[Pagina precedente]...re, i suoi colleghi sacerdoti che tenevano in quell'abiezione di fede tanta povera gente, e su quell'abiezione facevano bottega. Ah Dio, come potevano prendersi per una messa le tre lire di quella vecchia, i galletti, le mandorle e le noci?
- Riprendete codesta bisaccia e andatevene! - le gridò, tutto fremente.
Quella lo guardò, sbalordita.
- Potete andarvene, ve lo dico io! - aggiunse don Angelino, infuriandosi vieppiú. - San Calògero non ha bisogno né di galletti né di fichi secchi! Se vostro figlio ha da scrivervi, state sicura che vi scriverà . Quanto alla messa, vi dico che don Pietro è malato. Andatevene! andatevene!
Come intronata da quelle parole furiose, la vecchia gli domandò:
- Ma che dice? Non ha capito che questo è un voto? È un voto!
E c'era nella parola, pur ferma, un tale sbalordimento per l'incomprensione di lui, quasi incredibile, che don Angelino fu costretto a fermarvi l'attenzione. Pensò ch'era là in vece di don Pietro, e si frenò. Con parole meno furiose cercò di persuadere la vecchia a riportarsi i galletti e le mandorle e le noci, e le disse che, quanto alla messa, ecco, se proprio la voleva, magari gliel'avrebbe detta lui, invece di don Pietro, ma a patto che lei si tenesse le tre lire.
La vecchia tornò a guardarlo, quasi atterrita, e ripeté:
- Ma come! Che dice? E allora che voto è? Se non do quello che ho promesso, che vale? Ma scusi, a chi parlo? Non parlo forse a un sacerdote? E perché allora mi tratta cos� O che forse crede che non do a San Calògero miracoloso con tutto il cuore quello che gli ho promesso? Oh Dio! oh Dio! Forse perché le ho parlato di quanto ho penato per raccoglierlo?
E cosà dicendo, si mise a piangere perdutamente, con quegli orribili occhi insanguati.
Commosso e pieno di rimorso per quel pianto, don Angelino si pentà della sua durezza, sopraffatto all'improvviso da un rispetto, che quasi lo avviliva di vergogna, per quella vecchia che piangeva innanzi a lui per la sua fede offesa. Le s'accostò, la confortò, le disse che non aveva pensato quello che lei sospettava, e che lasciasse là tutto; anche le tre lire, sÃ; e intanto entrasse in chiesa, che or ora le avrebbe detto la messa.
Chiamò il sagrestano; corse al lavabo; e mentre quello lo ajutava a pararsi, pensò che avrebbe trovato modo di ridare alla vecchia, dopo la messa, le tre lire e i galletti e quell'altra offerta della bisaccia. Ma ecco, questa carità perché avesse il valore che potesse renderla accetta a quella povera vecchia, non richiedeva forse qualcosa ch'egli non sentiva piú d'avere in sé? Che carità sarebbe stata il prezzo d'una messa, se per tutti gli stenti e i sacrifizii durati da quella vecchia per adempiere il voto, egli non avesse celebrato quella messa col piú sincero e acceso fervore? Una finzione indegna, per una elemosina di tre lire?
E don Angelino, già parato, col calice in mano, si fermò un istante, incerto e oppresso d'angoscia, su la soglia della sagrestia a guardare nella chiesetta deserta; se gli conveniva, cosà senza fede, salire all'altare. Ma vide davanti a quell'altare prosternata con la fronte a terra la vecchia, e si sentà come da un respiro non suo sollevare tutto il petto, e fendere la schiena da un brivido nuovo. O perché se l'era immaginata bella e radiosa come un sole, finora, la fede? Eccola lÃ, eccola lÃ, nella miseria di quel dolore inginocchiato, nella squallida angustia di quella paura prosternata, la fede!
E don Angelino salà come sospinto all'altare, esaltato di tanta carità , che le mani gli tremavano e tutta l'anima gli tremava, come la prima volta che vi si era accostato.
E per quella fede pregò, a occhi chiusi, entrando nell'anima di quella vecchia come in un oscuro e angusto tempio, dov'essa ardeva; pregò il Dio di quel tempio, qual esso era, quale poteva essere: unico bene, comunque, conforto unico per quella miseria.
E finita la messa, si tenne l'offerta e le tre lire, per non scemare con una piccola carità la carità grande di quella fede.
CON ALTRI OCCHI
Dall'ampia finestra, aperta sul giardinetto pensile della casa, si vedeva come posato sull'azzurro vivo della fresca mattina un ramo di mandorlo fiorito, e si udiva, misto al ròco quatto chioccolÃo della vaschetta in mezzo al giardino, lo scampanÃo festivo delle chiese lontane e il garrire delle rondini ebbre d'aria e di sole.
Nel ritirarsi dalla finestra sospirando, Anna s'accorse che il marito quella mattina s'era dimenticato di guastare il letto, come soleva ogni volta, perché i servi non s'avvedessero che non s'era coricato in camera sua. Poggiò allora i gomiti sul letto non toccato, poi vi si stese con tutto il busto, piegando il bel capo biondo su i guanciali e socchiudendo gli occhi, come per assaporare nella freschezza del lino i sonni che egli soleva dormirvi. Uno stormo di rondini sbalestrate guizzarono strillando davanti alla finestra.
- Meglio se ti fossi coricato qui, - mormorò tra sé, e si rialzò stanca.
Il marito doveva partire quella sera stessa, ed ella era entrata nella camera di lui per preparargli l'occorrente per il viaggio.
Nell'aprire l'armadio, sentà come uno squittÃo nel cassetto interno e subito si ritrasse, impaurita. Tolse da un angolo della camera un bastone dal manico ricurvo e, tenendosi stretta alle gambe la veste, prese il bastone per la punta e si provò ad aprire con esso, cosà discosta, il cassetto. Ma, nel tirare, invece del cassetto, venne fuori agevolmente dal bastone una lucida lama insidiosa. Non se l'aspettava; n'ebbe ribrezzo e si lasciò cadere di mano il fodero dello stocco.
In quel punto, un altro squittÃo la fece voltare di scatto, in dubbio se anche il primo fosse partito da qualche rondine sguizzante davanti la finestra.
Scostò con un piede l'arma sguainata e trasse in fuori tra i due sportelli aperti il cassetto pieno d'antichi abiti smessi del marito. Per improvvisa curiosità si mise allora a rovistare in esso e, nel riporre una giacca logora e stinta, le avvenne di tastare negli orli sotto il soppanno come un cartoncino, scivolato là dalla tasca in petto sfondata; volle vedere che cosa fosse quella carta caduta là chi sa da quanti anni e dimenticata; e cosà per caso Anna scoprà il ritratto della prima moglie del marito.
Impallidendo, con la vista intorbidata e il cuore sospeso, corse alla finestra, e vi rimase a lungo, attonita, a mirare l'immagine sconosciuta, quasi con un senso di sgomento.
La voluminosa acconciatura del capo e la veste d'antica foggia non le fecero notare in prima la bellezza di quel volto; ma appena poté coglierne le fattezze, astraendole dall'abbigliamento che ora, dopo tanti anni, appariva goffo, e fissarne specialmente gli occhi, se ne sentà quasi offesa e un impeto d'odio le balzò dal cuore al cervello: odio di postuma gelosia; l'odio misto di sprezzo che aveva provato per colei nell'innamorarsi dell'uomo ch'era adesso suo marito, dopo undici anni dalla tragedia coniugale che aveva distrutto d'un colpo la prima casa di lui.
Anna aveva odiato quella donna non sapendo intendere come avesse potuto tradire l'uomo ora da lei adorato e, in secondo luogo, perché i suoi parenti s'erano opposti al matrimonio suo col Brivio, come se questi fosse stato responsabile dell'infamia e della morte violenta della moglie infedele.
Era lei, sÃ, era lei, senza dubbio! la prima moglie di Vittore: colei che s'era uccisa!
Ne ebbe la conferma dalla dedica scritta sul dorso del ritratto: Al mio Vittore, Almira sua - 11 novembre 1873.
Anna aveva notizie molto vaghe della morta: sapeva soltanto che il marito, scoperto il tradimento, l'aveva costretta, con l'impassibilità di un giudice, a togliersi la vita.
Ora ella si richiamò con soddisfazione alla mente questa condanna del marito, irritata da quel "mio" e da quel "sua" della dedica, come se colei avesse voluto ostentare cosà la strettezza del legame che reciprocamente aveva unito lei e Vittore, unicamente per farle dispetto.
A quel primo lampo d'odio, guizzato dalla rivalità per lei sola ormai sussistente, seguà nell'anima di Anna la curiosità femminile di esaminare i lineamenti di quel volto, ma quasi trattenuta dalla strana costernazione che si prova alla vista di un oggetto appartenuto a qualcuno tragicamente morto; costernazione ora piú viva; ma a lei non ignota, poiché n'era compenetrato tutto il suo amore per il marito appartenuto a quell'altra donna.
Esaminandone il volto, Anna notò subito quanto dissomigliasse dal suo; e le sorse a un tempo dal cuore la domanda, come mai il marito che aveva amato quella donna, quella giovinetta certo bella per lui, si fosse poi potuto innamorare di lei cosà diversa.
Sembrava bello, molto piú bello del suo anche a lei quel volto che, dal ritratto, appariva bruno. Ecco: e quelle labbra si erano congiunte nel bacio alle labbra di lui; ma perché mai agli angoli della bocca quella piega dolorosa? e perché cosà mesto lo sguardo di quegli occhi intensi? Tutto il volto spirava un profondo cordoglio; e Anna ebbe quasi dispetto della bontà umile e vera che quei lineamenti esprimevano, e quindi un moto di repulsione e di ribrezzo, sembrandole a un tratto di scorgere nello sguardo di quegli occhi la medesima espressione degli occhi suoi allorché, pensando al marito, ella si guardava nello specchio, la mattina, dopo essersi acconciata.
Ebbe appena il tempo di cacciarsi in tasca il ritratto: il marito si presentò, sbuffando, sulla soglia della camera.
- Che hai fatto? Al solito? Hai rassettato? Oh povero me! Ora non trovo piú nulla!
Vedendo poi lo stocco sguainato per terra:
- Ah! Hai anche tirato di scherma con gli abiti dell'armadio?
E rise di quel suo riso che partiva soltanto dalla gola, quasi qualcuno gliel'avesse vellicata; e, ridendo cosÃ, guardò la moglie, come se domandasse a lei il perché del suo proprio riso. Guardando, batteva di continuo le pà lpebre celerissimamente su gli occhietti cauti, neri, irrequieti.
Vittore Brivio trattava la moglie come una bambina non d'altro capace che di quell'amore ingenuo e quasi puerile di cui si sentiva circondato, spesso con fastidio, e al quale si era proposto di prestar solo attenzione di tempo in tempo, mostrando anche allora una condiscendenza quasi soffusa di lieve ironia, come se volesse dire: "Ebbene, via! per un po' diventerò anch'io bambino con te: bisogna fare anche questo, ma non perdiamo troppo tempo!".
Anna s'era lasciata cadere ai piedi la vecchia giacca in cui aveva trovato il ritratto. Egli la raccattò infilzandola con la punta dello stocco, poi chiamò dalla finestra nel giardino il servotto che fungeva anche da cocchiere e che in quel momento attaccava al biroccio il cavallo. Appena il ragazzo si presentò in maniche di camicia nel giardino davanti alla finestra, il Brivio gli buttò in faccia sgarbatamente la giacca infilzata, accompagnando l'elemosina con un "Tieni, è per te!".
- Cosà avrai meno da spazzolare - aggiunse, rivolto alla moglie, - e da rassettare, speriamo!
E di nuovo emise quel suo riso stentato battendo piú e piú volte le pà lpebre.
Altre volte il marito s'era allontanato dalla città e non per pochi giorni soltanto, partendo anche di notte come quella volta; ma Anna, ancora sotto l'impressione della scoperta di quel ritratto, provò una strana paura di restar sola, e lo disse, piangendo, al marito.
Vittore Brivio, frettoloso nel timore di non fare a tempo e tutto assorto nel pensiero dei suoi affari, accolse con mal garbo quel pianto insolito della moglie.
- Come! Perché? Via, via, bambinate!
E andò via di furia, senza neppur salutarla.
Anna sussultò al rumore della porta ch'egli si chiuse dietro con impeto; rimase col lume in mano nella saletta e sentà raggelarsi le lagrime negli occhi. Poi si scosse e si ritirò in fretta nella sua camera, per andar subito a letto.
Nella camera già in ordine ardeva il lampadino da notte.
- Va' pure a dormire - disse Anna alla cameriera che la attendeva. - Fo da me. Buona notte.
Spense il lume, ma invece di posarlo, come soleva, su la mensola, lo posò sul tavolino da notte, presentendo - pur contro la propria volontà - che fors...
[Pagina successiva]