[Pagina precedente]..., eccedeno. Dicesi che l'uso vero delle ricchezze sta in spendere el danaio in cose necessarie e utili a lui; vero, agiugni ancora, in adoperarle come instrumento a qualche iocundità e piacere onesto. Quello suntuoso ostentatore le effunde senza modo in cose inutili e superflue, e non gli satisfa se non quello che gli altri non possono avere; e versane tanta copia che, oltre a tutti e' pacchiatori, ancora la turba de' cani in tutto el vicinato se ne satollano. Ben disse quel prudente: la casa di questo prodigo e sollecito apparecchiatore mi pare divenuta osteria piena di gulosi diluviatori. Ma quivi costoro pagherebbono danari e qualche frutto delle fatiche loro, dove qui e' pagano costui d'assentazioni. Paionmi troppo care le blandizie degli ubbriachi, se tu le comperi coll'oro tuo e con lo onore. La mensa civile vuole essere senza escogitato artificio: amici pari a te; l'altre cose nulla sordide, ma tali ch'io invitato possa pari e facile retribuirle. Soleano que' buoni antiqui in cena udire chi cantava le laude di quelli che per sua virtù e beneficio molto meritorono esser nominati e amati. Ottimo instituto, per quale si dimostri gratitudine verso e' passati, e porgasi a chi ora cresce, essemplo a esser pari gloriosi e immortali. A me canti, suoni, festività , alacrità diletterebbono, e insieme qualche sale in una e un'altra risposta non dispiacerebbe, pur ch'ella uscisse in tempo e senza fiele. Questi che pongono ogni studio e premeditazione in pugnere e mordere or questo or quello, solo per esser tediosi, senza niuna occasione di qualche scusa, e godono lasciare come la vespa insieme con qualche susurro, latente el suo veneno, sono maligni, villani, odiosi. Ma che cerchiamo noi, o instrumenti musici, o destrezza d'ingegno altronde? Niuna armonia sarà mai soave pari a' ragionamenti d'un omo prudente ed erudito, qual cose raro si trovano in età non matura. Da costui udirete cose ioconde piene di gravità e piene de amenità . E quello che non poco giova, la presenza degli omini degni di riverenza, modera la licenza quale suole lascivire forse doppo el vino. Dicea quel savio: la prima tazza sia per spegner la sete, la seconda per voluttà , la terza per alacrità ; la quarta sia concessa a' vecchi contro la sete poi del dì. Ne' giovani questa ecciterebbe furore. Non voglio sia il convito a fine di crapulare insieme; più tosto per adoperar la iocondità del vivere ragionando e dando insieme l'uno all'altro ogni indizio de amorevolezza. Questo apparecchio e lautizie della mensa ha in sé venerazione, e quasi possiamo dire che la mensa sia come ara sacrata alla umanità , e che 'l convito sia in parte spezie di sacrificio e religiosa comunione a confederarsi con fermissima carità . E per questo dire' io che ne' conviti de' giovani e' vecchi vi bisognassero in luogo del sacerdote, come per altro, sì etiam per ornamento del convito.
PAULO. Non persuaderesti questo oggi al resto della gioventù quale cresce in questa nostra città . In pubblico non riconoscono e' propri padri, non stimano gli omini pregiati, non curano e' primi magistrati. Irreverenti, insolenti, incorrettissimi, reputano biasimo a sé non biasimare in altri ogni modestia e umanità . E tu richiedi che degnino in mensa e in privato la presenza de' vecchi!
BATTISTA. Tanto più mi cresce letizia maravigliosa, quanto io vedo e conosco in questi miei quello che tu e gli altri ottimi e massimi desiderate in loro. E così fate, figliuoli, riconoscetevi e gloriatevi esser quanto noi diciavamo simili a que' che sono lodati e amati per loro costumi e bontà . La natura vi dà che voi siete di presenza e aspetto civile e pieno di dignità . La condizione de' vostri passati adoperò che voi sete fra' nostri cittadini e presso di tutte le nazioni conosciuti nobili. La fortuna vi concede quanto in molta parte basta per satisfare al vivere civile con ozio libero e onesto. El nome della fama e insieme e' vostri portamenti buoni vi congiunse molta parentela con più e più omini primari e prestantissimi. La buona grazia dovuta a' vostri meriti spero darà qui a voi luogo ne' publici onestamenti, pari forse quale riceverono e' nostri avi, omini molto riputati e onorati, fra' quali la virtù, prudenza, perizia e singular dottrina acquistò a non pochissimi di loro summa dignità , molto favore presso de' summi principi, e fama immortale, sino dove chi mai gli vide, onde a voi ne risulta ornamento. Figliuoli, tutte queste cose rare in altri a voi importano e impongono obligo e incitamento a imitare e' gesti, instituti e opere loro. Da questo domestico essemplo accrescerete a voi e a' vostri maravigliosa gloria e felicità . Così desidero facciate, e sì spero farete, massime mossi prima dalla vostra ottima natura e degnissima deliberazione. Vedovi esposti e parati e offirmati a meritare per vostre buone opere laude e grazia. Prossime, ancora mi persuade vi diletterà satisfare alle vostre espettazioni con più prontezza e studio, confortati ed eccitati da' ragionamenti transcorsi qui da noi questo dì. E così credo affermerete in voi che chi contende essere prestante con dignità e autorità , bisogna che sia nulla inferiore né dissimile agli altri eccellenti in virtù. E per questo el primo loro officio fu escludere lungi da sé ed espurgare dall'animo ogni improbità e corruttela de' vizi. Prossime succede che diano opera di formare in sé abitudine d'animo constante, virile, equabile, officioso, retto con ragione e modo di vivere accetto a Dio, grato agli omini, e ben contento di sé stessi, onde poi bene operando vi presentiate atti ad acquistare ancora presso degli altri superiorità e stato.
LIBRO III
BATTISTA. Salve, mi Paule, et vos salvete. Noi eravamo fra' nostri libri, e se io sapevo prima che tu ci fussi, tu ottimo arbitro diffinivi certo dubbio mio qual ti narrerà qui Niccolò. Non dovevi rattenerti, ma venire oltre o farci chiamare.
PAULO. Io trovai qui questi giovani. Fummi voluttà udirli referire fra loro e' ragionamenti intesi oggi da te. Affermano che mai occorse loro più felice dì.
BATTISTA. Felici saranno essi el resto della vita loro, quando si vederanno fatti omini ben culti in dottrina, ornati di buoni costumi, per la loro virtù onorati, amati, adoperati.
PAULO. E che discettazione era la vostra?
NICCOLÃ’. Tu, Battista, esplicherai meglio la intenzione tua. Adonque a te rimetto questa opera.
BATTISTA. Dissemi qui Niccolò che in sanato si trattava certa nuova forma e legge censuaria.
PAULO. Vero.
BATTISTA. Vedi quello ch'io dicea: questo immutare ogni dì novo modo e circa e' censi e circa gli altri ordinamenti della terra forse viene da inconsulta levità o forse altronde, e non senza detrimento della republica.
PAULO. Come?
BATTISTA. Dicono ch'egli è meglio continuare osservando gl'instituti antiqui, quando ben fussero non così lodati, che romperli con nuovi ordinamenti. Le nuove opinioni insegnano disubbidire alle antiche leggi. Niuna cosa tanto perniziosa alla republica quanto diminuire la reverenza e timore della legge.
NICCOLÃ’. Certo.
BATTISTA. Agiugni, questa città , sempre fu presso di tutte le nazioni riputata degnissima per più rispetti, massime per la singular prudenza e incredibile sapienza de' nostri cittadini, quali omini circunspetti, acutissimi, vigilantissimi, constituirono e adussero in summo grado questa republica. A tanta amplitudine non si perviene senza ottima ragione e ben gastigato modo di vivere. Né troverrete altrove legge e instituti publici da preporli a quelli che indussero e' nostri constitutori. Dirò quello che mi soviene. Parmi non senza arroganza chi produce nuovo instituto e circa obliterare l'ordine già confirmato per uso e per esperienza comprobato. Questo si è un certo ripreendere e vituperare el consiglio e prudenza de' suoi maggiori, se tutti insieme non videro prima, quanto costui solo testé conosce, e' loro errori in cose tante volte riconosciute. E pur fusse in questi eleganti oratori in su quel pulpito qualche ragione o pensiere conveniente e commodo al publico bene!
PAULO. Qual fece tuo avo, Battista, tuo avo messer Benedetto Alberto: la legge chiamata «specchio».
NICCOLÒ. Sì certo. E così s'afferma per tutti che in quella stia el fermamento in molta parte di questa republica.
BATTISTA. Da questi oggi nulla udirete che nuovo sia, nulla non più volte repetito; se già non dicessi che lo estirpare pecunia delle borse private con l'autorità publica a' suoi cittadini infatto sia pur quel medesimo in questi qual fu ne' prossimi dì sopra, ma per certo palliamento utile in que' pochi forse che trattano le cose, si li muti el nome e chiamisi quando catasto, quando ventina, quando suo altro nome. Non voglio si referischino le parole mie solo circa queste imposizioni censuarie, quanto a simile proposito in tutte le innovazioni produtte in senato da chi le studia e confirmate dalla multitudine. Cosa intollerabile! Come patiscono i padri cupidi della quiete, amatori della patria, che tante agitazioni spesso perturbino questo stato, e insieme qualche volta molestino tutta Italia? Dieci leggi, non più a numero, dopo Moisè, resse tutta la nazione ebrea cento e cento e più volte cento anni con venerazione di Dio e osservazione della onestà , equità e amor della patria. A' Romani bastò per amplificare la sua republica, vendicarsi tanto principato, solo dodeci brevissime tabule. Noi abbiamo sessanta armari pieni di statuti, e ogni dì produchiamo nuovi ordinamenti. Se qualche publica ragione non induce costoro a simili innovazioni, forse gli tira qualche voglia privata. Le voglie, onde elle insurgono ne' nostri animi, si sa ch'elle sono adiritte in costui a fine de accumularsi pecuglio, in quell'altro per satisfare alla voluttà , in voi per acquistare onore e fama. A questi vostri persuasori di cose e legge nuove, ditemi, qual minima parte di tutte queste gli soviene? A me quello che ne risulti loro non è ben noto.
PAULO. E' tempi danno argumento e occasione alle cose, e non rarissimo importano necessità .
BATTISTA. Non confermo e non confuto quel che tu dici. Pur crederrei che la intenzione e proposito del buon cittadino fusse constante e offirmata, e sempre operosa in acrescere e prescrivere tranquillità , amplitudine e maiestà publica. Se fra noi senatori in senato continuo si cerca questo, bene est. Che surridi tu, Niccolò?
NICCOLÃ’. Hen!... non altro...
PAULO. Tu accennasti pur voler dire qualche cosa. Sequita.
NICCOLÒ. Più volte notasti fra noi quello che testé m'occorse a mente. Usitata corruttela. Subito che tale o quale sede in magistrato (lasciamo adrieto quanto esso studia, quasi come da una sua bottega, trarsene utilità ), dico, pare che quasi intervenga a tutti questo, che sollicita sé e altri immutando, rinovando, introducendo nuove leggi e inaudite consuetudini, solo in mostrarsi faccendoso e sapere e valere troppo più che gli altri. Più tempo desiderai intendere onde sia questa improbità . A te, Battista, che ne pare?
BATTISTA. Parmi che da natura nell'animo dell'omo sia infisso certo appetito d'essere inferiore a niuno. E da certo altro instituto ci diletterebbe essere superiore a tutti. Per questo in qualunque modo sia concesso, al tutto per usurparsi questo frutto della superiorità ello contende imporre agli altri qualche servitù. Le servitù tollerabili sono l'una coniunta alla onestà , e questa si chiami legge; l'altra viene collegata dal premio, e questa chiamera' la equità ; la terza servitù tollerabile succede allettala dalla voluttà , e questa chiameremo amore. Trattone adonque la prontezza del gratificare, la iusta retribuzione del premio, la ragion del vivere con onestà , ogni altra ubbidenza sarà miseria intollerabile, e verrà da dominio violento e tirannesco. E quinci errano questi ambiziosi quali contano grandirsi, e non conoscono in che stia l'esser primario cittadino. Dissi, in altro sta, e dico ancora, dico, in altro sta il vero principato che in la servile obbedienza di chi o per temenza o per dapocaggine patisce la inezia e fastidiose saccenterie degli insolenti. Prima sono a noi mortali dal summo principe i...
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