[Pagina precedente]...ipar giudizii, né mettere avanti per ora la mia opinione.
Séguito a discutere col signor giudice istruttore.
Se il signor giudice istruttore crede che Petix sia da punire con tutti i rigori della legge, perché per lui non è uno scemo feroce da paragonare a una bestia, né un pazzo furioso che per nulla abbia ucciso una donna a poche settimane del parto; la ragione del delitto, di quest'assassinio premeditato, quale può essere stata?
Una passione segreta per quella donna, no. Basterebbe che il giovane avvocato d'ufficio mettesse sotto gli occhi ai signori giurati, per un momento, un ritratto della povera morta. La signora Porrella aveva quarantasette anni e a tutto ormai poteva somigliare tranne che a una donna.
Ricordo d'averla veduta pochi giorni prima del delitto, sulla fine d'ottobre, a braccetto del marito cinquantenne, un pochino piú piccolino di lei, ma col suo bravo pancino anche lui, il signor Porrella, per il viale Nomentano sul tramonto, non ostante il vento che sollevava in calde raffiche fragorose le foglie morte.
Posso assicurare sulla mia parola d'onore, ch'era una provocazione la vista di quei due, fuori a passeggio in una giornata come quella, con tutto quel vento, tra il turbine di tutte quelle foglie morte, piccoli sotto gli alti platani nudi che armeggiavano nel cielo tempestoso con l'ispido intrico dei rami.
Buttavano i piedi allo stesso modo, nello stesso tempo, gravi, come per un cómpito assegnato.
Forse credevano che di quella passeggiata non si potesse assolutamente fare a meno, ora che la gravidanza era agli ultimi giorni. Prescritta dal medico; consigliata da tutte le amiche del vicinato.
Seccante forse, sÃ, ma naturalissimo per loro che quel vento insorgesse cosà di tratto in tratto e sbattesse furiosamente di qua e di là tutte quelle foglie accartocciate senza mai riuscire a spazzarle via; e che quei platani là , poiché a tempo avevano rimesso le foglie, ora a tempo se ne spogliassero per rimaner come morti fino alla ventura primavera; e che là quel cane randagio fosse condannato da ogni fiuto nel naso a fermarsi quasi a tutti i tronchi di quei platani e ad alzare con esasperazione un'anca per non spremer che poche gocciole appena, dopo essersi rigirato piú e piú volte smaniosamente per cercarne il verso.
Giuro che non a me soltanto, ma a quanti passavano quel giorno per il viale Nomentano sembrava incredibile che quell'omino là potesse mostrarsi cosà soddisfatto di portarsi a spasso quella moglie in quello stato; e piú incredibile che quella moglie si lasciasse portare, con un'ostinazione che tanto piú appariva crudele contro se stessa, quanto piú lei sembrava rassegnata allo sforzo insopportabile che doveva costarle. Barellava, ansimava e aveva gli occhi come induriti nello spasimo, non già di quello sforzo disumano, ma dalla paura che non sarebbe riuscita a portare fino all'ultimo quel suo ingombro osceno nel ventre che le cascava. È vero che di tanto in tanto abbassava su quegli occhi le palpebre livide. Ma non tanto per vergogna le abbassava, quanto per il dispetto di vedersi obbligata a sentirla, quella vergogna, dagli occhi di chi la guardava e la vedeva in quello stato, alla sua età , vecchia ciabatta ancora in uso per una cosa che pareva tanto. Infatti, tenendo per il braccio il marito, avrebbe potuto con qualche strizzatina sotto sotto richiamarlo dalla soddisfazione a cui spesso e con troppa evidenza s'abbandonava, d'esser lui, pur cosà piccolino e calvo e cinquantenne, l'autore di tutto quel grosso guajo lÃ. Non lo richiamava, perché era anzi contenta che avesse il coraggio di mostrarla lui, quella soddisfazione, mentre a lei toccava di mostrarne vergogna. Mi pare di vederla ancora, quando, a qualche raffica piú violenta che la investiva da dietro, si fermava su le tozze gambe larghe, a cui s'attaccava la veste che gliele disegnava sconciamente, mentre davanti le faceva pallone. Allora ella non sapeva a qual riparo correr prima col braccio libero; se abbassare cioè quel pallone della veste, che rischiava di scoprirla tutta davanti, o se tener per la falda il vecchio cappello di velluto viola, alle cui malinconiche piume nere nasceva col vento una disperata velleità di volo.
Ma veniamo al fatto.
Vi prego (se avete un po' di tempo) d'andar a visitare quel vecchio casone in Via Alessandria, dove abitavano i coniugi Porrella e anche, in due stanzette del piano di sotto, Nicola Petix.
È uno di quei tanti casoni, tutti brutti a un modo, come bollati col marchio della comune volgarità del tempo in cui furon levati in gran furia, nella previsione che poi si riconobbe errata d'un precipitoso e strabocchevole affluir di regnicoli a Roma subito dopo la proclamazione di essa a terza capitale del regno.
Tante private fortune, non solo di nuovi arricchiti, ma anche d'illustri casati, e tutti i sussidii prestati dalle banche di credito a quei costruttori, che parvero per piú anni in preda a una frenesia quasi fanatica, andarono allora travolti in un enorme fallimento, che ancor si ricorda.
E si videro, dov'erano antichi parchi patrizii, magnifiche ville e, di là dal fiume, orti e prati, sorger case e case e case, interi isolati, per vie eccentriche appena tracciate; e tante all'improvviso restare - ruderi nuovi - alzate fino ai quarti piani, a infracidar senza tetto, con tutti i vani delle finestre sguarniti, e fissato ancora in alto, ai buchi dei muri grezzi, qualche resto dell'impalcatura abbandonata, annerito e imporrito dalle piogge; e altri isolati, già compiuti, rimaner deserti lungo intere vie di quartieri nuovi, per cui non passava mai nessuno; e l'erba nel silenzio dei mesi rispuntare ai margini dei marciapiedi, rasente ai muri e poi, esile, tenerissima, abbrividente a ogni soffio d'aria, riprendersi tutto il battuto delle strade.
Parecchie di queste case poi, costruite con tutti i comodi per accogliere agiati inquilini, furono aperte, tanto per trarne qualche profitto, all'invasione della gente del popolo. La quale, come può bene immaginarsi, ne fece in poco tempo tale scempio, che quando alla fine, con l'andar degli anni, cominciò a Roma veramente la penuria degli alloggi, troppo presto temuta prima, troppo tardi rimediata poi per la paura che teneva tutti di far nuove costruzioni a causa di quella solenne scottatura, i nuovi proprietarii, che le avevano acquistate a poco prezzo dalle banche sussidiatrici degli antichi costruttori falliti, facendosi ora il conto di quanto avrebbero dovuto spendere a riattarle e rimetterle in uno stato di decenza per darle in affitto a inquilini disposti a pagare una piú alta pigione, stimarono piú conveniente non farne nulla e contentarsi di lasciar le scale con gli scalini smozzicati, i muri oscenamente imbrattati, le finestre dalle persiane cadenti e i vetri rotti imbandierate di cenci sporchi e rattoppati, stesi sui cordini ad asciugare.
Se non che, adesso, in qualcuna di queste grandi e miserabili case, pur tra cotali inquilini rimasti a compir l'opera di distruzione sulle pareti e sugli usci e sui pavimenti, qualche famiglia decaduta o di ceto medio, d'impiegati o di professori, ha cominciato a cercar ricovero, o per non averlo trovato altrove o per bisogno o amor di risparmio, vincendo il ribrezzo di tutto quel lerciume e piú della mescolanza con quello che sÃ, Dio mio, prossimo è, non si nega, ma che pur certamente, poco poco che si ami la pulizia e la buona creanza, dispiace aver troppo vicino; e non si può dire del resto che il dispiacere non sia contraccambiato; tanto vero che questi nuovi venuti sono stati in principio guardati in cagnesco, e poi, a poco a poco, se han voluto esser visti men male, han dovuto acconciarsi a certe confidenze piuttosto prese che accordate.
Ora in quel casone là di Via Alessandria, quando avvenne il delitto, i coniugi Porrella abitavano da circa quindici anni; Nicola Petix, da una diecina. Ma mentre quelli da un pezzo erano entrati nelle grazie di tutti i piú antichi casigliani, Petix s'era attirato al contrario sempre piú l'antipatia generale, per il disprezzo con cui guardava, a cominciar dal portinajo ciabattino, tutti; senza mai voler degnare non che d'una parola, ma neppur d'un lieve cenno di saluto, nessuno.
Ho detto, veniamo al fatto. Ma un fatto è come un sacco che, vuoto, non si regge.
Se n'accorgerà bene il signor giudice istruttore, se - come pare - vorrà provarsi a farlo reggere cosÃ, senza prima farci entrar dentro tutte quelle ragioni che certamente lo han determinato, e che lui forse non immagina neppure.
Petix ebbe per padre un ingegnere spatriato da gran tempo e morto in America, il quale tutta la fortuna raccolta in tanti anni laggiú con l'esercizio della professione lasciò in eredità a un altro figliuolo, maggiore di due anni di Petix e ingegnere anche lui, con l'obbligo di passare mensilmente al fratello minore, vita natural durante, un assegnino di poche centinaja di lire, quasi a titolo d'elemosina e non perché gli spettassero di diritto, essendosi già "mangiata", com'era detto nel testamento, "tutta la legittima a lui spettante in un ozio vergognoso".
Quest'ozio di Petix sarà bene intanto che non venga considerato solamente dal lato del padre, ma un po' anche da quello di lui, perché Petix veramente frequentò per anni e anni le aule universitarie, passando da un ordine di studii all'altro, dalla medicina alla legge, dalla legge alle matematiche, da queste alle lettere e alla filosofia: non dando mai, è vero, nessun esame, perché non si sognò mai di fare il medico o l'avvocato, il matematico o il letterato o il filosofo: Petix non ha voluto fare in verità mai nulla; ma ciò non vuol dire che se ne sia stato in ozio, e che quest'ozio sia stato vergognoso. Ha meditato sempre, studiando a suo modo, sui casi della vita e sui costumi degli uomini.
Frutto di queste continue meditazioni, un tedio infinito, un tedio insopportabile tanto della vita quanto degli uomini.
Fare per fare una cosa? Bisognerebbe star dentro alla cosa da fare, come un cieco, senza vederla da fuori; o se no, assegnarle uno scopo. Che scopo? Soltanto quello di farla? Ma sÃ, Dio mio: come si fa. Oggi questa e domani un'altra. O anche la stessa cosa ogni giorno. Secondo le inclinazioni o le capacità , secondo le intenzioni, secondo i sentimenti o gl'istinti. Come si fa.
Il guajo viene, quando di quelle inclinazioni e capacità e intenzioni, di quei sentimenti e istinti, seguiti da dentro perché si hanno e si sentono, si vuol vedere da fuori lo scopo, che appunto perché cercato cosà da fuori non si trova piú, come non si trova piú nulla.
Nicola Petix arrivò presto a questo nulla, che dovrebbe essere la quintessenza d'ogni filosofia.
La vista quotidiana dei cento e piú inquilini di quel casone lercio e tetro, gente che viveva per vivere, senza saper di vivere se non per quel poco che ogni giorno pareva condannata a fare: sempre le stesse cose; cominciò presto a dargli un'uggia, un'insofferenza smaniosa; che si esasperava sempre piú di giorno in giorno.
Sopra tutto intollerabili gli erano la vista e il fracasso dei tanti ragazzini che brulicavano nel cortile e per le scale. Non poteva affacciarsi alla finestra su quel cortile, che non ne vedesse quattro o cinque in fila chinati a far là i loro bisogni mentre addentavano qualche mela fradicia o un tozzo di pane; o sull'acciottolato sconnesso, ove stagnavano pozze di acqua putrida (seppure era acqua), tre maschietti buttati carponi a spiare donde e come faceva pipà una bambinuccia di tre anni che non se ne curava, grave, ignara e con un occhio fasciato. E gli sputi che si tiravano, i calci, gli sgraffii che si davano, le strappate di capelli, e gli strilli che ne seguivano, a cui partecipavano le mamme da tutte le finestre dei cinque piani; mentre, ecco, la signorina maestrina dalla faccetta sciupata e dai capelli cascanti attraversa il cortile con un grosso mazzo di fiori, dono del fidanzato che le sorride accanto.
Petix aveva la tentazione di correre al cassetto del comodino per tirare una rivoltellata a quella maestrina, tale e tant...
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