[Pagina precedente]...he si è fatto il più, facciasi ancora il meno. E quanto all'altra censura di trasgression dalle leggi logicali, mentre nella division degli effetti del telescopio il signor Mario ne pose uno che non vi è, e ne trapassò uno che vi si doveva porre, quando disse "Il telescopio rende visibili le stelle o coll'ingrandir la loro specie o coll'illuminarle", in vece di dire "coll'ingrandirle o coll'unir le specie e i raggi", come vorrebbe il Sarsi che si dovesse dire; io rispondo che il signor Mario non ebbe mai intenzion di far divisione di quello ch'è una cosa sola, quale egli, ed io ancora, stimiamo esser l'operazione del telescopio nel rappresentarci gli oggetti: e quando ei disse "Se il telescopio non ci rende visibili le stelle coll'ingrandirle, bisogna che con qualche inaudita maniera le illumini", non introdusse l'illuminazione come effetto creduto, ma come manifesto impossibile lo contrappose all'altro, acciò la di lui verità restasse più certa; e questo è un modo di parlare usitatissimo, come quando si dicesse "Se gli inimici non à nno scalata la rocca, bisogna che vi sian piovuti dal cielo". Se il Sarsi adesso crede di poter con lode impugnare questi modi di parlare, se gli apre un'altra porta, oltre a quella di sopra dell'infinito, da trionfare in duello di logica sopra tutti gli scrittori del mondo; ma avvertisca, nel voler mostrarsi gran logico, di non apparer maggior sofista. Mi par di veder V. S. Illustrissima sogghignare; ma che vuol ella? Il Sarsi era entrato in umore di scrivere in contradizzione alla scrittura del signor Mario: gli è stato forza attaccarsi, come noi sogliamo dire, alle funi del cielo. Io per me non solamente lo scuso, ma lo lodo, e parmi ch'egli abbia fatto l'impossibile. Ma tornando alla materia, già è manifesto che il signor Mario non ha posto l'illuminare com'effetto creduto del telescopio. Ma che più? l'istesso Sarsi confessa ch'ei l'ha messo come impossibile. Non è adunque membro della divisione, anzi, come ho detto, non ci è né meno divisione. Circa poi all'unione delle specie e de' raggi, ricordata dal Sarsi come membro trapassato dal signor Mario nella divisione, sarebbe bene che il Sarsi specificasse come questa è una seconda operazion diversa dall'altra, perché noi sin qui l'abbiamo intesa per una stessa cosa; e quando saremo assicurati ch'elle sieno due differenti e diverse operazioni, allora intenderemo d'avere errato; ma l'error non sarà di logica nel mal dividere, ma di prospettiva nel non aver ben penetrati tutti gli effetti dello strumento.
Quanto alla chiusa, dove il Sarsi dice di non voler per adesso stare a registrare altri errori che questi pochi incontrati così casualmente in un luogo solo, lasciando da banda gli altri, io, prima, ringrazio il Sarsi del pietoso affetto verso di noi; poi mi rallegro col signor Mario, il quale può star sicuro di non aver commesso in tutto il trattato un minimo mancamento in logica; perché, se bene par che il Sarsi accenni che ve ne sieno moltissimi altri, tuttavia crederò almeno che questi, notati e manifestati da lui, sieno stati eletti per li maggiori; il momento de i quali lascio ora che sia da lei giudicato, ed in conseguenza la qualità degli altri.
Vengo finalmente a considerar l'ultima parte, nella quale il Sarsi, per farmi un segnalato favore, vuol nobilitare il telescopio con una ammirabil condizione e facoltà d'illuminar gli oggetti che per esso rimiriamo, non meno ch'ei ce gl'ingrandisca. Ma prima ch'io passi più avanti, voglio rendergli grazie del suo cortese affetto, perché dubito che l'effetto sia per obligarmi assai poco dopo che avremo considerata la forza della dimostrazione portata per prova del suo intento: della quale, perché mi par che l'autore nello spiegarla si vada, non so perché, ravvolgendo e più volte replicando le medesime proposizioni, cercherò di trarne la sostanza, la qual mi par che sia questa.
Il telescopio rappresenta gli oggetti maggiori, perché gli porta sotto maggiore angolo che quando son veduti senza lo strumento. Il medesimo, ristringendo quasi a un punto le specie de' corpi luminosi ed i raggi sparsi, rende il cono visivo, o vogliamo dire la piramide luminosa, per la quale si veggono gli oggetti, di gran lunga più lucida; e però gli oggetti splendidi di pari ci si rappresentano ingranditi e di maggior luce illustrati. Che poi la piramide ottica si renda più lucida per lo ristringimento de i raggi, lo prova con ragione e con esperienza. Imperò che la ragione ci insegna che il lume raccolto in minore spazio lo debba illuminar più; e l'esperienza ci mostra che posta una lente cristallina al Sole, nel punto del concorso de' raggi non solo s'abbrucia il legno, ma si liquefà il piombo e si accieca la vista: perloché di nuovo conclude, che con altrettanta verità si può dire che il telescopio illumina le stelle, con quanta si dice ch'ei le accresce.
In ricompensa della cortesia e del buono animo che 'l Sarsi ha avuto d'essaltare e maggiormente nobilitare questo ammirabile strumento, io non gli posso dar altro, per ora, che un totale assenso a tutte le proposizioni ed esperienze sopradette. Ma mi duol bene oltre modo che l'essere esse vere gli è di maggior pregiudicio che se fusser false; poi che la principal conclusione che per esse doveva essere dimostrata è falsissima, né credo che ci sia verso di poter sostenere che gravemente non pecchi in logica quegli che da proposizioni vere deduce una conclusion falsa. È vero che il telescopio ingrandisce gli oggetti col portargli sotto maggior angolo; verissima è la prova che n'arrecano i prospettivi; non è men vero che i raggi della piramide luminosa maggiormente uniti la rendono più lucida, ed in conseguenza gli oggetti per essa veduti; vera è la ragione che n'assegna il Sarsi, cioè perché il medesimo lume, ridotto in minore spazio, l'illumina più; e finalmente verissima è l'esperienza della lente, che coll'unione de' raggi solari abbrucia ed accieca: ma è poi falsissimo che gli oggetti luminosi ci si rappresentino col telescopio più lucidi che senza, anzi è vero che li veggiamo assai più oscuri; e se il Sarsi nel riguardar, verbigrazia, la Luna col telescopio, avesse una volta aperto l'altr'occhio, e con esso libero riguardato pur l'istessa Luna, avrebbe potuto fare il paragone senza niuna fatica tra lo splendor della gran Luna vista con lo strumento, e quello della piccola, vista coll'occhio libero; il che osservato, avrebbe sicuramente scritto, la luce della veduta liberamente mostrarsi di gran lunga maggiore che quella dell'altra. Chiarissima è adunque la falsità della conclusione: resta ora che mostriamo la fallacia nel dedurla da premesse vere. E qui mi pare che al Sarsi sia accaduto quello che accaderebbe ad un mercante che, nel riveder sopra i suoi libri lo stato suo, leggesse solamente le facce dell'avere, e che così si persuadesse di star bene ed esser ricco; la qual conclusione sarebbe vera quando all'incontro non vi fussero le facce del dare. È vero, signor Sarsi, che la lente, cioè il vetro convesso, unisce i raggi, e perciò moltiplica il lume e favorisce la vostra conclusione; ma dove lasciate voi il vetro concavo, che nel telescopio è la contrafaccia della lente, e la più importante, perch'è quello appresso del quale si tiene l'occhio, e per lo quale passano gli ultimi raggi, ed è finalmente l'ultimo bilancio e saldo delle partite? Se la lente convessa unisce i raggi, non sapete voi che il vetro concavo gli dilata e forma il cono inverso? Se voi aveste provato a ricevere i raggi passati per ambedue i vetri del telescopio, come avete osservato quelli che si rifrangono in una lente sola, avreste veduto che dove questi s'uniscono in un punto, quelli si vanno più e più dilatando in infinito, o, per dir meglio, per ispazio grandissimo: la quale esperienza molto chiaramente si vede nel ricever sopra una carta l'immagine del Sole, come quando si disegnano le sue macchie; "sopra la qual carta, secondo ch'ella più e più si discosta dall'estremità del telescopio, maggiore e maggior cerchio vi viene stampato dal cono de' raggi, e quanto si fa tal cerchio maggiore, tanto è men luminoso in comparazione del resto del foglio tocco da' raggi liberi del Sole. E quando questa ed ogn'altra esperienza vi fusse stata occulta, mi resta pur tuttavia duro a credere che voi non abbiate alcuna volta sentito dir questo, ch'è verissimo, cioè che i vetri concavi, quanto più mostrano l'oggetto grande, tanto più lo mostrano oscuro. Come dunque mandate voi di pari nel telescopio l'illuminar coll'ingrandire? Signor Sarsi, rimanetevi dal voler cercar d'essaltar questo strumento con queste vostre nuove facoltà sì ammirande, se non volete porlo in ultimo dispregio appresso quelli che sin qui l'à nno avuto in poca stima. Ed avvertite che io in questo conto vi ho passata come cosa vera una partita ch'è falsa, cioè che la luce ingagliardita mediante l'union de' raggi, renda l'oggetto veduto più luminoso. Sarebbe vero questo, quando tal luce andasse a trovar l'oggetto; ma ella vien verso l'occhio, il che produce poi contrario effetto: imperò che, oltre all'offender la vista, rende il mezo più luminoso, ed il mezo più luminoso fa apparir (come credo che voi sappiate) gli oggetti più oscuri; ché per questa sola cagione le stelle più risplendenti si mostrano quanto più l'aria della notte divien tenebrosa, e nello schiarirsi l'aria si mostrano più fosche. Queste cose, come vede V. S. Illustrissima, son tanto manifeste, che non mi lasciano credere che al Sarsi possano essere state incognite, ma ch'egli più tosto per mostrar la vivezza del suo ingegno si sia messo a dimostrare un paradosso, che perch'egli così internamente credesse. Ed in questa opinione mi conferma l'ultima sua conclusione, dove, per mostrar (cred'io) ch'egli ha parlato per ischerzo, serra con quelle parole: "Affermo dunque, con tanta verità dirsi che il telescopio illumina le stelle, con quanta si dice che il medesimo le ingrandisce". V. S. Illustrissima sa poi che ed egli ed il suo Maestro à nno sempre detto, e dicono ancora, ch'ei non l'ingrandisce punto; la qual conclusione si sforza il Sarsi di sostenere ancora, come vedremo, nelle cose che seguono qui appresso.
13. Legga dunque V. S. Illustrissima: "Ad tertium argumentum propero, quod iisdem mihi verbis hoc loco referendum arbitror; ut nimirum omnes intelligant, quid illud tandem fuerit, quo se vehementer adeo offensum profitetur Galilæus. Sic enim se habet: "Illud, tertio loco, hoc idem persuadet: quod cometa, tubo optico inspectus, vix ullum passus est incrementum; longa tamen experientia compertum est atque opticis rationibus comprobatum, quæcunque hoc instrumento conspiciuntur, maiora videri quam nudis oculis inspecta compareant, ea tamen lege, ut minus ac minus sentiant ex illo incrementum, quo magis ab oculo remota fuerint; ex quo fit ut stellæ fixæ, a nobis omnium remotissimæ, nullam sensibilem ab illo recipiant magnitudinem. Cum ergo parum admodum augeri visus sit cometa, multo a nobis remotior quam Luna dicendus erit, cum hæc tubo inspecta longe maior appareat. Scio hoc argumentum parvi apud aliquos fuisse momenti: sed hi fortasse parum opticæ principia perpendunt, ex quibus necesse est huic eidem maximam inesse vim ad hoc quod agimus persuadendum." Hic ego præmittere, primum, habeo, quorsum huiusmodi argumentum Disputationi nostræ intextum fuerit: non enim velim maiori id apud alios in pretio haberi, quam apud nos; neque ii sumus qui emptoribus fucum faciamus, sed tanti merces nostras vendimus quanti valent.
Cum igitur ad Magistrum meum ex multis Europæ partibus illustrium astronomorum observationes perferrentur, nemo illorum tunc fuit, qui illud etiam postremo loco non adderet, cometam a se longiori specillo observatum vix ullum incrementum suscepisse, ex qua observatione deducerent, illum saltem supra Lunam statuendum; cumque hoc etiam, ut cætera, variis hominum inter frequentium cœtus sermonibus agitaretur, non defuere qui palam ac libere assererent, nullam huic argumento fidem habendam, tubum hunc la...
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