[Pagina precedente]... se n'era andato, piangendo. Ed ella si era presa tanta cura di quell'abbandonato! Chi era egli? Donde veniva? Quali ricordi custodiva con tanto amore in quella cassetta? Venerina scrollava a un tratto le spalle con un moto di dispetto, dicendo a se stessa: - Che me n'importa? - e lo lasciava là solo nella camera, a pascersi di quei suoi segreti ricordi, e si tirava con sé la zia, che la seguiva stordita di quella risoluzione repentina:
- Che facciamo?
- Nulla. Ce n'andiamo!
Venerina ricadeva d'un tratto, in quei momenti, nel suo tedio neghittoso, inasprito da una sorda stizza o aggravato da una pena d'indefiniti desiderii: la casa le appariva vuota di nuovo, vuota la vita, e sbuffava: non voleva far nulla, piú nulla!
IV
Lars Cleen, appena solo, si sentiva come caduto in un altro mondo, piú luminoso, di cui non conosceva che tre abitanti soli e una casa, anzi una camera. Non si rendeva ragione di quei dispettucci di Venerina. Non si rendeva ragione di nulla. Tendeva l'orecchio ai rumori della via, si sforzava d'intendere; ma nessuna sensazione della vita di fuori riusciva a destare in lui un'immagine precisa. La campana... sÃ, ma egli vedeva col pensiero una chiesa del suo remoto paese! Un fischio di sirena, ed egli vedeva l'Hammerfest perduto nei mari lontani. E com'era restato una sera, nel silenzio, alla vista della luna, nel vano della finestra! Era pure, era pure la stessa luna ch'egli tante volte in patria, per mare, aveva veduta; ma gli era parso che lÃ, in quel paese ignoto, ella parlasse ai tetti di quelle case, al campanile di quella chiesa, quasi un altro linguaggio di luce, e l'aveva guardata a lungo, con un senso di sgomento angoscioso, sentendo piú acuta che mai la pena dell'abbandono, il proprio isolamento.
Viveva nel vago, nell'indefinito, come in una sfera vaporosa di sogni. Un giorno, finalmente, s'accorse che sul coperchio della cassetta erano scritte col gesso tre parole: - bet! bet! bet! - cosÃ. Domandò col gesto a Venerina che cosa volessero significare, e Venerina, pronta:
- Tu, bet!
Lars Cleen restò a guardarla con gli occhi chiari ridenti e smarriti. Non comprendeva, o meglio non sapeva credere che... No, no - e con le mani le fece segno che avesse pietà di lui che tra poco doveva partire. Venerina scrollò le spalle e lo salutò con la mano.
- Buon viaggio!
- No, no, - fece di nuovo il Cleen col capo, e la chiamò a sé col gesto: aprà la cassetta e ne trasse una veduta fotografica di Trondhjem. Vi si vedeva, tra gli alberi, la maestosa cattedrale marmorea sovrastante tutti gli altri edifici, col camposanto prossimo, ove i fedeli superstiti si recano ogni sabato a ornare di fiori le tombe dei loro morti.
Ella non riuscà a comprendere perché le mostrasse quella veduta.
- Ma mère, ici, - s'affannava a dirle il Cleen, indicandole col dito il cimitero, lÃ, all'ombra del magnifico tempio. Anche lui, come don Pietro, non era molto padrone della lingua francese, che del resto non serviva affatto con Venerina. Trasse allora dalla cassetta un'altra fotografia: il ritratto d'una giovine. Subito Venerina vi fissò gli occhi, impallidendo. Ma il Cleen si pose accanto al volto il ritratto, per farle vedere che quella giovine gli somigliava.
- Ma soeur, - aggiunse.
Questa volta Venerina comprese e s'ilarò tutta. Se poi quella sorella fosse fidanzata o già moglie del giovane marinajo che aveva recato la cassetta, Venerina non si curò piú che tanto d'indovinare. Le bastò sapere che L'arso era celibe. SÃ: ma non doveva ripartire fra pochi giorni? Era già in grado di uscir di casa e di recarsi a piedi, sul tramonto, al Molo Vecchio.
Una frotta di monellacci scalzi, stracciati, alcuni ignudi nati, abbrustiti dal sole, seguiva ogni volta Lars Cleen in quelle sue passeggiate: lo spiavano, scambiandosi ad alta voce osservazioni e commenti che presto si mutavano in lazzi. Egli, stordito, abbagliato nell'aria che grillava di luce, si voltava ora verso l'uno ora verso l'altro, sorridendo; talora gli toccava di minacciare col bastone i piú insolenti; poi sedeva sul muricciuolo della banchina a guardare i bastimenti ormeggiati e il mare infiammato dal riflesso delle nuvole vespertine. La gente si fermava a osservarlo, mentre egli se ne stava in quell'atteggiamento, tra smarrito ed estatico: lo guardava, come si guarda una gru o una cicogna stanca e sperduta, discesa dall'alto dei cieli. Il berretto di pelo, il pallore del volto e l'estrema biondezza della barba e dei capelli attiravano specialmente la curiosità . Egli alla fine se ne stancava e piano piano rincasava, triste.
Dalla lettera lasciatagli dal compagno, insieme col denaro, sapeva che l'Hammerfest dopo il viaggio in America, sarebbe ritornato a Porto Empedocle, fra sei mesi. Ne erano trascorsi già tre. Volentieri si sarebbe rimbarcato sul suo piroscafo di ritorno, volentieri si sarebbe riunito ai compagni; ma come trattenersi tre altri mesi, cosÃ, senza piú alcuna ragione, nella casa che l'ospitava? Il MÃlio aveva già scritto al console in Palermo per fargli ottenere gratuitamente il rimpatrio. Che fare? partire o attendere? - Decise di consigliarsi col MÃlio stesso, una di quelle sere, al ritorno dalla pesca dei gronghi.
Venerina assistette, dopo cena, a quel dialogo che voleva essere in francese tra lo zio e lo straniero. Dialogo? Si sarebbe detto diverbio piuttosto, a giudicare dalla violenza dei gesti ripetuti con esasperazione dall'uno e dall'altro. Venerina, sospesa, costernata, a un certo punto, nel vedersi additata rabbiosamente dallo zio, diventò di bragia. Eh che! Parlavano dunque di lei? a quel modo? Vergogna, ansia, dispetto le fecero a un tratto tale impeto dentro, che appena il Cleen si ritirò, saltò sú a domandare allo zio:
- Che c'entro io? Che avete detto di me?
- Di te? Niente, - rispose don Pietro, rosso e sbuffante, dopo quella terribile fatica.
- Non è vero! Avete parlato di me. Ho capito benissimo. E tu ti sei arrabbiato!
Don Pietro non si raccapezzava ancora.
- Che t'ha detto? Che t'ha inventato? - incalzò Venerina, tutta accesa. - Vuole andarsene? E tu lascialo andare! Non me n'importa nulla, sai, proprio nulla.
Don Paranza restò a guardare ancora un pezzo la nipote, stordito, con la bocca aperta.
- Sei matta? O io...
All'improvviso si diede a girare per la stanza come se cercasse la via per scappare e, agitando per aria le manacce spalmate:
- Che asino! - gridò. - Che imbecille! Oh somarone! A settantotto anni! Mamma mia! Mamma mia!
Si voltò di scatto a guardare Venerina, mettendosi le mani tra i capelli.
- Dimmi un po', per questo m'hai domandato... per dirlo a lui in francese, ch'ero bestia?
- No, non per te... Che hai capito?
Di nuovo don Pietro, con la testa tra le mani, si mise ad andare in qua e in là per la stanza.
- Bestione, somarone, e dico poco! Ma quella bertuccia di tua zia che ha fatto qui? ha dormito? Porco diavolo! E tu? e questo pezzo di... Aspetta, aspetta che te l'aggiusto io, ora stesso!
E in cosà dire si lanciò verso l'uscio della camera, dove s'era chiuso il Cleen. Venerina gli si parò subito davanti.
- No! Che fai, zio? Ti giuro che egli non sa nulla! Ti giuro che tra me e lui non c'è stato mai nulla! Non hai inteso che se ne vuole andare?
Don Pietro restò come sospeso. Non capiva piú nulla!
- Chi? lui? Se ne vuole andare? Chi te l'ha detto? Ma al contrario! al contrario! Non se ne vuole andare! M'hai preso per bestia sul serio? Io, io te lo caccio via però, ora stesso!
Venerina lo trattenne di nuovo, scoppiando questa volta in singhiozzi e buttandoglisi sul petto. Don Paranza sentà mancarsi le gambe. Con la mano rimasta libera accennò il segno della croce.
- In nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, - sospirò. - Vieni qua, vieni qua, figlia mia! Andiamocene nella tua camera e ragioniamo con calma. Ci perdo la testa!
La trasse con sé nell'altra camera, la fece sedere, le porse il fazzoletto perché si asciugasse gli occhi e cominciò a interrogarla paternamente.
Frattanto Lars Cleen, che aveva udito dalla sua camera il diverbio tra lo zio e la nipote senza comprenderne nulla, apriva pian piano l'uscio e sporgeva il capo a guardare, col lume in mano, nella saletta buja. Che era avvenuto? Intese solo i singhiozzi di Venerina, di là , e se ne turbò profondamente. Perché quella lite? E perché piangeva ella cosÃ? Il MÃlio gli aveva detto che non era possibile che egli stesse nella casa piú oltre: non c'era posto per lui; e poi quella vecchia matta della zia s'era stancata; e la nipote non poteva restar sola con un estraneo in casa. Difficoltà , ch'egli non riusciva a penetrare. Mah! tant'altre cose, da che usciva di casa, gli sembravano strane in quel paese. Bisognava partire, senz'aspettare il piroscafo: questo era certo. E avrebbe perduto il posto di nostromo. Partire! Piangeva per questo la sua giovane amica infermiera?
Fino a notte avanzata Lars Cleen stette lÃ, seduto sul letto, a pensare, a fantasticare. Gli pareva di vedere la sorella lontana; la vedeva. Ah, lei sola al mondo gli voleva bene ormai. E anche quest'altra fanciulla qua, possibile?
- Questa? E tu vorresti?
Chi sa! Ogni qual volta ritornava in patria, la sorella gli ripeteva che volentieri avrebbe preferito di non rivederlo mai piú, mai piú in vita, se egli, in uno di quei suoi viaggi lontani, si fosse innamorato di una buona ragazza e la avesse sposata. Tanto strazio le dava il vederlo cosÃ, svogliato della vita e rimesso, anzi abbandonato alla discrezione della sorte, esposto a tutte le vicende, pronto alle piú rischiose, senz'alcun ritegno d'affetto per sé, come quella volta che, traversando l'Oceano in tempesta, s'era buttato dall'Hammerfest per salvare un compagno! SÃ, era vero; e senza alcun merito; perché la sua vita, per lui, non aveva piú prezzo.
Ma lÃ, ora? possibile? Questo paesello di mare, in Sicilia, cosà lontano lontano, era dunque la meta segnata dalla sorte alla sua vita? era egli giunto, senz'alcun sospetto, al suo destino? Per questo s'era ammalato fino a toccare la soglia della morte? per riprendere là la via d'una nuova esistenza? Chi sa!
- E tu gli vuoi bene? - concludeva intanto di là don Pietro, dopo avere strappato a Venerina, che non riusciva a quietarsi, le scarse, incerte notizie che ella aveva dello straniero e la confessione di quegli ingenui passatempi, donde era nato quell'amore fino a quel punto sospeso in aria, come un uccello sulle ali.
Venerina s'era nascosto il volto con le mani.
- Gli vuoi bene? - ripeté don Pietro. - Ci vuol tanto a dir di s�
- Io non lo so, - rispose Venerina, tra due singhiozzi.
- E invece lo so io! - borbottò don Paranza, levandosi. - Va', va' a letto ora, e procura di dormire. Domani, se mai... Ma guarda un po' che nuova professione mi tocca adesso d'esercitare!
E, scotendo il capo lanoso, andò a buttarsi sul divanaccio sgangherato.
Rimasta sola, Venerina, tutta infocata in volto, con gli occhi sfavillanti, sorrise; poi si nascose di nuovo il volto con le mani; se lo tenne stretto, stretto, cosÃ, e andò a buttarsi sul letto, vestita.
Non lo sapeva davvero, se lo amava. Ma, intanto, baciava e stringeva il guanciale del lettuccio. Stordita da quella scena imprevista, a cui s'era lasciata tirare, per un malinteso, dal suo amor proprio ferito, non riusciva ancor bene a veder chiaro in sé, in ciò che era avvenuto. Un senso scottante di vergogna le impediva di rallegrarsi di quella spiegazione con lo zio, forse desiderata inconsciamente dal suo cuore, dopo tanti mesi di sospensione su un pensiero, su un sentimento, che non riuscivano quasi a posarsi sulla realtà , ad affermarsi in qualche modo. Ora aveva detto di sà allo zio, e certo avrebbe sentito un gran dolore, se il Cleen se ne fosse andato; sentiva orrore del tedio mortale in cui sarebbe ricaduta, sola sola, nella casa vuota e silenziosa; era perciò contenta che lo zio fosse ora con lei, di là , a pensare, a escogitare il modo di vincere, se fosse possibile, tutte le difficoltà che avevano fino allora tenuto sospeso il suo sentimento.
Ma si potevano vincere quelle difficoltà ? Il Cleen, ...
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