[Pagina precedente]...deva lui cosÃ, propriamente; ma un altro Faustino Sangelli, di circa diciott'anni, e dunque senza quella barba, e dunque senza né quella moglie né quei figliuoli.
Questo gli avveniva per il fatto che, tra la gente che quella sera partiva da Napoli col piroscafo per la Sicilia, aveva intraveduto e riconosciuto subito un suo lontano parente, un tal Silvestro Crispo, già tutto grigio e piú ispido e piú cupo di quando, tanti e tanti anni addietro, lui, Faustino Sangelli, allor quasi ragazzo imberbe, studentello matricolino di lettere all'Università di Palermo, gli aveva tolto l'amore di LillÃ, loro comune cugina, di cui tutti e due allora erano perdutamente innamorati e quel poveretto aveva tentato di uccidersi, chiudendosi in camera una notte col braciere acceso. Ora Lillà da otto anni era moglie di colui; e Faustino Sangelli sapeva che, nonostante l'età , si conservava ancora bellissima e fresca.
Tutti i ricordi scottanti, gli errori, i rimorsi della prima gioventú, improvvisamente, alla vista di quell'uomo, gli avevano fatto un tale impeto dentro, che n'era come stordito. Al solo pensiero che quel Silvestro Crispo potesse vederlo, invecchiato e cosà dietro a quei tre ragazzi mal vestiti, e con quella moglie grassa e ridicola che strillava di là , si sentiva vaneggiare in un avvilimento di vergogna, acre e insopportabile, al quale reagiva seguitando a sorridere a quel modo, mentre avvertiva con una lucidità che gl'incuteva quasi ribrezzo, che non soltanto lui qual era adesso, ma lui anche qual era stato tant'anni addietro, sedici anni addietro, viveva tuttora e sentiva e ragionava con quegli stessi pensieri, con quegli stessi sentimenti, che già da tanto tempo credeva spenti o cancellati in sé; ma cosà vivo, cosà "presentemente" vivo che, quasi non parendogli piú vero in quel momento tutto ciò che lo circondava, e pur non potendo negarne a se stesso la realtà , non potendo negare per esempio che quei tre ragazzi là fossero suoi; ecco qua, sorrideva, proprio come se non fossero; proprio come se lui non fosse questo Faustino d'adesso, ma quello: diviso in due vite distanti e contemporanee; vere tutt'e due, e vane tutte e due nello stesso tempo; e di là quella biondona pallida, di cui gli arrivava la voce sgraziata: "Faustino! Faustino!" - e qua, fuggente e ammiccante tra il rimescolÃo dei passeggeri sopra coperta, LillÃ, Lillà di ventidue anni, bella come quando di nascosto, da lontano, per tentarlo, tenendo socchiuso l'uscio della sua cameretta si scopriva il seno tra il candor delle trine e con la mano faceva appena appena l'atto d'offrirglielo e subito con la stessa mano se lo nascondeva.
Aveva quattr'anni piú di lui, LillÃ. E che passione, che frenesie, prima ch'ella accondiscendesse a fidanzarsi con lui, corteggiata da tanti, anche da quel povero Silvestro Crispo, che s'affannava in tutti i modi a lavorare per farsi uno stato e ottener subito la mano di lei! Ma allora Lillà non si curava di nessuno dei due: di Silvestro Crispo, perché troppo rozzo, ispido e brutto; di lui, perché troppo ragazzo; e s'univa perfidamente a tutti i parenti che se lo prendevano a godere per lo spettacolo che dava loro con quella sua passione precoce e della gelosia che lo assaliva appena vedeva qualcuno ottenere i sorrisi di lei. Finché, all'improvviso, chi sa perché, forse per qualche dispetto o per qualche disinganno inatteso o per prendersi una subita rivincita su qualcuno, ella gli s'era accostata amorosa, gli s'era promessa, ma a patto che subito egli si fosse apertamente fidanzato con lei. Là per lÃ, gli era parso di toccare il cielo col dito. Per piú d'un mese aveva dovuto combattere per strappare il consenso al padre, il quale saggiamente gli aveva fatto osservare ch'era troppo intempestivo per lui un impegno di quel genere; che la cugina aveva quattr'anni piú di lui, e che egli, ancora studente, avrebbe dovuto aspettare per lo meno altri sei anni per farla sua. Ostinato, dopo molte promesse e giuramenti, era riuscito a spuntarla. Se non che, subito dopo, nel vedersi presentare a tutti, cosà ancor quasi ragazzo, senza uno stato, come promesso sposo di LillÃ, s'era sentito ridicolo agli occhi di tutti e specialmente di quegli altri giovanotti che, corrisposti, avevano per qualche tempo amoreggiato con la sua fidanzata. La passione, cosà cocente quand'era nascosta, contrariata e derisa, aveva perduto a un tratto il fervore, tutta la poesia; e poco dopo egli se n'era scappato dalla Sicilia per troncare quel fidanzamento, ch'era stato intanto il colpo di grazia per quel Silvestro Crispo. Nel vedersi posposto a un giovanottino ancor imberbe, senza né arte né parte, lui che già lavorava, lui che era già uomo; sdegnato, disperato, aveva voluto uccidersi; ed era stato salvato per miracolo.
Ora eccolo là ! Marito di LillÃ. Padre (sapeva anche questo, Faustino Sangelli), padre d'un bambino, di cui gli avevano tanto vantato la bellezza. Bello come mamma. Dunque, forse felice, quell'uomo lÃ. Mentre lui... Ecco, perché, correndo appresso a quei bambini non belli e mal vestiti, aveva bisogno di sorridere a quel modo Faustino Sangelli in quel momento; bisogno, proprio bisogno di veder viva, di ventidue anni, là , fuggente e ammiccante, tra il rimescolÃo dei passeggeri LillÃ, Lillà che accennava, cosà fuggendo e riparandosi dietro le spalle dei passeggeri, di scoprirsi ancora il seno e far con la mano appena appena l'atto d'offrirglielo e subito con la stessa mano l'atto di nasconderselo. Ah, tante volte, tante volte, ebbro d'amore, gliel'aveva baciato, lui, quel piccolo seno! E ora voleva che quell'uomo là lo sapesse. SÃ, sÃ. Sorrideva a quel modo per farglielo sapere. E con tal rabbia, con tal livore - pur con quel sorriso sulle labbra - pensava, sentiva, vedeva tutto questo, che a un certo punto costretto a correre fin quasi ai piedi di Silvestro Crispo per acchiappare a tempo uno dei bambini che stava per cadere, acchiappatolo, si rizzò tutto fremente davanti a lui, quasi a petto, come se si aspettasse che quello dovesse saltargli al collo per strozzarlo.
Silvestro Crispo, invece, lo guardò appena con la coda dell'occhio; evidentemente senza riconoscerlo. E s'allontanò pian piano.
Faustino Sangelli restò di gelo a quello sguardo d'assoluta indifferenza. Da che rideva, da che baciava vivo, con labbra ardenti, il tepido, piccolo seno bianco di LillÃ, e costringeva quell'uomo a chiudersi in camera con un braciere acceso per asfissiarsi, ecco che d'un tratto spariva in lui l'immagine di ciò ch'era stato, come un'ombra; e un'altra ombra d'improvviso sottentrava, l'ombra miserabile di se stesso, ombra irriconoscibile, se colui non lo aveva riconosciuto, dopo sedici anni: i sedici anni di tutti i suoi sogni svaniti, e di tante noje e di tante amarezze; i sedici anni che lo avevano invecchiato precocemente; che gli avevano portato la sciagura di quella moglie, il tormento di quei figliuoli.
Di furia, inferocito, con la scusa della caduta di quel piccino riparata a tempo, mentre tra il cresciuto clamore la sirena della ciminiera avventava il rauco fischio formidabile, acchiappò gli altri due, andò a prendere la moglie, e giú, a cuccia! a cuccia!
- Andiamo a dormire!
Ma Ninà voleva il biscotto; l'acqua, Bicetta; Carluccio, la tromba.
- A dormire! a dormire! Avete sentito il babau?
- Oh Dio, Faustino, e non è presto?
- Che presto! che presto! Meglio che ti trovi accucciata, prima che si esca dal porto! Giú! giú!
- La tromba, papà !
- Oh Dio, Faustino, mi gira la testa...
- Ma se siamo ancora fermi! Se ancora non si muove!
- Biccotto, papà !
- Papà , quando bevo?
- Giú! giú! Berrai giú! Andiamo!
- Oh Dio, Faustino...
- Corpo di... Giusto qua?... Cameriere! cameriere!
Tutta la nottata, quella delizia lÃ. E fosse stato cattivo il mare! Ma che! Un olio. E che strilli, che strilli!
- Sta' zitta! Pare che ti scà nnino!
- Oh Dio, muojo! Reggimi, Faustino! Ah, non arrivo... non arrivo... Voglio scendere!
- Scendiamo, papà .
- A casa, andiamo a casa, papà !
- Mammà , oh Dio! ho paura, papà !
- Fermi, perdio! E tu stenditi giú, supina, o vado a buttarmi a mare!
Di solito tanto paziente con la moglie e coi figliuoli, era diventato una belva, Faustino Sangelli, quella notte, per mare. Ma come Dio volle, verso il tocco, la moglie s'assopÃ; i bambini s'addormentarono.
Egli rimase un pezzo nella cuccetta, seduto, coi gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. E stando cosà seduto, si vide, a un certo punto, sotto gli occhi emergere il pancino, che da alcuni anni gli era cresciuto; e vide quasi per ischerno ciondolare dalla catena dell'orologio una medaglina d'oro, premio volgare d'un misero concorso vinto. A diciott'anni, innamorato di LillÃ, aveva sognato la gloria. Era finito professor di liceo, non tanto miserabile perché la moglie gli aveva recato una buona dote. Ah Dio, un po' d'aria, un po' d'aria! Si sentiva soffocare!
Spense la lampadina elettrica; uscà dalla cuccetta; attraversò un po' barcollando e reggendosi alle pareti di legno del corridojo, e salà in coperta.
La notte era scurissima, polverata di stelle. Gli alberi del piroscafo vibravano allo scotimento della macchina e dalla ciminiera sboccava continuo un pennacchio di fumo denso, rossastro. Il mare, tutto nero, rotto dalla prua, s'apriva spumeggiando un poco lungo i fianchi del piroscafo. Tutti i passeggeri s'erano ritirati nelle loro cuccette.
Faustino Sangelli tirò sú il bavero del pastrano; si diede una rincalcata al berretto da viaggio; passeggiò un tratto sul ponte riservato alla prima classe; guardò i passeggeri di terza buttati come bestie a dormire su la coperta, con le teste sui fagotti, attorno alla bocca della stiva: poi, alzando il capo, vide dall'altra parte, sul ponte di poppa riservato ai passeggeri di seconda, uno - lui? - presso il parapetto, appoggiato a una delle bacchette di ferro che sorreggevano la tenda.
Al bujo non discerneva bene. Ma pareva lui, Silvestro Crispo. Doveva esser lui. Forse, anche prima che egli lo scorgesse tra i passeggeri in partenza quella sera da Napoli, era stato scorto da lui. E forse, quand'egli sorreggendo il bambino che stava per cadere, s'era rizzato a guardarlo, lo sguardo che colui gli aveva rivolto con la coda dell'occhio nell'allontanarsi non era d'indifferenza, ma di sdegno, e forse d'odio. Ora là , fermo, insaccato nelle spalle, anch'esso col bavero del pastrano tirato sú e il berretto rincalcato, guardava il mare. Da guardare però non c'era nulla, in quella tenebra. Dunque pensava. Anche lui, dunque, sapendo che l'antico rivale viaggiava sullo stesso piroscafo, non poteva dormire, quella notte. Che pensava?
Faustino Sangelli stette a spiarlo un pezzo con una pena, con una pena che, a mano a mano crescendo, gli si faceva piú amara e piú angosciosa: pena della vita che è cosÃ; pena delle memorie che dolgono, come se i dolori presenti non bastassero al cuore degli uomini. Ma a poco a poco, cominciò quasi a svaporargli, quella pena, nella vastità sconfinata, tenebrosa, sotto quella polvere di stelle, e si vide, si sentà piccolissimo, e piccolissimo vide il rivale; piccolissima, la sua miseria annegarsi nel sentimento che gli s'allargava smisurato, della vanità di tutte le cose. Allora, con amaro dileggio, si persuase a profittar del mare tranquillo e del sonno della moglie e dei figliuoli per farsi una dormitina anche lui, fino all'approdo in Sicilia a giorno chiaro.
Cosà fece. Ma la bella filosofia gli venne meno di nuovo, come il piroscafo fu per doppiare Monte Pellegrino e imboccare il golfo di Palermo. Ora la moglie era diventata coraggiosissima: una leonessa; e anche i figliuoli, tre leoncini. Volevano andare sul ponte subito subito a godere della magnifica vista dell'entrata a Palermo.
- Nossignori! Non permetto! Prima aspettate che il vapore si fermi!
- Oh Dio, Faustino, ma se tutti gli altri passeggeri sono già sú!
- Va bene. E voi state giú.
- Ma perché?
- Perché voglio cosÃ!
Figurarsi se si voleva far vedere da quello alla luce del giorno, con quella moglie accanto tutta ammaccata e spettinata, con qu...
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