DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 3
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Per l'uno e l'altro di questi sequita perturbazione d'ogni bene.
Nulla dissipa e consuma e' sussidi della vita quanto le voluttuose lascivie.
Dell'ozio mai sequì all'omo cosa degna o non dannosa.
Per l'ozio e negligenza molti perderono onoratissimo luogo tra' suoi cittadini, e fortune e dignità.
Niuna cosa tanto contraria alla vita e condizione dell'omo quanto nulla adoperarsi in qualche cosa onesta.
Non dede la natura all'omo tanta prestanza d'ingegno, intelletto e ragione perché e' marcisse in ozio e desidia.
Nacque l'omo per essere utile a sé, e non meno agli altri.
La prima e propria utilità nostra sarà adoperar le forze dell'animo nostro a virtù, a riconoscere le ragioni e ordine delle cose, e indi venerare e temere Dio.
E questo officio qual presta e riceve l'uno all'altro in vita aiutandosi insieme a' bisogni umani, se tutti vivessimo oziosi, quanta sarebbe miseria essere nati omini! Per l'ozio diventiamo impotenti e vilissimi.
L'arte dovute alla vita s'apparano facendo.
Chi non se adopera per appreendere el suo bisogno, non lo assequisce mai.
Così chi non saprà, non potrà né per sé né per altri.
Daresti voi giovani uno sparviere a chi non lo sapessi adoperare? Anzi come a indegno d'averlo glielo torresti.
Tu ozioso pertanto qual rendi te stesso indegno d'essere appellato omo, chi ti reputerà degno di vita? E in questa inerzia tua duri più fatica con più tedio di te stessi che se tu t'adoperassi in qualche utilità.
Fastìdiati la propria casa; vai per la terra simile a chi sogna baloccando, e consumi el dì perdendo te stessi.
Quanto sarebbe meglio seder fra gli altri a qualche scola imparando virtù, o adoperarti in qualche essercizio degno di te e della famiglia tua.
Niuna arte sarà tanto fra le mercennarie infima, quale in un giovane non sia da preporla a questa vita desidiosa e inerte.
E non fia poco acquisto usarsi a non schifare de essercitarsi.
L'uso di fare qualche cosa c'invita a intrapreendere maggiori faccende.
Non ti succederà d'acquistar pregio e fama con la perizia delle lettere, datti facendo come gli altri ben consigliati, esci di questo covile, pròvati con l'arme in melizia, navica, cerca con qualche industria vivere altrove onorato.
Chi non cerca il ben suo, non lo cura: chi non lo cura, non lo merita.
Questo non mancherà che tu tornerai con qualche cognizione di più cose e notizia di più omini e costumi, saratti onore.
Almeno proccura le semente, e' lavori, le ricolte; piglia piacere de' posticci, nesti, frutti, pecugli, ape, palombi e altre delizie della villa, opere senza invidia, piene di maraviglioso diletto, utili alla sanità, utili a fuggire questa dapocaggine e torpedine in quale niuno buon pensiere vi può capere.
Udite l'oraculo d'Apolline, giovani.
Tu che ora atto ad acquistarti prospera fortuna, ma abandonato non da altri che da te stessi, recusi fare quello che fanno molti di condizione pari o migliore di te e veggonsene lodati, te troverrai vecchio, grave, inutile agli altri ma in prima a te, abbandonato, rifiutato da tutti, pallido pel freddo, vizzo pe' disagi e fame, colle cigle ispide, colla barba setosa, piena di sucidume e fetore, co' panni laceri, muffati, sfidati; e converratti per sustentarti essere simile a' gaglioffi; vedera'ti sfastidito, odioso a tutti e a te stessi.
Non aranno allora in te luogo i ricordi nostri.
Mancheratti ogni cosa; persino le lacrime al gran dolore tuo ti mancheranno.
O miseria! Ehi, miseria sarà la tua miserabile!
Giovani, non dico questo per notare simile mancamento in alcuno di voi.
Dio proibuisca tanta calamità! Anzi mi rallegro, ché spero imprima per vostra propria volontà e bontà a nullo vorrete non molto meritare della virtù vostra.
E forse ancora questi nostri ricordi in qualche parte gioveranno.
Dicea quel savio: «Colui si porge veramente buono quale per sé ama e segue il bene.
Prossimo a questo sarà chi ascolterà e sequirà i buon ricordi e amonimenti d'altrui.
Ultimo, chi né per sé mosso né da altri commosso ed eccitato si perduce in la via lodata, costui resta adietro fra le cose perdute e desperate».
Paulo, l'attenzione di questi giovani e questo aconsentire col fronte e co' gesti alle ragioni nostre credo persuade ancora a te che questi le conoscono vere, e piacciono loro e sono secondo l'animo e intenzione loro.
Adonque essi persevereranno facendo onore a sé e piacere a noi.
PAULO.
Questo oraculo che tu recitasti non si può negare verissimo, senza dubbio verissimo.
Ciascuno di noi qui vide, e oggidì lo vede in più d'uno nati nobili e d'ingegno e d'intelletto da natura non infimi; ma' gl'incontro ch'io non intenerisca.
Duolmi la infelicità loro; ritengonsi d'apparire fra gli altri cittadini, vergognansi chiedere, e' suoi lo schifano, gli altri non lo stimano.
Non posso ricordarmi di tanta indignità loro senza lacrime.
NICCOLÒ.
Questo medesimo repetevo io testé fra me, grande essemplo a chi non lo crede.
E questa colpa io la ascrivo in molta parte a' padri loro, quali mentre che i minori suoi non ardiscono per età recusare l'imperio paterno, sono innoffiziosi e negligenti verso e' figliuoli, né curano adestrarli a qualche industria; vengono crescendo con troppa licenza, e credono che sempre li secondino le cose prospere; in la copia e oppulenza usata errano, ultimo se ne pentono.
BATTISTA.
O venga questo e ne' maggiori e ne' minori da tardezza e lentezza d'animo, che loro pesi la fatica, o da imprudenza o da pravità, sì certo questo cessare e non curare e non adoperarsi nelle cose degne, utili e necessarie, nuoce a' maggiori, nuoce a' minori, nuoce alla sua famiglia, e spesso tutta la republica riceve da simili omini grandissimo detrimento.
Agiugni che questa oziosità e inerzia eccita ne' giovani molti altri detestabili vizi.
Non patisce la natura che l'animo dell'omo stia senza qualche affezione e movimento.
Non hanno in casa né altrove in che essercitarsi con laude e buona grazia; vacui dunque d'ogni bono pensiere, facile s'empieno di voglie vituperose, vanno perscrutando e' detti e fatti altrui, solleciti investigano da' servi, da' noti, da' vicini la vita e costumi d'altri, vogliono intendere ogni tuo domestico secreto, sanno ciò che tu dicesti otto anni fa nell'orecchie a mogliata, ciò che tu sognerai posdomani.
Niuno adulterio, niuno strupo si fa in tutta la terra occulto a loro, tengonne conto, scorron divulgando i malefici altrui, godono essere conosciuti dicaci, maledici, mordacissimi, trovono e giungonsi a' simili a sé; fassi principe, duttore di tutta la caterva el più temerario, audace, insolente, prodigo, profuso; congregansi presso a costui, dove chi è più lascivo, più garulo, più dissoluto, incontinente, insolente, inverecundo, atto a ogni disonesta improbità e maleficio, costui fra loro è el più richiesto.
Niuno atto, niuno detto, niuno fatto se non impudentissimo piace loro.
L'uscio aperto la notte; chi esce, chi entra ognora forse con qualche furto.
Aspettano la cena; bevazzando in cena si caricano di molta crapula, parole stolte, rise inettissime, gesti immodestissimi.
Dopo cena escono di casa ebbri di vino e di certo furore che arde in loro a far qualche cosa scellerata e pazza; errano per la terra dispiacendo e iniuriando qualunque e' possono; ritornano gloriandosi de' malefici loro, e ricenano la seconda volta e perseverano bevendo perfin che 'l bollor del vino gli soppozza nel sonno.
Le bruttezze e scellerataggine lor comesse la notte ivi mi fastidirebbe raccontarle.
Niuno di loro mai vide levare il sole; anzi perduto in quel buio gran parte del dì, quando gli altri industriosi tornano a desinare, questa brigatella ancora sonnefora oppressa dalla crapula d'iersera, voltolansi fra le piume tanto che sono stracchi di iacere, lievansi, e mentre che e' si vestono, pur beono ed empionsi di golosità.
Indi a poco divorano ciò che loro sia posto in mensa con ingluvie pari a bracchi affamati.
Non molto doppo a desinare ancora pur beono; indi a poche ore merendano, anzi desinano un'altra volta e beono.
Che maraviglia se costoro bene inzuppati di mosto fanno e dicono come gli altri ebbri.
Vedili adunque, secondo che questo sarà prono ad ambizione ed elazione, questo altro a lascivia e levità, quell'altro a durezza e malignità, ciascuno segue senza modo el vizio suo.
Disputano di cose oscene o inettissime senza intendere o pensare quel che si dica; niuno tace, tutti latrano a uno impeto e furore; danno risposte alienissime; dicono parole villane; sentesi l'altercazione e convizio loro per tutta la vicinanza; caggiono fra loro le contenzioni di cose vane, vili e abiettissime e massime amatorie.
Quinci temulenti, inconsiderati, precipitosi adoperano fra loro ogni decezione e perfidia, crescono le gare, seguono e' discidi.
Perturbagli la invidia se altri consegue, impazzano se non possono quel che vorrebbono, diventano rattori, ottrettatori, calunniatori, insidiatori, perfidi, e fanno in sé abito d'ogni corruttela.
Obbrobrio della città, meritano essere portati in qualche insula deserta a ciò che tanta peste non vizi gli altri.
E qual di voi non vorrebbe ogni infortunio più tosto che essere simile a uno di questi, in cui cape niun buon pensiere, pieni di perversità, cupidità sfrenata, audacia furiosa, apparecchiata a ogni rapina e violenza? Vita bestiale! Non sequirò annotando alcuni altri vizi pessimi, abominevoli, essecrabili, nati pur da questo voler poco affaticarsi e molto satollarsi: furto, sacrilegio, latrocinio, lenocini, venefici, conducere con fraudolenza e tradimento persone a farli perdere la roba, l'onore, la vita, vendere l'onestà sua e de' suoi.
Simili vizi non posso stimare che mai caggino in alcun ben nato e allevato in famiglia non al tutto abiettissima.
Ma sono alcuni altri errori comuni e quasi familiari alla gioventù, nati da certa voluttà pur degna d'essere moderata, e sono errori per sé atti a perturbare la vita e quiete di chi non vi provedesse.
De' giovani le cure amatorie lasciànle adietro, quando essi ne portano più che dovuta gastigazione e pentimento.
Mai aresti sì capitale inimico a cui tu desiderassi maior tormento che così vederlo al continuo afflitto e perturbato simile a chi ama.
Misero te! Quelle cose per quali tutti gli altri espongono el sudore, el sangue, la vita per consequirle e conservarle, tu le getti, e perdi la roba, la libertà, la tranquillità dell'animo, solo per essere grato, ossequente e subietto a una vile bestiola piena di voglie, sdegno e stizza.
Disse quella a chi la sollecitava: «Aspetta ch'io sia un'altra volta ebbra come io fui quando e tu e io errammo.
Testé ch'io sono sobbria non posso consentirti».
Raro sarà femina impudica qual non sia cupida e incontinente al vino.
Quell'altra rispuose: «Se tu mi volessi bene, non ti crucceresti, non ti dorrebbe vedermi ben voluta da molti altri come da te».
Non che l'altre, ma la moglie propria non veggo io si possa così amare sanza molta parte di pazzia e furore.
Or si godono e' giovani uscire in publico con veste suntuosa, cavagli pieni e tondi, e cose per quale e' superino gli altri di levità e insolenza.
E par loro bella cosa tornare a casa con più compagnia, e sono omini assentatori, e le più volte lecconi e usi scorrere per le case altrui proccurando la cena con qualche buffonia e blando concitamento a riso.
A questi e agli altri mostrano la copia dispersa per tutta la casa, nulla utile a chi viva modesto e sobbrio, suppellettile più a pompa e ostentazione che a necessità, cose tutte esposte a testificare la poca modestia loro e la molta insolenza.
NICCOLÒ.
S'io recitassi quello che testé mi venne in mente, forse sarebbe a proposito.
Ma segui.
Non voglio interrumpere el tuo ragionamento.
BATTISTA.
El proposito nostro si è ragionare di cose utili a questi giovani, come que' che fecero la via qual faranno loro, ricordano e rendano cauti dove siano e' pericoli, e dicono: «Abbi riguardo a tal ponte, non entrare el fiume, non entrare solo la selva, non volgere a man manca, benché quella via paia più frequentata», e simili.
Questa opera dovuta ancor da te sarà utile e grata a questi.
NICCOLÒ.
Io mi ricordo vedere e' cittadini primari della terra nostra, per andare in villa caricavano in qualche soma il letto, stagni e vasi per la cucina, e riportavanle quando e' tornavano alla terra.
Testé qui entro la terra vedi più apparecchio in una sola camera e di più spesa che allora non vedevi in tutta la casa el dì delle nozze.
In villa molto maggiore insania, più e più letti che non bisogna per lui e per tutti e' suoi parenti e noti quando tutti concurressero; la sala, la mensa, tutto parato a imitazione de' massimi prelati.
E queste ville oggi, queste ville e ridotti, anzi colluvione di gente sviata, scola di lascivie, non mi piace.
PAULO.
Questo medesimo pensa' io ancora.
Noi giovani, ricòrdati, vestavamo un solo abito el verno, un altro per gli altri tempi, ed erano panni utili, colori lieti condecenti alla età, verdi, celesti.
Ora qual ignobile artefice sarà che non voglia veste pel verno dupplicata, per la state triplicata, a mezzo tempo quadruplicata, tutto o grana o seta: spese gravi e subito consumate.
E se a queste cose la industria suppeditasse, sarebbono tollerabili, ma dove manca il potere e non si racquieta el volere, cresce la nequizia.
E soleano e' dati alla industria con assiduità sollecitar l'arte sue.
La donna mandava un piccolo vasetto di vino con qualche condimento del pane; desinavano e' maschi in bottega, la donna in casa asciolvea; non conosceano le femmine el vino.
Oggidì qual infimo sarà che non voglia esser pari a' ricchissimi, e la fante, e la tavola posta due volte il dì a uso di conviti solenni? Questo sospirare tuo, Battista, dimostra che a te pari ne duole quanto a noi.
BATTISTA.
Di questi costumi della terra mai accadde a me altrove ragionarne; e sonci come forestiere, raro ci venni e poco ci dimorai.
Circa i fatti publici si potrebbe argumentare qualche pronostico da' costumi privati de' cittadini.
Non dico altro.
Quanto a' nostri qui ragionamenti domestichi s'acconfa, dico, in qualunque famiglia sarà più onorato chi ha che chi sa, e arà più luogo la voglia di pochi che il buon consiglio di molti, e saranno in più stima le cose della fortuna che la virtù, a questa famiglia certo sta dedicata prossima ruina.
Certi altri errori, quanto e' son più puerili, tanto più sono da schifarli a chi desidera avere reputazione e grazia fra' suoi cittadini: essere lezioso, sdegnoso, borioso, linguacciuto, difendere le sue favole con molti periuri e busie, si vogliono emendare.
Precetto antiquo che la donna quale vorrà essere pregiata fuor di casa, sia sorda, muta e cieca, non veggia altro che dove ella metta i piedi, e così per casa, massime a tavola, sempre muta.
Questo perché? Però che le femine di loro natura sono inconsiderate, e raro dicono cose non degne di repreensione, ciò ch'elle odono interpretano a suo modo, e tutto voglionlo emendare, di ciò ch'elle vedono fanno istoria piena di levità, e sino insulse dicono parolacce da beffarle, e raffermano el detto suo con presunzione e arroganza degna di correzione.
Chi adunque non vorrà essere gracchiuola simile alle femminelle, non faccia come loro, né favelli delle cose note a sé senza premeditarvi, né delle ignote senza riguardo.
Amoniscono i savi che mai si parli se non di cose qual meritino esser non taciute.
Questo non potrà ciascuno, massime in età giovinile, ma solo chi con studio e diligenza le investigò e imparolle.
Adonque prima lode e ultimo rimedio a' giovani sarà il tacere.
E giugni a ogni parola, questo perché? Peroché tu credi ch'io non ti creda.
E perché debbo io non crederti, se tu dici il vero? E se tu mi stimi incredulo, che giova darmi occasione di reputarti e mentitore insieme e periuro? Se forse io dicessi: «non ti credo, giura», so ti sdegneresti, e diresti: «sono io omo tale a cui tu non debba credere senza sforzarmi a iuramento?».
Giovani, io ben fanciullo udi' da un grave sacerdote molto vecchio, e quanto ancora io sino a questo dì vi posi mente, e' disse el vero: «Niuno busardo mancò mai che non fusse ladro, traditore o pazzo glorioso simile ad alcuni cacciatori e millantatori».
Chi dice la menzogna, se non è insolente, lo fa o per le cose passate o per quelle che prepara testé pello avenire.
Chi fece il furto sperava poterlo occultare e negare.
E quanti sarebbono ladri ove e' credessero potere negare il furto.
Pell'avenire se costui pensò cose buone, non vedo perché bisogni mentire più che tacere, se non quanto crede per questo giugnermi sproveduto e tradirmi.
Io lodo, giovani, l'attenzione vostra, indizio che le ragioni nostre vi satisfanno.
Piacemi.
PAULO.
E sarebbono da biasimarli, s'e' ragionamenti pe' quali e' riconoscono quel che si conviene, nolli movesse.
BATTISTA.
Sino a qui anotammo alcuni errori familiari a molta parte della gioventù.
Ora sequita che noi esplichiamo certi altri vizi più gravi, dannosi e molesti in tutta la vita, e communi parte a' minori parte a' maggiori d'età, e sono inimici della vera libertà dell'omo, disturbatori d'ogni instituto a chi propuose bene imperare a sé stessi: la ira e la cupidità.
L'ira e lo sdegno si movono quasi pari con uno impeto, e forse raro persevererà l'uno senza l'altro.
Ma el primo incitamento dell'ira par che sia quando tu non hai quello che tu vorresti; e perché ne' giovani le voglie sono più infiammate che ne' vecchi, per questo saranno e' giovani più ardenti e meno rattenuti a crucciarsi.
Lo sdegno pare che insurga quando tu ricevi quello che non ti pare meritare e nollo vorresti.
Onde vedi e' vecchi sdegnati, se furon reietti, schifati, postergati.
Ma donde s'incenda l'ira, e quale ella sia in sé, non disputiamo.
Ciascuno conosce che l'ira si è uno impeto d'animo non obbediente alla ragione, impetuoso a vendicarsi, nocivo a costui in chi e' si move, molesto agli altri con chi e' conversa.
Porgesi l'omo irato colle parole, co' gesti e moti simile a uno ebbro furioso; anzi, vero, più simile a una bestia feroce percossa e incrudelita dice e fa cose, non tanto aliene dalla dignità sua e degne di repreensione, ma spesso aliene d'ogni umanità, e meritano castigazione e grave punizione.
E vediamo in uno adirato molti movimenti terribili, ma insieme vi vediamo molta e molta insania da riderlo e stimarlo vilissimo.
Onde avviene che deposta la contenzione e sedato il furore, niuno sarà che non volesse essere stato più temperato.
E tu riconoscilo in te.
Ti crucciasti mai, che poi non ti pentisse e teco gastigassi il tuo errore? Tu vendesti il servo tuo perché egli era iracundo e molesto agli altri e perturbava la quiete della famiglia.
Fuggi pari tu essere a te stesso nocivo e grave perturbatore.
Vuolsi il tutto dare ogni opera d'escludere e propulsare da noi questa insania.
Saracci questo nulla difficile, se porremo mente a quel che bisogna.
Le contenzioni onde spesso s'infiamma l'iracundo, raro perseverano per cose piccole; nasconsi spesso di cose minime e vili.
Ne' pusillanimi stimare le cose vili viene pur da viltà.
Poco vento move una lieve pagliuccia.
Così poco incitamento commove l'animo vacuo e leggiere.
L'omo grave, pieno di prudenza e consiglio, pensa alle cose grandi con maturità, stima nulla le non grandi, iudica delle cose buone con ragione, no' gli paiono buone se non quelle onde e' sia migliore, cerca le cose oneste con perseveranza, stima nulla quanto la virtù, duo'gli solo quelle cose per quale e' senta alcuni fatti men buoni.
E dicesi che il savio non ha fele.
E noi tanto siamo teneri allo sdegno e sì precipiti all'ira, che se un catellino abbaia, rompiàno a cruccio.
Conviensi e contro a' vizi racconti di sopra, contro la voluttà, e massime contro a questa ira imparare vincere sé stessi.
Né possiamo imparare se non vincendo, né vincere se non dove sia proposta occasione che ti bisogni certare; e vinceremo, se affermeremo in noi nell'animo nostro proposito d'essere simili a' savi.
Apparecchiànci per questo sul primo insulto della offensione a essere in ogni cosa contrario a chi si cruccia.
In lui fulmina lo sguardo, le ciglia, el fronte e tutto el viso si perturba, getta le mani, non cape in sé né in quel luogo dove e' si trova.
Tu contro asserena la faccia tua, componti tutto a mansuetudine, contienti a dignità, porgi gravità.
Lui versa un diluvio di parole superbe con voce e spirito simile a una cagna mordace.
Tu contro racquieta in te la voce, modera le risposte, cura più quello che sia onesto a te, che quello che sia disonesto a lui.
Ma molti sono malconsiderati e dicono: «Patirò io che uno abiettissimo omo faccia sì poca stima di me?».
E che farai adunque? Se qualche mal costumato rispose, come egli usa rispondere agli altri, parole condegne a sé, tu replicherai a lui parole non degne a te, e spesso più da biasimar le tue che le sue.
Chi ripreende un maldetto con un altro maldetto, repreende sé stessi.
Le parole d'un savio simili alle gemme, qual ben consigliato le commutasse contro un gran cumulo di sassi lutosi? Dovrei io ringraziare costui quale mi porge materia di assuefarmi e adoperarmi in essere e parere modesto e grave.
Niuna cosa spegne l'ira in te e in chi ti sia infesto, quanto el tacer tuo.
Come al foco il vento, così le iterate risposte sono incitamento dell'ira.
Qualunque cosa farà e dirà, sia chi vuole, perché ti dolga, quando in te quel che vorrebbe non seguirà, in lui ritornerà il dolore duplicato, e sarà bello usurpare a te questa gloria d'essere il primo quale o con dolce risposta o tacendo spense la contenzione.
Usufrutta questo gaudio in te: dilettiti averlo superato di modestia, e così vincendo spesso diventeremo insuperabili.
E gioveracci in le cose minori assuefarci per meglio potere poi moderarci in le più gravi.
Tornasti a casa, truovi la donna rissosa; vincila de umanità, revocala con facilità.
Compensa in te il frutto che tu aspetti da lei, che ella ti facci padre.
El resto atribuiscilo alla natura loro.
Chi fuga da sé e' movimenti dell'ira sua, in molta parte attuta quella dell'avversario.
Vedi e' servi negligenti: perderono, guastorono.
Stimali quello che e' sono.
Tu non comperasti il servo per avere un filosofo.
E simile i famigli, se non fussero omini inerti e gulosi, non patirebbono essere servili.
Cura che non pecchino per l'avenire, più che renderli gastigati per quello che fu fatto.
La punizione non restituisce quel che manca.
E per emendarli che faccino l'officio loro, sarà utile non meno mostrarli con umanità la ragione e modo onde e' non pecchi più, che castigarli con severità.
E dobbiamo ricordarci che a noi e' servi sono non però da nulla stimarli.
L'opera loro lieva a noi molte fatiche.
Dove i servi non fussero, faremmo noi molte cose tediose e ingrate.
Pertanto ben disse colui: «e' servi sono a noi umili amici».
E con questi domestici sarà bello essercitarci contro alla infestazione dell'ira, però che la contenzione tua verso di loro non è per lo onore, né per alcuna invidia.
Sono impotenti e infimi, e non ti sarà danno ossecundarli, e sarà utile a te, benché 'l servo tuo restasse forse men buono, se tu diventerai migliore.
Ultimo, non mancherà per questo che posdomani tu non lo possa punire senza ira, e lui con qualche altro nuovo errore te lo ramenterà.
Ma le più volte avviene che la facilità del padrone rende i servi trattevoli e amorevoli, e dove sarà l'amore, sarà lo studio di far cosa che ti piaccia.
Molti negligenti non meno che iracundi si dimenticano mostrarsi osservatori de' costumi de' suoi.
Spenta quella prima vampa del coruccio, non perdere la dignità tua per negligenza.
Castiga l'errore de' tuoi quando altro non giova, e questo non solo dove egli errino, ma e dove e' mostrino di volere errare.
Ma non errar tu in te, né anche in loro vinto da ira.
Da questa domestica essercitazione, quasi come da un preludio, bene instrutti e apparecchiati, potremo uscire a maior certame e palestra più grave, della quale diremo a luogo suo.
La cupidità viene da grande imprudenza, ed érravisi in due modi.
El primo si è ch'io stimo il danaio più che non merita, e per questo lo desidero troppo, e troppo lo cerco e sequito.
L'altro errore si è che io non lo so adoperare in quello a cui fine e' fu trovato, e per questo lo tengo troppo inchiuso e constretto.
Dimmi, Paulo, chi domandassi uno de' vostri cittadini togati su in senato: «Chi chiami tu ricco?», che risponderebb'egli?
PAULO.
Credo risponderebbe costui è ricco quale ha molti danari, e così forse qui crede Niccolò.
NICCOLÒ.
E chi ne dubita?
BATTISTA.
Costui qual facessi questa risposta si ravedrebbe quando io lo ridomandassi: «Dimmi, quanto oro basterà ch'io possa dire: questi sono que' molti che ti faranno ricco?».
Fu chi disse, solo colui sarà ricco quale arà danari da satisfare a' bisogni suoi, alle voglie sue qualunque elle siano, da prestarne, donarne, gittarne, nasconderne, smarrirne, perderne senza sentire el mancamento.
Pazza risposta! Due affetti c'impose la condizione umana: l'uno per satisfare al corpo.
Atto strumento a questo furon trovati e' danari.
L'ardente desiderio e affezione al danaio si chiama avidità.
L'altra affezione fu per satisfare all'animo, qual sempre desidera essere più pieno di sapienza.
Se l'animo non fusse in tutto vacuo di quello che si li richiede, all'omo circa il corpo basterebbon poche cose, però ch'egli s'auserebbe vivere col poco, e a chi basta il poco, a costui avanza molte cose qual mancano agli altri non moderati.
L'uno di questi due affetti, cioè la cupidità, o venga dalla corruttela del vivere, o dalla diffidenza e innata sua paura che no' gli manchi, o da stultizia per essere in questa cosa caduca più abbiente che no' gli giova, questa cupidità, dico, si vede che sempre cresce.
L'altro affetto di sua natura non può avere fine, però che le cose quale per sé ciascun di noi non sa, e sono belle e utili e degne e necessarie alla perfezion dell'omo, e pertanto richieste dalla natura, sono infinite.
Adonque all'omo in questa parte niuna quantità mai satisfarebbe.
Ma vedete voi se questa mia fussi atta risposta.
Dico che colui qual io chiamerò ricco, in tutto sarà contrario al povero.
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Colui è povero a cui mancano le cose atte a vivere bene, e più povero colui a cui mancano le cose necessarie secondo quello si richiede all'omo.
NICCOLÒ.
Piace.
BATTISTA.
Se così è, colui sarà più ricco che gli altri, a cui suppediteranno le cose migliori in tutta la vita.
Le ricchezze sopra modo acumulate sono più gravi e moleste che la povertà ben moderata.
El più delle volte le ricchezze venute senza virtù furon pestifere, e raro vedesti tiranno a congregar pecunia che fusse omo bono.
La cupidità de arricchire fa gli omini violenti.
Dicesi che l'omo ignorante sempre fu la più dura cosa, e fra gli altri el peggio trattevole animale che sia.
Summa ignoranza sapere lodare altro nulla che la pecunia.
La vera ricchezza, giovini, sta in essere copioso di cose buone; e quelle sono ottime quali fanno l'omo ottimo, e non li possono essere tolte da persona.
Questa sarà la virtù, figliuoli, la bontà, la sapienza.
Quale omo non al tutto senza mente non recusasse, non dico essere, ma solo parere ignorante, senza niuna virtù e scellerato? Qual premio sì grande vi sarebbe preposto a quel fine che voi non lo recusassi? E pur vedete in quel cupido, tanto può la sua imprudenza e summa stultizia, che egli pospone ogni cosa al guadagno; improbità da castigarla! Chi vendessi il figliuolo per danari sarebbe scellerato.
Sì.
L'omo cupido vende sé stessi, la fama sua, spesso per minor pregio che non gli costò l'asino.
Ove troverrai tu omo più duro che questo quale non sa vivere almen co' suoi.
Quasi tutte le quotidiane controversie fra coniunti in le famiglie vengono da questa cupidità.
Lo stimare e desiderare cose superflue e a sé più tosto gravi che utili, mai caderà in un savio e prudente.
Qualunque cosa io non saprò adoperare, quella a me sarà superflua.
Non sarà adonque senza stultizia desiderare e con tanta industria cercare quello ch'io né sappia né voglia adoperare.
El cupido avaro omo non conosce a che siano utili le ricchezze.
Se le conoscesse, non perderebbe tanto frutto quanto ricoglie chi ben l'adopera.
Disse colui: «desidero d'essere ricco solo per murare e donare».
Degna risposta.
Acquistasi col benificare mediante el danaio amici e fama.
E costui, non che e' non benefichi agli altri, ma e' frauda sé stessi, e ripolle forse per adoperarle altrove in bisogni forse minori che questi presenti, e questo non è senza insania, soffrire testé disagio in cose certe sotto espettazione delle incerte.
E se pur così fusse, arebbe men biasimo.
Ma l'avaro le ripone solo per averle a custodire dalle mani de' furoni.
Molestia laboriosa e dannosa el non por modo alla cupidità di quello che non vuole usufruttarlo! Diremo noi che sia altro che solo uno gareggiare stolto contro a sé stessi?
E scusansi quasi come fusse licito essere rapace pe' figliuoli.
Non vi credo, padri: non credo che i vostri figliuoli tanto vi siano cari, quando di quel che gioverebbe e bisogna loro, voi non avete alcuna cura.
Studiate, padri, che i vostri siano modesti, e sappino quanto sia da posponere el danaro alla virtù, e in che modo a noi mortali la vera ricchezza venga altronde che dalla fortuna.
E in questo dovresti spendere tutto el patrimonio, ed esporvi tutte le sollecitudini e fatiche vostre, che a' vostri non mancassero e' ricordi e instruzioni vostre e degli altri ottimi precettori.
E' non sarà poco, s'tu lascerai loro quello che fa ricchi gli altri, la industria e buoni costumi.
Gli omini dati al guadagno, quanto e' saranno più modesti, tanto aranno più favore e indi più frutto e più utilità.
E prossime, quello che molto gioverà, lasciate loro copia d'amici sotto la protezione de' quali e' siano ben retti.
Pazzia troppo dannosa lasciare più letigi a' suoi che beni ereditari! Voglio, sì, che il tuo sia tuo, ma quanto all'uso e liberalità, sia pari de' tuoi, presertim buoni.
E' buoni meritano ricevere bene e dagli altri e imprima da' buoni simili a te; e l'officio dell'omo buono sarà sempre far pur bene.
Ma che fo io? Quasi come io qui a te, Niccolò, e a te, Paulo, omini maturi e prudentissimi e padri di molti costumatissimi figliuoli, volessi insegnare con che riguardi e con che instituti si regga la famiglia.
E raveggomi uscito del nostro proposito.
NICCOLÒ.
Non così; anzi, come tu dicevi testé, così pare a me: ciò che si dice utile a questi giovani in tutta la vita fa molto a proposito e tuo e nostro, quali tutti vorremmo vederli felicissimi.
E quanto io, Paulo, confermo el detto suo: certo e' padri debbono avere gran cura di fare i suoi virtuosi.
Questo si vede, che la virtù d'uno omo solo spesso rende beata una terra, non che una famiglia.
PAULO.
Verissimo, Niccolò, quello che Battista e tu dici.
E io, come tu sai, sempre curai ch'e' miei fussero molto morigerati.
Ma forse e' pensieri di molti padri sono questi: «né posso fare a costui la persona maggiore che gli conceda la natura, né immettervi bontà e dottrina se non quanto agradi a lui: questo sussidio delle mie fortune molto necessario alla vita posso io accumulare e lasciare loro, e debbo».
BATTISTA.
Non neghiam questo, Paulo, che la cura, diligenza, assiduità de' buoni precettori rende a miglior grado le menti giovanili tènere e atte a ogni impressione.
E vedesi quanto e' giovani, cresciuti sotto la reverenza de' padri circunspetti e gravi, siano poi omini differenti da questi quali crebbero senza freno e buon consiglio.
Ma torniamo.
Noi espurgammo da quella parte dell'animo in quale abitano le perturbazioni, alcuni errori e vizi molto nocui, massime a chi propose essere principe e moderatore di sé stessi, e prossime superiore al numero degli altri.
Ora procederemo esplicando ricordi de' nostri maggiori, omini sapientissimi, pe' quali la parte dell'animo retta dalla ragione sia ben culta e bene ornata, senza qual cosa, come più chiaro vederete, non possiamo assequire quanto desideriamo.
Acconsentimmo noi nel discurso fatto di sopra, che il vero principato stava in essere per virtù e buoni costumi e cognizione di cose degne, superiore al numero degli altri?
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Qual di queste sia più facile ad asseguirla, più utile a colui in chi ella sia, più accommodata alla nostra investigazione, sarebbe lungo qui a me e non pronto el diffinirlo.
Pur noi vediamo rari omini periti e dotti, quali non siano a' primi luoghi con dignità richiesti e preposti agli altri; e per questo forse molti iudicherebbono ch'el primo nostro officio sia dedicarci agli studi e cognizione delle dottrine, a quale opera iudicano e' savi che l'omo sia atto, nato, e da natura pronto, e dicono quello che non possono negare ancora que' che sono meno intelligenti: l'uomo nacque non per essere simile a una bestia, ma in prima per adoperarsi in quelle cose quale sono proprie all'omo.
Comune a tutti gli animali e insieme all'omo sta el vivere, el moversi e sentire e appetere le cose buone e accomodate alla conservazione della spezie sua, e fuggire le contrarie.
All'omo resta proprio suo fra' mortali lo investigar le cagioni delle cose, ed essaminare quanto sia questo che ora li occorre simile al vero, e cognoscere quanto e' movimenti suoi siano da reputarli boni.
Questo non è altro che solo adoperarsi in quelle facultà onde s'acquisti dottrina.
Ma di questo ne lascerò il giudizio a voi.
PAULO.
E' litterati, vero, certo sono molto stimati quando e' sono eccellenti, ma questo grado non l'acquista sempre ciascuno sanza molta fatica e difficultà ben grande.
Non siamo per ingegno tutti atti alla dottrina, e senza la buona disposizione del corpo e senza le suvvenzioni della fortuna mal si può dare opera quanta si richiede a simili studi.
BATTISTA.
Concedere'ti in parte che le fortune siano commode agli studi quanto tu stimi, s'io non vedessi fra gli studiosi acquistar dottrina men numero di que' che sono più ricchi che di que' che sono men fortunati.
E simile assenterei che la imbecillità del corpo disturba questa opera, s'io non vedessi che tutte l'altre cose per età mancano all'omo: solo le forse dello intelletto persino all'ultima imbecillità della vecchiezza tuttora fioriscono e inverdiscono.
Che ci bisogni fatica, tutto el contrario.
El nostro ingegno, cosa in molta parte divina, non patisce violente servitù.
Le fatiche hanno in sé violenza.
Qui solo si richiede affezione, diligenza e perseveranza; e spesso in lo studio la diligenza val più che l'ingegno, e quasi sempre la perseveranza farà più che la veemenza e impeto non attemperato.
E troverrete in questo studio delle dottrine che 'l moderato adoperarsi segue ogni dì più pieno di maravigliose voluttà.
L'animo nostro si pasce della investigazione e aprensione delle cose degne; e quando ben vi fusse qualche fatica, niuna cosa si fa in vita sì facile ch'ella non sia laboriosa a chi ella non piace.
Così niuna delle cose degne sarà tanto laboriosa qual non sia con voluttà a chi la tratti con desiderio d'assequirla.
Voi giovani alle cacce e altrove soffristi freddo, fame, sete, durasti fatica molte e molte ore, sudasti e vegghiasti.
O beato a voi, se voi ponessi pari studio e pari diligenza presso a dotti in apreendere le cose di più pregio! E quanto frutto assequiresti, quanto contentamento! Non si può descrivere né stimare il piacere qual seque a chi cerca presso a' dotti le ragioni e cagioni delle cose; e vedersi per questa opera fare da ogni parte più esculto, non è dubbio, supera tutte l'altre felicità qual possa l'omo avere in vita.
Che più? Il mercatante per acquistar qualche pecuglio espone la vita sua a molti e grandissimi pericoli, soffre in mare e in terra dure e lunghe fatiche e molti disagi, e noi altri recusiamo vigilar qualche ora della notte per essere poi lume agli altri omini! E recuseremo de adoperarci in quello che rende maraviglioso frutto alle fatiche nostre.
E certo sarà maiore el frutto nostro a noi che il suo a qualunque altri si trovi altrove.
Ed ecci palese questa differenza, che le ricchezze e 'l poter più che gli altri nelle cose della fortuna, mai fecero più savio alcuno.
E' dotti acquistano a sé pecunia quanta e' vogliono.
Sono riceuti da fortunati principi, e ricev
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