, alcuni determinati a qualche certa faccenda.
Al tutto e' pensieri e instituti de' prudenti e virtuosi sono differenti da que' de' viziosi.
El vizioso prepone l'utile suo a ogni equità.
Nulla cura se non quanto a lui satisfaccia.
Al buono, contro, piace nulla se non quanto la onestà, equità e umanità gli persuade, onde adirizza tutti e' suoi pensieri e volontà solo in far cose non inutili a sé, utili a molti, e di sua natura oneste e lodate da' dotti omini e ben composti.
E così el primo suo instituto sarà fugare da sé l'ozio, la voluttà, la cupidità e gli altri eccitamenti e nutrimenti de' vizi; e per questo da' primi dì che cominciò per età esser maturo, egli essaminò in sé quello che e' potesse, e quello che gli mancava, e quello che a lui si condiceva e da sé bisognasse astenersi, e a che industria, a che arte e disciplina e' fusse più atto e da natura più inclinato, e delle cose degne qual fusse più da eleggere in sé.
Così faremo noi e questo: disporremo l'animo virile e generoso, prontissimi a non recusar fatica o disagio alcuno per assequirlo.
E stimeremo che niuna cosa sia tanto da fuggirla e temerla, non povertà, non dolore, non inimicizie, quanto il biasimo e infamia.
La paura del biasimo, figliuoli, costudisce in noi la ragione, eccita la virtù, modera el discurso, adirizza le voglie nostre a buono e lodato fine.
E sarà la summa de' nostri pensieri, non in avere più roba, ma men vizi, o più stato o favore, ma meno arroganza, con più virtù e meno invidia.
E proporrenci, quasi come legge destinata al viver nostro, al tutto posporre ogn'altra cosa alla virtù.
Simili adunque saranno circa tutto l'ordine della vita e' pensieri nostri.
Le cose particulari in molta parte pendono da' tempi, luoghi e condizione delle persone, e per questo saranno qui e' pensieri nostri per sua natura più da chiamarli consultazione per intendere e assequire il meglio, che da iudicarli instituto determinato e quasi posto come segno certo, immobile, dove ogni nostro desiderio s'adirizzi.
Dicono: «chi non sa pensare quanto basti, non saprà fare quello che bisogni».
Fra le cose buone molti populari stimano le voluttà, e non pochissimi le ricchezze, alcuni le dignità.
Que' ch'hanno l'animo più generoso appetiscono l'onore, gloria, posterità.
Circa tutti questi simili pensieri mommentani si danno alcuni precetti utili e da non li preterire.
La cogitazione nostra civile non è altro che discurso di mente, per quale tu repeti le cose note a te, e compari le similitudini loro con quelle che sono testé qui presente, e indi argumenti quello che possa avvenirne; e questo si chiama prudenza, quasi providenza onde sequita contro al mal la cauzione, e, quanto al bene, l'ordine e modo a consequirlo.
E dicono che la prudenza si è un muro tutissimo, quale non si può con macchine prosternere, né con perfidia e tradimento superare.
El vero fundamento della prudenza si è la buona mente, e ben maturata e ben essaminata ragione.
La pravità disvia il iudicio dalla dovuta rettitudine, e le perturbazioni escludeno la ragione.
Di questi sorgono vizi al tutto contrari alla prudenza.
Massimo inimico della prudenza la falsa opinione, e molto piggiore avversario sarà la iattanza pervicace di chi gli pare intendere quanto bisogna cose che non intende, e stima il iudizio suo sopra tutti gli altri, e per questo ostinato vuole con troppa veemenza quello che l'opinione sua gli persuade esser buono a sé.
El savio non si lascia sudducere dalla opinione o vincere di essistimazione inconsiderata, ma discerne le cose da' suoi princìpi distinguendo e riconoscendo le parti loro, e iudica componendo le cause co' loro effetti, ed elegge con disquisizione ben digesta e con ragione quello che sia ottimo.
E vengono da questa falsa opinione, come altri molti vizi, così ancora le suspizioni, onde alcuni iudicano prudenza pensare e ripensare a cose spesso molto vili e al tutto inette.
Sarà certo meglio pensare a nulla, che assuefarsi trattare in sé cose vili e vane.
Bene adunque amoniscono e' dotti che ne' pensier tuoi tu in prima escluda la opinione, sequiti la ragione, freni l'appetito.
La ragione per sua natura sempre provoca l'animo a cose ottime e lodatissime, e modera le voglie, e ritien che tu non cerchi le cose senza buon modo e molta circunspezione.
Per escludere da sé l'opinione e sicurarsi da tutte le sue decezioni, convien che tu abbi gran riguardo a non far stima de' piaceri e dispiaceri tuoi più che la cosa in sé meriti.
Lodasi quel prudente omo qual dicea: «Io reputo che gli omini siano animali atti ad errare e verso di sé e verso degli altri; ma stimo e' loro errori fatti verso di me non più che si richiegga la natura delle cose, e oppongo all'impeto delle iniurie e della fortuna ne' miei pensieri la buona fiducia di me stessi, a cui nulla può esser tolto di quelle cose ch'io curo, e alle perturbazioni che mi si presentano, meco me stessi confermo con la ragione repetendo che a me non può mancare cose ch'io cerchi».
E certo, figliuoli, egli è così: l'uomo buono, costumato, dotto, qual nulla desidera altro che dottrina e solo ama la virtù, si sente sì pieno degli ornamenti suoi, sì parato con quello che non gli può esser vietato ad acquistar buon nome e fama, che non li bisogna o temere o cercare altronde cosa alcuna estrinseca per adempiere le voglie e voluttà sue.
Molti omini diventorono scellerati e iniquissimi, e molti, contro, perché gli pesava la fatica e tediava la perseveranza nel prodursi a più virtù, intermisero l'opere virili e gloriose, e così l'uno e l'altro di costoro rimase misero e infelicissimo.
Prossime, ne' ragionamenti quali tu arai teco pensando e deliberando le cose, bisogna che tu preponga a te qualche non verisimile, ma certa e indubitata ragione e vero principio, onde tu discerna senza alcuna dubitazione le successioni di quel che investigando si dimostri atto e parato a pervenire.
Saravvi per questo ne' successi felici ed espettati doppia voluttà: ciò sarà avere quello che vi satisfaccia e ottenere quello che voi provedesti.
E ne' successi non grati vi sarà meno molesto quello che voi stimasti e in parte vi preparasti a sofferirlo.
Fare ch'e' casi non seguano, non è in nostra podestà; ma che e' non vengano per nostro errore e negligenza, possiamo noi, e dobbiamo con maturo consiglio provedervi.
La oppinione sempre fu ambigua, inconstante, inferma.
La ragione sequita la verità, qual mai serà se non unica, perpetua e immortale.
Adonque, se nel disputar con teco toccare' qualche argumento nel quale sia da dubitare se questo sia o vero o buono, come forse ti può parere, non accedere; guarda.
Niuna cosa può esser buona se non quanto ella sia onesta, né utile se non quanto ella sia buona a qualche cosa di sua natura buona.
E se in parte alcuna benché minima ella ti sentirà d'iniuria o disonestà, fuggila, e al tutto abdica da te ogni speranza di celare e occultare le cose malfatte.
L'omo grave, circunspetto, dato alla virtù, ornato di buon costumi, mai fra' pensieri suoi accetterà deliberazione alcuna quale e' recusasse esporla e palesarla a tutti e' suoi amici e nimici.
E così noi che instituimmo esser simile a loro, esplicaremo a noi stessi e' pensieri nostri non con altra mente che se tutti e' nostri amici e nimici in presenza ci vedessero.
Ultimo, constituito in questa causa el fine onesto, atto a noi e da volerlo, bisogna provedere che ordine e modo si condica a pervenirvi.
El modo in gran parte s'adatta dalle occasioni de' tempi, dalle condizioni de' luoghi e delle persone.
A questo bisogna ossecundare, più tosto che cercar di commutarle.
Ma voglionsi ben ritrattare, e come e' dicono, riconoscerle per ogni loro quadra, acciò che tu non presuponga noto a te quello che, riponendovi meglio mente, t'avederai che tu erravi.
Dannosa negligenza per quale tu doppo il fatto dica: «i' non pensai questo».
L'ordine in sé si è una atta disposizione delle cose, bene accomodate a' luoghi loro, in tempo, e con ragione ottima.
Non sarà ottimo quello a che si possa agiugnere parte alcuna, onde e' sia per questo da più eleggerlo.
Saranno adonque, insomma, le ragioni e diffinizioni de' nostri pensieri circa le cose quali acaggiono d'ora in ora, moderate e pesate, come dissi.
In particulare circa le voluttà non bisogna farvi deliberata deliberazione e immutabile.
Proporci di fugarle da sé tutte, sarebbe immanità: dedicarsi a esser simile a un cavallaccio, e marcire e perdersi nella voluttà, sarebbe cosa oscena e vituperosa: adattarsi a' tempi e non le appetere con avidità, e non dolersi s'elle mancano, sarà officio d'omo ben costumato.
Circa le cose della fortuna bisogna preparare l'animo, e precludere ogni addito onde ella in tempo possa perturbarci.
Nulla dobbiamo desiderare, nulla sperare, nulla temere più che si richiegga all'omo grave e prudente: ricordarsi che la fortuna sempre fu volubile, inconstante, e così stimare che la fortuna per niuna tua providenza e consiglio mai muterà la sua natura.
L'omo pratico in mare provede con molte ancore, sartie e armamenti, più a' casi avversi che a secondare la facile sua navigazione.
Così a noi bisogna nel corso della vita prepararci che la instabilità e durezza de' tempi diano quanto men danno si può.
Poco ti graverà la fortuna avversa o non ti dando o levandoti quello che tu conoscevi caduco, fragile, e per sé instabile, e per questo non lo stimavi né te ne fidavi.
E massime circa le ricchezze bisogna avere l'animo grande.
Chi impara soffrire la povertà senza perturbazione, soffre bene ogn'altra molestia.
Gloriosa vittoria superare in sé quello che vince gran numero degli omini.
E vincesi escludendo e' desideri con poco stimar le cose caduce e fragili e adiudicate alla voluttà, per qual solo fine el volgo desidera esser pecunioso.
All'animo grande, ben constituito, non può parer gran cosa alcuna sopra quella che fa lui essere grande: la virtù.
E per questo quanto ello ama sé, tanto pari ama la virtù: l'altre cose al tutto stima poco.
Indi mai accaderà che faccia per avidità cosa alcuna brutta, e vorrà più tosto questa cosa degna e preclara senza frutto, che quella fruttuosa senza splendore di qualche virtù, però che 'l bene in questa cosa ottima è migliore che 'l molto contentamento in cose men buone.
E dobbiamo fra le cose ottime ne' primi luoghi collocar quelle che siano vacue d'ogni indignità.
Le lascivie, temerità, petulanze, protervità, e simili cose indegne, meno sono familiari a' poveri che a' ricchi.
Adonque ben dissero e savi: «le ricchezze non le desiderare a summa felicità s'tu non l'hai: s'elle ti suppeditano, adoperale in benificenza e magnificenza».
Accaderanno occasioni che forse ti soverrà pigliare determinazione circa qualche magistrato o dignità o cose onorate, dove tu possa mostrarti virtuoso e acquistar fama e buona grazia.
A questo niuna via più certa, più breve che proporsi d'essere eccellente in virtù tanto quanto tu vorresti essere onorato e pregiato.
Chi ferma e' pensieri suoi a essere ambizioso, e piaceli acquistarsi fautori, se costui forse cerca questo con summissione e diventa servile, farà cosa al tutto contraria al fine che cerca; e se propone acquistarsi fautori con premiarli, costui si fida in la fede e constanza d'omini cupidi, servili e venderecci; e se propone assequir le cose con importunità, costui sollieva contro sé molto odio, e chiude a sé stessi la via ad assequire simile grado più altre volte.
Adonque si fiderà ne' meriti suoi più che nel favore e concession degli altri.
E quando e' pur ami parere agli altri omo degno ed eccellente, bisogna che prima e' paia a sé, e poi sia tale che i nimici suoi non possano invero negarlo.
Per questo l'omo ben consigliato mai resterà d'investigar tutte le cose onde e' diventi dì per dì omo più degno e di più autorità.
Dicono che a' fanciugli si vuole assiduo narrare cose onde e' diventino più virili.
Così tu a te stessi continuo renumera e preponi e richiedi da te come tuo gran debito ciò che ti renda continuo più eccellente.
La virtù accresciuta splende, e non li bisogna per farsi conoscere altronde nuovo aiuto.
Quelli sono reputati da nulla quali sono inutili a sé e inutili agli altri.
Tu, contro, quanto per le tue virtù sarai utile a' tuoi, ornamento della patria tua, tanto meriterai più onore.
L'onore, cosa publica, non si conviene se non a chi merita publico premio pe' benefici dati in publico.
E l'animo generoso non desidera tanto assequir luogo superiore agli altri quanto meritarlo per virtù, e vorrà più tosto essere da più che gli altri molto che parere.
E gratificherà l'onore all'animo generoso, non come satisfazione e premio de' meriti, ma come segno e nota delle virtù sue, onde e' confermi sé stessi a meritare indi più gloria.
Simile adunque saranno e' pensieri di chi desideri essere grande omo e trovarsi superiore agli altri.
E convie'gli da' primi principi e movimenti dell'animo bene pararsi, e dirizzarsi con ragione a buone opere moderando le voglie sue, gastigando le opinioni, preponendosi come fine e necessario termine a tutti e' suoi instituti certa speranza e ardente desiderio di meritar per sua virtù gloria e immortalità.
E siavi quasi come summa delle cose dette.
El savio non cede alla opinione, non accede alla volontà, ma distingue, iudica, elegge con ragione quello in che sia più bene o almeno men male.
Così farete voi.
PAULO.
Questi ricordi tuoi son molto degni, e parmi certo che chi preparasse l'animo suo in questa forma, gli sarebbe molto facile diventare omo prestantissimo.
NICCOLÒ.
Anzi sarebbe la sua una beatitudine.
Conoscerebbesi essere buono e valere molto, e sarebbe come gli altri buoni ben voluto e pregiato.
Agiugni che in tutta la vita mai accaderebbe che per suo errore e' si dolesse o pentisse.
BATTISTA.
Udite, giovani.
Paulo qui e Niccolò dicono il vero, e così è.
Da' buoni pensieri sequitano buone operazioni grate a Dio, accette agli omini, onde tu conscendi in grado onoratissimo fra' primari cittadini con molto splendore di gloria e buona fama.
Dicemmo de' pensieri: ora discorreremo breve quali siano e' gesti e abiti dell'omo civile ben costumato: poi diremo quali convengano essere fra gli altri cittadini e' nostri ragionamenti, conversazioni e portamenti; e udirete cose da farne stima, e diletteranvi.
Quando io era della età vostra mi piacea il cavalcare, e ascoltavo attento chi ragionava de' cavagli.
Un prudente antiquo omo dotto disse queste parole: «Sono alcune cose in qual bisogna che l'omo vi metta tutto l'animo, ogni diligenza, summo studio in farle bene.
E pare che farle bene sia non altro che porgersi con molta modestia giunta con leggiadria e aria signorile tale ch'elle molto dilettino a chi ti mira.
Queste sono el cavalcare, el danzare, l'andar per via, e simili.
Ma vi bisogna soprattutto moderar e' gesti e la fronte, e' moti e la figura di tutta la persona con accuratissimo riguardo e con arte molto castigata al tutto, che nulla ivi paia fatto con escogitato artificio, ma creda chi le vede che questa laude in te sia dono innato dalla natura».
Non fie senza biasimo in un omo civile vederlo continuo frettoloso, quasi come tratto da molte faccende.
L'animo grande e generoso piglia faccende simili a sé, non vili e abiette, ma rare e preclare; e queste di sua natura non possono essere molte.
E chi non apprese varie occupazioni, non li bisogna molto agitarsi, né molto essere frettoloso e precipitoso, massime nelle cose prima constituite da sé e diffinite con buon ordine e assegnata deliberazione.
E a questa solo sarà curioso a quale e' sia dedicato, cioè a farsi per sua virtù beato in sé e presso agli altri famoso e immortale.
E contro, così mi fastidiano alcuni inetti e superstiziosi.
A ogni passo prima summuovono el capo, porgono oltre il pie' con certa affettata gravità senza piegare il ginocchio passeggiando: non volgono la faccia verso parte alcuna senza adducervi insieme tutto el petto: producono le spalle ad amplitudine: gonfiano il collo: stringano e' labbri: aprono le ciglie: spandono le gomite; e ogni loro moto par fatto con arte di schermidore o di danzatore a molta ostentazione.
Ben disse quel prudente a un simile: «O sciocco, non bisogna tanta incomposta gravità per parere al popolo tanto leggiere e vano».
E della incontinenza, alcuni alla mensa (spurcizia odiosa!), che ne può parere a chi gli vede? Sta el guloso prono, e pende con gli occhi e col fronte sopra a quello che sia posto in mensa tutto parato a grappirlo e aboccarlo come se fusse cosa fuggitiva e lungo tempo sequitata; sollecita le mani simili alle secchie della tinta al pozzo, l'una in su verso la bocca, l'altra in giù al catino spesseggiando senza intermissione e carpendo per volta quanto se n'empia ambo le mascelle, e per la fretta ne cade molta parte sul mento e in sul petto, e pell'impeto del divorare gli gronda il naso e viso di sudore; e sentesi né sazio né stracco d'ingurgitare se non quando la copia de' rutti scoppian fuori, spesso bene spumosi e bene inzuppati del vino beuto senza misura.
Appresso degli antichi, certo dì festivo dell'anno, e' padri della famiglia paravano a' servi la cena ben copiosa con molto vino, e voleano che loro figliuoli e minori vedessero le ubriachezze loro, acciò ch'egli imparassero biasimare, odiare e fuggire tanta oscenità.
Ottimo instituto tra le cose ottime sempre fu el discorrere e riconoscere el male.
E vuolsi in noi quello che tu conosci brutto in altri schifarlo in te, e non credere essere reputato omo ben costumato se tu sarai in parte alcuna simile a uno ingluvioso.
Voglionsi fuggire da' primi anni quelle difformità onde alla fama di molti fu imposta macula per tutta la vita indelebile.
Quinci el bomba, el succione, el mangione; e così a molti altri costumi ingrati agli omini, el pispiglia, el ghigna, el vespa, el tempione, el pazzaglia.
Niuno luogo dimostra e' buoni costumi d'un bene allevato quanto la mensa.
E chi arà l'animo nobile più tosto vorrà levarsi con fame che porgersi simile a un guattero affamato pieno di lordura.
Bella cosa la mondizie, massime in mensa.
Una sposa, per formosa ch'ella sia, e non servi al convito degna riverenza, piacerà non al padre, non alla madre, non a chi più l'ama; e meno piacerebbe a sé, s'ella si vedesse nello specchio.
E del vestire dico a voi figliuoli quello a che io posi mente lungo tempo: un famiglio co' panni stracciati e lordi mai lo troverrete che non sia o inertissimo o barattiero.
Gli uccelli s'adobbano le penne adosso; l'omo non al tutto desidiosissimo vorrà parere uno spaventacchio che vada? E chi non può oggi vestirsi, potrà domani, purché no' gli giuochi.
Piacerammi in un giovane l'abito giovanile, in quale appaia non venustà effeminata, ma dignità virile; e piacerammi l'abito più tosto atto e la vesta pulita che suntuosa.
Non si condice a un giovane la toga, né agli omini maturi l'abito fanciullesco.
Ricordano e' savi, e parmi qui da non preterirlo, che tu imiti il vestire de' paesani per più rispetti.
In Perusia a' nostri dì interlassorono l'abito de' loro antiqui usitato in testa ben caldo.
Per questo molti periron d'apoplesia; a un numero maggiore mancoron e' denti.
Non senza ragione ciascuna gente assuefece i suoi al proprio abito per essere difeso dalle offensioni quale ivi più nuoceno.
E tu, adunque, simile cura la salute tua, e d'altra parte non volere singulare essere fra gli altri sempre come testé giunto forestiere.
E qualche volta giovò non parere forestiere; e par che concili grazia el conformarsi agli altri.
E piacciati in questo imitare non uno o un altro differente dagli altri, ma conformarti con que' che sono per età e condizione pari a te e non ultimi reputati.
Massime fuggiremo e con costumi e con portamenti e abiti nostri essere simili agli omini audaci, arroganti, ostentatori; fuggiremo parere lievi, lascivi, voluttuosi; non comporremo el viso, e' gesti, l'abito, le parole, in essere fitti simulatori con odiosa gravità e importuna santimonia: ma da ogni parte porgeremo in tutti e' modi indizio che in noi sia animo ben pacato, mente ben composta, e ben moderata ragion di vivere.
Circa le parole accade referire più cose molto utili e molto necessarie.
Pigliaremo, a questa recitazione, da' principi dalla natura.
Noi vediamo comune agli altri animali le voci loro date dalla natura a qualche fine, con qualche cagione.
Sarebbe iniuria se alle bestie lo esplicare e' concetti loro fusse concesso con più ragione che all'omo.
El cane, dicono, abaia per la fame, urla per desiderio, ringhia per ira, mugola per amore.
Non è da credere che in noi siano le parole senza ragione e fine ottimo, quanto siamo differenti e superiori al resto di tutti gli altri animali.
El favellare per sua natura mostra l'ordine delle cose passate, e rende la ragione delle presenti; e dicesi ch'egli è vinculo della società fra gli omini, dimandando per imparare e dicendo per esplicare insieme quello che bisogni loro a bene e beato vivere.
Richièdevisi, adunque, carità e prudenza.
Non sarà prudenza dire a caso ciò che ti viene testé in bocca senza discernere quello che importino le tue parole.
Per questo si conviene in altro tempo formare quello che accade a dire, altro a recitare quello che sia da non tacere.
Ma vuolsi non men prudenza circa il tacere che circa el favellare.
Lodavasi altrove chi disse più, altrove chi disse meno.
Sarà non biasimato chi dirà cose convenienti a sé e a chi l'ode.
Delle poche parole e delle tarde risposte sequita quasi sempre meno errore.
La loquacità sì come ella abita negli omini ignoranti, temerari, insolenti, impudenti, così accade loro che peccano spesso nel molto favellare e nelle fatue e subite risposte.
E sono le subite risposte raro senza levità; e delle parole lievi spesso ricevettero molti gravissime pene.
Vorrebbesi poter pesare ogni sillaba colle bilance e minutoli di chi assaggia l'oro, e forse non basterebbe al riguardo qual bisogna che abbi el savio a profferire la parola.
Ma noi almeno saremo rattenuti, e diremo solo quello che non si può ben tacere.
Non sempre sarà necessario a me dire qualunque cosa sia utile a te udirla.
Verum dir le busie e tacere il vero pare che in qualche parte siano finittimi mancamenti; ma e' mi sarà non raro più utile tacere, che laude dire in questo luogo a questi tempi cose per altro di sua natura degne e dotte.
L'omo circunspetto dove si richiederà, dirà cose utili agli altri, non dannose a sé, e arà per suggello delle parole el silenzio, e apprenderà dal tempo norma del suo tacere.
Affermano e' dotti che niuna voce si sente più suave che la nuda e semplice verità.
Ma spesso la arroganza e temerità di chi la porge, la rende insuave e male accetta.
Saranno pertanto e' nostri ragionamenti con modestia e buon riguardo almeno tali che non mostrino essere nell'animo qualche vizio, e saranno fra gravi omini.
Come la gemma rende splendore perché ella in sé è pura e limpida, così la buona mente rende parole simili a sé composte bene e costumate.
Ed è come si dice: tale quale è l'omo in sé, tal cose pensa, dice e fa.
L'omo pravo, in cui la mente sempre furia agitata dalle perturbazioni, continuo pensa, dice e studia cose perverse, ottrettazioni, calunnie, raportamenti e simile altre pestilenze; onde si dice che uno male omo tal sia piggiore che mille pessime bestie.
Chi raccontarebbe quanta ruina sequiti spesso alle famiglie, alla republica, da simili omini pestiferi? E che furore è questo? Del numero de' viziosi alcuni sono in prima dannosi sol a sé quanto e' si lasciano vincer dalle voluttà, libidini, gulosità e simili.
Ma tu da questi accetti qualche scusa: che furono poco savi; fecero come omini giovani non ben consigliati.
Alcuni nuoceno ad altri, e questi allegano lo sdegno prima conceputo, e la speranza e occasione dell'utile, e altre condizioni che gli mosse.
Ma questi maledici quali peccano mossi non da ignoranza ma da escogitata malizia, e concitati da nulla altro che dal piacere quale e' pigliano nel far male, certo sono senza scusa niuna, sono perdutissimi nell'ultima sentina della nequizia, omini scellerati, dannosissimi, nuoceno a sé e nuoceno agli altri.
Dicea quello iniquissimo calunniatore: «Mordi pur forte sul collo; almeno vi si vedrà el livore e macula della morsura».
Non cerca chi ode s'egli è questo vero; assai basta che sia verisimile.
Egli è più facile el credere che il discredere.
Malignità essecrabile! Omini sopra tutti gli altri pessimi! Niuno latrone, niuno pirata, niuno tiranno mai potrà quanto la calunnia levarti cosa da stimarla e da mettervi la vita per recuperarla.
Gli omini sordidi, a' quali nulla piace la virtù e fastidiano e' virtuosi, godono udire e referire simili diffamazioni, e diranno altrove: Io vidi non solo quello ch'egli odono qui, ma quello ancora che loro vi potranno agiugnere fingendo per fare che altri il creda.
Ma e' buoni e pesati omini stimano quello che non si può non consentire.
S'tu mi amassi, tu non diresti male di me; ed essendo tu inimico, niuno ti debba credere; e non puoi fingere d'essere non malivolo, quando in cosa dove a te risulta niuno utile, el fare iniuria capitale a uno innocente ti diletta.
E in questo modo confermi che tu vorresti che così fusse, non che così sia quello che tu predichi e promulghi; qual turpitudine de' ditti tuoi più impone lordura a te, che a colui verso cui tu la effundi con tanto veneno, senza riguardo della fama tua, e senza reverenza del iudizio di chi t'ode.
Chi potrà mirare un maledico ottrettatore, calunniatore, e non avere orrore della rabbia sua? Omini ancora e ancora pessimi, degni d'essere persequitati da tutto el populo, non dirò con l'arco e colle saette, ma co' funali e face infiammate, e brustulati tanto che l'ossa rimangono denudate, acciò che niuna fizione possa più in quel mostro essere latente! Giovani, mai vederete omo maledico a cui non resulti in tempo qualche miserabile calamità.
E merito chi offende molti, molti lo vegghiano per vendicarsi: e spesso per far qualche gran vendetta, basta uno e forse el minimo fra gli offesi.
E quando contro a tanta offesa non apparisse altro vendicatore che Dio, non mancherà loro gravissima punizione.
A Dio dispiace sopra tutto la iniquità, perfidia, tradimento, massime fatto verso chi non può per sé difendersi né ancora pe' suoi.
Che difesa si può fare contro a chi in più luoghi dove tu non se' e non lo sai, ti lacera, e quanto in lui sia, ti sotterra vivo? Quale iniquità sarà più odiosa che nuocere senza cagione chi mai offese te? Qual perfidia sarà più scellerata che rapire ad altri quello che a te giova nulla, e più mai sarà che tu gliel possi rendere, e insieme estingue e' primari frutti della vita a chi richiesto da te ti servirebbe? Qual tradimento sarà mai tanto crudele quanto nuocere a chi tu mostri essere non inimico, e nuocere in quella cosa quale ancora dopo la vita torni in danno a quello innocente e chi sarà di lui? Non è da credere che Dio, quando che sia, non mostri dispiacerli tanta improbità.
Non dirò qui a voi figliuoli: fuggite tanto errore; non vi profferite alle inimicizie maculando la fama altrui e lo onore vostro; non fate poco stima de' tempi qua' possono occorrere; temete la severità della iustizia di Dio.
Questo non bisogna ricordarlo a voi.
Tanta perversità non fu mai nella famiglia vostra, e so che niuno di voi ce la importerà.
Ma abbiatevi riguardo: fuggite la familiarità e presenza di questi fracidi e fetidi ollocutori linguacciuti, acciò che non paia che vi piaccia quello a che forse voi dessi orecchie con attenzione.
Nel favellare sono da natura due parti primarie e necessarie agli omini: l'una sarà interrogare per imparare, l'altra el rispondere per insegnare.
Gli altri ragionamenti, quali non vanno a questo fine, sono o per voluttà d'essere ascoltato, o perché gli diletta dar piacere ad altri favellando; e questi ultimi quanto meno imiteranno que' primi, tanto saranno men necessari, e così meno convenienti a costui a cui più deletti tacendo pensare cose degne, che favellando recitare cose non degne.
Ma dicono che della eloquenza una parte governa la republica, e tanto può nella republica la eloquenza quanto nelle guerre el ferro: l'altra si è indagatrice della verità; l'altra si è questa civile della quale noi disputiamo.
In quella che cerca la verità bisogna sapienza e prudenza: in quella che regge la republica bisogna circunspezione e fermezza e grandezza d'animo: in questa civile bisogna costume.
Ma el sommo e supremo ornamento di tutta la eloquenza si è la bontà e verità.
Saranno adunque i nostri ragionamenti fra gli amici festivi, iocosi, senza levità o scurrilità.
Chiamo scurri questi, quali per far ridere altri, e pur che cinguettino, non perdonano a persona, neanche a sé.
E saranno e' nostri ragionamenti apresso gli omini gravi e maturi ben pesati, severi, senza ostentazione o superstizione.
Molti per volere parere filosofi, masticando le parole e porgendole con certa inetta gravità piena de insolenza, furono dileggiati.
Simili superstizioni fastidiano in modo che spesso niuno ascolta le parole loro, benché elle siano per altro ben dette.
Sia el favellar vostro libero, espedito; e arete a cominciare e' ragionamenti qualche adattezza e ragione non abrutta, fuor di proposito, e inconsiderata, ma dedutta da qualche principio, o necessario quivi, o molto accetto a chi udirà.
E simile arete al finirli modo, e darete luogo agli altri non con ostinata taciturnità, - non voglio per levare un vizio che tu entri in un contrario vizio, - ma come chi giuoca alla palla a vicende, quando mandarla, quando aspettarla.
E nel processo del favellare conviensi mai affermare cosa quale a te non sia ben nota e certissima, e sarà più senno tacere le cose non verisimili, che bello persuadere le cose incredibili.
E se pure accade referire qualche maraviglia, bisogna esporla non come detta per voluttà di favellare, ma come indutta quasi da necessità e ordine a quello che si ragionava.
E insieme niuna vostra parola o cenno mai s'adirizzerà a biasimare altrui per inimico che vi sia, e sarà mai circunflessa a lodar voi stessi.
L'oraculo d'Appolline, a chi domandò in che modo e' potessi fare che molti dicessero ben di lui, rispose: «Va, di' tu ben di tutti».
Così voi, e ragionerete delle cose familiari e domestice, delle lettere, perizie, dottrine e arti buone, delle facultà che apartengono allo ingegno, della republica.
E sarà el disputar vostro per trovare il vero, non per difendere la sentenza conceputa con ostinazione.
E a ogni risposta osserverete modestia.
Niuna pertinacia o iterazione rissosa o superflua loquacità.
E la voce e gesti siano accommodati e castigati, e con molta dimostrazione che voi amate e reverite chi favella con voi.
E nulla vi sarà grave se forse sarete interrutti; e daravvi occasione di non dire più, quando in sé il narrare di sua natura non è per dare piacere a te, ma per satisfare a chi v'ode.
El favellare dà sete, el tacere no.
Questo basti quanto m'occorse a mente circa i ragionamenti civili, familiari, e usitati ne' circuli fra gli altri cittadini.
Non so se io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ.
Tutti e' tuoi ragionamenti oggi sino qui molto mi dilettorono, ma questi ultimi furono accommodati.
E se non fusse per non preterire e' ricordi tuoi, io forse a questo proposito nominarei qualche uno in questa parte molto degno di repreensione.
Sempre si contrapone, disputa di ciò che si ragiona, e ardisce preferirsi a' dottissimi e peritissimi diffinendo la causa come solo pare a lui, e spesso afferma cose ignotissime a lui, e ostinato nella sentenza sua persevera continuare, e indomito contra la ragione getta le mani, alza la voce, e quando mancano argumenti, adopera le contumelie.
PAULO.
Non più vero! Ma quell'altro suo vicino forse non è meno odioso: quando porge una ammirazione piena di stupore artificioso a quello che tu dici, quando monstra dubitare quello che lui certo sa, quando conferma e loda in chi favella quello che sente forse di levità e con poco sale, quando interroga per farti versare parole non corrette, quando interrumpe la risposta di quello che lui domandò, quando nega quello che sia evidente solo per sdegnarti, e a questo porge un ghigno, a quello tenta el piè, a quell'altro sommove il gomito, e in molti modi instiga che tutti beffino chi favella, e spesso rompe in riso pieno di villania.
NICCOLÒ.
Battista soghigna e move il capo.
Forse conosce ambo costoro.
BATTISTA.
Non conosco questi vostri qui, ma io forse ne vidi altrove simili non pochissimi.
Questo dileggiare in presenza e dir male in assenza de' noti e ignoti, degni e indegni, sempre fu comune costume d'alcuni oziosi o nati ricchi o pasciuti non della cucina sua.
Raro che un ricco non allevato con ottima disciplina e buona riverenza de' maggiori non senta dello insolente e molto del temerario.
Dicono ch'el pan d'altri fa ingrassare.
Credolo, però ch'egli empie l'omo di lascivia e molta indiscrezione, e non cape in sé.
E quelli risi immoderati, e quella inconsiderata audacia e temulenza del favellare con simili gesticulazioni, in loro non può essere altronde che da summa pazzia.
Brutto costume, giovani! La ricchezza e quella che 'l volgo chiama nobilità furono cacciate di cielo, però che come elle fanno qui tra noi, questa stima poter ciò ch'ella vuole, quella crede meritare ogni cosa, così lassù elle perturbavano el cielo; niuno le potea sofferire.
La nobilità del luogo pende dalla riputazione de' passati; la vera tua nobilità nacque in te colla virtù non altronde che solo da te, e non riceve da chi si sia, ma ben darà per te riputazione a que' che verranno.
Questa vera nobilità non patisce che tu sia inetto lodando te stessi; non patisce che tu sia procace vituperando gli altri, né patirà che tu sia protervo dileggiando persona, o garulo contraponendoti a' detti di chi non erra, o in modo alcuno lieve porgendo di te fastidio e tedio per acquistarti malgrado e odio.
E potre' io aggiungere a questi alcuni altri molto dannosi, de' quali sono piene le case de' fortunati.
Hau, nocivi animali! L'avoltoio, si dice, divora e' corpi morti: questi consumano e' vivi a' quali essi aggiunsero sé con biandizie e assentazione.
Ma scludiamo da' nostri ragionamenti omai questa spurcizie di simili omini fedissimi, acciò che la reverenza e religione de' buoni costumi non sia contaminata e polluta in alcun modo dalla oscenità e fastidio loro.
Dicemmo quanto circa el porgere le parole si debba all'omo ben costumato.
Sequitano le operazioni.
Delle operazioni nostre alcune sono solo a noi, e non con altri essequite che per noi soli: come dare opera agli studi delle lettere, alla perizia delle buone arti e investigazione di cose degne, o ancora pingere e fingere concerti, o componere qualche dimensione e finizione di qualche tempio, o scrivere qualche poema, qualche istoria; e queste e simili chiamiànle private operazioni.
In alcune operazioni convengono gli altri, e in queste tu adoperi te forse come primo duttore e direttor della cosa, simile al prefetto dello essercito in milizie, quale per sé solo non può assequire el fine della operazione senza l'altra sua multitudine armata; e queste si chiamino publiche operazioni.
O forse adoperi te come ministro e quasi instrumento, simile a un di quegli armati quali con gli altri sì, ma per sé solo nulla potrebbono ivi quanto bisogna a quella espedizione e vittoria; e queste nominiàlle comuni operazioni.
El fine e quasi segno diterminato dove s'addirizzino le tue operazioni private, sarà per essere felice, e delle communi sarà per acquistar buon nome e grazia; e delle publiche el fin loro sarà importare, augumentare, conservare salute, dignità e amplitudine a' tuoi e alla tua republica.
Ma il fine dovuto in te a tutte queste cose sarà fama immortale e gloria.
Molti savi antiqui dissero che essere felice non è altro che solo vivere lieto col far bene.
E se tutta la nostra vita si contiene in certo successo del nostro adoperarci, certo tanto sarà adoperarci bene quanto vivere bene.
Gli uomini oziosi sono simili a chi dorme: né vivi quasi, né in tutto morti.
Que' che s'adoperano in cose scellerate e odiose, mai saranno per questo altro che miseri e infelicissimi.
E possiamo dire a questo proposito che in mare non navica chi iace e dorme supino, senza cura, senza governo; ma costui navica el quale adestra le tele, adopera il remo, dirizza la nave in porto.
Così non sarà vita in noi l'alitare solo aspettando la sera, e lasciarsi in abandono errar l'animo suo in servitù del corpo; ma sarà vita in noi lo adoperarsi continuo, e sarà vita ottima bene adoperarsi in cose ottime.
Quinci consequirai quello che si dice essere proprio della vera felicità, cioè tranquillità e quiete d'animo lieto, libero e contento di sé stessi; e insieme assequirai buon nome, favore e grazia, e più per te a' tuoi succederà quanto egli sperano e aspettan da' buoni cittadini, utile publico e onestamento della patria.
Né ti chiamerò bene operoso se tu consumerai tutto il dì allo sparviere, a' cani, alle reti e simili.
Simile occupazioni sono trastulli fanciulleschi, concessi qualche ora agli omini gravi per recreare l'animo in aere libero e luoghi amenissimi, e raffermarsi a buona valitudine movendo ed essercitando el corpo.
Al tutto dicarsi a faccende non degne non si conviene.
E sarà il nostro proposito non simile a questo qui per riuscire principe fra' cacciatori e pescatori; ma sarà nostro officio contendere a meritare onorato luogo fra' primi ottimi cittadini.
A tanta eccellenza perviene mai persona con opere vili e studi non degnissimi.
Se da noi l'officio di chi ben vive chiede continuo adoperarsi, convienci in prima escludere e fugare le cose contrarie a questo adoperarsi.
Contrario allo adoperarsi massimo è l'ozio.
Prossima all'oziosità sussegue la vita voluttuosa.
Molti reputano summa voluttà el vivere senza faccende, senza pensiere; summa felicità bisognarli far nulla.
Errano.
Dicemmo e dell'ozio e della voluttà ne' ragionamenti di sopra, ma quel che bisognava continuo provedervi, non è superfluo spesso ricordarlo.
L'ozio se ne porta i giorni utili, e lascia nell'animo uno uso d'essere inutile a ogni cosa e nulla curar sé stessi pieno di perpetuo e irrecuperabile pentimento.
O duro e acerbo riprenditore della vita passata, giovani, el pentimento! El pentirsi, pensatevi, vederete ch'egli è spezie d'odio contro a te stessi.
Dall'ozio, adonque, segue oltre agli altri seco innati mali, odio contro a te stessi.
E sarebbe meglio essere una statua figurata simile all'omo, che ozioso simile a un tronco fatto in forma d'omo.
A veder quella statua ti piacerà lo 'ngegno e artificio di chi la figurò.
Questo ozioso, come può piacere a te quando lui a sé stessi è fastidioso e odioso? El pescatore, el mercante e simili, se torna senza preda e guadagno, di nulla tanto si duole quanto del tempo perduto.
Tu studioso, tu nato a essere fra' tuoi cittadini quanto tu desideri omo onorato e primario, non commettere per tua desidia e negligenza che ti bisogni dolerti e dire: oggi imparai nulla, oggi acquistai niuna bona grazia, oggi non dedi opera utile ad alcuno amico, né feci cosa qual giovi a me.
E non sarà men perduto né men da vituperare chi pone ogni suo studio solo in vivere delicatissimo, sazio d'ogni voluttà.
Non mi negate che potere adattarsi a ogni cibo e contentarsi di qualunque apparecchio delle cose ha in sé molta libertà.
Così, contro, non potere senza nausea patire le minime offese di quel che a te paia non ben lauto e ben condimentato, sarà all'omo dura servitù, e sarà spezie d'infirmità iunta con fastidiosa leziosità e pazzia.
E certo e' dicono el vero, ch'egli è men male errar per stultizia e furor di mente che per delicatezza e lascivia.
In quella tu accusi forse la imbecillità della natura in chi erra: in questa tu vituperi solo costui qual pecca contro a quel che da lui richiede la natura, e debbasi a' buon costumi.
Agiugni, - udite, giovani, - chi cerca da te il suo bisogno, in questo sarà tuo subietto e servo.
Così tu, contro, sarai servo del cuoco tuo e di quell'altro vilissimo ministro altrove delle tue voluttà, quando in lui stia el satisfarti in quello che tu tanto ami e cerchi con tanta opera e avidità.
Seperiamo, adonque, l'ozio da noi, fuggendolo e cacciandolo con qualche assiduo essercizio.
La voluttà gioverà non sempre fuggirla.
Sarà forse più sicuro fuggir l'insidie dello inimico, ma certo sarà più fortezza el superarlo.
Così nelle voluttà, chi sempre le fugge, né mai ardisce trovarsi dove e' provi quanto e' puote e vale, ma come male armato si ritiene e teme troppo el suo pericolo, non acquista laude quanto chi presente vince contrastando.
E iterum dico, superar quello che supera molti altri, porta singular gloria.
Vincesi con la constanza e continenza.
La constanza sente quel suave che porge la voluttà, ma resiste colla sobrietà e collo astenersi, né si lascia muovere da quel proposito e stato virtuoso.
La buona continenza e vera temperanza, assuefatta a nulla desiderare quello che mancasse circa le voluttà, e confirmata in modo ch'ella non si lascia commovere alle illecebre e lusinghe delle cose voluttuose, vince e supera, e gode essere in questo insuperabile e sempre vincitore.
Fugaremo, adonque, l'ozio, e vinceremo la voluttà.
Per ben potere questo, quando l'instituto nostro sia per assimigliarci a' virtuosi e ben costumati, sarà utilissima opera por ben mente a riconoscere noi stessi.
Detestabile miseria stimarsi non misero quando e' fia simile a' miseri! Fra' mortali niuno si trova più misero che 'l vizioso.
Adonque, bisogna dar modo, se alcun vizio forse latita in noi, che sia ogni dì minore, o almen meno noto agli altri; e se v'è qualche sintilla di virtù, ch'ella accresca tuttora eccitandola.
Se si potesse, mai si vorrebbe restar d'adoperar l'ingegno.
L'opere dello ingegno e intelletto hanno in sé molta parte di divinità, né sono la notte in ombra minori che il dì col sole: sempre occorreno e segueno pronte quanto la ragion le chiede.
Almeno quel tempo che ti concedono l'altre cure e opere necessarie alla vita, sarà con grande emolumento usurparlo e adoperarlo in quello che in te può l'ingegno tuo.
Niuna cosa più atta, più conveniente ad acquistar virtù e buoni costumi, quanto assiduo leggere dotti scrittori antiqui.
Tu ascolti con voluttà chi ragiona spesso di cose frivole e di niun pregio.
Da costui, con chi tu ragioni leggendo, udirai continuo cose rare, degne, escogitate, emendate, iocunde, utili; e spesso ti dirà cose molto necessarie a te, qual tu mai udisti da' tuoi maggiori e precettori, onde tu poi ne sarai tutto il resto della vita tua più culto, più onorato, più beato.
Un vostro noto e amato da voi, benché assiduo occupato a cose degne e rare, mai lo vediate ora del dì ozioso, pur per vendicarsi più frutto del viver suo e del tempo, ogni sera, prima che si colchi, tanto legge mezzo spogliato qualche storia o qualche poeta, quanto arde certa candela di cera diputato a quello studio.
E' Pittagorici filosofi soleano, prima che dormissero, componere la mente sua a quiete con qualche armonia musica.
Non è men iocunda né men suave questa nostra lezione a costui, che fusse a coloro quel suono musico; ma questa resta più utile.
Quelli dormeno senza agitazion di mente col sonno profondo e quieto: questo ancora dormendo agita in sé cose onestissime e utilissime al vivere, e pertanto più vive, e spesso dormendo come più soluto, meno distratto vede cose degnissime quali e' molto cercò prima vigilando.
Mai quanto sia in noi si vuole restare d'adoperarsi collo ingegno, colla memoria, collo studio, con dar di te commodità, essemplo, utilità a que' che sono, a que' che verranno.
E bisogna aversi persuaso e al tutto confirmato in animo che ogni tempo sia perduto eccetto quello qual tu adoperi in farti migliore, più dotto, più grato, più utile agli altri, con più virtù.
La virtù non è altro che summa e supprema bontà: el desiderio d'essere virtuoso importa in noi vera bontà.
Questo medesimo studio sarà quello che ti renderà ottimo e felicissimo.
Ma perché sempre non si può essercitare lo ingegno, non biasimaremo però chi forse darà opera a qualche cosa grata a sé e onesta qualche volta, come forse fabricare qualche instrumento matematico, componere qualche macchina utile alla republica nelle espedizione campestre, in mare, e simili, o essercitarsi coll'arme, pure che tu adoperi questo dì in qualche cosa lodata o almeno nulla biasimata.
Insumma, circa queste nostre operazione private e' savi dedero alcuni ricordi molto utili: dissero che sempre si preponessero le cose più degne alle men degne; mai si posponessero le cose più necessarie alle men necessarie; e nulla più grato e utile che fosse, mai si stimasse quanto la onestà.
La onestà dobbiamo amarla, l'utile non lo perdere; alla necessità mal si può non ottemperarli.
Qual siano le cose necessarie, le dimostra la ragione del vivere.
Non troverrete che alcuna cosa sia necessaria qual non sia utile a quel suo fine; e quel fine, qual non abbia in sé onestà, non può essere all'omo prudente mai utile o da volerlo.
Chi per cupidità d'imparare quello che non sa, abandonasse il padre e gli altri suoi impotenti e destituti, sarebbe impio, inumano.
L'omo nacque per essere utile all'omo.
E tante arte fra gli omini a che sono? Solo per servire agli omini.
E biasimarebbono e' savi chi ponesse nelle cose poco necessarie e molto faticose tempo, studio e assiduità, come chi con assidua meditazione e lunghe vigilie, ostinato al tutto e pervicace, volesse intendere certi tardissimi moti del cielo non ancora ben conosciuti, o volesse pure esplicare con certo numero la vera quadratura del circulo.
E molto più biasimerebbero chi ponesse ogni opera e industria in cose non certe e di sua natura a' mortali non concesse, come sono quelli che stimano e cercano potere trasmutare e' metalli ad altra più depurata e dissimile sustanza.
E nelle voglie benché possibili e ancora utili e ancora oneste, ripreenderebbono chi con troppo ardente fervore quasi le volesse precipitare, più che con debito modo condurle a fine.
Chi prima con riguardo, qual debba el prudente omo, principiò le cose, costui facile colla diligenza e col perseverare le conducerà a buon fine.
Ma come bisogna che ogni nostra operazione s'intrapreenda con circunspezione e senza temerità, e conducasi con attenzione e ordinato successo, senza negligenza, così conviene che alle faccende nostre la ragione moderi e' grandi impeti delle voglie nostre.
Ma non però lodarò chi nelle cose sarà più rattenuto e timoroso che non li bisogni.
Le cose principiate con ragione si vogliono condurre con prontezza, e finirle con fermezza d'animo e virilità.
Circa le private nostre operazioni forse pensandovi mi soverrebbe ancora materia onde io più a pieno mi satisfarei.
E posso credere che voi aspettavi da me, in quello ch'io recitai, ordine più accurato.
Ma dicendo pareva a me che le cose quali mi occorreano fussero per sé sì degne ch'elle dovessero in qualunque modo dette assai piacervi.
Se così è, sta bene.
PAULO.
Furono certo degnissime, e chi richiedesse qui o più copia o migliore ordine, errerebbe.
Tu preponesti le differenze delle nostre operazioni e secondo il fine e secondo la natura loro, ed esplicasti come, sendo la vita dell'omo ben retta non altro che continuata operazione buona in cose buone e degne, si conviene a chi vuol ben meritare del viver suo e ben fruttare el tempo, mai cessare de adoperarsi essercitando in prima l'animo, qual nulla può essere disciolto da tanto frutto del vivere; ultimo, agiungesti qual ragione e modo sia condecente a questa nostra operazione.
Piacqueci e lodiànti.
Sequita.
BATTISTA.
Dicemmo delle operazioni nostre private.
Sequita referire delle operazioni qual noi chiamiamo communi operazioni.
Diremo adonque, circa le conversazioni degli altri, quali siano le richieste e lodate operazioni de' buoni e ben costumati.
Ma prima interponerò quello che ora qui mi torna in mente, e parmi atto a' ragionamenti passati, e ancora non alieno da questi che ora sequivano; e sarà questo ch'io referirò quasi come suco espresso da tutti e' prossimi ragionamenti passati.
Dicono e' savi: distribuisci il tempo atto e decente alle operazioni qual tu ben consigliato intrapreendesti, e in quel tempo dùravi quanto fatica vi bisogna; e reggi quella fatica con tolleranza, e questa tolleranza raffermala con fortitudine d'animo e constanza virile; e questa constanza moderala con buon reggimento, e in tutta la tua operazione dirizza el pensiere, el consiglio, lo instituto tuo sempre ad onestà; e in questo consiglio non ti confidare dello ingegno e discurso tuo più che del iudizio de' tuoi benivoli e coniunti, massime esperti e dotti in quella cosa qual tu tratti, però che con loro raro ti sequirà che tu poi ti penta.
Non par verisimile che 'l iudizio di più omini periti e buoni sia fallace.
Ma dal consiglio di te solo facile potrebbe avvenire che in tempo scorgeresti quello che in prima tu non vedevi.
Agiugni che della emendazione degli amici arai utilità, e dalla comprobazione loro arai gaudio, e confirmerassi el voler tuo con migliore speranza e con più certa espettazione.
E prima si vuole esporsi che tutte le nostre opere, di qualunque natura elle per sé siano, sempre pretendano ad assequire el fine dovuto a chi s'adopera in bene.
Assequiremolo con quelle cose per quali tu diventi virtuoso.
Virtù qui sarà ogni operazione e confirmata disposizione d'animo pronto, volonteroso, essercitato in far cose buone e farle bene e in modo che tu ne sia lodato.
Giovani, le virtù vostre piaceno a costoro, e a me sono gratissime più che qualunque cosa quale io potessi mai desiderare.
E simile e' vostri gesti, e' vostri buoni costumi e bontà piaceranno a chi le conoscerà essere in voi, massime quando lui sia, qual sete voi, buono e amatore della virtù.
Al musico deletta udire un buon musico.
Al pittore piace vedere una ben diffinita pittura.
A ciascuno rende voluttà la perfezione di quelle cose quale ello ama.
La virtù in te studioso e vero bono omo sta in te conceputa e parata non come cosa impóstavi e collocata, ma come innata sanità e vita in un corpo animato e per essa ben fermo e valido.
E tu, qual sia questa virtù integra, fatto virtuoso, certo lo senti e conosci, e come cosa degnissima e divina tu merito l'ami, e tanto gli porti affezione quanto ella a niuno può essere più nota e pertanto più cara che a te.
Agli altri vien grato in te quello che credono essere in te non fittizio da farne stima.
Tu vero ami quello in te qual tu sai che merita essere molto amato e adorato, e godine.
Questo incredibile piacere e contentamento tuo in te ti rende curioso osservatore di quello che ti fa vivere lieto e sufficiente a te stessi.
Indi accresce questo divino bene a te d'ora in ora più perfetto, e quanto e' sarà maggiore, tanta più te ne sequita incredibile voluttà.
O figliuoli, questa compiuta e divina beatitudine quale tu virtuoso contribuisci a te stessi facendo bene e adoperandoti in virtù, potrò io chiamarla altro che summa felicità? Dio ottimo essaudisca el desiderio mio e la espettazione mia, quanto io spero vedervi per simili vostre operazioni e costumi e virtù fatti felicissimi!
El fine delle operazioni nostre civili, quali appartengono alla comunione e società degli altri omini, dicemmo ch'era buona grazia e fama.
La buona fama tua credo io sia opinione publica e voce di te che tu sia omo buono, ed è quasi ministro della buona grazia.
Certa parte della buona grazia viene imposta dalla natura nella effigie, lineamenti e forma del corpo, onde aviene che t'agrada mirare una bella criatura.
Questa, bench'ella sia caduca e fragile, ella pur giova.
Ma noi cerchiamo cosa più constante e più per sé sufficiente.
Se a voi giovani non paresse degna d'essere amata fra 'l numero delle fanciulle se non solo quella qual fusse ben bionda e ben sucosa, l'altre tutte sarebbon nate misere.
Ma come lo splendore in una gemma viene dalla depurata sua perfezione, così voi dall'animo puro, buono, in qual sia niuna macula di vizi, niuna fèce di brutti costumi, spesso vedete risplendere certa cosa divina, quale alletta e trae e vince a farsi amare e reverire.
E chi dubita che la bellezza dell'animo tanto più sarà atta e accomodata a movere gli animi di questi altri, quanto ella sia in sé più degna e conforme a chi per lei si mova? Certa altra spezie sarà forse in coloro quali sono ricchi, ambiziosi, onde molti sperano utilità da loro, e molti lo fanno capo della conspirazione loro.
E per questo el volgo dice: costui ha in questa republica bona grazia.
Parmi che voglian dire: costui può con facilità le cose grate a lui.
Ma se noi considerremo lo stato suo, pronto intenderemo ch'e' primi suoi collegati invero non lo amano, forse lo temono e vorrebbono più tosto poter senza lui, che adoperarsi in far che lui possa più che loro.
Dicono che dove abiti la onestà ivi sta bellezza, e dove sia virtù, ivi non mancano ricchezze e potentato, e dove sono buoni costumi, sempre consequita buona grazia.
E affermano che l'un di questi non può star senza l'altro, però che sono coniuntissimi, simile come fratelli e sorelle.
E se io non erro, la vera buona grazia in molta parte conduce seco certo grado di benivolenza, onde pare che susseguiti all'omo fra la moltitudine favore e autorità, e conseguene che curano el ben tuo, fidansi di te, e reputanti degno d'essere onorato.
Utile cosa la buona grazia, e vuolsi dare ogni opera per acquistarla.
Giovani, udite: e così è.
Facendo bene s'acquista bontà e virtù; amando, amicizia; gratificando, grazia.
Se tu mi domandassi qual sia questo gratificare, direi che fusse far cose grate a colui verso cui tu porgi l'officio tuo.
Ma perché tutti gli omini non sono simili a te, e sono le voglie, opinioni, desideri loro dissimili e vari, bisogna diffinire verso chi e in che modo sia da usare questa gratificazione.
A' buoni, in qualunque modo faremo bene, sarà grata la operazione nostra, e più li moverà la religion dell'onestà che l'utile loro.
A' viziosi non sarà grato se non quello solo che giovi loro.
A noi basterà forse portarci in modo che né in detti né in fatti, né in publica cosa alcuna né in privata, omo possa a ragione dolersi di noi.
Viver senza essere dannoso a persona si conviene in tutta la vita, e chiamasi iustizia.
Darsi bene accetto alla multitudine sarà faccenda di chi vogli essere riputato umano e affabile e costumato.
Questo non succederà co' viziosi, quali sono viziosi solo perché loro non piaceno le cose oneste.
Che faremo adonque? In prima fuggiremo quelle cose che offendono, e acquistano mala grazia così da' buoni come da' viziosi.
Del resto stimaremo el iudizio degl'ignoranti, facendo bene, simile al gusto de un febricoso.
Quelle che molto dispiaceno a chi vede e a chi ode e' portamenti d'uno omo non ben morigerato, sono fra l'altre molto nocive: la arroganza, pertinacia, malignità, temerità, inumanità, e insumma ciò che viene da stultizia o da furor di mente rapace e pregna di nequizia, cose molto contrarie al bisogno dell'omo in vita.
All'omo, quando così constituì la natura che lui non può ben vivere senza gli omini, si conviene dare ogni opera di conciliarci agli altri, e agiungercegli che siano ossequenti a' comodi nostri.
A questo sta grave inimico prima l'arroganza, però ch'ella genera odio, e seguene solitudine.
E non sarà men dannosa la ambizione, però che ella continuo eccita contenzione.
Nulla disturba la buona affezione e familiar coniunzione quanto la contenzione.
Ed è innato vizio allo ambizioso la invidia; e per questo ello diventa iniquo e violento e malefico fraudolente.
E questo perseverare ostinato nella sentenza e impresa sua, qual talora alcuni chiamano grande animo, vien pur da impetuosa superbia.
L'uomo ben composto vorrà più tosto cedendo e con facilità essere pari agli altri in cose iuste, che con ostinazione superiore in cose contenziose.
E molto fidarsi della prosperità sua, e ardir quanto gli porge la sua ambizione e superbia, spesso diede in ruina omini ben possenti e molto fortunati.
Utile ricordo: nelle cose dubbie reggetevi con prudenza, in le avverse con fortitudine; non vi abandonate nelle prospere, sopra tutto raffrenatevi con modestia, escludete lungi ogni fasto e superbia.
E gioveratti, se quanto tu più potrai, tanto meno vorrai.
Giovani, chi vuole meno che non può, costui può più che non vuole.
E faccia questo proposito, quanto e' dicono che l'animo generoso e virile sempre alle condizioni de' tempi difficili osserva in sé equanimità, nello stato superiore agli altri mansuetudine, e nel fervore della età pudicizia.
Simili virtù, confessovi, sono rare; e pertanto rendono in chi le sono pregio e reverenza.
Troverrete non pochissimi d'ingegno acuto, pronto, desto, atto a ogni industria, e per questo saranno estimati.
Ma in costui lo splendore e suavità de' buoni suoi costumi e virtù tanto eccederà quanto eccede quello che sempre sarà ottimo da quello che potrà forse essere pessimo.
Insumma, tutte quelle cose quale movano te verso altri a simile affezione, queste medesime stima che moveranno altri verso di te.
Tu leggesti nelle istorie come colui prepose la salute de' suoi alla propria vita sua, e vedi qui in questo altro simplice e aperta bontà, in quell'altro molta cognizione e sapienza: tu quinci, vinto dalla natura, quale sempre cerca e desidera e ama le cose ottime, non puoi fare che tu non penda a benivolenza verso di lui; seguene che tu vorresti vederlo tanto in migliore stato quanto egli è per la sua virtù più degno che gli altri, e ragioni di lui come di cosa rara e mirabile, e accadendo t'adoperaresti in farli bene.
Così interverrà dagli altri a te, quando e' meriti tuoi saranno pari noti a loro; e se vederanno in te prudenza e molta cognizione di cose buone e degne, arai presso di loro autorità, e consentiranno sequire el ricordo tuo più che degli altri meno dotti.
E se circa e' costumi tuoi scorgeranno purità e vacuità d'ogni vizio, massime di quegli che sogliono essere familiari e disonestar gli altri, non dubitate aranno riverenza a te, e aranno el nome tuo in singulare ammirazione.
Alcuni vedendo che presso la multitudine non rarissime avea luogo e condizione qualche presuntuoso, loquace, ardito, e contro, quelli che in vero erano dotti e prestantissimi rimaneano senza riputazione e quasi negletti; e vedendo che quelli in senato audacissimi erano e' primi uditi, ed era la loro sentenza subito approvata, e otteneano e' supremi magistrati, questi altri omini maturi e gravi restavano adrieto, raro richiesti alle faccende publice, meno stimati, esclusi quasi come indegni d'esser nel numero de' veri cittadini, - dissero per questo che molto più bisognava dare opera e studio di parere omo sufficiente che de essere.
Costoro errano purtroppo, e non dubito che qualunque di loro vorrebbe prima essere ricco che parere.
E se io povero cercassi parere ben ricco, ben sai tuttora vie più resterei povero.
E se quello che sia simile al birillo piace, questo che sia vero birillo più certo molto piacerà.
Fra la multitudine vince, non niego, qualche volta la importunità, e vinse forse talora la protervia d'alcuni insieme confederati rattori delle cose publice.
Ma el consiglio dell'omo grave e buono, simile al sole, cessata la nebbia, splende per tutto.
E quanto la moltitudine occecata dalle fizioni e simulazioni de' fraudolenti meno ascoltò el vero, tanto poi al tempo col pentersi impara a farne stima: e a costui buono omo se ne rapporta grazia, a quegli altri odio, però che dal successo delle cose quelli sono conosciuti artificiosi perturbatori dell'ozio publico, quest'altri sono degnati per loro merito e reveriti.
Restaci fra' buoni costumi certo merito dovuto da' minori verso e' maggiori, e in ogni grado e stato, onde s'acquista molta grazia e laude.
Primo indizio d'uno bene allevato pare a me vederti reverente verso chi per età, dottrina, o per dignità ti sia superiore.
E contro, mi pare mai possa essere senza villania el poco stimare chi sia stimato dagli altri.
Pensatevi, giovani.
Ecco, dico a quello rusticone allevato senza niuna civilità: «O omo inettissimo, non vedi tu el tuo errore? Non degnasti, non reveristi chi tu conosci stimato e onorato da que' che sono da più di te.
A lui che lo merita tu scemasti nulla; a te, che dovevi far verso di lui el debito tuo, accrescesti biasimo e vizio, ausando te stessi in questa parte a non temere el biasimo.
Chi non teme biasimo, di necessità rimane scellerato.
Gli altri per acquistarsi buona fama e grazia esposero la roba, el sudore, el sangue: tu con questa tua, come la chiameremo, desidia o stultizia rusticana, avilisci la condizione tua, e de' mancamenti tuoi la punizione resta tutta a te».
E non sarà poca punizione fra l'altre a chi nacque per essere non al tutto abiettissimo, quando e' si vegga riputato indegno chiamarsi nato e parente di questi omini nobili, a' quali esso sia per suoi sozzi costumi tanto dissimile.
E quanto siamo noi obligati a' primi inventori di tante utili e commodissime cose a vivere bene! Fu ottimo instituto ch'e' minori si presentassero in via a' suoi maggiori e discoprissero la testa: segno di reverenza trovato acciò che i giovani se assuefacessero a reverire chi lo meritava, e d'altra parte si confermassero a sanità assuefacendosi colla testa nuda a soffrir el freddo.
E così richiede la ragione ch'e' più vivuti siano, quanto meno abili alle fatiche, tanto più utili a consigliare.
Per questo bene instituirono ch'e' giovani per età più atti a essercitarsi facendo si profferissero, se cosa presente per l'opera loro bisognasse; e contro, questi ricevessero consiglio per consequire le cose utili e oneste con più facilità.
Udisti più volte quel detto, che l'onore si è premio della virtù.
Forse non è quanto vi si richiede, però che la virtù ha in sé tanta prestanza che nulla cosa può pari remeritarla.
Pur molto rimane il pregio dell'onorare in chi lo fa, però che questo reverire chi lo meriti si è indizio e testificazione che a te piace la virtù quale tu onori in altri.
Primo testimone della bontà dell'omo si è amare e' buoni.
Né sarà senza virtù chi ama e' virtuosi.
Dicono e' savi che a Dio e a' magistrati si debba rendere, non senza qualche paura, molta venerazione, el padre e gli altri maiori onorarli con ogni segno e officio di reverenza e benivolenza.
E conviensi molto essere affezionato a chi ama te.
E dovete credere che del numero de' cittadini a niuno sarete tanto cari e commendati a chi vi chiama figliuoli e nipoti e consorti e coniunti.
Dovete pertanto e rendervi e mostrarvi degni di tanta grazia.
Questo sarà vostro onore: aretene piacere quando gli altri diranno: «costui nato di padre ottimo e nobilissimo ne fa ritratto».
Non voglio ti chiami figliuolo, nipote, fratello di questi altri modestissimi, costumatissimi, se tu non sarai simile a loro.
Né patiranno costoro che quello rusticano deturpi l'onestamento loro, e dica: «io sono di questi», quando niuno di questi sia simile a lui.
Non vi sia tedio s'io insisto in questa causa molto condecente al nostro proposito.
Tu, Niccolò, e tu, Paule, pensate a questo ch'io dirò.
Grande fu provedimento quello della natura.
Voi e io e tutti gli altri non possiamo non porgerci amorevoli a qualunque sia d'età puerile parvulo.
Credo che questo ne impose la natura, acciò che simili deboluzzi, imbecilli, bisognosi d'ogni aiuto, siano difesi e conservati da chi più può.
Parvi?
NICCOLÒ.
Parci.
BATTISTA.
E voi giovani che dite?
GIOVANI.
Certo parci.
BATTISTA.
Ditemi.
E' nostri maggiori meritano essi meno pietà da noi testé allevati, che allora vi meritassi voi sendo fanciugli da loro? Voi fanciugli allora eravate non bene offirmati, e per questo invalidi a movere espedito le membra vostre.
A questo donque bisognava aiuto di chi vi sostenesse e adestrasse.
E' vecchi gravi d'anni, oppressi dalle lassitudini, molto sono meno atti a valersi ne' bisogni delle membre sue.
Voi fanciugli, vacui d'ogni cura, nulla vi perturbava.
Diresti, usufruttavi la luce e lo splendore di tutto 'l dì senza sentire offensione de' tempi o della fortuna.
Lo ausarsi al freddo, a' venti, confirmava in voi sanità.
Erano i vostri sonni quietissimi.
Continuo presente era chi vi satisfacea.
A' vecchi quasi nulla satisfa, ogni minima cosa gli offende.
Non dico altro, el lustro del cielo spesso li agrava.
E seguire l'usitato suo primo costume del vivere non gli è concesso dalle debolezze quale continuo crescono, e assiduo richieggono più difesa.
E usarsi a nuova condizione di mantenersi in vita viene loro pieno di dure e intollerabile imperio e moleste osservazioni.
Veggonsi interditto ogni voluttuosa recreazione, né hanno, per fortunati che siano, abastanza tutti e' sovvenimenti loro necessari.
E' fanciugli crescono con speranza e successo di più robusta e valida abitudine; concorrono più e più degli altri loro simili, co' quali e' viveno continuo lieti, contenti, festivi.
E' vecchi d'ora in ora più affannati, meno sullevati da cosa ch'egli sperino, stanno inchiusi repetendo e desiderando gli amici perduti.
Non occorre loro occasione di contrattare nuove amicizie con omini simili a sé, e con e' dissimili ancora meno loro succederebbe giungersi a familiarità.
Adonque infelici viveno in solitudine, miseri, mesti: niuno lieto pensiere se non ricordarsi degli studi e opere lodate che fece in vita.
E più, voi fanciugli ricevesti infiniti benefici da' vostri maggiori: nutriti, vestiti, educati da loro, esculti, instrutti con dottrina, ornati di virtù; apparecchioronvi con sue fatiche e sudore a ogni commodità e sussidio a ben vivere.
Che dico? Negarete voi essere obligati loro? Che loro, contro, siano obligati a voi, né voi lo diresti, né io ve lo consentirei.
Conoscete voi giovani ch'io dica il vero?
GIOVANI.
Certo.
BATTISTA.
Quanto stimate voi che ora a questi e a me sia voluttà e dolce recreamento vedervi qui presso di noi attenti, parati e cupidi satisfare alle espettazioni nostre, seguendo quanto noi desideriamo vedervi ottimi e felicissimi? O figliuoli, la bontà vostra sia quella che vi mova a ben meritare de' vostri maggiori più che le parole mie.
Visitateli, confortateli, sovveniteli, date loro con la presenza vostra recreamento, coll'opera e ossequio aiuto e mantenimento contro le oppressioni della vecchiaia.
Sì, figliuoli, sì.
A loro levarete molestia, a voi accrescerete laude e buona grazia apresso degli omini e mercé da Dio.
Dio ama, aiuta, accresce quelli che studiano simigliarsi a Lui con quello che a lui sia concesso.
In questo sarete simili e participi della bontà divina, quando pietosi darete ad altri quello che voi chiedesti da Dio nollo impetrando da' mortali.
E torniamo spesso a' nostri ragionamenti pur dove io molto desidero, e a quel che molto mi diletta vedere in voi figliuoli.
Cosa gloriosa in ogni età, giovani, el buon costume.
Sì certo, e' buoni costumi sono a te summo ornamento, però che e' danno splendore e illustrano la virtù quale sta in te.
E tu ben costumato sarai onestamento della famiglia tua e insieme ornamento della patria, però che facile succederrà che gli altri educati in simile disciplina siano pur simili a te.
Molti per non essere quanto si richiede composti, furono sviliti, ma de' costumati qual mai fu che indi non ricevesse onore e cortesia? E spesso chi non ti conoscerà, e vedratti in detti e in gesti modesto, grave, umano, intrapreenderà opporsi a chi ti sia molesto e infesto.
Parmi sino a qui avere in buona parte trascurso quanto preponemmo, esplicando l'officio e debito de' ben composti a virtù e atti a meritar grazia, favore e laude, se già non resti che fra 'l vivere civile accaggiono le inimicizie prese non raro per la iustizia e difesa de' tuoi, e qualche volta importate ancora a te da certi invidiosi rattori e malefici.
Difficil cosa, non nego, nulla sentirsi morso e punto dagli oltraggi e dispetti.
Ma non però bisogna per ogni offesa opporsi urteggiando chi ti si presenta tedioso.
Non raro, stimar nulla gli omini levissimi, acquista a noi autorità e riputazione.
E ben spesso avviene che la ragione e prudenza nostra rompe l'audacia degli insolenti con altro che col certare.
E conviensi all'animo generoso più molto essere indulgente per acquistar grazia, che severo per mantenersi utilità.
Né sarà meno fortitudine e gloria superare in te la indignazione e ira tua, che suprastare con durezza il tuo inimico.
E io molto più loderò chi tolleri le offese passate con ragione, che chi ora persequiti el vendicarsi con acerbità e impeto concitato.
L'animo grande non riceve a sé in contumelia se non quel solo quale e' non può tollerare colla pazienza, e non trascorre a punizione per contentar sé, ma sequita la ragione per satisfare alla dignità.
Non è dubbio: s'tu potrai contro e' tuoi concitamenti, in molta parte potrai contro l'impeto dello inimico, parte meglio adoperando el consiglio, parte fermando lo stato tuo, parte disponendo quel che bisogni, e conducendo le cose con ragione e maturità.
La pazienza, massima virtù, quieta e senza arme spesso vince e' ferocissimi armati, e non raro stracca el coruccio e infestamento del cielo.
L'ira in noi non è altro che vapor d'animo furiato, onde suole susseguire che l'omo irato ruina per vendicarsi spesso in qualche non onesto movimento; e la vendetta fatta con disonestà riporta ferite mortali alla fama, e perde la dignità.
Per questo sarà da preponere el sofferire etiam con qualche dura tolleranza e molestia privata, che vincere con turpitudine e publica infamia.
E quasi mai sarà bene onesto, per la offesa ricevuta, darsi con severità a vendicarsi, se non quando e' tuoi ottrettatori palese concederanno che a te nulla più giovava la pazienza tua contro la insolenza e infestamenti di chi per sua natura e per tua tolleranza de ora in ora più errava.
E se pur fussero le offese da non più sopportarle, sarà officio d'animo virile deponere quella inutile tolleranza, non con subitezza, ma con circunspetta cauzione, dove el troppo sofferire le iniustizie sente di servitù.
Alcuni dissimularebbono forse ostinati aspettando migliore occasione alla vendetta.
Ma a me, amare palese e' buoni, odiare palese e' pessimi pare impresa di più virilità.
La troppa dissimulazione a fine di malignare sente in parte fraude e tradimento.
Bene loderò nel resto chi molto occulterà le sue suspizioni, e molto supprimerà le sue paure.
Simili agitazioni d'animo riposte in te, non intese da altri, nulla altronde nuoceno che da te; e questo, dove tu le ricevi senza buon discurso.
Ma queste, qualunque elle siano, conosciute e divulgate spesso perturbano ogni tuo buono successo e quiete.
E sarà officio d'omo ben composto sempre più pendere a emendare lo errore di chi trasanda, che a vendicarsi castigando.
Non voglio pigli contenzione se non per cose quali sarebbe gran mancamento nolle curare.
Chi mai sarà che recusi defendere l'onore, la salute de' suoi, la religione? E quando ultimo ben consigliato deliberasti castigare la iniquità di chi t'è molesto, nulla bisogna attentare senza diligenza e maturità e circunspezione.
Dura impresa il vendicarsi! spesso fallace, sempre coniunta a molti periculi e accrescimento di più dannose inimicizie.
Debbasi alla vendetta cauzione, ragione, tempo e modo.
Bisógnavi adonque più molto prudenza che fortitudine, più consiglio che arme.
Volere vincere con detrimento suo proprio, non verrà se non da furore.
E sopra tutto bisogna non molto, anzi nulla cedere a quello che ora ti si mostra parato succedere alla intenzione tua, se non tanto quanto e' sia vacuo d'ogni suspizione avversa.
Dubiosissima incostanza quella de' tempi! Vario intricamento quello de' successi umani! Conviensi preporre termine della impresa nostra, non tanto el detrimento dello avversario, quanto la salvezza delle cose tue, massime dello onore.
E questo basti circa le inimicizie.
Spezie d'inimicizie sono e' letigi.
Dicono e' savi che a chi bisogna el medico, non sta bene, e a chi bisogna iudice, sta pur male.
Raro accaderanno simili bisogni dove sia buon reggimento.
Spesso el repetere el debito con rigore e troppa assiduità fa che l'omo ingrato diventa inimico.
Non hanno e' litigi in sé altro che molestia, dispendio, sollecitudine, sdegni e sospetti, forse ancora biasimo.
Tutti sanno che tu litighi: pochi intendano chi di voi dica il vero.
E qual sarà discreto che non iudichi essere meglio qualche volta perdere parte della roba che consumare el tempo, e' pensieri, el peculio, le fatiche, solo per ottenere la gara? E massime, chi difende le cose iniuste meriterebbe punizione, però ch'egli offende la iustizia e pecca in più modi, quanto e' rapisce e spoglia con perfidia, e quanto e' perturba quello in che si mantiene la quiete e tranquillità publica.
Agiugni che ancora costui conferma in sé pertinacia a più mai deponere la sua iniquità.
Contro, circa le assidue familiarità e conversazioni civili quale comune s'appellano amicizie, molto bisogna essere curioso e attento a provedere ch'elle molto giovino, nulla rapportino danno.
E' frutti e fermamento delle coniunzioni sono favore, beneficio, buona fiducia, speranza e grata conversazione e beato vivere.
Se dirai che coll'opera si presti favore, e co' doni si benifichi, niuna sarà opera più utile, più accomodata, che esporla in far chi tu ami per te migliore; niuno si trova dono maggiore né pari quanto la virtù.
Per questo si vuol prima eleggere di tutta la multitudine quelli che più sono atti e parati a bene ornare e sé e te di molta virtù: con questi assiduo ragionare, investigare, adoperarsi in cose lodate, onde tuttora diventiate più studiosi, più dotti, più virtuosi.
El solo conversare co' buoni sarà in molta parte ottima essercitazione ad acquistar fama e dignità e grazia, però che tutti iudicheranno che tu sia simile a questi con chi tu assiduo conversi.
E da' buoni tu ricevi utilità molto da volerla e stimarla, però che continuo fra loro l'uno l'altro riceve e dà essemplo, amonimenti, conforti, eccitamenti, aiuto, comutando e porgendo insieme le cose in quali consiste la vita beata, onde quasi a gara diventa per sé ciascuno migliore, e tutti insieme felicissimi.
Chi per suo studio e per opera de' buoni amici sarà felice in sé, a costui che romanerà altrove onde e' possa sperare cosa migliore? Potrà, sì, tanto sperare de essere amato quanto lui amerà altri.
La suavissima conversazione sarà quando tu buono e virtuoso ti sforzerai in ogni modo che io sia simile a te.
Le cose dissimili mai s'adatteranno ad essere bene adiunte insieme.
Chi forse studierà piacere mediante qualche voluttà, diventerà lascivo corruttore di sé e d'altri.
E simile chi con qualche utilità quasi mercaterà la benivolenza tua, costui sarà non amico, ma callido adulatore, e come lui servile in sé, così aesca te a susservire a lui.
Nulla legato con vincolo di sua natura debole e fragile, mai si mantiene più tempo con fermezza.
El dono per sé in quanto dono non genera benivolenza, ma in quanto e' sia segno de amore tanto eccita amicizia.
Giovani, costui vero ama te, quale con summa voluttà usa verso di te quello che si lodi in un buon omo.
Sopra tutto fuggite lungi le conversazioni de' viziosi, lascivi, inetti, voluttuosi malefichi.
Fu usitato in Grecia che legavano el fieno al corno del bue maligno, acciò ch'e' cittadini lo schifassero.
A questi omini pestiferi bisognerebbe che uno salariato publico gridasse dopo loro continuo: «fuggite, o cittadini, fuggite questa contaminazione e pestilenza di questi lascivi scellerati».
Circa questi ragionamenti forse acade ancora quello che molti stiman primo e precipuo ad acquistarsi grazia: fautori.
Non niego e' conviti prestano atto e facile addito a conciliarti salutatori assai.
Lodarotti se tu li farai con modo e ragione a fine solo di provocarti con questa civile familiarità onesti amici.
Voglio ti piaccino fra gl'invitati più que' che sono modesti, gravi, e per qualche loro eccellenza stimati e onorati, che questi petulanti fabulatori di cose vane e lascive.
Raro serà che questi altri dati alle buone arti e dottrine non ascendano col tempo in grado onoratissimo fra' suoi cittadini, onde a te ne risulterà fama e buon successo, arai da loro favore, aiuto, sussidio circa e' tempi tuoi privati e circa le onoranze publiche.
Ripreendono e' savi in tutta la vita e ne' conviti lo error di molti, quali o per pompa, o per altro non bene considerato instituto, eccedeno.
Dicesi che l'uso vero delle ricchezze sta in spendere el danaio in cose necessarie e utili a lui; vero, agiugni ancora, in adoperarle come instrumento a qualche iocundità e piacere onesto.
Quello suntuoso ostentatore le effunde senza modo in cose inutili e superflue, e non gli satis
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