DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 10
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In quella che cerca la verità bisogna sapienza e prudenza: in quella che regge la republica bisogna circunspezione e fermezza e grandezza d'animo: in questa civile bisogna costume.
Ma el sommo e supremo ornamento di tutta la eloquenza si è la bontà e verità.
Saranno adunque i nostri ragionamenti fra gli amici festivi, iocosi, senza levità o scurrilità.
Chiamo scurri questi, quali per far ridere altri, e pur che cinguettino, non perdonano a persona, neanche a sé.
E saranno e' nostri ragionamenti apresso gli omini gravi e maturi ben pesati, severi, senza ostentazione o superstizione.
Molti per volere parere filosofi, masticando le parole e porgendole con certa inetta gravità piena de insolenza, furono dileggiati.
Simili superstizioni fastidiano in modo che spesso niuno ascolta le parole loro, benché elle siano per altro ben dette.
Sia el favellar vostro libero, espedito; e arete a cominciare e' ragionamenti qualche adattezza e ragione non abrutta, fuor di proposito, e inconsiderata, ma dedutta da qualche principio, o necessario quivi, o molto accetto a chi udirà.
E simile arete al finirli modo, e darete luogo agli altri non con ostinata taciturnità, - non voglio per levare un vizio che tu entri in un contrario vizio, - ma come chi giuoca alla palla a vicende, quando mandarla, quando aspettarla.
E nel processo del favellare conviensi mai affermare cosa quale a te non sia ben nota e certissima, e sarà più senno tacere le cose non verisimili, che bello persuadere le cose incredibili.
E se pure accade referire qualche maraviglia, bisogna esporla non come detta per voluttà di favellare, ma come indutta quasi da necessità e ordine a quello che si ragionava.
E insieme niuna vostra parola o cenno mai s'adirizzerà a biasimare altrui per inimico che vi sia, e sarà mai circunflessa a lodar voi stessi.
L'oraculo d'Appolline, a chi domandò in che modo e' potessi fare che molti dicessero ben di lui, rispose: «Va, di' tu ben di tutti».
Così voi, e ragionerete delle cose familiari e domestice, delle lettere, perizie, dottrine e arti buone, delle facultà che apartengono allo ingegno, della republica.
E sarà el disputar vostro per trovare il vero, non per difendere la sentenza conceputa con ostinazione.
E a ogni risposta osserverete modestia.
Niuna pertinacia o iterazione rissosa o superflua loquacità.
E la voce e gesti siano accommodati e castigati, e con molta dimostrazione che voi amate e reverite chi favella con voi.
E nulla vi sarà grave se forse sarete interrutti; e daravvi occasione di non dire più, quando in sé il narrare di sua natura non è per dare piacere a te, ma per satisfare a chi v'ode.
El favellare dà sete, el tacere no.
Questo basti quanto m'occorse a mente circa i ragionamenti civili, familiari, e usitati ne' circuli fra gli altri cittadini.
Non so se io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ.
Tutti e' tuoi ragionamenti oggi sino qui molto mi dilettorono, ma questi ultimi furono accommodati.
E se non fusse per non preterire e' ricordi tuoi, io forse a questo proposito nominarei qualche uno in questa parte molto degno di repreensione.
Sempre si contrapone, disputa di ciò che si ragiona, e ardisce preferirsi a' dottissimi e peritissimi diffinendo la causa come solo pare a lui, e spesso afferma cose ignotissime a lui, e ostinato nella sentenza sua persevera continuare, e indomito contra la ragione getta le mani, alza la voce, e quando mancano argumenti, adopera le contumelie.
PAULO.
Non più vero! Ma quell'altro suo vicino forse non è meno odioso: quando porge una ammirazione piena di stupore artificioso a quello che tu dici, quando monstra dubitare quello che lui certo sa, quando conferma e loda in chi favella quello che sente forse di levità e con poco sale, quando interroga per farti versare parole non corrette, quando interrumpe la risposta di quello che lui domandò, quando nega quello che sia evidente solo per sdegnarti, e a questo porge un ghigno, a quello tenta el piè, a quell'altro sommove il gomito, e in molti modi instiga che tutti beffino chi favella, e spesso rompe in riso pieno di villania.
NICCOLÒ.
Battista soghigna e move il capo.
Forse conosce ambo costoro.
BATTISTA.
Non conosco questi vostri qui, ma io forse ne vidi altrove simili non pochissimi.
Questo dileggiare in presenza e dir male in assenza de' noti e ignoti, degni e indegni, sempre fu comune costume d'alcuni oziosi o nati ricchi o pasciuti non della cucina sua.
Raro che un ricco non allevato con ottima disciplina e buona riverenza de' maggiori non senta dello insolente e molto del temerario.
Dicono ch'el pan d'altri fa ingrassare.
Credolo, però ch'egli empie l'omo di lascivia e molta indiscrezione, e non cape in sé.
E quelli risi immoderati, e quella inconsiderata audacia e temulenza del favellare con simili gesticulazioni, in loro non può essere altronde che da summa pazzia.
Brutto costume, giovani! La ricchezza e quella che 'l volgo chiama nobilità furono cacciate di cielo, però che come elle fanno qui tra noi, questa stima poter ciò ch'ella vuole, quella crede meritare ogni cosa, così lassù elle perturbavano el cielo; niuno le potea sofferire.
La nobilità del luogo pende dalla riputazione de' passati; la vera tua nobilità nacque in te colla virtù non altronde che solo da te, e non riceve da chi si sia, ma ben darà per te riputazione a que' che verranno.
Questa vera nobilità non patisce che tu sia inetto lodando te stessi; non patisce che tu sia procace vituperando gli altri, né patirà che tu sia protervo dileggiando persona, o garulo contraponendoti a' detti di chi non erra, o in modo alcuno lieve porgendo di te fastidio e tedio per acquistarti malgrado e odio.
E potre' io aggiungere a questi alcuni altri molto dannosi, de' quali sono piene le case de' fortunati.
Hau, nocivi animali! L'avoltoio, si dice, divora e' corpi morti: questi consumano e' vivi a' quali essi aggiunsero sé con biandizie e assentazione.
Ma scludiamo da' nostri ragionamenti omai questa spurcizie di simili omini fedissimi, acciò che la reverenza e religione de' buoni costumi non sia contaminata e polluta in alcun modo dalla oscenità e fastidio loro.
Dicemmo quanto circa el porgere le parole si debba all'omo ben costumato.
Sequitano le operazioni.
Delle operazioni nostre alcune sono solo a noi, e non con altri essequite che per noi soli: come dare opera agli studi delle lettere, alla perizia delle buone arti e investigazione di cose degne, o ancora pingere e fingere concerti, o componere qualche dimensione e finizione di qualche tempio, o scrivere qualche poema, qualche istoria; e queste e simili chiamiànle private operazioni.
In alcune operazioni convengono gli altri, e in queste tu adoperi te forse come primo duttore e direttor della cosa, simile al prefetto dello essercito in milizie, quale per sé solo non può assequire el fine della operazione senza l'altra sua multitudine armata; e queste si chiamino publiche operazioni.
O forse adoperi te come ministro e quasi instrumento, simile a un di quegli armati quali con gli altri sì, ma per sé solo nulla potrebbono ivi quanto bisogna a quella espedizione e vittoria; e queste nominiàlle comuni operazioni.
El fine e quasi segno diterminato dove s'addirizzino le tue operazioni private, sarà per essere felice, e delle communi sarà per acquistar buon nome e grazia; e delle publiche el fin loro sarà importare, augumentare, conservare salute, dignità e amplitudine a' tuoi e alla tua republica.
Ma il fine dovuto in te a tutte queste cose sarà fama immortale e gloria.
Molti savi antiqui dissero che essere felice non è altro che solo vivere lieto col far bene.
E se tutta la nostra vita si contiene in certo successo del nostro adoperarci, certo tanto sarà adoperarci bene quanto vivere bene.
Gli uomini oziosi sono simili a chi dorme: né vivi quasi, né in tutto morti.
Que' che s'adoperano in cose scellerate e odiose, mai saranno per questo altro che miseri e infelicissimi.
E possiamo dire a questo proposito che in mare non navica chi iace e dorme supino, senza cura, senza governo; ma costui navica el quale adestra le tele, adopera il remo, dirizza la nave in porto.
Così non sarà vita in noi l'alitare solo aspettando la sera, e lasciarsi in abandono errar l'animo suo in servitù del corpo; ma sarà vita in noi lo adoperarsi continuo, e sarà vita ottima bene adoperarsi in cose ottime.
Quinci consequirai quello che si dice essere proprio della vera felicità, cioè tranquillità e quiete d'animo lieto, libero e contento di sé stessi; e insieme assequirai buon nome, favore e grazia, e più per te a' tuoi succederà quanto egli sperano e aspettan da' buoni cittadini, utile publico e onestamento della patria.
Né ti chiamerò bene operoso se tu consumerai tutto il dì allo sparviere, a' cani, alle reti e simili.
Simile occupazioni sono trastulli fanciulleschi, concessi qualche ora agli omini gravi per recreare l'animo in aere libero e luoghi amenissimi, e raffermarsi a buona valitudine movendo ed essercitando el corpo.
Al tutto dicarsi a faccende non degne non si conviene.
E sarà il nostro proposito non simile a questo qui per riuscire principe fra' cacciatori e pescatori; ma sarà nostro officio contendere a meritare onorato luogo fra' primi ottimi cittadini.
A tanta eccellenza perviene mai persona con opere vili e studi non degnissimi.
Se da noi l'officio di chi ben vive chiede continuo adoperarsi, convienci in prima escludere e fugare le cose contrarie a questo adoperarsi.
Contrario allo adoperarsi massimo è l'ozio.
Prossima all'oziosità sussegue la vita voluttuosa.
Molti reputano summa voluttà el vivere senza faccende, senza pensiere; summa felicità bisognarli far nulla.
Errano.
Dicemmo e dell'ozio e della voluttà ne' ragionamenti di sopra, ma quel che bisognava continuo provedervi, non è superfluo spesso ricordarlo.
L'ozio se ne porta i giorni utili, e lascia nell'animo uno uso d'essere inutile a ogni cosa e nulla curar sé stessi pieno di perpetuo e irrecuperabile pentimento.
O duro e acerbo riprenditore della vita passata, giovani, el pentimento! El pentirsi, pensatevi, vederete ch'egli è spezie d'odio contro a te stessi.
Dall'ozio, adonque, segue oltre agli altri seco innati mali, odio contro a te stessi.
E sarebbe meglio essere una statua figurata simile all'omo, che ozioso simile a un tronco fatto in forma d'omo.
A veder quella statua ti piacerà lo 'ngegno e artificio di chi la figurò.
Questo ozioso, come può piacere a te quando lui a sé stessi è fastidioso e odioso? El pescatore, el mercante e simili, se torna senza preda e guadagno, di nulla tanto si duole quanto del tempo perduto.
Tu studioso, tu nato a essere fra' tuoi cittadini quanto tu desideri omo onorato e primario, non commettere per tua desidia e negligenza che ti bisogni dolerti e dire: oggi imparai nulla, oggi acquistai niuna bona grazia, oggi non dedi opera utile ad alcuno amico, né feci cosa qual giovi a me.
E non sarà men perduto né men da vituperare chi pone ogni suo studio solo in vivere delicatissimo, sazio d'ogni voluttà.
Non mi negate che potere adattarsi a ogni cibo e contentarsi di qualunque apparecchio delle cose ha in sé molta libertà.
Così, contro, non potere senza nausea patire le minime offese di quel che a te paia non ben lauto e ben condimentato, sarà all'omo dura servitù, e sarà spezie d'infirmità iunta con fastidiosa leziosità e pazzia.
E certo e' dicono el vero, ch'egli è men male errar per stultizia e furor di mente che per delicatezza e lascivia.
In quella tu accusi forse la imbecillità della natura in chi erra: in questa tu vituperi solo costui qual pecca contro a quel che da lui richiede la natura, e debbasi a' buon costumi.
Agiugni, - udite, giovani, - chi cerca da te il suo bisogno, in questo sarà tuo subietto e servo.
Così tu, contro, sarai servo del cuoco tuo e di quell'altro vilissimo ministro altrove delle tue voluttà, quando in lui stia el satisfarti in quello che tu tanto ami e cerchi con tanta opera e avidità.
Seperiamo, adonque, l'ozio da noi, fuggendolo e cacciandolo con qualche assiduo essercizio.
La voluttà gioverà non sempre fuggirla.
Sarà forse più sicuro fuggir l'insidie dello inimico, ma certo sarà più fortezza el superarlo.
Così nelle voluttà, chi sempre le fugge, né mai ardisce trovarsi dove e' provi quanto e' puote e vale, ma come male armato si ritiene e teme troppo el suo pericolo, non acquista laude quanto chi presente vince contrastando.
E iterum dico, superar quello che supera molti altri, porta singular gloria.
Vincesi con la constanza e continenza.
La constanza sente quel suave che porge la voluttà, ma resiste colla sobrietà e collo astenersi, né si lascia muovere da quel proposito e stato virtuoso.
La buona continenza e vera temperanza, assuefatta a nulla desiderare quello che mancasse circa le voluttà, e confirmata in modo ch'ella non si lascia commovere alle illecebre e lusinghe delle cose voluttuose, vince e supera, e gode essere in questo insuperabile e sempre vincitore.
Fugaremo, adonque, l'ozio, e vinceremo la voluttà.
Per ben potere questo, quando l'instituto nostro sia per assimigliarci a' virtuosi e ben costumati, sarà utilissima opera por ben mente a riconoscere noi stessi.
Detestabile miseria stimarsi non misero quando e' fia simile a' miseri! Fra' mortali niuno si trova più misero che 'l vizioso.
Adonque, bisogna dar modo, se alcun vizio forse latita in noi, che sia ogni dì minore, o almen meno noto agli altri; e se v'è qualche sintilla di virtù, ch'ella accresca tuttora eccitandola.
Se si potesse, mai si vorrebbe restar d'adoperar l'ingegno.
L'opere dello ingegno e intelletto hanno in sé molta parte di divinità, né sono la notte in ombra minori che il dì col sole: sempre occorreno e segueno pronte quanto la ragion le chiede.
Almeno quel tempo che ti concedono l'altre cure e opere necessarie alla vita, sarà con grande emolumento usurparlo e adoperarlo in quello che in te può l'ingegno tuo.
Niuna cosa più atta, più conveniente ad acquistar virtù e buoni costumi, quanto assiduo leggere dotti scrittori antiqui.
Tu ascolti con voluttà chi ragiona spesso di cose frivole e di niun pregio.
Da costui, con chi tu ragioni leggendo, udirai continuo cose rare, degne, escogitate, emendate, iocunde, utili; e spesso ti dirà cose molto necessarie a te, qual tu mai udisti da' tuoi maggiori e precettori, onde tu poi ne sarai tutto il resto della vita tua più culto, più onorato, più beato.
Un vostro noto e amato da voi, benché assiduo occupato a cose degne e rare, mai lo vediate ora del dì ozioso, pur per vendicarsi più frutto del viver suo e del tempo, ogni sera, prima che si colchi, tanto legge mezzo spogliato qualche storia o qualche poeta, quanto arde certa candela di cera diputato a quello studio.
E' Pittagorici filosofi soleano, prima che dormissero, componere la mente sua a quiete con qualche armonia musica.
Non è men iocunda né men suave questa nostra lezione a costui, che fusse a coloro quel suono musico; ma questa resta più utile.
Quelli dormeno senza agitazion di mente col sonno profondo e quieto: questo ancora dormendo agita in sé cose onestissime e utilissime al vivere, e pertanto più vive, e spesso dormendo come più soluto, meno distratto vede cose degnissime quali e' molto cercò prima vigilando.
Mai quanto sia in noi si vuole restare d'adoperarsi collo ingegno, colla memoria, collo studio, con dar di te commodità, essemplo, utilità a que' che sono, a que' che verranno.
E bisogna aversi persuaso e al tutto confirmato in animo che ogni tempo sia perduto eccetto quello qual tu adoperi in farti migliore, più dotto, più grato, più utile agli altri, con più virtù.
La virtù non è altro che summa e supprema bontà: el desiderio d'essere virtuoso importa in noi vera bontà.
Questo medesimo studio sarà quello che ti renderà ottimo e felicissimo.
Ma perché sempre non si può essercitare lo ingegno, non biasimaremo però chi forse darà opera a qualche cosa grata a sé e onesta qualche volta, come forse fabricare qualche instrumento matematico, componere qualche macchina utile alla republica nelle espedizione campestre, in mare, e simili, o essercitarsi coll'arme, pure che tu adoperi questo dì in qualche cosa lodata o almeno nulla biasimata.
Insumma, circa queste nostre operazione private e' savi dedero alcuni ricordi molto utili: dissero che sempre si preponessero le cose più degne alle men degne; mai si posponessero le cose più necessarie alle men necessarie; e nulla più grato e utile che fosse, mai si stimasse quanto la onestà.
La onestà dobbiamo amarla, l'utile non lo perdere; alla necessità mal si può non ottemperarli.
Qual siano le cose necessarie, le dimostra la ragione del vivere.
Non troverrete che alcuna cosa sia necessaria qual non sia utile a quel suo fine; e quel fine, qual non abbia in sé onestà, non può essere all'omo prudente mai utile o da volerlo.
Chi per cupidità d'imparare quello che non sa, abandonasse il padre e gli altri suoi impotenti e destituti, sarebbe impio, inumano.
L'omo nacque per essere utile all'omo.
E tante arte fra gli omini a che sono? Solo per servire agli omini.
E biasimarebbono e' savi chi ponesse nelle cose poco necessarie e molto faticose tempo, studio e assiduità, come chi con assidua meditazione e lunghe vigilie, ostinato al tutto e pervicace, volesse intendere certi tardissimi moti del cielo non ancora ben conosciuti, o volesse pure esplicare con certo numero la vera quadratura del circulo.
E molto più biasimerebbero chi ponesse ogni opera e industria in cose non certe e di sua natura a' mortali non concesse, come sono quelli che stimano e cercano potere trasmutare e' metalli ad altra più depurata e dissimile sustanza.
E nelle voglie benché possibili e ancora utili e ancora oneste, ripreenderebbono chi con troppo ardente fervore quasi le volesse precipitare, più che con debito modo condurle a fine.
Chi prima con riguardo, qual debba el prudente omo, principiò le cose, costui facile colla diligenza e col perseverare le conducerà a buon fine.
Ma come bisogna che ogni nostra operazione s'intrapreenda con circunspezione e senza temerità, e conducasi con attenzione e ordinato successo, senza negligenza, così conviene che alle faccende nostre la ragione moderi e' grandi impeti delle voglie nostre.
Ma non però lodarò chi nelle cose sarà più rattenuto e timoroso che non li bisogni.
Le cose principiate con ragione si vogliono condurre con prontezza, e finirle con fermezza d'animo e virilità.
Circa le private nostre operazioni forse pensandovi mi soverrebbe ancora materia onde io più a pieno mi satisfarei.
E posso credere che voi aspettavi da me, in quello ch'io recitai, ordine più accurato.
Ma dicendo pareva a me che le cose quali mi occorreano fussero per sé sì degne ch'elle dovessero in qualunque modo dette assai piacervi.
Se così è, sta bene.
PAULO.
Furono certo degnissime, e chi richiedesse qui o più copia o migliore ordine, errerebbe.
Tu preponesti le differenze delle nostre operazioni e secondo il fine e secondo la natura loro, ed esplicasti come, sendo la vita dell'omo ben retta non altro che continuata operazione buona in cose buone e degne, si conviene a chi vuol ben meritare del viver suo e ben fruttare el tempo, mai cessare de adoperarsi essercitando in prima l'animo, qual nulla può essere disciolto da tanto frutto del vivere; ultimo, agiungesti qual ragione e modo sia condecente a questa nostra operazione.
Piacqueci e lodiànti.
Sequita.
BATTISTA.
Dicemmo delle operazioni nostre private.
Sequita referire delle operazioni qual noi chiamiamo communi operazioni.
Diremo adonque, circa le conversazioni degli altri, quali siano le richieste e lodate operazioni de' buoni e ben costumati.
Ma prima interponerò quello che ora qui mi torna in mente, e parmi atto a' ragionamenti passati, e ancora non alieno da questi che ora sequivano; e sarà questo ch'io referirò quasi come suco espresso da tutti e' prossimi ragionamenti passati.
Dicono e' savi: distribuisci il tempo atto e decente alle operazioni qual tu ben consigliato intrapreendesti, e in quel tempo dùravi quanto fatica vi bisogna; e reggi quella fatica con tolleranza, e questa tolleranza raffermala con fortitudine d'animo e constanza virile; e questa constanza moderala con buon reggimento, e in tutta la tua operazione dirizza el pensiere, el consiglio, lo instituto tuo sempre ad onestà; e in questo consiglio non ti confidare dello ingegno e discurso tuo più che del iudizio de' tuoi benivoli e coniunti, massime esperti e dotti in quella cosa qual tu tratti, però che con loro raro ti sequirà che tu poi ti penta.
Non par verisimile che 'l iudizio di più omini periti e buoni sia fallace.
Ma dal consiglio di te solo facile potrebbe avvenire che in tempo scorgeresti quello che in prima tu non vedevi.
Agiugni che della emendazione degli amici arai utilità, e dalla comprobazione loro arai gaudio, e confirmerassi el voler tuo con migliore speranza e con più certa espettazione.
E prima si vuole esporsi che tutte le nostre opere, di qualunque natura elle per sé siano, sempre pretendano ad assequire el fine dovuto a chi s'adopera in bene.
Assequiremolo con quelle cose per quali tu diventi virtuoso.
Virtù qui sarà ogni operazione e confirmata disposizione d'animo pronto, volonteroso, essercitato in far cose buone e farle bene e in modo che tu ne sia lodato.
Giovani, le virtù vostre piaceno a costoro, e a me sono gratissime più che qualunque cosa quale io potessi mai desiderare.
E simile e' vostri gesti, e' vostri buoni costumi e bontà piaceranno a chi le conoscerà essere in voi, massime quando lui sia, qual sete voi, buono e amatore della virtù.
Al musico deletta udire un buon musico.
Al pittore piace vedere una ben diffinita pittura.
A ciascuno rende voluttà la perfezione di quelle cose quale ello ama.
La virtù in te studioso e vero bono omo sta in te conceputa e parata non come cosa impóstavi e collocata, ma come innata sanità e vita in un corpo animato e per essa ben fermo e valido.
E tu, qual sia questa virtù integra, fatto virtuoso, certo lo senti e conosci, e come cosa degnissima e divina tu merito l'ami, e tanto gli porti affezione quanto ella a niuno può essere più nota e pertanto più cara che a te.
Agli altri vien grato in te quello che credono essere in te non fittizio da farne stima.
Tu vero ami quello in te qual tu sai che merita essere molto amato e adorato, e godine.
Questo incredibile piacere e contentamento tuo in te ti rende curioso osservatore di quello che ti fa vivere lieto e sufficiente a te stessi.
Indi accresce questo divino bene a te d'ora in ora più perfetto, e quanto e' sarà maggiore, tanta più te ne sequita incredibile voluttà.
O figliuoli, questa compiuta e divina beatitudine quale tu virtuoso contribuisci a te stessi facendo bene e adoperandoti in virtù, potrò io chiamarla altro che summa felicità? Dio ottimo essaudisca el desiderio mio e la espettazione mia, quanto io spero vedervi per simili vostre operazioni e costumi e virtù fatti felicissimi!
El fine delle operazioni nostre civili, quali appartengono alla comunione e società degli altri omini, dicemmo ch'era buona grazia e fama.
La buona fama tua credo io sia opinione publica e voce di te che tu sia omo buono, ed è quasi ministro della buona grazia.
Certa parte della buona grazia viene imposta dalla natura nella effigie, lineamenti e forma del corpo, onde aviene che t'agrada mirare una bella criatura.
Questa, bench'ella sia caduca e fragile, ella pur giova.
Ma noi cerchiamo cosa più constante e più per sé sufficiente.
Se a voi giovani non paresse degna d'essere amata fra 'l numero delle fanciulle se non solo quella qual fusse ben bionda e ben sucosa, l'altre tutte sarebbon nate misere.
Ma come lo splendore in una gemma viene dalla depurata sua perfezione, così voi dall'animo puro, buono, in qual sia niuna macula di vizi, niuna fèce di brutti costumi, spesso vedete risplendere certa cosa divina, quale alletta e trae e vince a farsi amare e reverire.
E chi dubita che la bellezza dell'animo tanto più sarà atta e accomodata a movere gli animi di questi altri, quanto ella sia in sé più degna e conforme a chi per lei si mova? Certa altra spezie sarà forse in coloro quali sono ricchi, ambiziosi, onde molti sperano utilità da loro, e molti lo fanno capo della conspirazione loro.
E per questo el volgo dice: costui ha in questa republica bona grazia.
Parmi che voglian dire: costui può con facilità le cose grate a lui.
Ma se noi considerremo lo stato suo, pronto intenderemo ch'e' primi suoi collegati invero non lo amano, forse lo temono e vorrebbono più tosto poter senza lui, che adoperarsi in far che lui possa più che loro.
Dicono che dove abiti la onestà ivi sta bellezza, e dove sia virtù, ivi non mancano ricchezze e potentato, e dove sono buoni costumi, sempre consequita buona grazia.
E affermano che l'un di questi non può star senza l'altro, però che sono coniuntissimi, simile come fratelli e sorelle.
E se io non erro, la vera buona grazia in molta parte conduce seco certo grado di benivolenza, onde pare che susseguiti all'omo fra la moltitudine favore e autorità, e conseguene che curano el ben tuo, fidansi di te, e reputanti degno d'essere onorato.
Utile cosa la buona grazia, e vuolsi dare ogni opera per acquistarla.
Giovani, udite: e così è.
Facendo bene s'acquista bontà e virtù; amando, amicizia; gratificando, grazia.
Se tu mi domandassi qual sia questo gratificare, direi che fusse far cose grate a colui verso cui tu porgi l'officio tuo.
Ma perché tutti gli omini non sono simili a te, e sono le voglie, opinioni, desideri loro dissimili e vari, bisogna diffinire verso chi e in che modo sia da usare questa gratificazione.
A' buoni, in qualunque modo faremo bene, sarà grata la operazione nostra, e più li moverà la religion dell'onestà che l'utile loro.
A' viziosi non sarà grato se non quello solo che giovi loro.
A noi basterà forse portarci in modo che né in detti né in fatti, né in publica cosa alcuna né in privata, omo possa a ragione dolersi di noi.
Viver senza essere dannoso a persona si conviene in tutta la vita, e chiamasi iustizia.
Darsi bene accetto alla multitudine sarà faccenda di chi vogli essere riputato umano e affabile e costumato.
Questo non succederà co' viziosi, quali sono viziosi solo perché loro non piaceno le cose oneste.
Che faremo adonque? In prima fuggiremo quelle cose che offendono, e acquistano mala grazia così da' buoni come da' viziosi.
Del resto stimaremo el iudizio degl'ignoranti, facendo bene, simile al gusto de un febricoso.
Quelle che molto dispiaceno a chi vede e a chi ode e' portamenti d'uno omo non ben morigerato, sono fra l'altre molto nocive: la arroganza, pertinacia, malignità, temerità, inumanità, e insumma ciò che viene da stultizia o da furor di mente rapace e pregna di nequizia, cose molto contrarie al bisogno dell'omo in vita.
All'omo, quando così constituì la natura che lui non può ben vivere senza gli omini, si conviene dare ogni opera di conciliarci agli altri, e agiungercegli che siano ossequenti a' comodi nostri.
A questo sta grave inimico prima l'arroganza, però ch'ella genera odio, e seguene solitudine.
E non sarà men dannosa la ambizione, però che ella continuo eccita contenzione.
Nulla disturba la buona affezione e familiar coniunzione quanto la contenzione.
Ed è innato vizio allo ambizioso la invidia; e per questo ello diventa iniquo e violento e malefico fraudolente.
E questo perseverare ostinato nella sentenza e impresa sua, qual talora alcuni chiamano grande animo, vien pur da impetuosa superbia.
L'uomo ben composto vorrà più tosto cedendo e con facilità essere pari agli altri in cose iuste, che con ostinazione superiore in cose contenziose.
E molto fidarsi della prosperità sua, e ardir quanto gli porge la sua ambizione e superbia, spesso diede in ruina omini ben possenti e molto fortunati.
Utile ricordo: nelle cose dubbie reggetevi con prudenza, in le avverse con fortitudine; non vi abandonate nelle prospere, sopra tutto raffrenatevi con modestia, escludete lungi ogni fasto e superbia.
E gioveratti, se quanto tu più potrai, tanto meno vorrai.
Giovani, chi vuole meno che non può, costui può più che non vuole.
E faccia questo proposito, quanto e' dicono che l'animo generoso e virile sempre alle condizioni de' tempi difficili osserva in sé equanimità, nello stato superiore agli altri mansuetudine, e nel fervore della età pudicizia.
Simili virtù, confessovi, sono rare; e pertanto rendono in chi le sono pregio e reverenza.
Troverrete non pochissimi d'ingegno acuto, pronto, desto, atto a ogni industria, e per questo saranno estimati.
Ma in costui lo splendore e suavità de' buoni suoi costumi e virtù tanto eccederà quanto eccede quello che sempre sarà ottimo da quello che potrà forse essere pessimo.
Insumma, tutte quelle cose quale movano te verso altri a simile affezione, queste medesime stima che moveranno altri verso di te.
Tu leggesti nelle istorie come colui prepose la salute de' suoi alla propria vita sua, e vedi qui in questo altro simplice e aperta bontà, in quell'altro molta cognizione e sapienza: tu quinci, vinto dalla natura, quale sempre cerca e desidera e ama le cose ottime, non puoi fare che tu non penda a benivolenza verso di lui; seguene che tu vorresti vederlo tanto in migliore stato quanto egli è per la sua virtù più degno che gli altri, e ragioni di lui come di cosa rara e mirabile, e accadendo t'adoperaresti in farli bene.
Così interverrà dagli altri a te, quando e' meriti tuoi saranno pari noti a loro; e se vederanno in te prudenza e molta cognizione di cose buone e degne, arai presso di loro autorità, e consentiranno sequire el ricordo tuo più che degli altri meno dotti.
E se circa e' costumi tuoi scorgeranno purità e vacuità d'ogni vizio, massime di quegli che sogliono essere familiari e disonestar gli altri, non dubitate aranno riverenza a te, e aranno el nome tuo in singulare ammirazione.
Alcuni vedendo che presso la multitudine non rarissime avea luogo e condizione qualche presuntuoso, loquace, ardito, e contro, quelli che in vero erano dotti e prestantissimi rimaneano senza riputazione e quasi negletti; e vedendo che quelli in senato audacissimi erano e' primi uditi, ed era la loro sentenza subito approvata, e otteneano e' supremi magistrati, questi altri omini maturi e gravi restavano adrieto, raro richiesti alle faccende publice, meno stimati, esclusi quasi come indegni d'esser nel numero de' veri cittadini, - dissero per questo che molto più bisognava dare opera e studio di parere omo sufficiente che de essere.
Costoro errano purtroppo, e non dubito che qualunque di loro vorrebbe prima essere ricco che parere.
E se io povero cercassi parere ben ricco, ben sai tuttora vie più resterei povero.
E se quello che sia simile al birillo piace, questo che sia vero birillo più certo molto piacerà.
Fra la multitudine vince, non niego, qualche volta la importunità, e vinse forse talora la protervia d'alcuni insieme confederati rattori delle cose publice.
Ma el consiglio dell'omo grave e buono, simile al sole, cessata la nebbia, splende per tutto.
E quanto la moltitudine occecata dalle fizioni e simulazioni de' fraudolenti meno ascoltò el vero, tanto poi al tempo col pentersi impara a farne stima: e a costui buono omo se ne rapporta grazia, a quegli altri odio, però che dal successo delle cose quelli sono conosciuti artificiosi perturbatori dell'ozio publico, quest'altri sono degnati per loro merito e reveriti.
Restaci fra' buoni costumi certo merito dovuto da' minori verso e' maggiori, e in ogni grado e stato, onde s'acquista molta grazia e laude.
Primo indizio d'uno bene allevato pare a me vederti reverente verso chi per età, dottrina, o per dignità ti sia superiore.
E contro, mi pare mai possa essere senza villania el poco stimare chi sia stimato dagli altri.
Pensatevi, giovani.
Ecco, dico a quello rusticone allevato senza niuna civilità: «O omo inettissimo, non vedi tu el tuo errore? Non degnasti, non reveristi chi tu conosci stimato e onorato da que' che sono da più di te.
A lui che lo merita tu scemasti nulla; a te, che dovevi far verso di lui el debito tuo, accrescesti biasimo e vizio, ausando te stessi in questa parte a non temere el biasimo.
Chi non teme biasimo, di necessità rimane scellerato.
Gli altri per acquistarsi buona fama e grazia esposero la roba, el sudore, el sangue: tu con questa tua, come la chiameremo, desidia o stultizia rusticana, avilisci la condizione tua, e de' mancamenti tuoi la punizione resta tutta a te».
E non sarà poca punizione fra l'altre a chi nacque per essere non al tutto abiettissimo, quando e' si vegga riputato indegno chiamarsi nato e parente di questi omini nobili, a' quali esso sia per suoi sozzi costumi tanto dissimile.
E quanto siamo noi obligati a' primi inventori di tante utili e commodissime cose a vivere bene! Fu ottimo instituto ch'e' minori si presentassero in via a' suoi maggiori e discoprissero la testa: segno di reverenza trovato acciò che i giovani se assuefacessero a reverire chi lo meritava, e d'altra parte si confermassero a sanità assuefacendosi colla testa nuda a soffrir el freddo.
E così richiede la ragione ch'e' più vivuti siano, quanto meno abili alle fatiche, tanto più utili a consigliare.
Per questo bene instituirono ch'e' giovani per età più atti a essercitarsi facendo si profferissero, se cosa presente per l'opera loro bisognasse; e contro, questi ricevessero consiglio per consequire le cose utili e oneste con più facilità.
Udisti più volte quel detto, che l'onore si è premio della virtù.
Forse non è quanto vi si richiede, però che la virtù ha in sé tanta prestanza che nulla cosa può pari remeritarla.
Pur molto rimane il pregio dell'onorare in chi lo fa, però che questo reverire chi lo meriti si è indizio e testificazione che a te piace la virtù quale tu onori in altri.
Primo testimone della bontà dell'omo si è amare e' buoni.
Né sarà senza virtù chi ama e' virtuosi.
Dicono e' savi che a Dio e a' magistrati si debba rendere, non senza qualche paura, molta venerazione, el padre e gli altri maiori onorarli con ogni segno e officio di reverenza e benivolenza.
E conviensi molto essere affezionato a chi ama te.
E dovete credere che del numero de' cittadini a niuno sarete tanto cari e commendati a chi vi chiama figliuoli e nipoti e consorti e coniunti.
Dovete pertanto e rendervi e mostrarvi degni di tanta grazia.
Questo sarà vostro onore: aretene piacere quando gli altri diranno: «costui nato di padre ottimo e nobilissimo ne fa ritratto».
Non voglio ti chiami figliuolo, nipote, fratello di questi altri modestissimi, costumatissimi, se tu non sarai simile a loro.
Né patiranno costoro che quello rusticano deturpi l'onestamento loro, e dica: «io sono di questi», quando niuno di questi sia simile a lui.
Non vi sia tedio s'io insisto in questa causa molto condecente al nostro proposito.
Tu, Niccolò, e tu, Paule, pensate a questo ch'io dirò.
Grande fu provedimento quello della natura.
Voi e io e tutti gli altri non possiamo non porgerci amorevoli a qualunque sia d'età puerile parvulo.
Credo che questo ne impose la natura, acciò che simili deboluzzi, imbecilli, bisognosi d'ogni aiuto, siano difesi e conservati da chi più può.
Parvi?
NICCOLÒ.
Parci.
BATTISTA.
E voi giovani che dite?
GIOVANI.
Certo parci.
BATTISTA.
Ditemi.
E' nostri maggiori meritano essi meno pietà da noi testé allevati, che allora vi meritassi voi sendo fanciugli da loro? Voi fanciugli allora eravate non bene offirmati, e per questo invalidi a movere espedito le membra vostre.
A questo donque bisognava aiuto di chi vi sostenesse e adestrasse.
E' vecchi gravi d'anni, oppressi dalle lassitudini, molto sono meno atti a valersi ne' bisogni delle membre sue.
Voi fanciugli, vacui d'ogni cura, nulla vi perturbava.
Diresti, usufruttavi la luce e lo splendore di tutto 'l dì senza sentire offensione de' tempi o della fortuna.
Lo ausarsi al freddo, a' venti, confirmava in voi sanità.
Erano i vostri sonni quietissimi.
Continuo presente era chi vi satisfacea.
A' vecchi quasi nulla satisfa, ogni minima cosa gli offende.
Non dico altro, el lustro del cielo spesso li agrava.
E seguire l'usitato suo primo costume del vivere non gli è concesso dalle debolezze quale continuo crescono, e assiduo richieggono più difesa.
E usarsi a nuova condizione di mantenersi in vita viene loro pieno di dure e intollerabile imperio e moleste osservazioni.
Veggonsi interditto ogni voluttuosa recreazione, né hanno, per fortunati che siano, abastanza tutti e' sovvenimenti loro necessari.
E' fanciugli crescono con speranza e successo di più robusta e valida abitudine; concorrono più e più degli altri loro simili, co' quali e' viveno continuo lieti, contenti, festivi.
E' vecchi d'ora in ora più affannati, meno sullevati da cosa ch'egli sperino, stanno inchiusi repetendo e desiderando gli amici perduti.
Non occorre loro occasione di contrattare nuove amicizie con omini simili a sé, e con e' dissimili ancora meno loro succederebbe giungersi a familiarità.
Adonque infelici viveno in solitudine, miseri, mesti: niuno lieto pensiere se non ricordarsi degli studi e opere lodate che fece in vita.
E più, voi fanciugli ricevesti infiniti benefici da' vostri maggiori: nutriti, vestiti, educati da loro, esculti, instrutti con dottrina, ornati di virtù; apparecchioronvi con sue fatiche e sudore a ogni commodità e sussidio a ben vivere.
Che dico? Negarete voi essere obligati loro? Che loro, contro, siano obligati a voi, né voi lo diresti, né io ve lo consentirei.
Conoscete voi giovani ch'io dica il vero?
GIOVANI.
Certo.
BATTISTA.
Quanto stimate voi che ora a questi e a me sia voluttà e dolce recreamento vedervi qui presso di noi attenti, parati e cupidi satisfare alle espettazioni nostre, seguendo quanto noi desideriamo vedervi ottimi e felicissimi? O figliuoli, la bontà vostra sia quella che vi mova a ben meritare de' vostri maggiori più che le parole mie.
Visitateli, confortateli, sovveniteli, date loro con la presenza vostra recreamento, coll'opera e ossequio aiuto e mantenimento contro le oppressioni della vecchiaia.
Sì, figliuoli, sì.
A loro levarete molestia, a voi accrescerete laude e buona grazia apresso degli omini e mercé da Dio.
Dio ama, aiuta, accresce quelli che studiano simigliarsi a Lui con quello che a lui sia concesso.
In questo sarete simili e participi della bontà divina, quando pietosi darete ad altri quello che voi chiedesti da Dio nollo impetrando da' mortali.
E torniamo spesso a' nostri ragionamenti pur dove io molto desidero, e a quel che molto mi diletta vedere in voi figliuoli.
Cosa gloriosa in ogni età, giovani, el buon costume.
Sì certo, e' buoni costumi sono a te summo ornamento, però che e' danno splendore e illustrano la virtù quale sta in te.
E tu ben costumato sarai onestamento della famiglia tua e insieme ornamento della patria, però che facile succederrà che gli altri educati in simile disciplina siano pur simili a te.
Molti per non essere quanto si richiede composti, furono sviliti, ma de' costumati qual mai fu che indi non ricevesse onore e cortesia? E spesso chi non ti conoscerà, e vedratti in detti e in gesti modesto, grave, umano, intrapreenderà opporsi a chi ti sia molesto e infesto.
Parmi sino a qui avere in buona parte trascurso quanto preponemmo, esplicando l'officio e debito de' ben composti a virtù e atti a meritar grazia, favore e laude, se già non resti che fra 'l vivere civile accaggiono le inimicizie prese non raro per la iustizia e difesa de' tuoi, e qualche volta importate ancora a te da certi invidiosi rattori e malefici.
Difficil cosa, non nego, nulla sentirsi morso e punto dagli oltraggi e dispetti.
Ma non però bisogna per ogni offesa opporsi urteggiando chi ti si presenta tedioso.
Non raro, stimar nulla gli omini levissimi, acquista a noi autorità e riputazione.
E ben spesso avviene che la ragione e prudenza nostra rompe l'audacia degli insolenti con altro che col certare.
E conviensi all'animo generoso più molto essere indulgente per acquistar grazia, che severo per mantenersi utilità.
Né sarà meno fortitudine e gloria superare in te la indignazione e ira tua, che suprastare con durezza il tuo inimico.
E io molto più loderò chi tolleri le offese passate con ragione, che chi ora persequiti el vendicarsi con acerbità e impeto concitato.
L'animo grande non riceve a sé in contumelia se non quel solo quale e' non può tollerare colla pazienza, e non trascorre a punizione per contentar sé, ma sequita la ragione per satisfare alla dignità.
Non è dubbio: s'tu potrai contro e' tuoi concitamenti, in molta parte potrai contro l'impeto dello inimico, parte meglio adoperando el consiglio, parte fermando lo stato tuo, parte disponendo quel che bisogni, e conducendo le cose con ragione e maturità.
La pazienza, massima virtù, quieta e senza arme spesso vince e' ferocissimi armati, e non raro stracca el coruccio e infestamento del cielo.
L'ira in noi non è altro che vapor d'animo furiato, onde suole susseguire che l'omo irato ruina per vendicarsi spesso in qualche non onesto movimento; e la vendetta fatta con disonestà riporta ferite mortali alla fama, e perde la dignità.
Per questo sarà da preponere el sofferire etiam con qualche dura tolleranza e molestia privata, che vincere con turpitudine e publica infamia.
E quasi mai sarà bene onesto, per la offesa ricevuta, darsi con severità a vendicarsi, se non quando e' tuoi ottrettatori palese concederanno che a te nulla più giovava la pazienza tua contro la insolenza e infestamenti di chi per sua natura e per tua tolleranza de ora in ora più errava.
E se pur fussero le offese da non più sopportarle, sarà officio d'animo virile deponere quella inutile tolleranza, non con subitezza, ma con circunspetta cauzione, dove el troppo sofferire le iniustizie sente di servitù.
Alcuni dissimularebbono forse ostinati aspettando migliore occasione alla vendetta.
Ma a me, amare palese e' buoni, odiare palese e' pessimi pare impresa di più virilità.
La troppa dissimulazione a fine di malignare sente in parte fraude e tradimento.
Bene loderò nel resto chi molto occulterà le sue suspizioni, e molto supprimerà le sue paure.
Simili agitazioni d'animo riposte in te, non intese da altri, nulla altronde nuoceno che da te; e questo, dove tu le ricevi senza buon discurso.
Ma queste, qualunque elle siano, conosciute e divulgate spesso perturbano ogni tuo buono successo e quiete.
E sarà officio d'omo ben composto sempre più pendere a emendare lo errore di chi trasanda, che a vendicarsi castigando.
Non voglio pigli contenzione se non per cose quali sarebbe gran mancamento nolle curare.
Chi mai sarà che recusi defendere l'onore, la salute de' suoi, la religione? E quando ultimo ben consigliato deliberasti castigare la iniquità di chi t'è molesto, nulla bisogna attentare senza diligenza e maturità e circunspezione.
Dura impresa il vendicarsi! spesso fallace, sempre coniunta a molti periculi e accrescimento di più dannose inimicizie.
Debbasi alla vendetta cauzione, ragione, tempo e modo.
Bisógnavi adonque più molto prudenza che fortitudine, più consiglio che arme.
Volere vincere con detrimento suo proprio, non verrà se non da furore.
E sopra tutto bisogna non molto, anzi nulla cedere a quello che ora ti si mostra parato succedere alla intenzione tua, se non tanto quanto e' sia vacuo d'ogni suspizione avversa.
Dubiosissima incostanza quella de' tempi! Vario intricamento quello de' successi umani! Conviensi preporre termine della impresa nostra, non tanto el detrimento dello avversario, quanto la salvezza delle cose tue, massime dello onore.
E questo basti circa le inimicizie.
Spezie d'inimicizie sono e' letigi.
Dicono e' savi che a chi bisogna el medico, non sta bene, e a chi bisogna iudice, sta pur male.
Raro accaderanno simili bisogni dove sia buon reggimento.
Spesso el repetere el debito con rigore e troppa assiduità fa che l'omo ingrato diventa inimico.
Non hanno e' litigi in sé altro che molestia, dispendio, sollecitudine, sdegni e sospetti, forse ancora biasimo.
Tutti sanno che tu litighi: pochi intendano chi di voi dica il vero.
E qual sarà discreto che non iudichi essere meglio qualche volta perdere parte della roba che consumare el tempo, e' pensieri, el peculio, le fatiche, solo per ottenere la gara? E massime, chi difende le cose iniuste meriterebbe punizione, però ch'egli offende la iustizia e pecca in più modi, quanto e' rapisce e spoglia con perfidia, e quanto e' perturba quello in che si mantiene la quiete e tranquillità publica.
Agiugni che ancora costui conferma in sé pertinacia a più mai deponere la sua iniquità.
Contro, circa le assidue familiarità e conversazioni civili quale comune s'appellano amicizie, molto bisogna essere curioso e attento a provedere ch'elle molto giovino, nulla rapportino danno.
E' frutti e fermamento delle coniunzioni sono favore, beneficio, buona fiducia, speranza e grata conversazione e beato vivere.
Se dirai che coll'opera si presti favore, e co' doni si benifichi, niuna sarà opera più utile, più accomodata, che esporla in far chi tu ami per te migliore; niuno si trova dono maggiore né pari quanto la virtù.
Per questo si vuol prima eleggere di tutta la multitudine quelli che più sono atti e parati a bene ornare e sé e te di molta virtù: con questi assiduo ragionare, investigare, adoperarsi in cose lodate, onde tuttora diventiate più studiosi, più dotti, più virtuosi.
El solo conversare co' buoni sarà in molta parte ottima essercitazione ad acquistar fama e dignità e grazia, però che tutti iudicheranno che tu sia simile a questi con chi tu assiduo conversi.
E da' buoni tu ricevi utilità molto da volerla e stimarla, però che continuo fra loro l'uno l'altro riceve e dà essemplo, amonimenti, conforti, eccitamenti, aiuto, comutando e porgendo insieme le cose in quali consiste la vita beata, onde quasi a gara diventa per sé ciascuno migliore, e tutti insieme felicissimi.
Chi per suo studio e per opera de' buoni amici sarà felice in sé, a costui che romanerà altrove onde e' possa sperare cosa migliore? Potrà, sì, tanto sperare de essere amato quanto lui amerà altri.
La suavissima conversazione sarà quando tu buono e virtuoso ti sforzerai in ogni modo che io sia simile a te.
Le cose dissimili mai s'adatteranno ad essere bene adiunte insieme.
Chi forse studierà piacere mediante qualche voluttà, diventerà lascivo corruttore di sé e d'altri.
E simile chi con qualche utilità quasi mercaterà la benivolenza tua, costui sarà non amico, ma callido adulatore, e come lui servile in sé, così aesca te a susservire a lui.
Nulla legato con vincolo di sua natura debole e fragile, mai si mantiene più tempo con fermezza.
El dono per sé in quanto dono non genera benivolenza, ma in quanto e' sia segno de amore tanto eccita amicizia.
Giovani, costui vero ama te, quale con summa voluttà usa verso di te quello che si lodi in un buon omo.
Sopra tutto fuggite lungi le conversazioni de' viziosi, lascivi, inetti, voluttuosi malefichi.
Fu usitato in Grecia che legavano el fieno al corno del bue maligno, acciò ch'e' cittadini lo schifassero.
A questi omini pestiferi bisognerebbe che uno salariato publico gridasse dopo loro continuo: «fuggite, o cittadini, fuggite questa contaminazione e pestilenza di questi lascivi scellerati».
Circa questi ragionamenti forse acade ancora quello che molti stiman primo e precipuo ad acquistarsi grazia: fautori.
Non niego e' conviti prestano atto e facile addito a conciliarti salutatori assai.
Lodarotti se tu li farai con modo e ragione a fine solo di provocarti con questa civile familiarità onesti amici.
Voglio ti piaccino fra gl'invitati più que' che sono modesti, gravi, e per qualche loro eccellenza stimati e onorati, che questi petulanti fabulatori di cose vane e lascive.
Raro serà che questi altri dati alle buone arti e dottrine non ascendano col tempo in grado onoratissimo fra' suoi cittadini, onde a te ne risulterà fama e buon successo, arai da loro favore, aiuto, sussidio circa e' tempi tuoi privati e circa le onoranze publiche.
Ripreendono e' savi in tutta la vita e ne' conviti lo error di molti, quali o per pompa, o per altro non bene considerato instituto, eccedeno.
Dicesi che l'uso vero delle ricchezze sta in spendere el danaio in cose necessarie e utili a lui; vero, agiugni ancora, in adoperarle come instrumento a qualche iocundità e piacere onesto.
Quello suntuoso ostentatore le effunde senza modo in cose inutili e superflue, e non gli satisfa se non quello che gli altri non possono avere; e versane tanta copia che, oltre a tutti e' pacchiatori, ancora la turba de' cani in tutto el vicinato se ne satollano.
Ben disse quel prudente: la casa di questo prodigo e sollecito apparecchiatore mi pare divenuta osteria piena di gulosi diluviatori.
Ma quivi costoro pagherebbono danari e qualche frutto delle fatiche loro, dove qui e' pagano costui d'assentazioni.
Paionmi troppo care le blandizie degli ubbriachi, se tu le comperi coll'oro tuo e con lo onore.
La mensa civile vuole essere senza escogitato artificio: amici pari a te; l'altre cose nulla sordide, ma tali ch'io invitato possa pari e facile retribuirle.
Soleano que' buoni antiqui in cena udire chi cantava le laude di quelli che per sua virtù e beneficio molto meritorono esser nominati e amati.
Ottimo instituto, per quale si dimostri gratitudine verso e' passati, e porgasi a chi ora cresce, essemplo a esser pari gloriosi e immortali.
A me canti, suoni, festività, alacrità diletterebbono, e insieme qualche sale in una e un'altra risposta non dispiacerebbe, pur ch'ella uscisse in tempo e senza fiele.
Questi che pongono ogni studio e premeditazione in pugnere e mordere or questo or quello, solo per esser tediosi, senza niuna occasione di qualche scusa, e godono lasciare come la vespa insieme con qualche susurro, latente el suo veneno, sono maligni, villani, odiosi.
Ma che cerchiamo noi, o instrumenti musici, o destrezza d'ingegno altronde? Niuna armonia sarà mai soave pari a' ragionamenti d'un omo prudente ed erudito, qual cose raro si trovano in età non matura.
Da costui udirete cose ioconde piene di gravità e piene de amenità.
E quello che non poco giova, la presenza degli omini degni di riverenza, modera la licenza quale suole lascivire forse doppo el vino.
Dicea quel savio: la prima tazza sia per spegner la sete, la seconda per voluttà, la terza per alacrità; la quarta sia concessa a' vecchi contro la sete poi del dì.
Ne' giovani questa ecciterebbe furore.
Non voglio sia il convito a fine di crapulare insieme; più tosto per adoperar la iocondità del vivere ragionando e dando insieme l'uno all'altro ogni indizio de amorevolezza.
Questo apparecchio e lautizie della mensa ha in sé venerazione, e quasi possiamo dire che la mensa sia come ara sacrata alla umanità, e che 'l convito sia in parte spezie di sacrificio e religiosa comunione a confederarsi con fermissima carità.
E per questo dire' io che ne' conviti de' giovani e' vecchi vi bisognassero in luogo del sacerdote, come per altro, sì etiam per ornamento del convito.
PAULO.
Non persuaderesti questo oggi al resto della gioventù quale cresce in questa nostra città.
In pubblico non riconoscono e' propri padri, non stimano gli omini pregiati, non curano e' primi magistrati.
Irreverenti, insolenti, incorrettissimi, reputano biasimo a sé non biasimare in altri ogni modestia e umanità.
E tu richiedi che degnino in mensa e in privato la presenza de' vecchi!
BATTISTA.
Tanto più mi cresce letizia maravigliosa, quanto io vedo e conosco in questi miei quello che tu e gli altri ottimi e massimi desiderate in loro.
E così fate, figliuoli, riconoscetevi e gloriatevi esser quanto noi diciavamo simili a que' che sono lodati e amati per loro costumi e bontà.
La natura vi dà che voi siete di presenza e aspetto civile e pieno di dignità.
La condizione de' vostri passati adoperò che voi sete fra' nostri cittadini e presso di tutte le nazioni conosciuti nobili.
La fortuna vi concede quanto in molta parte basta per satisfare al vivere civile con ozio libero e onesto.
El nome della fama e insieme e' vostri portamenti buoni vi congiunse molta parentela con più e più omini primari e prestantissimi.
La buona grazia dovuta a' vostri meriti spero darà qui a voi luogo ne' publici onestamenti, pari forse quale riceverono e' nostri avi, omini molto riputati e onorati, fra' quali la virtù, prudenza, perizia e singular dottrina acquistò a non pochissimi di loro summa dignità, molto favore presso de' summi principi, e fama immortale, sino dove chi mai gli vide, onde a voi ne risulta ornamento.
Figliuoli, tutte queste cose rare in altri a voi importano e impongono obligo e incitamento a imitare e' gesti, instituti e opere loro.
Da questo domestico essemplo accrescerete a voi e a' vostri maravigliosa gloria e felicità.
Così desidero facciate, e sì spero farete, massime mossi prima dalla vostra ottima natura e degnissima deliberazione.
Vedovi esposti e parati e offirmati a meritare per vostre buone opere laude e grazia.
Prossime, ancora mi persuade vi diletterà satisfare alle vostre espettazioni con più prontezza e studio, confortati ed eccitati da' ragionamenti transcorsi qui da noi questo dì.
E così credo affermerete in voi che chi contende essere prestante con dignità e autorità, bisogna che sia nulla inferiore né dissimile agli altri eccellenti in virtù.
E per questo el primo loro officio fu escludere lungi da sé ed espurgare dall'animo ogni improbità e corruttela de' vizi.
Prossime succede che diano opera di formare in sé abitudine d'animo constante, virile, equabile, officioso, retto con ragione e modo di vivere accetto a Dio, grato agli omini, e ben contento di sé stessi, onde poi bene operando vi presentiate atti ad acquistare ancora presso degli altri superiorità e stato.
LIBRO III
BATTISTA.
Salve, mi Paule, et vos salvete.
Noi eravamo fra' nostri libri, e se io sapevo prima che tu ci fussi, tu ottimo arbitro diffinivi certo dubbio mio qual ti narrerà qui Niccolò.
Non dovevi rattenerti, ma venire oltre o farci chiamare.
PAULO.
Io trovai qui questi giovani.
Fummi voluttà udirli referire fra loro e' ragionamenti intesi oggi da te.
Affermano che mai occorse loro più felice dì.
BATTISTA.
Felici saranno essi el resto della vita loro, quando si vederanno fatti omini ben culti in dottrina, ornati di buoni costumi, per la loro virtù onorati, amati, adoperati.
PAULO.
E che discettazione era la vostra?
NICCOLÒ.
Tu, Battista, esplicherai meglio la intenzione tua.
Adonque a te rimetto questa opera.
BATTISTA.
Dissemi qui Niccolò che in sanato si trattava certa nuova forma e legge censuaria.
PAULO.
Vero.
BATTISTA.
Vedi quello ch'io dicea: questo immutare ogni dì novo modo e circa e' censi e circa gli altri ordinamenti della terra forse viene da inconsulta levità o forse altronde, e non senza detrimento della republica.
PAULO.
Come?
BATTISTA.
Dicono ch'egli è meglio continuare osservando gl'instituti antiqui, quando ben fussero non così lodati, che romperli con nuovi ordinamenti.
Le nuove opinioni insegnano disubbidire alle antiche leggi.
Niuna cosa tanto perniziosa alla republica quanto diminuire la reverenza e timore della legge.
NICCOLÒ.
Certo.
BATTISTA.
Agiugni, questa città, sempre fu presso di tutte le nazioni riputata degnissima per più rispetti, massime per la singular prudenza e incredibile sapienza de' nostri cittadini, quali omini circunspetti, acutissimi, vigilantissimi, constituirono e adussero in summo grado questa republica.
A tanta amplitudine non si perviene senza ottima ragione e ben gastigato modo di vivere.
Né troverrete altrove legge e instituti publici da preporli a quelli che indussero e' nostri constitutori.
Dirò quello che mi soviene.
Parmi non senza arroganza chi produce nuovo instituto e circa obliterare l'ordine già confirmato per uso e per esperienza comprobato.
Questo si è un certo ripreendere e vituperare el consiglio e prudenza de' suoi maggiori, se tutti insieme non videro prima, quanto costui solo testé conosce, e' loro errori in cose tante volte riconosciute.
E pur fusse in questi eleganti oratori in su quel pulpito qualche ragione o pensiere conveniente e commodo al publico bene!
PAULO.
Qual fece tuo avo, Battista, tuo avo messer Benedetto Alberto: la legge chiamata «specchio».
NICCOLÒ.
Sì certo.
E così s'afferma per tutti che in quella stia el fermamento in molta parte di questa republica.
BATTISTA.
Da questi oggi nulla udirete che nuovo sia, nulla non più volte repetito; se già non dicessi che lo estirpare pecunia delle borse private con l'autorità publica a' suoi cittadini infatto sia pur quel medesimo in questi qual fu ne' prossimi dì sopra, ma per certo palliamento utile in que' pochi forse che trattano le cose, si li muti el nome e chiamisi quando catasto, quando ventina, quando suo altro nome.
Non voglio si referischino le parole mie solo circa queste imposizioni censuarie, quanto a simile proposito in tutte le innovazioni produtte in senato da chi le studia e confirmate dalla multitudine.
Cosa intollerabile! Come patiscono i padri cupidi della quiete, amatori della patria, che tante agitazioni spesso perturbino questo stato, e insieme qualche volta molestino tutta Italia? Dieci leggi, non più a numero, dopo Moisè, resse tutta la nazione ebrea cento e cento e più volte cento anni con venerazione di Dio e osservazione della onestà, equità e amor della patria.
A' Romani bastò per amplificare la sua republica, vendicarsi tanto principato, solo dodeci brevissime tabule.
Noi abbiamo sessanta armari pieni di statuti, e ogni dì produchiamo nuovi ordinamenti.
Se qualche publica ragione non induce costoro a simili innovazioni, forse gli tira qualche voglia privata.
Le voglie, onde elle insurgono ne' nostri animi, si sa ch'elle sono adiritte in costui a fine de accumularsi pecuglio, in quell'altro per satisfare alla voluttà, in voi per acquistare onore e fama.
A questi vostri persuasori di cose e legge nuove, ditemi, qual minima parte di tutte queste gli soviene? A me quello che ne risulti loro non è ben noto.
PAULO.
E' tempi danno argumento e occasione alle cose, e non rarissimo importano necessità.
BATTISTA.
Non confermo e non confuto quel che tu dici.
Pur crederrei che la intenzione e proposito del buon cittadino fusse constante e offirmata, e sempre operosa in acrescere e prescrivere tranquillità, amplitudine e maiestà publica.
Se fra noi senatori in senato continuo si cerca questo, bene est.
Che surridi tu, Niccolò?
NICCOLÒ.
Hen!...
non altro...
PAULO.
Tu accennasti pur voler dire qualche cosa.
Sequita.
NICCOLÒ.
Più volte notasti fra noi quello che testé m'occorse a mente.
Usitata corruttela.
Subito che tale o quale sede in magistrato (lasciamo adrieto quanto esso studia, quasi come da una sua bottega, trarsene utilità), dico, pare che quasi intervenga a tutti questo, che sollicita sé e altri immutando, rinovando, introducendo nuove leggi e inaudite consuetudini, solo in mostrarsi faccendoso e sapere e valere troppo più che gli altri.
Più tempo desiderai intendere onde sia questa improbità.
A te, Battista, che ne pare?
BATTISTA.
Parmi che da natura nell'animo dell'omo sia infisso certo appetito d'essere inferiore a niuno.
E da certo altro instituto ci diletterebbe essere superiore a tutti.
Per questo in qualunque modo sia concesso, al tutto per usurparsi questo frutto della superiorità ello contende imporre agli altri qualche servitù.
Le servitù tollerabili sono l'una coniunta alla onestà, e questa si chiami legge; l'altra viene collegata dal premio, e questa chiamera' la equità; la terza servitù tollerabile succede allettala dalla voluttà, e questa chiameremo amore.
Trattone adonque la prontezza del gratificare, la iusta retribuzione del premio, la ragion del vivere con onestà, ogni altra ubbidenza sarà miseria intollerabile, e verrà da dominio violento e tirannesco.
E quinci errano questi ambiziosi quali contano grandirsi, e non conoscono in che stia l'esser primario cittadino.
Dissi, in altro sta, e dico ancora, dico, in altro sta il vero principato che in la servile obbedienza di chi o per temenza o per dapocaggine patisce la inezia e fastidiose saccenterie degli insolenti.
Prima sono a noi mortali dal summo principe imposte le vere sempiterne legge alle quali tutti dobbiamo obbedire; e insieme sta diffinito dalla natura quel che l'omo debba temere o fuggire.
Ultimo, a questo corrisponde quanto, dove, con chi, e quando e come tu, non maestro, no, ma ministro iudica e' tuoi a questa servitù qual fece te moderatore degli altri.
PAULO.
Io scorgo ne' moti e gesti di questi giovani quello che desiderano, e voglio esser loro interprete.
A questo che tu dici, Battista, pare che consequiti el resto de' ragionamenti trattati oggi da te.
Ciascuno di costoro desidera esser omo prestantissimo e suppremo agli altri.
Tu, a seguire quanto essi appetiscono, esplicasti loro qual fu atto instituto e ragion ottima a vivere bene e beato moderando sé stessi; e insieme raccontasti circa il conversare civile onde sia che possino acquistar grazia e benivolenza dagli altri, in qual due cose consiste la eccellenza dell'omo.
S'io non erro, qui resterebbe mostrare il modo a farsi al tutto superiore degli altri.
Vorrebbono intendere da te in che stia questo vero principato, e qual via sia la più espedita a pervenirvi.
Non ti sia grave satisfare al desiderio loro, e insieme alle nostre espettazioni.
Qui venimmo solo per udirti.
BATTISTA.
Sediamo.
Voglio, e piacemi, quanto in me sia, essere ossequentissimo a' desideri loro, e fare ciò che tu mi chiedi: benché questa sia faccenda grave a trattarla, difficile a conducerla.
Ma, come io feci disopra, così ora di cosa in cosa, quanto mi sovverrà in mente, recitarò e' detti e ricordi de' savi passati; e sarà frutto e diletto udirli, quando ancora io gli pronunziassi senza ordine alcuno.
E' maestri fabricatori dello acquedutto, prima ch'egli aprano onde si riceve l'acqua, curano e determinano per onde sia el suo corso e derivazione atto ed espeditissimo.
Così bisognerebbe a noi in questa materia di sua natura amplissima, gravissima, diffusissima, provedere che 'l nostro ragionamento sia non abrutto, non disciolto, non confuso, ma condutto parte in parte con attitudine e facilità non ingrata.
Non succederà questo quanto voi vorresti, incolpatene la dottrina: approverrete la intenzione mia in ubbidirvi.
Per potere tradurmi in quel che resta, repetirò e' primi ingressi nostri in questa causa.
Noi proponemmo che 'l principato avea in sé certa ragione di moderare gli omini, e statuimmo che niuno può esser moderator di molti se non sapea bene aversi con pochi, e che 'l primo officio era moderar se stessi, e di questo moderamento privato trattammo sino a qui.
Ora el governo e moderazione degli altri si porge in due modi; l'uno circa molti, come chi fusse proposto rettore d'una città, d'uno essercito, d'una provincia, e simili publici magistrati; l'altro quando fusse primo e superiore a pochi, come sarebbe a un numero d'omini couniti per confederazione, conversazione, consanguinità, e simile.
E questo sarà magistrato sì, non però publico; ma sarà officio composto della cura domestica colla sollecitudine publica.
Co' ragionamenti nostri quanto io satisfaccia a' pensieri vostri, Niccolò, e tu Paulo, el iudizio starà in voi.
Dico a questi giovani: la intenzione e destinazione mia qui non è di referire e' documenti atti al governo publico: altrove fia da disputarne: ma il procedere nostro in esplicare con qual moderazione di vivere colla multitudine simile agli altri privati cittadini, massime fra coniunti e familiari, ciascun di voi diventi primario e pervenga a tanta eccellenza in quello che sia in lui posto, non in la fortuna, che nulla più vi si possa desiderare, onde sequiti che insieme la famiglia tutta si trovi beata, onorata e felicissima.
Raro, figliuoli, anzi mai mancherà che tu nato in famiglia nobile, non impotente, non abietta, allevato con ottima disciplina, osservando quanto noi esporremo, e perseverando in ben moderar te stessi, non pervenghi fra' tuoi e in republica a grado eccelso, primo e illustrissimo.
PAULO.
E che direte, giovani.
È questo quello che voi desideravate?
GIOVANI.
Sì.
BATTISTA.
Sequirete, adonque, facendo quanto vi disponesti per essere attissimi a tanta felicità.
PAULO.
Sequere, Battista.
BATTISTA.
Atto principio a questi ragionamenti sarà intendere qual sia proprio quella qual noi chiamiamo famiglia.
Quanto m'occorre dalla natura, pare a me che la città com'è constituita da molte famiglie, così ella in sé sia quasi come una ben grande famiglia; e, contro, la famiglia sia quasi una picciola città.
E s'io non erro, così l'essere dell'una come dell'altra nacque per congregazione e coniunzione di molti insieme adunati e contenuti per qualche loro necessità e utilità.
Le cose in prima necessarie sono quelle senza le quali non si può perseverare bene in vita.
E se, come noi tuttora proviamo, dal primo ingresso a questa luce sino all'ultimo fine sempre all'omo sta necessità chiedere aiuto dagli altri omini, certo sempre furono a' mortali utili e necessarie molto le coniunzioni, massime di que' che sono nati e allevati insieme e contenuti da un volere esser l'uno pell'altro salvi e in buono stato.
Questo simile uso di vivere insieme e ridursi sotto a un tetto si chiama familiarità; e questo numero d'omini così ridutti insieme si dice famiglia.
E forse le coniunzioni familiari legate da consanguinità hanno insieme qualche commodità più necessaria che quella qual ci presta la città, massime quando così sia che la natura per sé pose insieme questi onde s'acrebbe in primo la famiglia.
Ma furono poi le città constituite forse a caso, e non per altra ragione che solo per vivere con sufficienza e commodità insieme.
E parmi che alla origine della famiglia el primo accesso fu amore, e indi el primario vincolo a contenerli insieme fu pietà e carità e certo officio richiesto dalla natura verso e' suoi.
In questi altri della città pare che certo fine, per più conservare sé stessi che per punto benificar gli altri, li congregasse.
Quinci forse e non senza ragione affermerete che tu più debbi alla famiglia tua che al resto della città.
Ma di questo non acade qui disputarne.
Ultimo, quello che contiene l'essere e perseveranza insieme sì delle famiglie sì delle città si è l'uso e sufficienza delle cose necessarie e devute alla natura, qualunque elle siano.
Se così è, affermeremo che quella famiglia alla qual mancherà niuna delle cose necessarie e commode, sarà quanto in sé sia come certa compiuta picciola città.
E quella in cui abunderanno le cose atte a felicità, che maraviglia s'ella sarà felice?
Tutte le multitudini da natura sono distinte in due ragioni di persone, de' quali alcuni di loro per prudenza, uso e cognizione delle cose, e per autorità sono atti a inducere e reggere gli altri a buono e desiderato fine.
Simili omini sempre furono in ogni congregazione rari e pochi, e a costoro si conviene certa opera e officio proprio loro.
Al resto indi della moltitudine non così esperta, simile si richiede quello che corrisponde al debito loro: delle qual cose diremo succinte.
Ma prima esplicherò quello che a tutti sia comune e richiesto nella università da ciascuno del numero loro, Conviensi presuponere che la famiglia sia un corpo simile a una republica, composto di te e di questo e di tutti voi: e sete alla famiglia come innati instrumenti e membra di questo corpo.
El primo debito di qualunque sia parte di questa famiglia, sarà darsi operoso e studioso che invero tutti insieme facciano un corpo bene unito, in quale tutta la massa simile a un corpo animato senta e' movimenti di qualunque sua parte etiam ultima ed estrema mossa da piacere, o vuoi da offensioni.
Quello che fa un corpo solido e, come si dice, resonante, non è solo lo adiungere e accostare questo a quello, ma ène el vincolo insolubile in quale l'uno sustenta ed è sustentato dall'altro.
Udisti più volte che alle unioni degli omini l'amore fu sempre vincolo della eternità.
Adonque, l'officio di tutti insieme sarà colligarsi e astringersi a una intenzione con ferma benivolenza.
Prossimo susseguirà adoperarsi con ogni studio, industria, diligenza, quanto sia in qualunque della famiglia, che 'l nome e stato della famiglia sia con molta quiete, tranquillità e fermezza, onestissimo e onoratissimo.
Adonque, ciascuno di voi per sé, e tutti insieme, e io con voi, saremo solliciti che né per nostro, né per altrui errore di chi si sia, la famiglia riceva detrimento, etiam in le minime cose sue.
Da altra parte daremo ciascuno di noi ogni opera, quanto in noi sarà ingegno e facultà, che ciascuno del nostro nome sia, quanto concede la condizione umana, beato e felicissimo.
Con questo sequirà, come el corpo ben sano, e simile ancora la nave ben composta, vale contro molte offensioni e contro molte avversità, e consegue con facilità lo 'ntento suo, così la famiglia bene unita e ben conformata, e in tutte le membre sue ben sana, soffre con buona sicurtà l'impeto delle invidie e le traversie de' tempi, e conducesi a stato desideratissimo.
Dicono che quella famiglia sarà ben sana e pertanto beata, quale arà fra' suoi niuno pravo, niuno iniquo, e tutti studieranno satisfare al debito loro.
El debito di ciascuno di voi in tutta la vita sempre fu, sempre sarà cercare el vero, seguire el bene, servare l'animo libero, piacere a tutti, amare e' buoni, fuggire ogni biasimo.
Ora sequita referir l'officio de' più atti a inducere e sé e gli altri a fine ottimo e desideratissimo; onde poi depende quanto s'appartiene al resto della multitudine non così esperta.
Iterum raffermo quanto io proposi: noi non investigheremo co' nostri ragionamenti quale occasione faccia abbiente e potente alcuno in quelle cose qual concede e priva la fortuna, poste sotto la varietà de' tempi, e mosse più da caso che da ragione.
E giovi qui referire quanto m'occorre.
Al timone sede colui in verità poco pratico in mare, inerte, nulla intendente, a cui o per sorte o per favore della multitudine fu concesso questa preeminenza.
Ivi presso sono alcuni circunspetti, pronti, essercitati in le navigazioni seconde e nelle avverse.
Qual di costoro sarà in questa cosa marittima omo più eccellente e prestante, giovani? Direte voi che sia quello fortunato quale sede a luogo primario della nave?
GIOVANI.
No.
BATTISTA.
Quali adonque, saranno e' veri primari principi in questo?
PAULO.
E chi ne dubita? Questi che più conoscono, e meglio sapranno provedere a quello che bisogni.
BATTISTA.
Tu dici il vero.
E così noi adestreremo ciascuno di costoro in quella eccellenza qual puote la ragione e opera dell'omo ben conseguire, e questo cercheremo, el resto speraremo.
In questa causa quanto apartenga a voi, giovani, credo io basterà se al tutto vi disporrete essere fra la moltitudine per bontà nulla inferiori a qualunque prestantissimo, e pari studierete darvi primi fra quelli che siano modestissimi, culti in dottrina, e ornati in virtù, e osservantissimi della religione e de' vostri maggiori; qual cose tutte sono tante in voi quanto voi le vorrete.
In quelli che saranno per uso più periti e per età più maturi, questa cosa se io la considera pura, solo in sé, ella mi pare simile a un patrocinio e tutela onesta a chi la tratti, utile a que' che meno sanno e meno vagliono in quello che loro si richiederebbe, e in prima molto e molto necessario alle famiglie.
E a voi che ne pare?
PAULO.
Parci utile certo e necessario a ogni moltitudine avere chi la governi.
BATTISTA.
Vero, e tanto che senza moderazione de' superiori quasi sarà impossibile ch'ella possa vivere altro che dissoluta e perturbata.
Se ciascuno per sé facesse el debito suo, sarebbe cosa felice, ma peccano questi per ignoranza, quelli per improbità innata, quegli altri peccano mossi da altra ragione non buona.
Pertanto vi bisogna chi vi provegga.
In le congregazioni civili a questo in molta parte vi provede la legge, providonvi le constituzioni publiche.
In questa nostra tutto il moderamento depende dalla prudenza, diligenza e modo de' più discreti.
E porgesi questo nostro patrocinio, composto come noi dicemmo della cura domestica colla publica sollecitudine, in molte cose non simile a quella publica, civile amministrazione.
E' principati e signorie delle città non raro se acquistano con insidie, fraude, confederazione, e impeto d'arme, e sono per sé pieni di sospetti, paure, odi, difficultà, pericoli, e stanno sempre esposti a prossima ruina, e reggonsi con violenza, rapine, simulazioni, dissimulazioni, crudelità.
Questo nostro continuo s'acquista con simplice e aperta bontà, e pronta benignità e facilità; porgesi iocondo, ameno, suave; rende contro le avversità molta sicurtà e difesa; reggesi con amore, carità e officiosissima gratitudine.
Iterum in quello publico principato civile tutte le forze e fermezza sue sono in cose di sua natura volubili, instabili, incerte, più poste in la sequela e perfidia d'altri che in la disposizione sua.
Questo nostro fondato in certa generosità d'animo virile, cupido de essere vero principe e ottimo rettore de' movimenti suoi più che di parere agli altri eccellente, sta pieno di fede, pietà, benignità, benificenza, e vive constante, perseverante in le cose oneste e lodate.
Adonque, sarà più valido e più stabile.
Ecci questo forse, che quanto el nostro è più in sé elegante e degno, tanto vi bisogna modo e diligenza più escogitata.
PAULO.
Qual di noi padri non prova quanta bisogni sollecitudine a chi prese aver cura e moderazione sufficiente, non dico degli altri ma solo de' suoi? A me pare questa opera molto laboriosa, molto intricosa.
BATTISTA.
Non di sua natura, Paule, ma viene questo da' costumi depravati co' quali cresce la gioventù male custodita.
La natura fece l'omo disciplinabile, prono ad umanità.
El crescere con dissoluta licenza lo rende contumace.
E nasce tanto male più dalla troppa indulgenza de' maggiori che altronde, però che quando e' suoi sono teneri d'età, e' maggiori desidiosi e negligenti non curano e lascianlo' ausarsi a costumi parte leziosi parte provani, onde imparano superare la onestà colle insolenze e caparbità.
Degni di biasimo, più studio pongono in accostumare el sparviere alla venazione che in accostumare il figliuolo a virtù.
Non nego a questo nostro patrocinio così come nell'altre buone arti, bisogna ragione e modo, e conviensi avere a te non tanto quello che facci allo officio tuo, quanto sapere bene adoperarlo.
Altro sarà tenere in mano la squadra, la linea, lo stile; altro adattarlo bene al tuo lavoro.
In teatro non si concederebbe che uno imperito in musica fusse duttore de' danzatori.
Molto più si conviene darsi a questa nostra opera con maturata professione quanto ella è molto più degna.
Mai conducerai gli altri a buono diporto, se a te non sarà la via ben nota.
Agiugni che forse come el pesce nato in acqua salsa richiede ancora condimento di più salina, così qui a' precetti vulgari e noti in questa amministrazione ora per ora bisogna adattarvi nuovo temperamento.
Preterea, quando ben fusse questa provincia laboriosa, non dovete però voi omini ottimi recusarla.
Fuggire la cura de' suoi perché ella è faticosa, viene da lentezza d'animo desidioso; e recusarla forse perché ella viene senza utilità, sentirebbe di villania e sarebbe inumanità.
Degnissimo ricordo quello de' nostri maggiori: richieggono e' tempi da te fatica, non la recusare; prendesti questa sollecitudine, reggila con tolleranza e fermezza d'animo, e modera tutto con buon consiglio.
Quello che per te gioverà a costui o a quest'altro, ben sai gioverà a tutta la famiglia; e quello che giovi a tutta la famiglia, certò gioverà ancora a te, e in prima el premio dell'opera resulterà proprio a te.
Né sarà poco acquisto a uno animo generoso riconoscere ch'e' suoi sono obligati a portarli amore perché fu officioso verso di loro.
Ma se tutti insieme sequiranno e' ricordi quali io racconterò, sarà opera più iocunda che difficile.
PAULO.
Io intrapresi essere interprete per questi giovani.
Ecco, quant'io vedo, el frutto dell'opera perviene a noi più attempati.
E piacemi.
Seguita.
BATTISTA.
Non è dubbio che secondo la natura a que' che più sanno sta come debito curare e conducere que' che sono meno instrutti.
Che così sia tuttora vediamo, che noi uniti da innata carità, pronti e non senza imperio, revochiamo quello e quell'altro incauto quale via sotto la ruina del tetto o contro la offensione di qualche fera malefica, e mostrànli el periculo quale esso non scorgeva.
E per questo pare che da natura l'officio del moderare la moltitudine stia ne' vecchi, non perché e' siano vivuti molto, ma perché l'uso ed esperienza delle cose qual abisogna non s'acquista senza spazio e processo di tempo ed età.
Cosa ridicula in uno omo, se non mostra del vivere suo tratto altro che solo el numero degli anni consumati.
Testimone de' giorni bene adoperati voglio che siano la grande cognizione di molte cose, e la maturità, gravità e prudenza acquistata a sé, e insieme l'opere dello ingegno produtte a utilità degli altri.
E se questo officio del reggere sarà degnissimo colui qual sarà supremo agli altri nelle cose prestantissime, certo e' buoni e virtuosi in prima saranno attissimi.
Nulla si trova prestante sopra la virtù, e per questo ben fu instituito in alcune onoratissime republiche presso de' passati che 'l summo magistrato e imperio s'accomandassi a' virtuosi e integri, e sforzassergli ad essequirlo.
Quello onde consentirono e' populi a stare sotto la iuridizione di chi gli regga, fu per vivere insieme senza iniurie e fruttare le cose sue con libertà quieta.
A questo potrà niuno conferire più che l'omo savio e virtuoso.
Ma qui bisogna che in la famiglia sia non tanto chi mostri e regga con ragione quanto chi pronto ubbidisca senza contumacia.
Converrà che questo moderatore si presti tale ch'e' meriti riverenza, e ch'e' suoi lo iudichino degno d'essere ascoltato e ubbidito.
Via espeditissima a inducermi ch'io ti ubbidisca sarà che tu mi commandi cosa quale io, etiam senza precetto d'altro, farei e volentieri, se io la conoscessi.
E questa qual sarà? Saranno tutte quelle cose quali io intenderò che conferiscano alla salute mia, alla onestà, utilità e contentamento mio, o quelle che tu, omo grave, prudente, integro, amorevole, curioso del ben mio, quale io per amore e carità verso di me reputo in luogo di padre, mi dirai.
Crederotti, seguirò ricordi, consigli e amonimenti tuoi, ubbidirotti.
E queste medesime cose, benché a me utili e commodissime, se tu le comandassi con temerità e acerbità e con imperiosa arroganza, e dove e quando non si convenisse, forse le ricuserei per non ricevere a me subiezione indegna e servile.
Sì che adonque mi pare bisognerà che in questo nostro precettore sia buona cognizione delle cose utili e necessarie a vivere bene e beato, e siavi studio e diligenza in osservare tempi e luoghi atti e oportuni alle faccende, e siavi autorità e bontà e modo acetto a chi lui si porgerà moderatore e direttore.
E sopra tutto in costui desidero che sia vero amore e carità verso de' suoi.
Non mi basterà s'egli ama te e quello e quegli altri quanto per sé merita ciascuno, ma voglio ami quanto più possa effundere la pietà d'uno vero buono omo.
Le condizioni d'uno omo buono, giovani, sono queste: sempre con tutti in ogni movimento suo adopera in bene; ama, favoreggia, aiuta e' simili a sé, e studia in ogni modo essere principio e motore e dar ragione agli altri a diventar pur buoni e a perseverare ne' buoni costumi; supplisce dove bisogna; non resta inducere quelli che lo ascoltano a vivere secondo la virtù con buona grazia; mostra, insegna, apre ogni addito e via di pervenire a onore e felicità; augmenta in bene ciascuno quanto sia in sé; concerta con gli altri e seco stessi in fare ciò che può, sì ch'e' suoi provino e conoscano che la carità sua verso di loro nulla può esser maiore; né desidera essere dissimile dagli altri se non quanto l'opera sua possa molto giovare benificando a tutti.
Questo così fatto, quando colla sua vigilanza e circunspezione provederà quello che sia utile e accommodato a qualunque de' suoi, e quando collo studio, diligenza, ello assiduo cercherà rendere beati e' suoi, che dite, giovani, che vi pare, arà costui in sé meriti condegni a quello principato quale voi desiderate? Quello sarà ottimo principato quale contenti e' suoi sudditi tale che non lo chiederebbono migliore.
PAULO.
O beata quella città dove in qualunque famiglia sua fusse uno omo tale!
NICCOLÒ.
E quanto beata! E se questa nostra republica un tanto numero avesse omini simili, pur dieci, pur sei...
Non dico più...
BATTISTA.
Or sì, lasciamo le cose publice.
Seguiamo el proposito nostro.
Di questo nostro, - come lo chiameremo? Pogniàngli nome tolto da' Greci, iciarco: vuol dire supremo omo e primario principe della famiglia sua, - l'officio suo, insumma, sarà avere cura di ciascuno per sé, e intendere quanto ciascuno vaglia e quanto possa ciascuno solo e quanto con gli altri, e indi provedere alla salute, quiete, e onestamento di tutta la famiglia.
E sarà sua impresa dare ogni opera d'essere in questo superiore agli altri primi.
Quelli saranno qui nel numero de' primi quali sanno e vogliono essere utilissimi a' suoi, e con studio e diligenza curano il bene di tutti gli altri.
Adonque, el nostro iciarco riceverà a sé questo obligo, di fare sì che amando e benificando e' suoi, tutti amino lui, e tutti lo reputino e osservino come padre.
E porgerassi tale ch'e' suoi aranno lui non solo instruttore e duttore, ma tutti lo miraranno con reverenza, e rallegrarannosi avere costui domestico essemplo a imitarlo per molto meritar colla sua virtù.
E in faccenda veruna con più diletto, con più pensiere, con più assiduità e diligenza s'adoperarà, che solo in far gli altri simili a sé, ottimi, costumatissimi, dottissimi e ornatissimi.
L'arme ben pulite e le superficie de' corpi tersi bene e mundi d'ogni rozzura rendono splendore, e danno lume apertissimo, diffusissimo.
Contro, dell'acqua e vetro sordido e fecciosa non si effunde el razzo illustrissimo del sole.
Così l'animo dell'omo puro e ben composto sparge buona grazia, e produce buono effetto; e certo l'animo sordido e turbolento da' suoi vizi, mai potrà in altri quello che non può in sé stessi.
Quelli sono fabri che fanno l'opere fabrili, e buoni quando e' le fanno bene.
Qualunque non stultissimo facesse professione d'esser musico, a costui diletterebbe adoperarsi in musica, e vorrebbe quanto in sé fusse al tutto esser non inferiore a' musici buoni.
Così chi vorrà esser riputato padre buono, integro, e simili, farà l'opere dovute a' padri buoni, integri, e simili.
Sarebbe sciocco, inetto, chi credesse che solo il nome facesse me essere padre.
L'essere padre sta in avere in sé le cose dovute a' padri, e in aoperarsi come padre.
In questa nostra iciarchia la intenzione nostra sarà più circa informare omini dati a noi dalla natura, che circa riceverli datici dalla mamma.
Dirà quello da' suoi piccini nati in casa babbo: «costui è mio figliuolo».
E io dirò: «vero; ma tu lo facesti simile agli altri animali nati con due piedi, io lo feci simile per virtù a uno dio terrestre».
Voi giovani, a chi diresti che costui così ornato da me fusse più obligato, al babbo o a me vero e ottimo padre? E non dubitate che mai niuno scalderà te ad amarlo come padre, se in lui non arderanno princìpi di vero amore paterno.
E simile con quella ottima ragione qual tu proponesti a te per acquistar virtù, con questa medesima facile conducerai gli altri ad imitarti.
Ma torniamo a proposito.
Dicemmo in genere qual sia el nostro iciarco, e quanto si convenga allo officio suo.
Ora diremo el modo e opera circa le cose più particulari.
La prima cura sua sarà che la famiglia sia senza niuna discordia unitissima.
Non esser unita la famiglia circa le cose onde sequiti detrimento, giova, non lo nego; ma non esser unita circa quelle che giovano, nuoce sopra modo molto.
E massime alle famiglie sono le domestiche contenzioni ultimo esterminio.
Quinci hanno e' nimici a pieno quello che desiderano in te; e tanto più questo, quanto gli amici hanno meno addito a interporvi l'opera sua.
L'inimico nostro porgerà favore e aiuto a te, a me conterrassi, quanto e' vedrà poterci nuocere.
L'amico nostro comune, quella impresa che pigliarebbe per me contro a uno meno suo familiare, quella medesima fuggirà tentarla contro a te, e stimerà più utile non imminuire la benivolenza tua che raffermare la mia, quando così sia che male possa omo favoreggiare la causa mia senza offendere te, mio avversario.
E videsi più volte in più luoghi che la conspirazione e confederazione di pochi superò e condusse lo stato d'una città secondo e' pensieri e voglie loro, contro la volontà di tutti gli altri non bene uniti.
Questa coniunzione e consenso alle famiglie fa che ciascuno di loro sta simile a quello Briareo vostro, giovani, quale e' poeti fingono che avea molte mani, molti occhi, qual cosa dissi ch'io desiderava a me.
E simile goderò sia l'uno pell'altro in voi.
Credo dire el vero, e così affermo: se questa famiglia vostra, giovani, sarà per voi in tempo quello ch'io spero, voi arete tal luogo in questa republica che tutti e' buoni cittadini si rallegreranno della felicità vostra.
Mai niuno potrà disturbare lo stato vostro più che voi stessi.
E non sono divise le famiglie solo per le contenzioni e discordie, né saranno unite solo per lo abitare insieme.
Alcune altre cose utili a intenderle, danno alle famiglie unione meno che non si converrebbe.
Pare che da natura siano le voglie de' giovani dissimili da quelle de' vecchi.
E così come la similitudine de' costumi, instituti e studi porge addito prontissimo alla benivolenza, così la dissimilitudine proibisce e recusa quella compiuta unione quale si richiede nel vero amore.
S'e' giovani in tutto instituissero essere in ogni costume simili a' vecchi, e contro, e' vecchi pigliassero abito e movimenti giovinili, sarebbe all'uno e all'altro impresa difficile e non ben condegna.
Ecci al bisogno nostro questa adattezza competente e conveniente all'uno e all'altro, ch'e' vecchi si ritrovino spesso co' giovani in lieta familiarità, massime alle cene.
Non so donde sia che questo trastullo del motteggiare in mensa concili tanta grazia e domestichezza.
E qui basterà s'e' giovani aranno quanta modestia richieggono e' buoni costumi e reverenza de' maggiori, e s'e' vecchi deponeranno quella severa gravità loro e porgerannosi umani, facili, affabili, quanto indi apparisca che degnino aguagliarsi alla gioventù senza levità.
Meno fatica sarà a uno di noi, Paule, in questa età maturi, repetere la ilarità e festività qual fu in noi in quel fiore della gioventù, massime dove la suavità de' buoni costumi in questi giovani c'inviti a pigliarne voluttà e recrearci, che non sarebbe a questi giovani deponere el gaudio e letizia giovenile e fingere in sé la durezza e tristezza della vecchiaia.
Come la osservanza loro verso di noi eccita in noi più ardore di carità, così el fronte, la affabilità, facilità, benignità nostra alletterà questi ad amarci.
E dobbiamo desiderare da loro più molto d'esser amati che temuti.
Se tu donandomi insegni a me referirti cortesia e merito, certo dandoti a me benigno, ossequente, trattevole e amichevole, riceverai domestichezza pari e amorevolezza.
Saranno e' ragionamenti de' vecchi alla gioventù ne' conviti lascivi nulla, ma ben iocosi, ameni, consentani a' diletti iuvenili.
Racconteremo casi rari accaduti in la venazione; diremo de' cavagli, de' cani, dello uccello rapace, della piscazione, natazione; loderemo chi si portò nel certame publico in arme con virilità e fermezza; ascolteremo poeti e musici, approveremoli senza assentazione; interporremo qualche discettazione atta a movere onesto riso; reciteremo qualche degna istoria de' tempi nostri.
Nel resto darete voi padri ogni indizio ch'e' vostri studi passati vi fecero dotti, l'uso periti, la diligenza cauti circa le cose del vivere.
Ma sopra tutto daran più opera e' vecchi in essere conosciuti amorevoli, pieni di fede e di bontà, che di parere molto pesati e circunspetti.
Ultimo, cureremo ch'e' minori d'età ardiscano teco esplicare e' pensieri loro e consigliarsi sperando che la fede tua gli giovi non meno che la perizia e sagacità.
E tu indi in quelle cose quali e' potrà per sé, li mostrerai reggersi colla ragione e buona discrezione.
Quelle che saranno in arbitrio della fortuna vi consiglierete insieme col tempo, e ne' casi dubbi vi reggerete con prudenza.
Nelle avversità confermerete all'animo fortitudine; in le cose seconde e prospere adatterete gesti, fatti e parole che siano da ogni parte modestissimi.
Egli è molto più difficile reggersi bene nelle cose prospere senza modestia, che nelle avverse colla virtù.
Diffiniscono la modestia ch'ella sia certa scienza circa ordinare e collocare detti e fatti a luogo e tempo con ragione.
Tale adonque saranno e' vecchi in adattarsi colla gioventù a domestica familiarità.
E' giovi qui, Niccolò, dico, e a te, Paulo, giovi motteggiar con questi.
E sarà quasi come essemplo atto a questo proposito, massime quando così sia che le cure amatorie siano a questa età molto adiudicate.
L'amore, giovani, ha in sé due voluttà e due dolori: l'uno dura breve tempo, e questo mi pare sia el coruccio, e dicesi le risse degli amanti rinuovano l'amore; l'altro dolore dura troppo, e questo si è la gelosia.
Delle voluttà, quella quando soli insieme satisfanno al desiderio, dura molto poco; ma quella festività e amenità per quale s'incende el desiderio, porge sollazzo quanto e' buoni costumi e la modestia ben retta gli governa.
PAULO.
Eia! E che ridete voi giovani?
NICCOLÒ.
Quale eleggeresti voi, o quella breve voluttà, o questo diuturno sollazzo?
BATTISTA.
Penseretevi.
Or sì, e dicesi spesso: fammi l'uno ricco, l'altro povero, e arai divisa fra loro l'amicizia.
Questo, s'e' giovani saranno allevati con disciplina e costumi racconti da noi, e s'e' padri della gioventù adopereranno quanto si richiede, non interverrà nella famiglia, primo perché la povertà non abita se non con la desidia, coll'ozio e inerzia, poi arà in loro più forza la bontà a mantenere l'amore e raffermare el vincolo della confraternità, che non arà forza la inumanità a fastidirsi e odiarsi insieme.
Omo allevato con industria e buona civilità non vedo che possa per età esser povero.
E dove sarà lo amore, ivi sarà comune ogni altra cosa.
Chi desiderasse ricchezza per non benificare a persona, sarebbe peggio ch'una fera immanissima.
Le bestie crudelissime quello che avanza loro lo cedono agli altri.
E tu a che fine vorresti avere ricchezze se non per bene adoperarle benificando, e a chi vorresti far bene prima che a' tuoi, massime fatti da te simili a te in bontà e virtù? Ma niuna dissimilitudine, niuna disgregazione e alienazione d'animi e volontà mai sarà da natura maiore quanto de' buoni virtuosi mansueti contro a' viziosi ambiziosi rapaci.
Gli studi, le voglie, le deliberazioni al tutto fra questi sono opposite e repugnante.
NICCOLÒ.
Mala cosa la improbità d'uno, massime concitato da ambizione o da avarizia e cupidità.
Quinci le invidie, le iniustizie, risse e ogni perversità.
BATTISTA.
Sì, ma non cade questa nequizia negli animi maturi e ben composti, massime fra coniunti.
Quale stolto non sente che lo onore e lume posto in qualunque suo propinquo, risplende ancora a sé? Quella emulazione per quale tu cerchi meritar fama e gloria sopra gli altri, viene da prestanza d'ingegno e generosità d'animo, e acquistila non con malignità, ma solo con virtù quale sede in te.
E ben disse colui: in che sarà il re de' Persi maiore omo di me, se io sarò iusto più di lui? Brutta iniustizia rapire ad altri quello che tu non li possa restituire.
Se 'l nostro iciarco, omo bono e dotto, arà le condizioni richieste in lui, tutti lo ameranno, tutti seguiranno e' vestigi suoi.
Niuna invidia vi si avolgerà, niuna mala contenzione vi insurgerà: solo concerteranno a gratificarsi e benificarsi insieme.
Questo farà che a ciascuno per sé qualunque degli altri sarà in luogo di padre e di fratello.
E tanto sarà nella famiglia questo imperio glorioso quanto chi comanderà, e pari chi ubbidirà sarà migliore.
NICCOLÒ.
Non volsi interrumpere il dir tuo.
Ed è vero: dove sia integro amore, ivi sarà comune ogn'altro bene.
Pur cosa più facile a ragionarne che a ritrovarla oggi fra' nostri costumi.
E in tanta dissimilitudine quanta interviene fra questo buono e quello altrove vizioso, concedoti non può essere amore né vincolo fra loro comune che gli contenga in ferma benivolenza: non si può negare.
E dicesti quello che doverebbono e' maggiori, e quello che tornerebbe utilissimo a' minori, e molto mi piacque.
Ma vediamo; sequi, a fare che niuno de' miei senta povertà, questo che tu contasti, Battista.
BATTISTA.
Io e più volte e non poco pensai a questo.
E forse affermeresti ch'egli è difficile colla sola bontà superare la fortuna, sì che tu non senta le molestie sue; e vedesi che molti omini pur buoni per vari casi si levorono poveri quali erano posati a letto ricchi.
A me veniva questo in mente: s'egli è bello in una famiglia vederli che nel vestire e' paiano fratelli, molto più sarà quando con ogni officio di benivolenza si porgeranno coniuntissimi.
E sarebbe indi forse non meno da lodarli quando e' volessero ancora colle cose della fortuna aversi l'uno all'altro pari.
El carico delle ricchezze tutto posto da un lato si porta con molto male assetto; e quando le ricchezze pervengono a pochi, raro che questi non diventino superchiosi e contumeliosi.
Non però mi pare da privarne chi le possiede.
Dicono che quanto io indugio a farti bene, tanto non voglio.
Non però manca ch'io non possa domani quel che oggi non volsi.
Ma se modo ci è da provedere alla instabilità de' tempi contro la volubilità della fortuna, sarà forse fra gli altri questo: quando la famiglia si trovi in stato fortunato, bisogna provedere quanto sia in te a quello che sogliono apportare e' casi impremeditati.
Adonque a me piacerà se tutti insieme constituiranno tanta casa dentro la terra fra' suoi, e tanto terreno altrove in luogo sicuro, che indi si pasca e riposi chi altronde potesse meno.
Ma torniamo al proposito nostro.
Sono gli animi e mente degli omini vari e differenti; alcuni sùbiti al coruccio; alcuni più facili a misericordia; alcuni acuti, suspiziosi; alcuni creduli, puri; alcuni sdegnosi, provani, acerbi; alcuni umani, trattevoli, ossequiosi; alcuni festerecci, aperti, goditori; alcuni subdoli, solitari, austeri; alcuni amano esser lodati, soffrano esser ripresi; alcuni contumaci, ostinati a ubbidire niuno altro che la legge; duri nel comandare, crudeli nello sdegno, effeminati ne' pericoli, e simili: sarebbe prolisso raccontarli.
Conviene che 'l nostro prudente iciarco esplori, tenti, ricognosca ora per ora costumi, vita e fatti di ciascuno de' suoi, e a ciascuno adoperi ottima e accomodata ragione di comandare.
Adonque userà non sempre, non con tutti quello uno medesimo moderamento, ma adatterà la varietà degli imperi alla varietà degli animi.
Gl'imperi e ragioni del comandare agli omini si vede palese che sono differenti.
E al padre dicono ch'egli ha sopra e' figlioli imperio domestico iusto simile a un re.
E confessasi che 'l comandare sia proprio officio del padre, e al figliolo sta debito ubbidire.
A' fratelli conviensi il consigliare: el marito impera alla moglie, el precettore a' discipuli, el fratello ancora a' minori; e allo amico par licito in qualche modo comandare.
L'architetto comanda a' suoi operari fabbri, el nocchiere in mare agli altri ministri della nave, el medico allo infermo, el duttore dello essercito a' suoi armati, el magistrato a' cittadini.
Que' che ubbidiscono a costoro soffrano quella subiezione non per uno solo, ma per vari rispetti.
E' figliuoli allevati sotto quella ubbidienza imparon da piccioli ubbidire el padre.
La moglie ubbidisce in prima per non imminuire l'amore e grazia del marito.
Al precettore, quanto el discipulo più sarà cupido d'imparare, tanto più lo ubbidirà circa le cose onde e' diventi più dotto.
E quest'altro, quanto e' più conoscerà essere amato dal fratello o dallo amico, tanto più l'ascolterà e seguirà e' suoi ricordi e amonimenti, massime se crederà che sia bene esperto.
Gli operari sono obligati al premio per susservire.
Questi altri in mare fanno quanto dice el nocchiero per non pentirsi navigando e per conducersi in porto con secura navigazione.
E questi per liberarsi dalle lassitudini e raffermarsi a sanità ubbidiscono al medico.
La disciplina militare può sopra e' suoi armati: la severità delle leggi impone maiestà e venerazione al principe.
Tutti questi imperi bisogna che 'l nostro iciarco sappi adoperare in tempo.
Di questi niuno da natura perfetto più che 'l paterno.
E quando dallo iciarco si richiede, come noi dicemmo, che sia per amore padre a tutti, converrà si porga tale che meriti reverenza paterna.
Adonque sarà maturo, grave, moderato; fuggirà ogni suspizione di lascivia, però ch'e' vizi benché minimi sono molto notati negli omini degni: comanderà non come a' servi, ma ecciteralli, comoveralli come carissimi figliuoli a fare quelle cose onde e' siano salvi e beati; e' cercherà in tutti e' modi essere amato da loro, e riceverne in tempo consolazione di vederli per sua opera fatti felici.
A questo nulla gioverà quanto farli amatori della onestà e studiosi delle cose lodate.
Tanto sarà ogni imperio perfetto, quanto el principe farà bene a' suoi e quanto e' suoi ameranno lui.
E tu, quanto chi t'è figliuolo sarà migliore, tanto lo amerai più, e lui pari a te retribuirà vero amore.
Con quegli che saranno aspri e ritrosi ed elati, forse perché e' sono più fortunati che gli altri, - qual vizio suole abitare insieme colla improbità femminile, - tu iciarco userai lo imperio del marito, e seguirai mitigando con blandizie più che con rigore di parole, e conducera'li con lusinghe più che con precetti, e aiutera'li mitigare que' suoi costumi inurbani, persuadera'gli che la facilità e umanità, l'essere ossequioso rapporta più utile che l'essere riputato abbiente e potente.
A quelli che saranno ventosi e cupidi d'essere appellati splendidi e godono essere acerchiati da molti assentatori, e' dotti e periti nella ragion del vivere mostreranno col raccontare gl'incommodi sequiti agli altri simili malconsigliati, che la vera gloria e degna fama non s'acquista con prodigalità e vane ostentazioni, ma con moderare sé stessi e curare più d'essere iusto, buono, temperato, officioso, che di essere portato in voce de' fabulatori.
Con quelli che troppo atribuiscono alle voglie sue e troppo stimano el proprio iudizio suo e sentenza, useremo la licenza concessa a chi te ama: favellaremo aperto, libero, in modo che s'avederanno quanto ci piacerebbe che seguissero instituti e via più atta a intendere el vero delle cose da' suoi principi in acquistar prudenza e sapienza.
Con questi simili ingegni voglio quanto sia in te usi ogni diligenza circa e' princìpi onde succedano a' giovani corruttele e alle famiglie perturbazioni.
Dicono che 'l principio di molto male sta in permettere ch'e' fanciugli e le femmine s'ausino a mantenere le voglie sue.
Da questa dissoluta libertà nasce la insolenza e intemperanza: vizi pessimi, pestiferi alla gioventù.
L'omo intemperato e dedicato alla voluttà in molti modi nuoce a sé e nuoce agli altri, e consumando nelle voluttà il suo, non solo rimane inutile a sé e a' suoi, ma seguene che impulso dalle necessità impara appetire gli altri, e diventa iniurioso e dannoso a tutta la famiglia.
E può tanto la intemperanza che sendo in uno solo, ella facile vizierà tutto il resto della gioventù quale conversi seco.
Adonque bisogna ne' primi cenni e indizi usarvi ogni arte e ragione in eradicarli.
Meno faccenda sarà contenere chi ora cominci a correre, che opporsegli nello impeto e furor del corso.
Agli omini liberi dicono che le lode e le vituperazioni sono gli stimoli a concitarli, e in luogo di busse a gastigarli.
Di natura sono certe faville nell'animo dell'omo pronte a illuminare la mente co' radî della ragione.
Troverai niuno a chi non piaccia el bello e non appetisca il bene.
Nulla si trova invero per sé bello quanto la virtù; nulla in tutta la vita comodo quanto la bontà.
E agli omini per età non ancora infusi d'alcuna mala impressione, facile accenderà voglia e ardore ad acquistare lode e buona fama, quando tu assiduo lo ecciterai a mirare e riconoscere la carità e splendore che insurge dalla virtù.
Adonque in ogni ragionamento, presente e' giovani, si vuol con laude ponere in cielo quello e quell'altro virtuoso e accendere in loro cupidità di gloria.
E contro, bisogna insistere mostrando quanto sia brutto, dannoso, detestabile el vizio.
Chi impara odiare el vizio acquista in sé in molta parte virtù.
Ma quando per la varietà degl'ingegni bisogni adoperare imperio più severo, useremo rimedi simili al medico, quale adopera al bisogno medicamenti mordaci, e saremo, quanto patirà el bisogno delle cose, ancora simili al duttore dello essercito, rigidi osservatori della disciplina atta a' buoni costumi: porgeremo in tempo el fronte imperioso e pieno di maiestà religiosa.
Non ogni pianta si può domesticare, né ogni fera si può far mansueta.
Questo argentario con questi instrumenti, con questo medesimo artificio e modo non può d'una medesima massa d'oro stampare monete tutte simili finite e da ogni parte perfette.
E se vi sarà forse qualcuno quale tu nulla potrai renderlo migliore con arte tua e diligenza, almeno cureremo che non diventi piggiore.
Quello che stia prono a ruina e non si può reggere, di necessità perirebbe se qualche opposta forza non li resistesse.
Questi tali incorretti si vogliono esterminare lungi dagli altri, non dove e' vivano miseri e abbandonati, ma dove e' dimentichino le delizie e depongano e' vezzi e interlassino le lascivie, e intendino quanto possa la industria a riporgli in miglior vita e stato; e sarà questo non escluderli a servitù, ma sarà un revocarli a salute.
E doveratti meno dolere che in mensa sia de' tuoi testé uno meno a numero, che vederlo inutile e da meno che non se li conviene.
E sarà molto salutifero in questo modo levarli e alienarli dalla conversazione de' voluttuosi, immodesti, petulanti, insolenti, arroganti, rissosi, temerari, temulenti, però che con questi diventerebbono ogni dì più dannosi a sé, molesti a' suoi, perniziosi alla patria sua.
Niuna cosa tanto pestifera ed eccidiosa a una città quanto sono e' suoi propri cittadini improbi e malcorretti.
E sopra tutti e' vizi, se tu lo vedi dedicato e adiudicato a quella bruttissima pravità del giuoco, ponvi rimedio.
E bench'ella sia cura più da non la recusare che da sperare sanità, tu pure con ogni arte, studio, diligenza, industria, ancora e ancora e senza intermissione osserva e' gesti e le compagnie sue, cura che si rammendi e ritraisi da tanta perversità.
Detestabile cosa el giuoco! Vita inquietissima quella del giucatore, sentina di vizi abominevoli! Non so vedere che 'l giuoco venga altronde che da miserabile avarizia.
Gli altri sono avari per serbare e sé e il suo contro a' casi della fortuna: el giucatore con arte buone e non buone, anzi con ogni scellerata malizia e fraude rapisce quello d'altri per esporlo in arbitrio del caso qual può venire nella volubilità d'un dado.
E cresce in loro dalla avarizia el furore e rabbia del giucare, e dal giuoco arde l'avarizia.
Che maraviglia adonque se uno giucatore s'ausa essere decettore, rubatore, perfido, se non cura la grazia di persona, se non stima onore, s'ello intrapreende ogni biasimo per avere luogo fra gli altri simili a sé, senza e' quali né sa né può vivere né ben contento né mal contento?
Con questi adonque useremo ogni severità coniunta con buona modestia.
Del resto bisognerà che tu adatti te allo ingegno di costui quale tu curi.
Alcuno metallo si conduce meglio caldo che freddo; alcuno soffera più e più battiture freddo.
Dicono che l'altre virtù sono comuni con molti: la prudenza sta propria virtù dovuta al presidente.
Qui sarà, come allo artefice, prudenza non solo conoscere la natura della materia in quale e' pone l'opera sua, quanto sarà bene conoscere da sé il modo de adoperarvi gli strumenti suoi.
Del nostro iciarco gli strumenti atti alla opera sua sono le parole e autorità.
Nulla porge tanta autorità presso la moltitudine quanto essere conosciuto buono e degno d'essere onorato.
Manterrete adonque autorità e gravità, ma adatterete le parole e gesti a tempo in modo che non possano riceverle a contumelia, e, quasi come trattassi simile a' fanciugli, abbino da pigliarne da sé sdegno.
Non cerco che te ubbidischino come servi, ma che te ascoltino senza fastidio, senza contumacia, e osservino pari a' detti tuoi a sanificar l'error suo, quanto essi osserverebbono e' precetti del medico a sanificare el corpo.
Né a te il fine di questa impresa sarà come volere comandando essere al tutto obbedito quasi come solo per satisfare a te; ma el fine dove concorreranno tutte le cure tue sarà in aducere onestà in costui quale tu ami, e indi fermare dignità a tutta la famiglia.
E sarà questa cura piena di carità e amore paterno, presa con buona circunspezione, dedutta con prudenza e maturità, condutta con diligenza e perseveranza.
Moveremoli adonque persuadendo, e convinceremoli colle ragioni aperte e accommodate.
Castigamento severissimo a chi non ubbidisce sarà mostrarli e persuaderli cose onde esso si penta quando e' non le fece.
Non però nelle faccende voglio ti commuova sdegno a essere molto austero verso di lui.
Quello sviamento qual molto gli piacque non ti credendo, forse ora per l'avvenire gli dispiacerà conoscendo quanto e' sia dannoso.
Né con tutti, né sempre, né in ogni luogo, né per ogni cosa si concede alterarsi; sì bene, quando presso de' giovani possa la reverenza e pudore verso e' suoi maggiori, non biasimeremo chi amonendo ed emendando si porgerà contro gli errori meno tollerabili più rigoroso.
E forse qualche volta sarà meglio dissimulare e fingere di non vedere che non correggere.
E dobbiamo considerare che se in questo sviato fusse più ragione, sarebbe meno lascivia.
Ultimo a tutto non mi piace la durezza, né lodo la troppa suspizione.
Ben dico che 'l buon medico cessa mai di ovviare e contrastare al male se non quando e' perde ogni speranza dell'arte sua.
Noi con molto sforzo consoliamo nel merore gli animi aflitti per imminuire loro el dolore.
Per levarli dal vizio dobbiamo con più diligenza affaticarci, e saracci concesso usarvi in tempo qualche obiurgazione e veemenza di reprensione.
Ma in noi sarà el fronte, el volto, el spirito delle parole pacato, vacuo d'ogni indizio d'animo perturbato.
Più cureremo mostrare che a noi dolga el biasimo suo, che cercare che a lui dolgano le morsure tue.
E saranno le nostre reprensioni in secreto senza testimoni; saranno brevissime, più per circuizioni dette e irronia che alla scoperta; saranno non iterate, né più volte repetite, quasi come chi voglia ritrattando la ferita inducervi dolore.
Anzi vi agiugneremo qualche scusa in mitigare el concitamento intimo onde egli di fuori troppo arrossisce.
Forse sarà chi responderà qualche parola inconsiderata, fastidiosa.
Molte cose più fetide e stomacose tratta chi cura el corpo non sano, e ricevene lodo e grazia.
Vuolsi quasi non udendo attutare el fervore della sua impazienza e concederli ch'ello sfoghi el bollimento dell'animo onde e' s'infiamma.
Raro si coruccia omo se no' gli pare avere ragione.
Pertanto saranno più da sofferire le parole dette in qualche sdegno, ch'e' fatti degli insolenti e simili alle bestie perduti nelle voluttà.
A comprimere e ritenere la superfluità de' prodighi effessori e gittatori della roba presertim in golosità e lascivia, se li converrà qualche volta esser infesto e molesto riprenditore, ma tutto, come dicemmo, senza cruccio.
Ottima e necessaria virtù ne' superiori omini e presidenti sempre fu la pazienza.
Non preterirò qui quello che mi viene in mente circa la suntuosità de' giovani.
Officio de' maggiori sarà curare che delle ricchezze si spenda in le cose private e domestiche nulla meno che richiegga el vivere civile, ma tutto con parsimonia e buona moderazione.
In le cose onde seguiti onore alla patria, alla famiglia, ameremo esser conosciuti splendidi, magnifici, prontissimi.
Ma in questo e in tutte le cose osserveremo che nulla sia troppo in questa o in quella parte, e possa niuno prudente desiderarvi più moderamento.
Circa simili errori della gioventù o nel modo racconto o in altro modo qual meglio paresse a' più dotti e prudenti di me, saranno curiosi e operosi direttori e gastigatori quelli della famiglia omini per sapienza e autorità maggiori.
Suole intervenire ch'e' padri fra loro sono in mala concordia, disturbo alle famiglie dannosissimo.
Affermano e' fisici che le malattie nate ne' mesi dell'anno atti a sanità vengono da cagione molto potente, e per questo sono di sua natura gravi e quasi incurabili.
Così fra gli omini per età maturi non pare che tanto male possa intervenire se non da offensione intollerabile.
In simile causa pensai e provai più volte più cose per proibir le gare e revocar l'impeto delle contenzioni.
Non so bene donde poco succedesse ogni mio sforzo.
Dicesi che la discordia forse giova in quelle cose ove succederebbe danno alla famiglia se tutti consentissero alla voluntà d'uno solo.
E pare a' prudenti che in questo bisogni ritrarsi e discordare e repugnare, quando così sia che in qualunque modo uno omo solo potrà più che gli altri, sì la republica, sì la famiglia rimanerà né libera né salva.
Ma nell'altre cose sarà molto meglio concordarsi tutti a far bene, che discordarsi per non fare male.
Nelle dissensione e contenzioni de' tuoi consigliano alcuni che tu nulla pigli a te altro più che solo el studio di conciliarli e rendere fra loro concordia; e pare a loro più degno in ogni causa esservi come iudicatore che esservi come parte, e meglio conservarsi dignità che imporsi nuova sollecitudine.
Gli altri affermano che l'omo virile nato per esser utile a molti, in tutti e' modi debba obsistere alle iniustizie e darsi defensore a chi sia, massime de' suoi, con iniuria oppresso: prima questo per non parere che gli diletti starsi quasi come a uno spettaculo ridendo le miserie altrui, e riputare solo beato sé quando gli altri suoi diventino per quello conflitto loro miseri, dove tanta infelicità doverrebbe, come agli altri buoni, così molto a lui dolere; poi perché l'omo virile, integro, dedicato a magnanimità, sente che l'officio suo aspetta da lui altro che ozio e timidità desidiosa, e richiede che s'adoperi nelle imprese degnissime e pugni per ottenerle e mantenerle.
E sono in prima dignissime e sacrosantissime fra' mortali la iustizia e la verità.
E quanto la iniustizia sarà maiore, tanto con più fervore l'omo magnanimo aiuterà e difenderà chi sia offeso, e stimerà la roba sua, el sudore, el sangue, la vita, meno che la onestà.
Cosa scellerata non resistere alla disonestà ove tu possa reprimerla.
E chi permette in altri la iniustizia, in sé non è iusto.
E sarà niuna iniustizia maiore quanto molestare e perturbare la quiete di chi ama e osserva mansuetudine e vive contento della industria e parsimonia sua.
Tutte le virtù, figliuoli, pugnano per la mansuetudine, massime la integrità e fortitudine.
Apresso di niuno abita la felicità quanto presso a' buoni e mansueti.
Dio ha cura e tutela de' buoni, favoreggia e' iusti, aiuta e' mansueti.
Dissivi, figliuoli, con che ragione e modo possiate diventare primari, onoratissimi e felicissimi omini.
Dissivi quale fia l'officio di questo primario e massimo moderator degli altri, quale vi confesso, persino da quella età che questi mie' capelli eron biondi, persino a questa che ora sono canuti e bianchi, sempre desiderai, sempre quanto in me fu ingegno e attitudine, con ogni studio, fatiche, vigilanza, cercai de essere: non questo tanto per darmivi duttore, quanto per essere in me atto a tanto vostro bene.
- Fine -
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