DE ICIARCHIA, di Leon Battista Alberti - pagina 4
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Questa opera dovuta ancor da te sarà utile e grata a questi.
NICCOLÒ.
Io mi ricordo vedere e' cittadini primari della terra nostra, per andare in villa caricavano in qualche soma il letto, stagni e vasi per la cucina, e riportavanle quando e' tornavano alla terra.
Testé qui entro la terra vedi più apparecchio in una sola camera e di più spesa che allora non vedevi in tutta la casa el dì delle nozze.
In villa molto maggiore insania, più e più letti che non bisogna per lui e per tutti e' suoi parenti e noti quando tutti concurressero; la sala, la mensa, tutto parato a imitazione de' massimi prelati.
E queste ville oggi, queste ville e ridotti, anzi colluvione di gente sviata, scola di lascivie, non mi piace.
PAULO.
Questo medesimo pensa' io ancora.
Noi giovani, ricòrdati, vestavamo un solo abito el verno, un altro per gli altri tempi, ed erano panni utili, colori lieti condecenti alla età, verdi, celesti.
Ora qual ignobile artefice sarà che non voglia veste pel verno dupplicata, per la state triplicata, a mezzo tempo quadruplicata, tutto o grana o seta: spese gravi e subito consumate.
E se a queste cose la industria suppeditasse, sarebbono tollerabili, ma dove manca il potere e non si racquieta el volere, cresce la nequizia.
E soleano e' dati alla industria con assiduità sollecitar l'arte sue.
La donna mandava un piccolo vasetto di vino con qualche condimento del pane; desinavano e' maschi in bottega, la donna in casa asciolvea; non conosceano le femmine el vino.
Oggidì qual infimo sarà che non voglia esser pari a' ricchissimi, e la fante, e la tavola posta due volte il dì a uso di conviti solenni? Questo sospirare tuo, Battista, dimostra che a te pari ne duole quanto a noi.
BATTISTA.
Di questi costumi della terra mai accadde a me altrove ragionarne; e sonci come forestiere, raro ci venni e poco ci dimorai.
Circa i fatti publici si potrebbe argumentare qualche pronostico da' costumi privati de' cittadini.
Non dico altro.
Quanto a' nostri qui ragionamenti domestichi s'acconfa, dico, in qualunque famiglia sarà più onorato chi ha che chi sa, e arà più luogo la voglia di pochi che il buon consiglio di molti, e saranno in più stima le cose della fortuna che la virtù, a questa famiglia certo sta dedicata prossima ruina.
Certi altri errori, quanto e' son più puerili, tanto più sono da schifarli a chi desidera avere reputazione e grazia fra' suoi cittadini: essere lezioso, sdegnoso, borioso, linguacciuto, difendere le sue favole con molti periuri e busie, si vogliono emendare.
Precetto antiquo che la donna quale vorrà essere pregiata fuor di casa, sia sorda, muta e cieca, non veggia altro che dove ella metta i piedi, e così per casa, massime a tavola, sempre muta.
Questo perché? Però che le femine di loro natura sono inconsiderate, e raro dicono cose non degne di repreensione, ciò ch'elle odono interpretano a suo modo, e tutto voglionlo emendare, di ciò ch'elle vedono fanno istoria piena di levità, e sino insulse dicono parolacce da beffarle, e raffermano el detto suo con presunzione e arroganza degna di correzione.
Chi adunque non vorrà essere gracchiuola simile alle femminelle, non faccia come loro, né favelli delle cose note a sé senza premeditarvi, né delle ignote senza riguardo.
Amoniscono i savi che mai si parli se non di cose qual meritino esser non taciute.
Questo non potrà ciascuno, massime in età giovinile, ma solo chi con studio e diligenza le investigò e imparolle.
Adonque prima lode e ultimo rimedio a' giovani sarà il tacere.
E giugni a ogni parola, questo perché? Peroché tu credi ch'io non ti creda.
E perché debbo io non crederti, se tu dici il vero? E se tu mi stimi incredulo, che giova darmi occasione di reputarti e mentitore insieme e periuro? Se forse io dicessi: «non ti credo, giura», so ti sdegneresti, e diresti: «sono io omo tale a cui tu non debba credere senza sforzarmi a iuramento?».
Giovani, io ben fanciullo udi' da un grave sacerdote molto vecchio, e quanto ancora io sino a questo dì vi posi mente, e' disse el vero: «Niuno busardo mancò mai che non fusse ladro, traditore o pazzo glorioso simile ad alcuni cacciatori e millantatori».
Chi dice la menzogna, se non è insolente, lo fa o per le cose passate o per quelle che prepara testé pello avenire.
Chi fece il furto sperava poterlo occultare e negare.
E quanti sarebbono ladri ove e' credessero potere negare il furto.
Pell'avenire se costui pensò cose buone, non vedo perché bisogni mentire più che tacere, se non quanto crede per questo giugnermi sproveduto e tradirmi.
Io lodo, giovani, l'attenzione vostra, indizio che le ragioni nostre vi satisfanno.
Piacemi.
PAULO.
E sarebbono da biasimarli, s'e' ragionamenti pe' quali e' riconoscono quel che si conviene, nolli movesse.
BATTISTA.
Sino a qui anotammo alcuni errori familiari a molta parte della gioventù.
Ora sequita che noi esplichiamo certi altri vizi più gravi, dannosi e molesti in tutta la vita, e communi parte a' minori parte a' maggiori d'età, e sono inimici della vera libertà dell'omo, disturbatori d'ogni instituto a chi propuose bene imperare a sé stessi: la ira e la cupidità.
L'ira e lo sdegno si movono quasi pari con uno impeto, e forse raro persevererà l'uno senza l'altro.
Ma el primo incitamento dell'ira par che sia quando tu non hai quello che tu vorresti; e perché ne' giovani le voglie sono più infiammate che ne' vecchi, per questo saranno e' giovani più ardenti e meno rattenuti a crucciarsi.
Lo sdegno pare che insurga quando tu ricevi quello che non ti pare meritare e nollo vorresti.
Onde vedi e' vecchi sdegnati, se furon reietti, schifati, postergati.
Ma donde s'incenda l'ira, e quale ella sia in sé, non disputiamo.
Ciascuno conosce che l'ira si è uno impeto d'animo non obbediente alla ragione, impetuoso a vendicarsi, nocivo a costui in chi e' si move, molesto agli altri con chi e' conversa.
Porgesi l'omo irato colle parole, co' gesti e moti simile a uno ebbro furioso; anzi, vero, più simile a una bestia feroce percossa e incrudelita dice e fa cose, non tanto aliene dalla dignità sua e degne di repreensione, ma spesso aliene d'ogni umanità, e meritano castigazione e grave punizione.
E vediamo in uno adirato molti movimenti terribili, ma insieme vi vediamo molta e molta insania da riderlo e stimarlo vilissimo.
Onde avviene che deposta la contenzione e sedato il furore, niuno sarà che non volesse essere stato più temperato.
E tu riconoscilo in te.
Ti crucciasti mai, che poi non ti pentisse e teco gastigassi il tuo errore? Tu vendesti il servo tuo perché egli era iracundo e molesto agli altri e perturbava la quiete della famiglia.
Fuggi pari tu essere a te stesso nocivo e grave perturbatore.
Vuolsi il tutto dare ogni opera d'escludere e propulsare da noi questa insania.
Saracci questo nulla difficile, se porremo mente a quel che bisogna.
Le contenzioni onde spesso s'infiamma l'iracundo, raro perseverano per cose piccole; nasconsi spesso di cose minime e vili.
Ne' pusillanimi stimare le cose vili viene pur da viltà.
Poco vento move una lieve pagliuccia.
Così poco incitamento commove l'animo vacuo e leggiere.
L'omo grave, pieno di prudenza e consiglio, pensa alle cose grandi con maturità, stima nulla le non grandi, iudica delle cose buone con ragione, no' gli paiono buone se non quelle onde e' sia migliore, cerca le cose oneste con perseveranza, stima nulla quanto la virtù, duo'gli solo quelle cose per quale e' senta alcuni fatti men buoni.
E dicesi che il savio non ha fele.
E noi tanto siamo teneri allo sdegno e sì precipiti all'ira, che se un catellino abbaia, rompiàno a cruccio.
Conviensi e contro a' vizi racconti di sopra, contro la voluttà, e massime contro a questa ira imparare vincere sé stessi.
Né possiamo imparare se non vincendo, né vincere se non dove sia proposta occasione che ti bisogni certare; e vinceremo, se affermeremo in noi nell'animo nostro proposito d'essere simili a' savi.
Apparecchiànci per questo sul primo insulto della offensione a essere in ogni cosa contrario a chi si cruccia.
In lui fulmina lo sguardo, le ciglia, el fronte e tutto el viso si perturba, getta le mani, non cape in sé né in quel luogo dove e' si trova.
Tu contro asserena la faccia tua, componti tutto a mansuetudine, contienti a dignità, porgi gravità.
Lui versa un diluvio di parole superbe con voce e spirito simile a una cagna mordace.
Tu contro racquieta in te la voce, modera le risposte, cura più quello che sia onesto a te, che quello che sia disonesto a lui.
Ma molti sono malconsiderati e dicono: «Patirò io che uno abiettissimo omo faccia sì poca stima di me?».
E che farai adunque? Se qualche mal costumato rispose, come egli usa rispondere agli altri, parole condegne a sé, tu replicherai a lui parole non degne a te, e spesso più da biasimar le tue che le sue.
Chi ripreende un maldetto con un altro maldetto, repreende sé stessi.
Le parole d'un savio simili alle gemme, qual ben consigliato le commutasse contro un gran cumulo di sassi lutosi? Dovrei io ringraziare costui quale mi porge materia di assuefarmi e adoperarmi in essere e parere modesto e grave.
Niuna cosa spegne l'ira in te e in chi ti sia infesto, quanto el tacer tuo.
Come al foco il vento, così le iterate risposte sono incitamento dell'ira.
Qualunque cosa farà e dirà, sia chi vuole, perché ti dolga, quando in te quel che vorrebbe non seguirà, in lui ritornerà il dolore duplicato, e sarà bello usurpare a te questa gloria d'essere il primo quale o con dolce risposta o tacendo spense la contenzione.
Usufrutta questo gaudio in te: dilettiti averlo superato di modestia, e così vincendo spesso diventeremo insuperabili.
E gioveracci in le cose minori assuefarci per meglio potere poi moderarci in le più gravi.
Tornasti a casa, truovi la donna rissosa; vincila de umanità, revocala con facilità.
Compensa in te il frutto che tu aspetti da lei, che ella ti facci padre.
El resto atribuiscilo alla natura loro.
Chi fuga da sé e' movimenti dell'ira sua, in molta parte attuta quella dell'avversario.
Vedi e' servi negligenti: perderono, guastorono.
Stimali quello che e' sono.
Tu non comperasti il servo per avere un filosofo.
E simile i famigli, se non fussero omini inerti e gulosi, non patirebbono essere servili.
Cura che non pecchino per l'avenire, più che renderli gastigati per quello che fu fatto.
La punizione non restituisce quel che manca.
E per emendarli che faccino l'officio loro, sarà utile non meno mostrarli con umanità la ragione e modo onde e' non pecchi più, che castigarli con severità.
E dobbiamo ricordarci che a noi e' servi sono non però da nulla stimarli.
L'opera loro lieva a noi molte fatiche.
Dove i servi non fussero, faremmo noi molte cose tediose e ingrate.
Pertanto ben disse colui: «e' servi sono a noi umili amici».
E con questi domestici sarà bello essercitarci contro alla infestazione dell'ira, però che la contenzione tua verso di loro non è per lo onore, né per alcuna invidia.
Sono impotenti e infimi, e non ti sarà danno ossecundarli, e sarà utile a te, benché 'l servo tuo restasse forse men buono, se tu diventerai migliore.
Ultimo, non mancherà per questo che posdomani tu non lo possa punire senza ira, e lui con qualche altro nuovo errore te lo ramenterà.
Ma le più volte avviene che la facilità del padrone rende i servi trattevoli e amorevoli, e dove sarà l'amore, sarà lo studio di far cosa che ti piaccia.
Molti negligenti non meno che iracundi si dimenticano mostrarsi osservatori de' costumi de' suoi.
Spenta quella prima vampa del coruccio, non perdere la dignità tua per negligenza.
Castiga l'errore de' tuoi quando altro non giova, e questo non solo dove egli errino, ma e dove e' mostrino di volere errare.
Ma non errar tu in te, né anche in loro vinto da ira.
Da questa domestica essercitazione, quasi come da un preludio, bene instrutti e apparecchiati, potremo uscire a maior certame e palestra più grave, della quale diremo a luogo suo.
La cupidità viene da grande imprudenza, ed érravisi in due modi.
El primo si è ch'io stimo il danaio più che non merita, e per questo lo desidero troppo, e troppo lo cerco e sequito.
L'altro errore si è che io non lo so adoperare in quello a cui fine e' fu trovato, e per questo lo tengo troppo inchiuso e constretto.
Dimmi, Paulo, chi domandassi uno de' vostri cittadini togati su in senato: «Chi chiami tu ricco?», che risponderebb'egli?
PAULO.
Credo risponderebbe costui è ricco quale ha molti danari, e così forse qui crede Niccolò.
NICCOLÒ.
E chi ne dubita?
BATTISTA.
Costui qual facessi questa risposta si ravedrebbe quando io lo ridomandassi: «Dimmi, quanto oro basterà ch'io possa dire: questi sono que' molti che ti faranno ricco?».
Fu chi disse, solo colui sarà ricco quale arà danari da satisfare a' bisogni suoi, alle voglie sue qualunque elle siano, da prestarne, donarne, gittarne, nasconderne, smarrirne, perderne senza sentire el mancamento.
Pazza risposta! Due affetti c'impose la condizione umana: l'uno per satisfare al corpo.
Atto strumento a questo furon trovati e' danari.
L'ardente desiderio e affezione al danaio si chiama avidità.
L'altra affezione fu per satisfare all'animo, qual sempre desidera essere più pieno di sapienza.
Se l'animo non fusse in tutto vacuo di quello che si li richiede, all'omo circa il corpo basterebbon poche cose, però ch'egli s'auserebbe vivere col poco, e a chi basta il poco, a costui avanza molte cose qual mancano agli altri non moderati.
L'uno di questi due affetti, cioè la cupidità, o venga dalla corruttela del vivere, o dalla diffidenza e innata sua paura che no' gli manchi, o da stultizia per essere in questa cosa caduca più abbiente che no' gli giova, questa cupidità, dico, si vede che sempre cresce.
L'altro affetto di sua natura non può avere fine, però che le cose quale per sé ciascun di noi non sa, e sono belle e utili e degne e necessarie alla perfezion dell'omo, e pertanto richieste dalla natura, sono infinite.
Adonque all'omo in questa parte niuna quantità mai satisfarebbe.
Ma vedete voi se questa mia fussi atta risposta.
Dico che colui qual io chiamerò ricco, in tutto sarà contrario al povero.
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Colui è povero a cui mancano le cose atte a vivere bene, e più povero colui a cui mancano le cose necessarie secondo quello si richiede all'omo.
NICCOLÒ.
Piace.
BATTISTA.
Se così è, colui sarà più ricco che gli altri, a cui suppediteranno le cose migliori in tutta la vita.
Le ricchezze sopra modo acumulate sono più gravi e moleste che la povertà ben moderata.
El più delle volte le ricchezze venute senza virtù furon pestifere, e raro vedesti tiranno a congregar pecunia che fusse omo bono.
La cupidità de arricchire fa gli omini violenti.
Dicesi che l'omo ignorante sempre fu la più dura cosa, e fra gli altri el peggio trattevole animale che sia.
Summa ignoranza sapere lodare altro nulla che la pecunia.
La vera ricchezza, giovini, sta in essere copioso di cose buone; e quelle sono ottime quali fanno l'omo ottimo, e non li possono essere tolte da persona.
Questa sarà la virtù, figliuoli, la bontà, la sapienza.
Quale omo non al tutto senza mente non recusasse, non dico essere, ma solo parere ignorante, senza niuna virtù e scellerato? Qual premio sì grande vi sarebbe preposto a quel fine che voi non lo recusassi? E pur vedete in quel cupido, tanto può la sua imprudenza e summa stultizia, che egli pospone ogni cosa al guadagno; improbità da castigarla! Chi vendessi il figliuolo per danari sarebbe scellerato.
Sì.
L'omo cupido vende sé stessi, la fama sua, spesso per minor pregio che non gli costò l'asino.
Ove troverrai tu omo più duro che questo quale non sa vivere almen co' suoi.
Quasi tutte le quotidiane controversie fra coniunti in le famiglie vengono da questa cupidità.
Lo stimare e desiderare cose superflue e a sé più tosto gravi che utili, mai caderà in un savio e prudente.
Qualunque cosa io non saprò adoperare, quella a me sarà superflua.
Non sarà adonque senza stultizia desiderare e con tanta industria cercare quello ch'io né sappia né voglia adoperare.
El cupido avaro omo non conosce a che siano utili le ricchezze.
Se le conoscesse, non perderebbe tanto frutto quanto ricoglie chi ben l'adopera.
Disse colui: «desidero d'essere ricco solo per murare e donare».
Degna risposta.
Acquistasi col benificare mediante el danaio amici e fama.
E costui, non che e' non benefichi agli altri, ma e' frauda sé stessi, e ripolle forse per adoperarle altrove in bisogni forse minori che questi presenti, e questo non è senza insania, soffrire testé disagio in cose certe sotto espettazione delle incerte.
E se pur così fusse, arebbe men biasimo.
Ma l'avaro le ripone solo per averle a custodire dalle mani de' furoni.
Molestia laboriosa e dannosa el non por modo alla cupidità di quello che non vuole usufruttarlo! Diremo noi che sia altro che solo uno gareggiare stolto contro a sé stessi?
E scusansi quasi come fusse licito essere rapace pe' figliuoli.
Non vi credo, padri: non credo che i vostri figliuoli tanto vi siano cari, quando di quel che gioverebbe e bisogna loro, voi non avete alcuna cura.
Studiate, padri, che i vostri siano modesti, e sappino quanto sia da posponere el danaro alla virtù, e in che modo a noi mortali la vera ricchezza venga altronde che dalla fortuna.
E in questo dovresti spendere tutto el patrimonio, ed esporvi tutte le sollecitudini e fatiche vostre, che a' vostri non mancassero e' ricordi e instruzioni vostre e degli altri ottimi precettori.
E' non sarà poco, s'tu lascerai loro quello che fa ricchi gli altri, la industria e buoni costumi.
Gli omini dati al guadagno, quanto e' saranno più modesti, tanto aranno più favore e indi più frutto e più utilità.
E prossime, quello che molto gioverà, lasciate loro copia d'amici sotto la protezione de' quali e' siano ben retti.
Pazzia troppo dannosa lasciare più letigi a' suoi che beni ereditari! Voglio, sì, che il tuo sia tuo, ma quanto all'uso e liberalità, sia pari de' tuoi, presertim buoni.
E' buoni meritano ricevere bene e dagli altri e imprima da' buoni simili a te; e l'officio dell'omo buono sarà sempre far pur bene.
Ma che fo io? Quasi come io qui a te, Niccolò, e a te, Paulo, omini maturi e prudentissimi e padri di molti costumatissimi figliuoli, volessi insegnare con che riguardi e con che instituti si regga la famiglia.
E raveggomi uscito del nostro proposito.
NICCOLÒ.
Non così; anzi, come tu dicevi testé, così pare a me: ciò che si dice utile a questi giovani in tutta la vita fa molto a proposito e tuo e nostro, quali tutti vorremmo vederli felicissimi.
E quanto io, Paulo, confermo el detto suo: certo e' padri debbono avere gran cura di fare i suoi virtuosi.
Questo si vede, che la virtù d'uno omo solo spesso rende beata una terra, non che una famiglia.
PAULO.
Verissimo, Niccolò, quello che Battista e tu dici.
E io, come tu sai, sempre curai ch'e' miei fussero molto morigerati.
Ma forse e' pensieri di molti padri sono questi: «né posso fare a costui la persona maggiore che gli conceda la natura, né immettervi bontà e dottrina se non quanto agradi a lui: questo sussidio delle mie fortune molto necessario alla vita posso io accumulare e lasciare loro, e debbo».
BATTISTA.
Non neghiam questo, Paulo, che la cura, diligenza, assiduità de' buoni precettori rende a miglior grado le menti giovanili tènere e atte a ogni impressione.
E vedesi quanto e' giovani, cresciuti sotto la reverenza de' padri circunspetti e gravi, siano poi omini differenti da questi quali crebbero senza freno e buon consiglio.
Ma torniamo.
Noi espurgammo da quella parte dell'animo in quale abitano le perturbazioni, alcuni errori e vizi molto nocui, massime a chi propose essere principe e moderatore di sé stessi, e prossime superiore al numero degli altri.
Ora procederemo esplicando ricordi de' nostri maggiori, omini sapientissimi, pe' quali la parte dell'animo retta dalla ragione sia ben culta e bene ornata, senza qual cosa, come più chiaro vederete, non possiamo assequire quanto desideriamo.
Acconsentimmo noi nel discurso fatto di sopra, che il vero principato stava in essere per virtù e buoni costumi e cognizione di cose degne, superiore al numero degli altri?
NICCOLÒ.
Sì.
BATTISTA.
Qual di queste sia più facile ad asseguirla, più utile a colui in chi ella sia, più accommodata alla nostra investigazione, sarebbe lungo qui a me e non pronto el diffinirlo.
Pur noi vediamo rari omini periti e dotti, quali non siano a' primi luoghi con dignità richiesti e preposti agli altri; e per questo forse molti iudicherebbono ch'el primo nostro officio sia dedicarci agli studi e cognizione delle dottrine, a quale opera iudicano e' savi che l'omo sia atto, nato, e da natura pronto, e dicono quello che non possono negare ancora que' che sono meno intelligenti: l'uomo nacque non per essere simile a una bestia, ma in prima per adoperarsi in quelle cose quale sono proprie all'omo.
Comune a tutti gli animali e insieme all'omo sta el vivere, el moversi e sentire e appetere le cose buone e accomodate alla conservazione della spezie sua, e fuggire le contrarie.
All'omo resta proprio suo fra' mortali lo investigar le cagioni delle cose, ed essaminare quanto sia questo che ora li occorre simile al vero, e cognoscere quanto e' movimenti suoi siano da reputarli boni.
Questo non è altro che solo adoperarsi in quelle facultà onde s'acquisti dottrina.
Ma di questo ne lascerò il giudizio a voi.
PAULO.
E' litterati, vero, certo sono molto stimati quando e' sono eccellenti, ma questo grado non l'acquista sempre ciascuno sanza molta fatica e difficultà ben grande.
Non siamo per ingegno tutti atti alla dottrina, e senza la buona disposizione del corpo e senza le suvvenzioni della fortuna mal si può dare opera quanta si richiede a simili studi.
BATTISTA.
Concedere'ti in parte che le fortune siano commode agli studi quanto tu stimi, s'io non vedessi fra gli studiosi acquistar dottrina men numero di que' che sono più ricchi che di que' che sono men fortunati.
E simile assenterei che la imbecillità del corpo disturba questa opera, s'io non vedessi che tutte l'altre cose per età mancano all'omo: solo le forse dello intelletto persino all'ultima imbecillità della vecchiezza tuttora fioriscono e inverdiscono.
Che ci bisogni fatica, tutto el contrario.
El nostro ingegno, cosa in molta parte divina, non patisce violente servitù.
Le fatiche hanno in sé violenza.
Qui solo si richiede affezione, diligenza e perseveranza; e spesso in lo studio la diligenza val più che l'ingegno, e quasi sempre la perseveranza farà più che la veemenza e impeto non attemperato.
E troverrete in questo studio delle dottrine che 'l moderato adoperarsi segue ogni dì più pieno di maravigliose voluttà.
L'animo nostro si pasce della investigazione e aprensione delle cose degne; e quando ben vi fusse qualche fatica, niuna cosa si fa in vita sì facile ch'ella non sia laboriosa a chi ella non piace.
Così niuna delle cose degne sarà tanto laboriosa qual non sia con voluttà a chi la tratti con desiderio d'assequirla.
Voi giovani alle cacce e altrove soffristi freddo, fame, sete, durasti fatica molte e molte ore, sudasti e vegghiasti.
O beato a voi, se voi ponessi pari studio e pari diligenza presso a dotti in apreendere le cose di più pregio! E quanto frutto assequiresti, quanto contentamento! Non si può descrivere né stimare il piacere qual seque a chi cerca presso a' dotti le ragioni e cagioni delle cose; e vedersi per questa opera fare da ogni parte più esculto, non è dubbio, supera tutte l'altre felicità qual possa l'omo avere in vita.
Che più? Il mercatante per acquistar qualche pecuglio espone la vita sua a molti e grandissimi pericoli, soffre in mare e in terra dure e lunghe fatiche e molti disagi, e noi altri recusiamo vigilar qualche ora della notte per essere poi lume agli altri omini! E recuseremo de adoperarci in quello che rende maraviglioso frutto alle fatiche nostre.
E certo sarà maiore el frutto nostro a noi che il suo a qualunque altri si trovi altrove.
Ed ecci palese questa differenza, che le ricchezze e 'l poter più che gli altri nelle cose della fortuna, mai fecero più savio alcuno.
E' dotti acquistano a sé pecunia quanta e' vogliono.
Sono riceuti da fortunati principi, e riceveno da loro.
E' ricchi sono accetti a niuno se non quanto patiranno diminuire il suo.
E spesso e' dotti fanno ricchi e beati molti altri con suoi ricordi e consigli e con emolumento e acrescimento di grata memoria e fama.
Agiugni che l'utile, qual porge la dottrina, sarà per sé maggiore che qualunque premio si possa mai sperare alle nostre fatiche, se ben cavassi tesoro ascoso e inchiuso in qualche muro di casa tua; però che l'oro non potrà essere utile a te, se prima in altri non viene qualche voglia o bisogno pel quale tu commuti l'oro tuo coll'opere e cose sue.
La dottrina testé qui mentre che tu la sequiti, e poi sempre quando tu l'arai compresa, sempre sarà tua, utile a te testé e in tutta la vita tua.
E quanto vi porrai studio, tanto di presente ti s'accresce per lei felicità, e dì per dì ti si rende più pronta e molto facile.
Poi non ti può essere rapita, continuo ti sta in seno, in parte niuna ti dà gravezza, e possedila senza niuna sollecitudine.
L'altre cose adoperate scemano: questa una solo, dono agli omini dato da Dio, continuo diventa maggiore e di più pregio trattandola.
Vuolsi adunque con virilità d'animo continuo profferirsi e adoperarsi per acquistar dottrina, cercando, frequentando omini e cose onde tu ritorni a casa più dotto, e vuolsi perseverare in questa assiduità.
Oggi benché poco sia quello che tu imparasti, domani saprai quello che tu non sapevi iersera, e in molti dì saprai molte cose, e chi sa molte cose, costui si rende in questo molto superiore agli altri.
Reverisconlo e maravigliansi di lui.
Seguiamo adunque, giovani, questa utile e degnissima impresa, dedichiànci a questo studio, ma più confermiànci a nulla recusar fatica per esser dì per dì quello che noi non eravamo, e facciam sì che questo dì giovi agli altri giorni che verranno, a noi e a' nostri.
Seguiamo cercando sempre ciascuno da sé e pari co' pari e tutti insieme cose ottime e lodate, e perseveriamo e imitando e ottemperando a chi prima le trovò.
Nella vita dell'omo lo essercitarsi in qualunque cosa rende la via ad acquistarvi lode e fama ogni dì più aperta, equabile e luminosa.
Chi conosce il bene e amalo quanto e' merita, e fra le cose ottime ama le più degne, costui pospone tutte l'altre men degne, e tanto gli diletta quello ch'egli acquista con sua diligenza, quanto e' si vede per questo differente da quello che egli era, e differente da quello che sarebbe sanza questo ornamento.
O giovani studiosi, Dio buono, beati voi quando qui e quivi e dirimpetto sederanno mille e mille e più volte mille omini in teatro o in qualche altro publico spettaculo, o giovani, beato a qualunque di voi potrà dire seco: «Qui, fra tanto numero di questi nati omini simili a me, niuno è omo tale a cui merito io volessi potius esser simile che a me, e a quelli che sanno più di me.
Tanti che sono belli, tanti che sono agilissimi del corpo e robustissimi, tanti che sono molto fortunati e nati in nobile famiglia, e niun di loro sarà qual non desiderasse che il padre, il fratello fussi simile a me, e sarà niuno che non si gloriasse nominare fra' suoi un simile a me tale qual io mi sia».
O gaudio maraviglioso! O incredibile contentamento! O gloriosissima remunerazione agli studi nostri, alle fatiche nostre! Chi non esponesse, non che il sudore, ma più el sangue per asseguirlo! E che monta delle fatiche passate? Oggi tu senti nulla, el premio loro frutterà sino dopo la vita.
Adunque, giovani, sequite, come spero farete, investigando e adoperandovi continuo con ogni studio, diligenza, perseveranza in acquistar dottrina, per esser instrutti almeno in quelle cose qual sarebbono mancamento a te nato omo nobile non le sapere.
E datevi a conoscere quelle che sono necessarie a chi desideri essere, quanto merita la virtù vostra, pregiato e amato da' nostri cittadini e adoperato in le amministrazione della republica.
O Dio, che piacere sarebbe el mio vedervi qui insieme, quando occorresse lassù in senato si trattasse forse di prendere l'arme o di iungere nuove collegazioni o innovar qualche legge e simili: che piacere sarebbe el mio vedervi disputare insieme di quella cosa, e producere vari argomenti, suadendo e dissuadendo questa e quell'altra parte, ed emendar l'un l'altro con carità e grave discurso! Quanto sarebbono questi simili ragionamenti vostri allora più belli che non sono quelli quali fanno molti sedendo pe' muricciuoli! E per mio consiglio fatelo, figlioli, fatelo, essercitatevi in simili cose, eccitate, sollecitate l'uno l'altro, perseverate in questo certame utile e pieno di voluttà con l'animo cupidissimo d'acquistare virtù.
Simili preludi vi faranno più dotti e circunspetti a riconoscere le cagioni e ragioni delle cose, e più destri a ordinarle a luoghi e tempi atti, deputati.
Sarete indi più pronti, ove accaderà, a profferirle ed esplicarle in publico.
E così diventerete quello che molto e molto vale fra la moltitudine: diventerete eloquenti e utili alle cose che succederanno nelle faccende publiche.
Credetemi, uno omo eloquente facile farà che gli altri seguano la sentenza sua.
E chi ubbidirà a' detti tuoi sarà costui altro in questa parte che suddito dello imperio tuo?
Sarà forse non qui fra voi, quali sete d'ingegno prestante e d'ottimo intelletto, ma fra gli altri giovani chi dirà: «Io conosco e affermo che tu mi dai util consiglio, e non recuserei fatica alcuna per acquistare tanta eccellenza, ma non mi servirebbe lo 'ngegno a queste suttilità, né mi vedo atto a compreendere tanta cosa».
A costui risponderei io: «Dimmi, figliuolo, che sai tu quanto tu possa s'tu nollo provi? E se tu ti conosci nell'altre cose non da meno che gli altri ove bisogni adoperare intelletto e discrezione, vedi che questo recusare qui l'acquistar dottrina non sia in te tanto diffidenza inetta quanto timidità puerile e fuga d'affaticarti».
Inerzia dannosa, desidia brutta fare come e' fanciugli vezzosi quando la mamma li vuole lavare il capo: gridano e piangono prima che sentano se 'l ranno è freddo o caldo.
Escludete da voi questa lentezza e tardità effeminata.
Vinca l'animo generoso e virile.
Spesso interverrà che 'l disporsi a far le cose laboriose eccita la virtù in noi, e rendeti che tu puoi molto più che tu non credevi.
L'omo da natura si è cupidissimo di sapere ogni cosa.
Di qui viene che tu e io e gli altri tutti siamo curiosi e cerchiamo intendere etiam le cose levissime, e chi fia questo forestiere, e quanta copia e che ordine fu al convito, e che crucci siano innovati fra Mirzia e chi l'ama, e simili.
Con questa cupidità di sapere se la natura non avesse immesso all'omo lo 'ngegno attissimo ad imparare, arebbe errato.
Qual cosa chi dicesse, errerebbe lui.
Mai in cosa niuna la natura per sé mai errò, mai errerà.
Adonque, non inculpar l'ingegno tuo: inculpane la propria desidia e poca cura tua di te stessi.
E quanti diventerebbono dotti, se si vergognassero esser gravi a sé e inutili agli altri per la sua ignoranza! Dissi degli studi dovuti alle dottrine.
Non so quanto io mi vi satisfeci.
NICCOLÒ.
Dirò di me, e così credo affermerà qui Paulo e costoro: queste ragioni adutte da te molto mi dilettorono e persuasero; e così mi pare le dottrine sono molto commode alla vita dell'omo, rendono grande emolumento, non sono difficili a conseguirle, più amano diligenza e perseveranza che fatica.
E confesso questo: certo chi sa, costui tanto è differente da chi non sa, quanto da te omo compiuto a quelli che ancora sono fanciulli.
BATTISTA.
Dicesti commode, vero, ma sono in prima necessarie.
Le dottrine insegnano conoscere il vero dal falso ed eleggere il meglio.
Senza questa cognizione e providenza, che differenza faremo noi da uno omo annoso, non dico a un fanciullo, ma da lui non dotto, non perito a una inutilissima bestia? E hanno in sé questo le dottrine, che in la famiglia dove elle furon ricevute, elle perseverano più tempo conservandovi ornamento privato e publico onestamento.
Giovani, sequite essercitandovi, leggendo, udendo e' precettori, ragionate insieme e con gli altri studiosi delle cose lodate e utili a vivere bene e beato; disputate ovunche acade insieme cercando il vero, investigando le cagioni e ragioni delle cose, imparando da chi sa, e referendo l'uno all'altro con instituto de accrescere publica utilità alla famiglia vostra.
Così asequirete in voi mirabile contentamento, e appresso de' vostri cittadini autorità e preeminenze nulla differente dal vero imperio.
Conseque alle dottrine, - e forse sono consimili le cognizioni e perizie delle cose utili e degne, e quelle sono in prima degne qua' sono utili alla patria, come e' dicono in ozio e negozio, - sapere i gesti e provedimenti de' maggiori quali constituirono e acrebbero sì questa sì l'altre republiche, sapere gli ordinamenti e osservanze prescritte e usitate nella terra, sapere e' costumi e reggimenti pubblici e privati delle comunità, e' principi co' quali bisognasse in tempo confederarsi, conoscere le voglie e portamenti de' suoi cittadini utili e inutili al ben publico, e simili.
Queste sono cose molto degne a uno omo civile, e molto utili a chi presunse essere moderatore degli altri, e avere perizia di quello che bisogni a reggere e conducere lo essercito e armati per terra e per mare, e avere perizia di quel che giovi a difendere e propulsare ed espugnare inimici e simili.
Queste son cose che dànno a chi le 'ntende molta autorità e reputazione in senato e presso e' principi, questi sono commendati e primari gradi in le faccende publiche.
Ma quello che sopra ogn'altra cosa in la vita dell'omo si debba, e in qual bisogna con ogni opera, studio, assiduità continuo essercitarsi per assequirlo, faccenda iocundissima, degnissima, utilissima a te, a' tuoi, sarà la virtù, saranno i buon costumi.
LIBRO II
Levati adonque da desinare, tornammo a sedere a' luoghi nostri presso al foco secondo l'ordine di sopra.
Ivi ancora simile come a tavola fra noi sequimmo dicendo e rispondendo a uno e un altro motteggiamento con molta iocundità e festività.
Stati così alquanto, Paulo si volge a me, e con quella sua modestia riposata porse la mano e disse: - Or sì, Battista, noi aspettavamo il resto de' ragionamenti tuoi.
E questo richiederli ti sia demostrato di quello che noi stimiamo e confessiamo esser in te.
E qual sia questo nostro iudizio non accade profferirlo in tua presenza.
Tanto basti: se noi non li reputassimo ragionamenti degni, utili, atti a por l'omo in tanta eccellenza che meriti esser pregiato, reverito e amato, noi non ti daremmo questa fatica.
Ma so che tu non la negherai a questi giovani, quali ti sono grati quanto figlioli, e anche a noi, a' quali insieme con loro i ricordi tuoi saranno utili e piaceno.
Sequita.
BATTISTA.
E' ragionamenti delle cose degne sono per sé utili e piaceno di sua natura a chi gli ode, ma più molto dilettano a que' che sono nati per esser omini prestantissimi e rari, come io spero saranno costoro, e molto me ne rallegro.
Questo per molti altri loro ottimi costumi, pe' quali e' mi sono cari quanto la vita mia, e massime perché qui li vedo attentissimi; e spero come e' sono parati a intender da me il ben loro, così essi da sé saranno operosissimi in vendicarselo.
Da te, Paulo, e da te, Niccolò, omini prudenti, voglio io questa licenza, che senza repetere altri princìpi, senza prefinire altro ordine a questa materia, io, come feci sino a qui, referisca solo quanto di cosa in cosa mi verrà in mente atto a questo ch'io proposi.
Non è qui il proposito nostro tenere scola filosofica accurata e da ogni parte circunspetta.
Basterammi in questi ragionamenti familiari informare la mente e l'animo nostro con ottimi instituti a essere egregi omini, dissimili da' volgari, ignoranti, indotti, imperiti, inetti; e adatterenci ad acquistare in noi ora per ora principato e moderamento di noi stessi con virtù e buon costumi, onde segua facultà ben reggendoci d'essere primari e superiori agli altri.
Abbiamo a ragionare della virtù e de' costumi.
Questi chiamati eloquenti, come altrove così in le funerali collaudazioni, annumerano fra le virtù ancora le perizie e cognizioni delle cose e delle buone arti, e dicono: «Costui fra l'altre sue virtù fu citarista, pittore, architetto, e simili».
Ma noi proprio chiameremo virtù solo la vera e sincera bontà alla quale sia contrario el vizio, e diremo: costui è virtuoso quale sia in sé tale che niuna cupidità, niuna voluttà, niuno sdegno o molestia mai lo inducerebbe a far cosa iniqua, nociva ad altri o brutta a sé.
Vorrei potere esplicare con qualche notabile proprietà in che fusse differente questa bontà da quel che noi appelliamo buon costume.
Non mi viene per ora altro in mente, e forse questo vi satisfarà.
Diremo così: per la bontà l'omo constituisce e afferma in sé vera e perpetua tranquillità e quietudine d'animo, e vive a sé libero e, quanto sia in sé, utile agli altri, contento de' pensieri suoi, vacuo d'ogni perturbazione.
E' buon costumi forse sono corrispondenti alla virtù come alla sanità del corpo el buon colore, e sono quasi ornamento della virtù, e acquistano all'omo presso agli altri bona grazia.
Ma come il buon colore può in molti modi e ancora ne' febricitosi apparere altronde che da sanità, così qui con gesti e parole simulate e fitte qualche fallace potrà in tempo ostentarsi vero costumato e religioso, e pertanto asseguirà forse presso a molti buona opinione e favore.
Ma in noi mai otterremo quiete e tranquillità d'animo constante senza vera e intera virtù.
Occorremi un'altra similitudine: come al pomo insieme con la maturità li succresce odore e sapore suavissimo, così il buon costume innato con la matura perfezione della mente, cioè colla virtù, porge di sé amenità e grazia.
Diventasi virtuoso imitando e assuefacendosi a esser simile a coloro quali sono iusti, liberali, magnifichi, magnanimi, prudenti, constanti, e in tutta la vita ben retti dalla discrezione e ragione.
A questa imitazione sussegue el vero buon costume, quale in sé non è altro che pura onestà retta con certo riguardo, e destinazione d'animo parato fuggire ogni biasimo, e pronto di gratificare a tutti contribuendo e accomodando a ciascuno secondo el poter suo e secondo e' meriti loro, e massime dove e quando l'opera sua giovi alla patria sua.
E sarà ben costumato chi sequirà quanto da lui richiede il viver civile e la buona disciplina e religione de' suo' maiori.
E in prima costui così costumato, per osservare in sé quanto richiederà la onestà, non recuserà fatica, non schiferà disagio, non fuggirà periculo alcuno per satisfarli.
E quel che molto porge suave e gratissima la presenza dell'omo costumato si è la modestia, mansuetudine, umanità, equabilità, affabilità in gesti, detti, fatti, accommodati, accetti e grati.
Bella cosa la virtù, giovani: bella cosa la bontà!
Chi mai potrebbe raccontare quanta sia differente la vita dell'omo bono a quella del non buono.
L'omo bono fra' suoi privati cittadini sarà sopra gli altri reputato, e in le faccende publiche raro sarà posposto agli altri.
Vederassi amato da tutta la multitudine, frequentato, richiesto, e appresso qualunque lo conoscerà, riporterà ottima grazia.
L'omo, contro, non buono, dato alle voluttà e ozio, desidioso, inerte e pieno di cupidità, vive tedioso in sé, negletto, abietto, svilito dagli altri.
Fuggono e' cittadini apparentarsi con lui, fuggono crederli, fuggono ogni sua pratica, non lo vorrebbono per vicino.
Onde con questa sua mala disgrazia el misero omo rimane escluso da ogni onestamento e aministrazione publica, nulla reputato.
Rursus l'omo bono gode nel far bene, dilettagli il pensare alle cose oneste, dassi alle cose molto lodate, falle con ottima speranza di felice successo col favor degli omini e ancor di Dio, a cui piace le cose ben fatte, e acquistane premio incomparabile, cioè gloria e immortal fama.
Questa memoria in sé lo rende beato in tutta la vita e quinci gode quando e' fece cosa onde e' meriti bene da' suoi, dalla patria, dal numero de' mortali.
Niuno diletto, niuna iocundità in vita dura continuo eccetto che 'l far bene.
El vizioso, contro, non può pensare altro che di far le cose grate a sé, dannose ad altri, e di sua natura inique e iniuste e disoneste, sanza duri e molesti incitamenti d'animo, gravi sospetti, acerbe cure e turbulentissima instabilità di mente.
Non s'adopera in sequire la sua improbità e pravità senza vessazione e concertazione in sé di qualche paura contro alla sua audacia.
Ultimo, adempiuto el concetto suo, ehi misero lui! - lo assiduo rimordimento, qual sempre si li representa rimproverandogli quanto e' commise cose scellerate, lo tien in perpetuo e acerbissimo tormento.
Agiugni, se l'omo buono forse in qualche cosa errò, molti lo scusano, in molti modi lo sollievano, e da molti sono le scuse loro accette.
Contrario interviene al vizioso.
Le scuse dell'omo non buono tutte sono inutili, niuno le approva, niuno le conferma.
E quello che molto più nuoce loro, se fanno o dicono cosa alcuna da riceverla in buona parte, tutti la stimano dedutta con fraude, atta a nuocere e diritta a male.
E aviemmi non raro ch'io mi maraviglio, sendo questo sì proprio all'omo, sì facile, sì parato, sendo l'acquistar virtù sì necessaria cosa in tutta la vita, sendo tanto degna, stimata, amata la bontà, qual cose tu acquisti con tanta voluttà, onde tu ne ricevi tanto frutto e sì maraviglioso premio; dico, mi maraviglio onde e' sia che gran numero degli omini la recusino, anzi la escludino da sé.
Error pieno di nequizia laudare e pregiare in altri quello che lui non degna ricevere e non sostiene averlo in sé.
A chi piacesse più mantenere in sé la infermità del corpo suo che la buona sua sanità, massime potendo con facile modo liberarsi, ditemi, giovani, di costui che iudicheresti voi? Che fusse molto savio o molto che...?
GIOVANI.
Molto pazzo e bestiale.
BATTISTA.
Simile sarà bestiale quest'altro quale perseveri vivere servo a' vizi con brutti costumi.
E tanto più sarà vero pazzo, quanto la buona disposizione e valitudine dell'animo sia da più stimarla che quella del corpo; e ancora tanto più quanto sia più facile sanificare l'animo che raffermare il corpo.
Le corruttele dell'animo sono e' vizi, quali per sua natura dispiaceno sì agli altri, sì ancora a colui in chi e' sono più familiari.
Vedilo, per scelerato che sia, niuno sarà quale non studi occultare e' suoi biasimi.
E se ci penseremo, lo vederemo che dura più fatica in non parere quello ch'egli è, che non durerebbe in essere quello che non è.
Sono adonque e' vizi corruttele dell'animo, ingrate alla natura, odiose agli omini, moleste a colui in chi e' sono.
E chi ne dubita? Deposto il vizio, l'animo riman libero e valido.
Per espurgare ed escludere tanto male, non ti bisogna amminicoli o argumenti altronde che da te stessi.
Qualunque, in qualunque luogo, in qualunque tempo disporrà esser simile a' buoni e ben costumati, certo ivi presente arà modo d'esser vero buono e costumato.
Niuna cosa estrinseca potrà impedire a te questo concetto.
E se qui a te nulla bisogna a questo, altro che la tua bona volontà, non aremo da inculparne altri che solo te.
Molte altre cose in vita all'omo sono belle e lodate: pur ci è licito senza repreensione non le avere.
E possiamo non esser poeti, non essere astronomi, e simili; ma senza aver modo e ragione di vivere con quel che si richiede agli omini, non ci sarà concesso.
Saremo simili a' buoni prudenti e ben morigerati quando e' nostri pensieri e gesti e parole e fatti saranno retti e moderati con ragione e ordine non dissimile a e' loro.
Dal buon pensiere e da buon instituto sequitano le buone operazioni in tutta la vita.
Dalle buone operazioni succede buon fine a' nostri desideri.
Buon fine sarà quello che giovi a te con molta onestà.
Miglior fine sarà quello che gioverà non solo a te, ma insieme a molti con buona grazia.
Ottimo fine sarà quando e' gioverà in prima a' buoni simili a te, e sarà lodato dagli omini gravi e savi.
De' pensieri dell'omo alcuni sono generali circa tutta la ragione del vivere, alcuni determinati a qualche certa faccenda.
Al tutto e' pensieri e instituti de' prudenti e virtuosi sono differenti da que' de' viziosi.
El vizioso prepone l'utile suo a ogni equità.
Nulla cura se non quanto a lui satisfaccia.
Al buono, contro, piace nulla se non quanto la onestà, equità e umanità gli persuade, onde adirizza tutti e' suoi pensieri e volontà solo in far cose non inutili a sé, utili a molti, e di sua natura oneste e lodate da' dotti omini e ben composti.
E così el primo suo instituto sarà fugare da sé l'ozio, la voluttà, la cupidità e gli altri eccitamenti e nutrimenti de' vizi; e per questo da' primi dì che cominciò per età esser maturo, egli essaminò in sé quello che e' potesse, e quello che gli mancava, e quello che a lui si condiceva e da sé bisognasse astenersi, e a che industria, a che arte e disciplina e' fusse più atto e da natura più inclinato, e delle cose degne qual fusse più da eleggere in sé.
Così faremo noi e questo: disporremo l'animo virile e generoso, prontissimi a non recusar fatica o disagio alcuno per assequirlo.
E stimeremo che niuna cosa sia tanto da fuggirla e temerla, non povertà, non dolore, non inimicizie, quanto il biasimo e infamia.
La paura del biasimo, figliuoli, costudisce in noi la ragione, eccita la virtù, modera el discurso, adirizza le voglie nostre a buono e lodato fine.
E sarà la summa de' nostri pensieri, non in avere più roba, ma men vizi, o più stato o favore, ma meno arroganza, con più virtù e meno invidia.
E proporrenci, quasi come legge destinata al viver nostro, al tutto posporre ogn'altra cosa alla virtù.
Simili adunque saranno circa tutto l'ordine della vita e' pensieri nostri.
Le cose particulari in molta parte pendono da' tempi, luoghi e condizione delle persone, e per questo saranno qui e' pensieri nostri per sua natura più da chiamarli consultazione per intendere e assequire il meglio, che da iudicarli instituto determinato e quasi posto come segno certo, immobile, dove ogni nostro desiderio s'adirizzi.
Dicono: «chi non sa pensare quanto basti, non saprà fare quello che bisogni».
Fra le cose buone molti populari stimano le voluttà, e non pochissimi le ricchezze, alcuni le dignità.
Que' ch'hanno l'animo più generoso appetiscono l'onore, gloria, posterità.
Circa tutti questi simili pensieri mommentani si danno alcuni precetti utili e da non li preterire.
La cogitazione nostra civile non è altro che discurso di mente, per quale tu repeti le cose note a te, e compari le similitudini loro con quelle che sono testé qui presente, e indi argumenti quello che possa avvenirne; e questo si chiama prudenza, quasi providenza onde sequita contro al mal la cauzione, e, quanto al bene, l'ordine e modo a consequirlo.
E dicono che la prudenza si è un muro tutissimo, quale non si può con macchine prosternere, né con perfidia e tradimento superare.
El vero fundamento della prudenza si è la buona mente, e ben maturata e ben essaminata ragione.
La pravità disvia il iudicio dalla dovuta rettitudine, e le perturbazioni escludeno la ragione.
Di questi sorgono vizi al tutto contrari alla prudenza.
Massimo inimico della prudenza la falsa opinione, e molto piggiore avversario sarà la iattanza pervicace di chi gli pare intendere quanto bisogna cose che non intende, e stima il iudizio suo sopra tutti gli altri, e per questo ostinato vuole con troppa veemenza quello che l'opinione sua gli persuade esser buono a sé.
El savio non si lascia sudducere dalla opinione o vincere di essistimazione inconsiderata, ma discerne le cose da' suoi princìpi distinguendo e riconoscendo le parti loro, e iudica componendo le cause co' loro effetti, ed elegge con disquisizione ben digesta e con ragione quello che sia ottimo.
E vengono da questa falsa opinione, come altri molti vizi, così ancora le suspizioni, onde alcuni iudicano prudenza pensare e ripensare a cose spesso molto vili e al tutto inette.
Sarà certo meglio pensare a nulla, che assuefarsi trattare in sé cose vili e vane.
Bene adunque amoniscono e' dotti che ne' pensier tuoi tu in prima escluda la opinion
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