[Pagina precedente]...si al Sarsi che 'l concavo lunare rapisca quanto si è detto dell'essalazion contenuta: che sarà poi? e che ne seguirà in disfavor della principal causa che tratta il signor Mario? sarà forse vero che per questo moto si abbia ad accender la materia della cometa? o pur sarà vero ch'ella non si accenderà né movendosi né non si movendo? Così cred'io: perché se il tutto sta fermo, non s'ecciterà l'incendio, per lo quale Aristotile ricerca il moto; ma se il tutto si muove, non vi sarà l'attrizione e lo stropicciamento, senza il quale non si desta il calore, non che l'incendio. Or ecco, e dal Sarsi e da me, fatto un gran dispendio di parole in cercar se la solida concavità dell'orbe lunare, che non è al mondo, movendosi in giro, la qual già mai non s'è mossa, rapisce seco l'elemento del fuoco, che non sappiamo se vi sia, e per esso l'essalazioni, le quali perciò s'accendano e dien fuoco alla materia della cometa, che non sappiamo se sia in quel luogo e siamo certi che non è robba ch'abbruci. E qui mi fa il Sarsi sovvenire del detto di quell'argutissimo Poeta:
Per la spada d'Orlando, che non à nno
e forse non son anco per avere,
queste mazzate da ciechi si danno.
Ma è tempo che vegniamo alla seconda proposizione; anzi pure, prima che vi passiamo, già che il Sarsi replica nel fine di questa ch'io abbia constantemente negato che l'acqua si muova al moto del vaso e che l'aria e gli altri corpi tenui aderiscano a' corpi lisci, replichiamo noi ancora ch'ei non dice la verità , perché mai né il signor Mario ned io abbiamo detta o scritta alcuna di queste cose, ma bene il Sarsi, non trovando dove attaccarsi, si va fabbricando gli uncini da per se stesso.
41. Passi ora V. S. Illustrissima alla seconda proposizione. "Ait Aristoteles, motum causam esse caloris; quam propositionem omnes ita explicant, non quasi motui tribuendus sit calor, ut effectus proprius et per se (hic enim est acquisitio loci), sed quia, cum per localem motum corpora atterantur, ex attritione autem calor excitetur, mediate saltem motus caloris causa dicitur: neque est quod hac in re Aristotelem reprehendat Galilæs, cum nihil ipse adhuc afferat ab eiusdem dictis alienum. Dum vero ait præterea, non quamcumque attritionem satis esse ad calorem producendum, sed illud etiam potissimum requiri, ut partes attritorum corporum aliquæ per attritionem deperdantur; hic plane totus suus est, nec quicquam ab alio mutuatur. Cur autem hæc partium consumptio ad calorem producendum requiritur? An quod ad eumdem calorem concipiendum rarescere corpora necesse sit, in omni vero rarefactione comminui eadem corpora videantur ac minutissimæ quæque particulæ evolent? At rarefieri corpora possunt, nulla facta partium separatione ac proinde neque consumptione. An ideo hæc comminutio requiritur, ut prius particulæ illæ, utpote calori concipiendo magis aptæ, calefiant, hæ vero postea reliquo corpori calorem tribuant? Nequaquam: licet enim particulæ illæ, quo minutiores fuerint, magis calori concipiendo aptæ sint, ex quo fit ut sæpe ex attritione ferri excussus pulvisculus in ignem abeat, illæ tamen, cum statim evolent aut decidant, non poterunt reliquo corpori, cui non adhærent, calorem tribuere."
Vuole il Sarsi nel primo ingresso di questa disputa concordare il signor Mario ed Aristotile, e mostrar che ambedue à n pronunziato l'istessa conclusione, mentre l'uno dice ch'il moto è causa di calore, e l'altro, che non il moto, ma lo stropicciamento gagliardo di due corpi duri; e perché la proposizione del signor Mario è vera, né ha bisogno di chiose, il Sarsi interpreta l'altra con dire, che se bene il moto, come moto, non è cagione del caldo, ma l'attrizione, nulladimeno, non si facendo tale attrizione senza moto, possiamo dire che almanco secondariamente il moto sia causa. Ma se tale fu la sua intenzione, perché non disse Aristotile l'attrizione? io non so vedere perché, potendo uno dir bene assolutamente con una semplicissinia e propriissima parola, ei debba servirsi d'una impropria e bisognosa di limitazioni ed in somma d'esser finalmente trasportata in un'altra molto diversa. In oltre, posto che tale fusse il senso d'Aristotile, egli però è differente da quello del signor Mario; perché ad Aristotile basta qualunque confricazione di corpi, ben che tenui e sottili, e fino dell'aria stessa; ma il signor Mario ricerca due corpi solidi, e stima che il volere assottigliare e tritar l'aria sia maggior perdimento di tempo che quello di chi vuole (com'è in proverbio) pestar l'acqua nel mortaio. Io non son fuor d'opinione che possa esser che la proposizione sia verissima, presa anco nel semplicissimo senso delle parole; e forse potrebbe esser ch'ella uscisse da qualche buona scuola antica, ma che Aristotile, non avendo ben penetrata la mente di quegli antichi che la profferirono, ne traesse poi un sentimento falso: e forse non è questa sola proposizione vera in se stessa, ma appresa in sentimento non vero nella filosofia peripatetica. Ma di questo ne toccherò qualche cosa più a basso.
Ora seguitiamo il Sarsi, il quale vuole, contro al detto del signor Mario, che senza verun consumamento de' corpi che si stropicciano sin che si riscaldino, si possa eccitare il calore; il che va provando prima con discorso, poi con esperienze. Ma quanto al discorso, io posso sbrigarmi in una parola sola da tutte le sue instanze; poi che, facendo egli alcune interrogazioni al signor Mario, egli stesso risponde per quello, e poi confuta le risposte; tal che se io dirò che il signor Mario non risponderà in quella guisa, bisogna che il Sarsi si quieti.
E veramente, quanto alla prima risposta, io non credo che il signor Mario dicesse che, per riscaldarsi, bisogni prima che i corpi si rarefacciano, e che rarefacendosi si sminuzzolino, e che le parti più sottili volino via, come scrive il Sarsi: dalla qual risposta mi par di comprendere ch'ei discordi dalla mente del signor Mario, e che, convenendo in questa azzione considerare il corpo che ha da produrre il calore e quello che l'ha da ricevere, il Sarsi stimi che il signor Mario ricerchi la diminuzione e consumamento di parti nel corpo che ha da ricevere il calore; ma io credo ch'ei voglia che quello che l'ha da produrre sia quello che si diminuisce, sì che in somma non il ricevere, ma il conferir calore, sia quel che fa la diminuzione nel conferente. Come poi si possano rarefare i corpi senza alcuna separazion di parti, e come cammini questo negozio della rarefazzione e condensazione, del quale mi par che con molta confidenza parli il Sarsi, l'averei ben volentieri veduto più distintamente dichiarato, essendo, appresso di me, una delle più recondite e difficili questioni della natura.
È manifesto ancora che il signor Mario non averebbe data la seconda risposta, cioè che tal consumamento di parti sia necessario acciò che prima si riscaldino queste parti più minute, come più atte per la lor sottigliezza a riscaldarsi, e da esse poi venga riscaldato il resto del corpo; perché così la diminuzione toccherebbe pure al corpo che ha da esser riscaldato, ed il signor Mario la dà a quello che ha da riscaldare. Devesi però avvertire che bene spesso accade, essere uno istesso corpo quello che produce il calore e quello che lo riceve: e così martellandosi sopra un chiodo, le parti sue, nel soffregarsi violentemente, eccitano il calore, e l'istesso chiodo è quello che si riscalda. Ma quello che ho voluto sin qui dire è, che il consumamento di parti depende dall'atto del produrre il calore, e non da quello del riceverlo, come per avventura più distintamente mi dichiarerò più di sotto. In tanto sentiamo l'esperienze onde il Sarsi pensa d'aver palesato, potersi con l'attrizione produr calore senza consumamento alcuno.
42. "Sed quando ab experientia exempla petere libet, quid si, nulla partium deperditione, ex motu corpus aliquod calefiat? Ego certe cum æris frustulum, onini prius extersa rubigine ac situ, ne quis forte pulvisculus adhæreret, ad argentarii libram perexiguam exactissimamque ponderibus minutissimis expendissem (cum etiam quingentesimas duodecimas unius unciæ partes haberem), ac pondus diligentissime observassem, validissimis mallei ictibus æs idem in laminam extendi: id vero inter ictus et mallei verbera bis terque adeo incaluit, ut manibus attrectari non posset. Cum igitur iam toties incaluisset, experiri libuit eadem libra iisdemque ponderibus, num aliquod ponderis dispendium iacturamque passum fuisset; et tamen iisdem plane momentis constare comperi: incaluit igitur per attritionem æs illud, nullo partium suarum detrimento; quod Galilæus negat. Audieram etiam aliquid simile librorum compactoribus evenire, cum plicatas illas chartarum moles malleo diutissime ac validissime tundunt: expertus enim est illorum non nemo, eodem postea illas fuisse pondere quo fuerant prius, incalescere tamen easdem inter ictus maxime, ac pene comburi. Quod si quis forte hoc loco asserat, deperdi quidem partes, sed adeo minutas ut sub libræ, quamvis exiguæ, examen non cadant, quæram ego ex illo, unde norit partes esse deperditas: neque enim video, quonam alio id modo aptius ac diligentius inquiram. Deinde vero, si adeo exigua est hæc partium iactura ut sensu percipi nequeat, cur tantum caloris excitavit? Præterea, dum ferrum lima expolitur, calefit quidem, minus tamen aut certe non plus quam cum malleo validissime tunditur; et tamen maior longe partium deperditio ex limatura quam ex contusione existit."
Che il Sarsi con isquisita bilancia non abbia ritrovato diminuzion di peso in un pezzetto di rame battuto e riscaldato più volte, glielo voglio credere; ma non già che per questo egli non si sia diminuito, essendo che può benissimo accadere, quello esser diminuito tanto poco, che a qualsivoglia bilancia resti cosa impercettibile. E prima, io domando al Sarsi, se pesato un bottone d'argento, e poi doratolo e tornato a pesarlo, ei crede che l'accrescimento fusse notabile e sensibile. Bisogna dir di no, perché noi veggiamo l'oro ridursi a tanta sottigliezza, che anco nell'aria quietissima si trattiene e lentissimamente cala a basso; e con tali foglie può dorarsi alcun metallo. In oltre, questo medesimo bottone verrà adoperato due o tre mesi, avanti che la doratura sia consumata; e pur consumandosi finalmente, chiara cosa è che ogni giorno, anzi ogn'ora, s'andava diminuendo. Di più, pigli una palla d'ambra, muschio ed altre materie odorate: io dico che portandola addosso alcuno quindici giorni, empirà d'odore mille stanze e mille strade, ed in somma ogni luogo dov'egli capiterà , né questo si farà senza diminuzione di quella materia, senza la quale indubitatamente non anderà l'odore; pure, tornandosi in capo a tal tempo a ripesarla, non si troverà sensibil diminuzione. Ecco, dunque, trovate al Sarsi diminuzioni insensibili di peso, fatte per lo consumamento di mesi continui, ch'è altro tempo che un ottavo d'ora, che dovette durare il suo martellare sopra il pezzetto di rame. E tanto è più esquisita una bilancia da saggiatori, ch'una stadera filosofica! Aggiungendo di più, che può molto bene essere che la materia che, attenuata, produce il caldo, sia ancora assai più sottile della sostanza odorifera, attento che questa si racchiude in vetri e metalli, per li quali essa non traspira, ma non già quella del calore, che trapassa per tutti i corpi.
Ma qui muove il Sarsi un'instanza, e dice: "Se il cimento della bilancia non basta a mostrarci un così piccolo consumamento, come potete voi averlo conosciuto?" L'obiezzione è assai ingegnosa, ma non però tanto ch'un poco di logica naturale non avesse avuto a mostrarne la soluzione: ed eccone il progresso. Dei corpi, signor Sarsi, che si stropicciano insieme, alcuni sono che assolutamente e sicuramente non si consumano punto, altri che grandemente e molto sensibilmente si consumano, ed altri che si consumano bene, ma insensibilmente. Di quelli che stropicciandosi non si consumano punto, quali sarebbon due specchi benissimo lisci, il senso ci mostra che non si riscaldano; di quelli ch...
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