[Pagina precedente]...pur là presente, le pareva tanto, tanto lontano: parlava una lingua ch'ella non intendeva; aveva nel cuore, negli occhi, un mondo remoto, ch'ella non indovinava neppure. Come fermarlo lÃ? Era possibile? E poteva egli aver l'intenzione di fermarsi, per lei, tutta la vita, fuori di quel suo mondo? Voleva, sÃ, restare; ma fino all'arrivo del piroscafo dall'America. Intanto, certo, in patria nessun affetto vivo lo attirava; perché, altrimenti, scampato per miracolo dalla morte, avrebbe pensato subito a rimpatriare. Se voleva aspettare, era segno che anche lui doveva sentire... chi sa! forse lo stesso affetto per lei, cosà sospeso e come smarrito nell'incertezza della sorte.
Fra altri pensieri si dibatteva don Pietro sul divanaccio che strideva con tutte le molle sconnesse. Le molle stridevano e don Paranza sbuffava:
- Pazzi! Pazzi! Come hanno fatto a intendersi, se l'uno non sa una parola della lingua dell'altra? Eppure, sissignori, si sono intesi! Miracoli della pazzia! Si amano, si amano, senza pensare che i cefali, le boghe, i gronghi dello zio bestione non possono dal mare assumersi la responsabilità e l'incarico di fare le spese del matrimonio e di mantenere una nuova famiglia. Meno male, che io... Ma sÃ! Se padron Di Nica vorrà saperne! Domani, domani si vedrà ... Dormiamo!
Faceva affaroni, col suo vaporetto, Agostino Di Nica. Tanto che aveva pensato di allargare il suo commercio fino a Tunisi e Malta e, a tale scopo, aveva ordinato all'Arsenale di Palermo la costruzione di un altro vaporetto, un po' piú grande, che potesse servire anche al trasporto dei passeggeri.
- Forse, - seguitava a pensare don Pietro, - un uomo come L'arso potrà servirgli. Conosce il francese meglio di me e l'inglese benone. Lupo di mare, poi. O come interprete, o come marinajo, purché me lo imbarchi e gli dia da vivere e da mantenere onestamente la famiglia... Intanto Venerina gli insegnerà a parlare da cristiano. Pare che faccia miracoli, lei, con la sua scuola. Non posso lasciarli piú soli. Domani me lo porto con me da padron Di Nica e, se la proposta è accettata, egli aspetterà , se vuole, ma venendosene con me ogni giorno alla pesca; se non è accettata, bisogna che parta subito subito, senza remissione. Intanto, dormiamo.
Ma che dormire! Pareva che le punte delle molle sconnesse fossero diventate piú irte quella notte, compenetrate delle difficoltà , fra cui don Paranza si dibatteva.
V
Da circa quindici giorni Lars Cleen seguiva mattina e sera il MÃlio alla pesca: usciva di casa con lui, vi ritornava con lui.
Padron Di Nica, con molti se, con molti ma, aveva accettato la proposta presentatagli dal MÃlio come una vera fortuna per lui (e le conseguenze?). Il vaporetto nuovo sarebbe stato pronto fra un mese al piú, e lui, il Cleen, vi si sarebbe imbarcato in qualità di interprete - a prova, per il primo mese.
Venerina aveva fatto intender bene allo zio che il Cleen non s'era ancora spiegato con lei chiaramente, e gli aveva perciò raccomandato di comportarsi con la massima delicatezza, tirandolo prima con ogni circospezione a parlare, a spiegarsi. Il povero don Paranza, sbuffando piú che mai, nel cresciuto impiccio, si era recato dapprima solo dal Di Nica e, ottenuto il posto, era ritornato a casa a offrirlo al Cleen, soggiungendogli nel suo barbaro francese che, se voleva restare, come gliene aveva espresso il desiderio, se voleva trattenersi fino al ritorno dell'Hammerfest, doveva essere a questo patto: che lavorasse; il posto, ecco, glielo aveva procurato lui: quando poi il piroscafo sarebbe arrivato dall'America, ne avrebbe avuti due, di posti; e allora, a sua scelta: o questo o quello, quale gli sarebbe convenuto di piú. Intanto, nell'attesa, bisognava che andasse con lui ogni giorno alla pesca.
Alla proposta, il Cleen era rimasto perplesso. Gli era apparso chiaro che la scena di quella sera tra zio e nipote era avvenuta proprio per la sua prossima partenza, e che era stato lui perciò la cagione del pianto della sua cara infermiera. Accettare, dunque, e compromettersi sarebbe stato tutt'uno. Ma come rifiutare quel benefizio, dopo le tante cure e le premure affettuose di lei? quel benefizio offerto in quel modo, che non lo legava ancora per nulla, che lo lasciava libero di scegliere, libero di mostrarsi, o no, grato di quanto gli era stato fatto?
Ora, ogni mattina, levandosi dal divanaccio con le ossa indolenzite, don Pietro si esortava cosÃ:
- Coraggio, don Paranza! alla doppia pesca!
E preparava gli attrezzi: le due canne con le lenze, una per sé, l'altra per L'arso, i barattoli dell'esca, gli ami di ricambio: ecco, sÃ, per i pesci era ben munito; ma dove trovare l'occorrente per l'altra pesca: quella al marito per la nipote? chi glielo dava l'amo per tirarlo a parlare?
Si fermava in mezzo alla stanza, con le labbra strette, gli occhi sbarrati; poi scoteva in aria le mani ed esclamava:
- L'amo francese!
Eh già ! Perché gli toccava per giunta di muovergliene il discorso in francese, quando non avrebbe saputo dirglielo neppure in siciliano.
- Monsiurre, ma nièsse...
E poi? Poteva spiattellargli chiaro e tondo che quella scioccona s'era innamorata o incapricciata di lui?
Dalla Norvegia o dal console di Palermo avrebbe avuto il rimborso delle spese, probabilmente; ma di quest'altro guajo qui chi lo avrebbe ricompensato?
- Lui, lui stesso, porco diavolo! M'ha attizzato il fuoco in casa? Si scotti, si bruci!
Quell'aria da mammalucco, da innocente piovuto dal cielo, gliel'avrebbe fatta smettere lui. E lÃ, su la scogliera del porto, mentre riforniva gli ami di nuova esca, si voltava a guardare L'arso, che se ne stava seduto su un masso poco discosto, diritto su la vita, con gli occhi chiari fissi al sughero della lenza che galleggiava su l'aspro azzurro dell'acqua luccicante d'aguzzi tremolii.
- Ohé, Mossiur Cleen, ohé!
Guardare, sÃ, lo guardava; ma lo vedeva poi davvero quel sughero? Pareva allocchito.
Il Cleen, all'esclamazione, si riscoteva come da un sogno, e gli sorrideva; poi tirava pian piano dall'acqua la lenza, credendo che il MÃlio lo avesse richiamato per questo, e riforniva anche lui gli ami chi sa da quanto tempo disarmati.
Ah, cosÃ, la pesca andava benone! Anch'egli, don Paranza, pensando, escogitando il modo e la maniera d'entrare a parlargli di quella faccenda cosà difficile e delicata, si lasciava intanto mangiar l'esca dai pesci: si distraeva, non vedeva piú il sughero, non vedeva piú il mare, e solo rientrava in sé, quando l'acqua tra gli scogli vicini dava un piú forte risucchio. Stizzito, tirava allora la lenza, e gli veniva la tentazione di sbatterla in faccia a quell'ingrato. Ma piú ira gli suscitava l'esclamazione che il Cleen aveva imparata da lui e ripeteva spesso, sorridendo, nel sollevare a sua volta la canna.
- Porco diavolo!
Don Paranza, dimenticandosi in quei momenti di parlargli in francese, prorompeva:
- Ma porco diavolo lo dico sul serio, io! Tu ridi, minchione! Che te n'importa?
No, no, cosà non poteva durare: non conchiudeva nulla, non solo, ma si guastava anche il fegato.
- Se la sbrighino loro, se vogliono!
E lo disse una di quelle sere alla nipote, rincasando dalla pesca.
Non s'aspettava che Venerina dovesse accogliere l'irosa dichiarazione della insipienza di lui con uno scoppio di risa, tutta rossa e raggiante in viso.
- Povero zio!
- Ridi?
- Ma sÃ!
- Fatto?
Venerina si nascose il volto con le mani, accennando piú volte di sà col capo, vivacemente. Don Paranza, pur contento in cuor suo, alleggerito da quel peso quando meno se l'aspettava, montò su le furie.
- Come! E non me ne dici niente? E mi tieni là per tanti giorni alla tortura? E lui, anche lui, muto come un pesce!
Venerina sollevò la faccia dalle mani:
- Non t'ha saputo dir nulla, neanche oggi?
- Pesce, ti dico! Baccalà ! - gridò don Paranza al colmo della stizza. - Ho il fegato grosso cosÃ, dalla bile di tutti questi giorni!
- Si sarà vergognato - disse Venerina, cercando di scusarlo.
- Vergognato! Un uomo! - esclamò don Pietro. - Ha fatto ridere alle mie spalle tutti i pesci del mare, ha fatto ridere! Dov'è? Chiamalo; fammelo dire questa sera stessa: non basta che l'abbia detto a te!
- Ma senza codesti occhiacci, - gli raccomandò Venerina, sorridendo.
Don Paranza si placò, scosse il testone lanoso e borbottò nella barba:
- Sono proprio... già tu lo sai, meglio di me. Di' un po', come hai fatto, senza francese?
Venerina arrossÃ, sollevò appena le spalle, e i neri occhioni le sfavillarono.
- CosÃ, - disse, con ingenua malizia.
- E quando?
- Oggi stesso, quando siete tornati a mezzogiorno, dopo il desinare. Egli mi prese una mano... io...
- Basta, basta! - brontolò don Paranza, che in vita sua non aveva mai fatto all'amore. - È pronta la cena? Ora gli parlo io.
Venerina gli si raccomandò di nuovo con gli occhi, e scappò via. Don Pietro entrò nella camera del Cleen.
Questi se ne stava con la fronte appoggiata ai vetri del balcone, a guardar fuori; ma non vedeva nulla. La piazzetta là davanti, a quell'ora, era deserta e buja. I lampioncini a petrolio quella sera riposavano, perché della illuminazione del borgo era incaricata la luna. Sentendo aprir l'uscio, il Cleen si voltò di scatto. Chi sa a che cosa stava pensando. Don Paranza si piantò in mezzo alla camera con le gambe aperte, tentennando il capo: avrebbe voluto fargli un predicozzo da vecchio zio brontolone; ma sentà subito la difficoltà d'un discorso in francese consentaneo all'aria burbera a cui già aveva composta la faccia e l'atteggiamento preso. Frenò a stento un solennissimo sbuffo d'impazienza e cominciò:
- Mossiur Cleen, ma nièsse m'a dit...
Il Cleen, sorrise, timido, smarrito, e chinò leggermente il capo piú volte.
- Oui? - riprese don Paranza. - E va bene!
Tese gl'indici delle mani e li accostò ripetutamente l'uno all'altro, per significare: "Marito e moglie, uniti..."
- Vous et ma nièsse... mariage... oui?
- Si vous voulez, - rispose il Cleen aprendo le mani, come se non fosse ben certo del consenso.
- Oh, per me! - scappò a don Pietro. Si riprese subito. - Très-heureux, mossiur Cleen, très-heureux. C'est fait! Donnez-moi la main...
Si strinsero la mano. E cosà il matrimonio fu concluso. Ma il Cleen rimase stordito. Sorrideva, sÃ, d'un timido sorriso, nell'impaccio della strana situazione in cui s'era cacciato senza una volontà ben definita. Gli piaceva, sÃ, quella bruna siciliana, cosà vivace, con quegli occhi di sole; le era gratissimo dell'amorosa assistenza: le doveva la vita, sÃ... ma, sua moglie, davvero? già concluso?
- Maintenant, - riprese don Paranza, nel suo francese, - je vous prie, mossiur Cleen: cherchez, cherchez d'apprendre notre langue... je vous prie...
Venerina venne a picchiare all'uscio con le nocche delle dita.
- A cena!
Quella prima sera, a tavola, provarono tutti e tre un grandissimo imbarazzo. Il Cleen pareva caduto dalle nuvole; Venerina, col volto in fiamme, confusa, non riusciva a guardare né il fidanzato né lo zio. Gli occhi le si intorbidivano, incontrando quelli del Cleen e s'abbassavano subito. Sorrideva, per rispondere al sorriso di lui non meno impacciato, ma volentieri sarebbe scappata a chiudersi sola sola in camera, a buttarsi sul letto, per piangere... SÃ. Senza saper perché.
"Se non è pazzia questa, non c'è piú pazzi al mondo!" pensava tra sé dal canto suo don Paranza, aggrondato, tra le spine anche lui, ingozzando a stento la magra cena.
Ma poi, prima il Cleen, con qualche ritegno, lo pregò di tradurre per Venerina un pensiero gentile che egli non avrebbe saputo manifestarle; quindi Venerina, timida e accesa, lo pregò di ringraziarlo e di dirgli...
- Che cosa? - domandò don Paranza, sbarrando tanto d'occhi.
E poiché, dopo quel primo scambio di frasi, la conversazione tra i due fidanzati avrebbe voluto continuare attraverso a lui, egli battendo le pugna su la tavola:
- Oh insomma! - esclamò. - Che figura ci faccio io? Ingegnatevi tra voi.
Si alzò, fra le risa dei due giovani, e andò a fumarsi la pipa sul divanaccio, brontolando il suo porco diavolo nel barbone lanoso.
VI
Il vaporetto del Di Nica...
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