[Pagina precedente]...ius sapientiusque duxit, par est in novo hoc illius invento diligentius expendendo commorari.
Duo sunt quæ ille excogitavit: alterum substantiam, alterum vero motum cometæ spectat. Quod ad prius attinet, ait lumen hoc ex eorum genere esse, quæ, per alterius luminis refractionem ostentata verius quam facta, umbræ potius luminosorum corporum quam luminosa corpora dicenda videntur; qualia sunt irides, coronæ, parelia, aliaque hoc genus multa. Quod vero spectat ad posterius, affirmat, motum cometarum rectum semper fuisse ac Terræ superficiei perpendicularem: quibus in medium prolatis, aliorum facile sententias se labefacturum existimavit. Nos, quantum hisce opinionibus tribuendum sit, paucis in præsentia ac sine ullo verborum fuco (quando satis sibi ornata est, vel nuda, veritas) videamus: et quamquam perdifficile est duo hæc dicta complecti singillatim, cum adeo inter se connexa sint ut alterum ab altero pendere ac mutuam sibi adiumenti vicem rependere videantur, curabimus tamen ne quid iacturæ lectoribus hinc existat.
Quare contra primum Galilæi dictum affirmo, cometam inane lucis figmentum, spectantium oculis illudens, non fuisse: quod nullo alio egere argumento apud eum existimo, qui vel semel cometam ipsum tum nudis oculis tum optico tubo inspexerit. Satis enim vel ex ipso aspectu sese huius natura luminis prodebat, ut ex verissimorum collatione luminum iudicare facile quivis posset, fictumne esset an verum quod cerneret. Sane Tycho, dum Thaddæi Hagecii observationes examinat, hæc ex eiusdem epistola profert: "Corpus cometæ iis diebus magnitudine Iovis ac Veneris stellam adæquasse, et luce nitida ac splendore eximio eoque eleganti et venusto præditum fuisse, et puriorem eius substantiam apparuisse quam ut pure elementaribus materiis quadraret, sed potius cælestibus illis corporibus analogam extitisse." Quibus postea hæc Tycho subdit: "Atque in hoc sane rectissime sensit Thaddæus, et vel inde etiam non obscure concludere potuisset, minime elementarem fuisse hunc cometam.""
Di sopra il Sarsi s'andò figurando arbitrariamente i principii ed i mezi accommodati alle conclusioni ch'egli intendeva di dimostrare; adesso mi par ch'ei si vada figurando conclusioni, per oppugnarle come pensieri del signor Mario e miei, molto diverse, o almeno molto diversamente prese, da quello che nel
Discorso del signor Mario son portate. Imperocché, che la cometa sia senz'altro un simulacro vano ed una semplice apparenza, non è mai risolutamente stato affermato, ma solo messo in dubbio e promosso alla considerazion de' filosofi con quelle ragioni e conghietture che par che possano persuadere che così possa essere. Ecco le parole del signor Mario in questo proposito: "Io non dico risolutamente che la cometa si faccia in tal modo, ma dico bene che, come di questo, così son dubbio degli altri modi assegnati dagli altri autori; i quali se pretenderanno d'indubitatamente stabilir lor parere, saranno in obligo di mostrar questa e tutte l'altre posizioni vane e fallaci." Con simil diversità porta il Sarsi che noi con risolutezza abbiamo affermato, il moto della cometa dover necessariamente esser retto e perpendicolare alla superficie terrestre: cosa che non si è proposta in cotal forma, ma solo s'è messo in considerazione come questo più semplicemente, e più conforme all'apparenze, soddisfaceva alle mutazioni osservate in essa cometa; e tal pensiero vien tanto temperatamente proposto dal signor Mario, che nell'ultimo dice queste parole: "Però a noi conviene contentarci di quel poco che possiamo conghietturar così tra l'ombre." Ma il Sarsi ha voluto rappresentar queste opinioni tanto più fermamente esser da me state credute, quanto egli si è immaginato di poterle con più efficaci mezi annichilare; il che se gli sarà venuto fatto, io gliene terrò obligo, perché per l'avvenire avrò a pensare a una opinion di manco, qualunque volta mi venga in pensiero di filosofar sopra tal materia. In tanto, perché mi pare che pur ancora resti qualche poco di vivo nelle conghietture del signor Mario, anderò facendo alcuna considerazione intorno al momento delle opposizioni del Sarsi.
Il quale, venendo con gran risolutezza ad oppugnar la prima conclusione, dice che a chi avesse pur una sola volta rimirata la cometa, di nissun altro argomento gli sarebbe stato di mestieri per conoscer la natura di cotal lume; il quale, paragonato cogli altri lumi verissimi, pur troppo apertamente mostrava sé esser vero, e non finto.Sì che, come vede V. S. Illustrissima, il Sarsi confida tanto nel senso della vista, che stima impossibil cosa restar ingannato, tuttavolta che si possa far parallelo tra un oggetto finto ed un reale. Io confesso di non aver la facoltà distintiva tanto perfetta, ma d'esser come quella scimia che crede fermamente veder nello specchio un'altra bertuccia, né prima conosce il suo errore, che quattro o sei volte non sia corsa dietro allo specchio per prenderla: tanto se le rappresenta quel simulacro vivo e vero. E supposto che quegli che il Sarsi vede nello specchio non sieno uomini veri e reali, ma vani simulacri, come quelli che ci veggiamo noi altri, grande curiosità avrei di sapere, quali sieno quelle visuali differenze per le quali tanto speditamente distingue il vero dal finto. Io, quanto a me, mi sono mille volte ritrovato in qualche stanza a finestre serrate, e per qualche piccol foro veduto un poco di reflession di Sole fatta da un altro muro opposto, e giudicatola, quanto alla vista, una stella non men lucida della Canicola e di Venere. E caminando in campagna contro al Sole, in quante migliaia di pagliuzze, di sassetti, un poco lisci o bagnati, si vedrà la reflession del Sole in aspetto di stelle splendentissime? Sputi solamente in terra il Sarsi, ché senz'altro, dal luogo dove va la reflession del raggio solare, vedrà l'aspetto d'una stella naturalissima. In oltre, qual corpo posto in gran lontananza, venendo tocco dal Sole, non apparirà una stella, massime se sarà tanto alto che si possa veder di notte, come si veggon l'altre stelle? E chi distinguerebbe la Luna, veduta di giorno, da una nuvola tocca dal Sole, se non fusse la diversità della figura e dell'apparente grandezza? Niuno sicuramente. E finalmente, se la semplice apparenza deve determinar dell'essenza, bisogna che il Sarsi conceda che i Soli, le Lune e le stelle, vedute nell'acqua ferma e negli specchi, sien veri Soli, vere Lune e vere stelle. Cangi pure il Sarsi, quanto a questa parte, opinione, né creda col citare autorità di Ticone, di Taddeo Agecio o d'altri molti, di megliorar la condizion sua, se non in quanto l'avere avuto uomini tali per compagni rende più scusabile il suo errore.
20. Segua V. S. Illustrissima di leggere. "Quia tamen toto eo tempore quo noster hic fulsit, Galilæus, ut audio, lecto affixus ex morbo decubuit, neque ei unquam fortasse per valetudinem licuit corpus illud pellucidum oculis intueri, aliis propterea cum illo agendum esse duximus argumentis. Ait igitur ipse, vaporem sæpe fumidum ex aliqua Terræ parte in altum supra Lunam etiam ac Solem attolli, et simul atque extra umbrosum Terræ conum progressus Solis lumen aspexerit, ex illius veluti luce concipere et cometam parere; motum autem sive ascensum vaporis huiusmodi, non vagum incertumque, sed rectum nullamque deflectentem in partem, existere. Sic ille: at nos harum positionum pondus ad nostram trutinam referamus.
Principio, materiam hanc fumidam et vaporosam per eos forte dies ascendisse constat e Terra, cum, vehementissimis boreæ flatibus toto late cælo dominantibus, dispergi facile ac disiici potuisset; ut mirum profecto sit, impune adeo tenuissimis levissimisque corpusculis licuisse inter sævientis aquilonis iras constantissimo gressu, qua cœperant via, in altum ferri, cum ne gravissima quidem pondera tunc aëri semel commissa eiusdem vim atque impetum superare possent. Ego vero adeo pugnare inter se existimo duo hæc, vaporem levissimum ascendere, et recta ascendere, ut inter instabiles saltem aëris huius vicissitudines fieri id posse vix credam. Illud etiam adde, auctore Galilæo, ne a sublimioribus quidem illis planetarum regionibus abesse concretiones ac rarefactiones huiusmodi corporum fumidorum, ac proinde nec motus illos vagos incertosque, quibus eadem ferri necesse est."
Che vapori fumidi da qualche parte della Terra sormontino sopra la Luna, ed anco sopra il Sole, e che usciti fuori del cono dell'ombra terrestre sieno dal raggio solare ingravidati e quindi partoriscano la cometa, non è mai stato scritto dal signor Mario né detto da me, ben che il Sarsi me l'attribuisca. Quello che ha scritto il signor Mario è, che non ha per impossibile che tal volta possano elevarsi dalla Terra essalazioni ed altre cose tali, ma tanto più sottili del consueto, che ascendano anco sopra la Luna, e possano esser materia per formar la cometa; e che talora si facciano sublimazioni fuor del consueto della materia de' crepuscoli, l'essemplifica per quella boreale aurora; ma non dice già che quella sia in numero la medesima materia delle comete, la qual è necessario che sia assai più rara e sottile che i vapori crepuscolini e che quella materia della detta aurora boreale, atteso che la cometa risplende meno assai dell'aurora; sì che se la cometa si distendesse, verbigrazia, lungo l'oriente nel candor dell'alba, mentre il Sole non fusse lontano dall'orizonte più di sei o vero otto gradi, ella senza dubbio non si discernerebbe, per esser manco lucida del campo suo ambiente. E coll'istessa, non risolutezza, ma probabilità si è attribuito il moto retto in su alla medesima materia. E questo sia detto non per ritirarci, per paura che ci facciano l'oppugnazioni del Sarsi, ma solo perché si vegga che noi non ci allontaniamo dal nostro costume, ch'è di non affermar per certe se non le cose che noi sappiamo indubitatamente, ché così c'insegna la nostra filosofia e le nostre matematiche. Or, posto che noi abbiamo detto come c'impone il Sarsi, sentiamo ed essaminiamo le sue opposizioni.
È la sua prima instanza fondata sopra l'impossibilità del salir vapori per linea retta verso il cielo mentre impetuoso aquilone di traverso spinge l'aria e ciò che per entro lei si ritrova; e tale si sentì egli per molti giorni appresso all'apparir della cometa. L'instanza veramente è ingegnosa; ma le vien tolto assai di forza da alcuni avvisi sicuri, per li quali s'ebbe che in quei giorni né in Persia né in China fu perturbazione alcuna di venti; ed io crederò che d'una di quelle regioni si elevasse la materia della cometa, se il Sarsi non mi prova ch'ella si movesse non di là , ma di Roma, dov'egli sentì l'impeto boreale. Ma quando ben anco il vapore si fusse partito d'Italia, chi sa ch'ei non si mettesse in viaggio avanti i giorni ventosi, de i quali ne fusser passati poi molti avanti il suo arrivo all'orbe cometario, lontano dalla Terra, per relazion del Maestro del Sarsi, 470.000 miglia in circa; ché pure a far tanto viaggio ci vuol del tempo, e non poco, perché l'ascender de' vapori, per quel che si vede qui vicini a Terra, non arriva alla velocità del volo degli uccelli a gran pezzo, sì che non basterebbe il tempo di quattro anni a far tanto viaggio. Ma dato anco che tali vapori si movessero in tempo ventoso, egli, che presta intera fede a gl'istorici ed a' poeti ancora, non dovrà negare che la commozion de' venti non ascenda più di due o tre miglia in alto, già che vi son monti la cima de' quali trascende la region ventosa; sì che il più che possa concludere sarà che dentro a tale spazio vadano i vapori non perpendicolarmente, ma trasversalmente fluttuando: ma fuor di tale spazio cessa l'impedimento che dal camin retto gli disvia.
21. Séguiti ora V. S. Illustrissima. "Sed demus, licuisse per ventos halitibus hisce cœptum semel cursum tenere, eoque contendere ubi Solis radios et directos excipere ac repercussos remittere ad nos possent. Cur ibi demum, cum se totis totum plane excipiunt Phœbum, parte sui tantum minima eumdem nobis ostendunt? Sane, vel ipso Galilæo teste, cum per ...
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