[Pagina precedente]...e si consumano notabilmente, come un ferro nel limarsi, siamo sicuri che si riscaldano; adunque di quelli che noi siamo dubbi se nel fregarsi si consumino o no, se troveremo pel senso che si riscaldino, dobbiamo dire e credere che si consumino ancora, e solo si potrà dire che non si consumino quelli che né anco si riscaldano.
A quanto sin qui ho detto, voglio, prima ch'io vada più avanti, aggiungere, per ammaestramento del Sarsi, come il dire: "Questo corpo alla bilancia non è calato di peso, adunque di lui non si è consumata parte alcuna" è discorso assai fallace, potendo esser che se ne sia consumato e che il peso non solo non sia diminuito, ma anco tal volta cresciuto; il che accaderà sempre che quello che si consuma e rimuove, sia men grave in specie del mezo nel quale si pesa: e così, per essempio, può accadere ch'un pezzo di legno, per avere in sé molti nodi e per esser vicino alle radici, messo nell'acqua cali al fondo e, verbigrazia, vi pesi quattr'once, e che limandone via, non del nocchioruto né della radice, ma della parte più rara e che per se stessa è men grave in ispecie dell'acqua, sì che in parte sosteneva tutta la mole, può esser, dico, che il rimanente pesi più che prima nel medesimo mezo; e così parimente può essere che nel limarsi o nel fregarsi insieme due ferri o due sassi o due legni, si separi da loro qualche particella di materia men grave dell'aria la quale, quando sola si rimovesse, lascerebbe quel corpo più grave che prima. E che quanto io dico sia detto con qualche probabilità , e non per una semplice fuga e ritirata, lasciando la fatica all'avversario di riprovarla, faccia V. S. Illustrissima diligente osservazione nel romper vetri o pietre o qualunque altre materie; ché ella in ciascheduno spezzamento ne vederà uscire un fumo manifestissimamente apparente, il quale per aria se ne ascende in alto: argomento necessario dell'essere egli più leggieri di lei. Questo osservai io prima nel vetro, mentre con una chiave o altro ferro l'andavo scantonando e tondando, dove, oltre a i molti pezzetti che saltano via in diverse grandezze, ma tutti cascano in terra, si vede un fumo sottile ascendente sempre; ed il medesimo si vede accadere nel frangere in simil modo qualsivoglia pietra; e di più, oltre a quello che ci manifesta la vista, l'odorato ci dà argomento ed indizio molto chiaro che per avventura si partono, oltre al detto fumo, altre parti più sottili, e perciò invisibili, sulfuree e bituminose, le quali per tale odore che ci arrecano si fanno manifeste.
Or vegga il Sarsi quanto il suo filosofare è superficiale e poco si profonda oltre alla scorza. Né si persuada di poter venir con risposte di limitazioni, di distinzioni, di
per accidens,di
per se,di
mediate,di primario, di secondario o d'altre chiacchiere, ch'io l'assicuro che in vece di sostenere un errore ne commetterà cento più gravi, e produrrà in campo sempre vanità maggiori: maggiori, dico, anco di questa che mi resta da considerare nel fin della presente particola; dov'egli, prima, si meraviglia come possa esser che, sendo quel che si consuma cosa impercettibile alla bilancia, possa nondimeno produr tanto calore; dapoi soggiunge che d'un ferro che si lima, gran parte se ne consuma, e assaissimo maggiore che quando ei si batte col martello, nulladimeno non più si scalda limando che battendolo. Vanissimo è questo discorso, mentre altri vuole col peso misurare la quantità di cosa che non ha peso alcuno, anzi è leggierissima e nell'aria velocemente sormonta; e quando pure quello che si converte in materia calda, mentre si fa una gagliarda confricazione, fusse parte dell'istesso corpo solido, non doverà alcuno maravigliarsi che piccolissima quantità di quello possa rarefarsi ed istendersi in ispazio grandissimo, s'ei considererà in quanta gran mole di materia ardente e calda si risolve un piccol legno, della quale la fiamma visibile è la minor parte, restando di gran lunga maggiore l'insensibile alla vista, ma ben sensibile al tatto. Quanto poi all'altro punto, averebbe qualche apparenza l'instanza, se il signor Mario avesse mai detto che tutto quel ferro che si consuma, limando, doventasse materia calorifica, perché così parrebbe ragionevol cosa che molto più scaldasse il ferro consumato colla lima che il percosso col martello: ma non è la limatura quella che scalda, ma altra sostanza incomparabilmente più sottile.
43. Ma seguitiamo innanzi. "Ego igitur multum conferre arbitror, ad maiorem minoremve calefactionem corporum attritorum, qualitates eorumdem, sint ne videlicet illa calidiora an frigidiora, remque hanc ex multis aliis pendere, de quibus statuere adeo facile non sit. Nam si ferulas duas, corpora levissima ac rarissima, mutua aut alterius ligni confricatione attriveris, ignem brevi concipient: non idem in lignis aliis accidit, durioribus ac densioribus, quamvis eadem diutius ac vehementius atteri consumique contingat. Seneca certe, "Facilius, inquit, attritu calidorum ignis existit"; ex quo fieri ait, ut æstate plurima fiant fulmina, quia plurimum calidi est. Præterea, ferreus pulvis in flammam coniectus exardescit, non vero quicumque alius pulvis e marmore. Quare si in aëre plurimum exhalationum calidarum fuerit, eumdemque ex vehementi aliquo motu atteri contigerit, non video cur calefieri atque etiam incendi non possit: tunc enim, cum rarus sit ac siccus multumque admixtum calidi habeat, ad ignem concipiendum aptissimus est."
Qui, dove pare che il Sarsi si apparecchi per produrre con dottrina più salda migliore esplicazione delle difficoltà che si trattano, non veggo né che venga apportato molto di nuovo, né di gran pregiudicio alle cose del signor Mario. Imperocché il dire che molto conferisce al maggiore o minor riscaldamento de' corpi che si stropicciano insieme, l'essere essi di qualità calda o fredda, e che anco da molte altre cose non così ben manifeste depende questo negozio, lo credo io pur troppo; ma non mi par già di farci acquisto veruno, per esser, di questo che mi vien detto, la seconda parte troppo recondita, e la prima troppo manifesta e notoria, atteso che in sostanza non mi dice altro se non che più si scaldano quei corpi che son più caldi o più disposti allo scaldarsi, e meno quelli che son più freddi. Così parimente quello che segue appresso, che per la confricazione alcuni legni, cioè i più leggieri e rari, s'accendano più facilmente che altri più duri e densi, ancor che questi più gagliardamente e più lungo tempo s'arruotino insieme, lo credo parimente, ma ciò non veggo che faccia contro al signor Mario, che mai non ha detto in contrario; e non è adesso ch'io sapevo che più presto s'infiammava un pennecchio di stoppa in un fuoco ben che lentissimo, che un pezzo di ferro nella fucina ben ardente.
A quello ch'ei soggiunge, e fortifica col testimonio di Seneca, cioè che la state sia per aria maggior copia d'essalazioni secche, e che perciò si facciano molti fulmini, io ci presto l'assenso; ma dubito bene circa 'l modo dell'accendersi cotali essalazioni insieme coll'aria, e se ciò avvenga per l'attrizione cagionata per alcun movimento. Io reputerei vero quanto viene scritto dal Sarsi, se prima egli m'avesse accertato, non essere in natura altri modi di suscitar l'incendio fuori che questi due, cioè o col toccar la materia combustibile con un fuoco già attualmente ardente, come quando con un moccolo acceso s'accende una torcia, o vero con l'attrizion di due corpi non ardenti: ma perché altri modi ci sono, come per la reflessione de' raggi solari in uno specchio concavo, o per la refrazzion de' medesimi in una palla di cristallo o d'acqua, ed anco s'è veduto talvolta infiammarsi per le strade, mediante l'eccessivo caldo, le paglie ed altri corpi sottili, e questo farsi senza alcuna commozione o agitazione, anzi solamente quando l'aria è quietissima, e che per avventura s'ella fusse agitata e spirasse vento, l'incendio non ne seguirebbe; perché, dico, ci sono questi altri modi, perché non poss'io stimar che ve ne possa esser qualche altro diverso da questi, per lo quale l'essalazioni per aria e tra le nubi si accendano? E perché debbo io attribuire ciò ad un veemente movimento, se io veggo, prima, che senza l'arrotamento de' corpi solidi, quali non si trovano tra le nuvole, non si suscita l'incendio, ed oltre a ciò niuna commozione si scorge in aria o nelle nuvole quando è maggior la frequenza de' lampi e de' fulmini? Io stimo che il dir questo non abbia in sé più di verità , che quando i medesimi filosofi attribuiscono il gran romor de' tuoni allo stracciamento delle nuvole o all'urtarsi insieme l'una contro l'altra; tuttavia nello splendor de' maggiori baleni, e quando si produce il tuono, non si scorge nelle nuvole pure un minimo movimento o mutazion di figura, il quale ad un tanto squarciamento doverebbe esser grandissimo. Lascio stare che i medesimi filosofi, quando tratteranno poi del suono, vorranno nella sua produzzione la percussione de' corpi duri, e diranno che perciò la lana né la stoppa nel percuotersi non fanno strepito; ma poi, quando n'averanno bisogno, la nebbia e le nuvole percuotendosi renderanno il massimo di tutti i rumori. Trattabile e benigna filosofia, che così piacevolmente e con tanta agevolezza si accommoda alle nostre voglie ed alle nostre necessità !
44. Or passiamo avanti a essaminar l'esperienze della freccia tirata coll'arco e della palla di piombo tirata colle scaglie, infocate e strutte per aria, confermate coll'autorità d'Aristotile, di molti gran poeti, d'altri filosofi ed istorici. "Quamvis autem exemplum Aristotelis de sagitta, cuius ferrum motu incaluit, Galilæus irrideat atque eludere tentet, non tamen id potest: neque enim Aristoteles unus id asserit, sed innumeri pene magni nominis viri huiusmodi exempla (earum procul dubio rerum, quas ipsi aut spectassent, aut a spectatoribus accepissent) prodiderunt. Vult hic Galilæus, aliquos nunc proferam e plurimis qui hoc non vere minus quam eleganter affirmant? Ordiar a poëtis, iis contentus quorum auctoritas, quia rerum naturalium cognitione perbene instructi sunt, in rebus gravissimis afferri ac magni fieri solet. Et sane Ovidius, non poëticæ solum sed mathematicorum etiam ac philosophiæ peritus, non sagittas modo, sed plumbeas glandes, fundis Balearicis excussas, in cursu sæpe exarsisse testatur. In libris enim
Metamorphoseon hæc habet:
Non secus exarsit, quam cum Balearica plumbum
funda iacit: volat illud et incandescit eundo,
et, quos non habuit, sub nubibus invenit ignes.
Paria his habet Lucanus, ingenio doctrinaque clarissimus:
Inde faces et saxa volant, spatioque solutæ
aëris et calido liquefactæ pondere glandes.
Quid Lucretius, non minor et ipse philosophus quam poëta? nonne pluribus in locis idem testatur?
. . . . . . . . . . . . . . . . . plumbea vero
glans etiam longo cursu volvenda liquescit;
et alibi:
Non alia longe ratione, ac plumbea sæpe
fervida fit glans in cursu, cum multa rigoris
corpora demittens ignem concepit in auris.
Idem innuit Statius, dum ait:
. . . . arsuras cæli per inania glandes.
Quid de Virgilio, poëtarum maximo? non ne bis hoc ipsum disertissime affirmat? Dum enim ludos Troianorum describit, de Aceste ita loquitur:
Namque volans liquidis in nubibus arsit arundo,
signavitque viam flammis, tenuesque recessit
consumpta in ventos;
alio vero loco, de Mezentio sic:
Stridentem fundam, positis Mezentius armis,
ipse ter adducta circum caput egit habena,
et media adversi liquefacto tempora plumbo
diffidit, et multa porrectum extendit arena.
Posse vero corpus durius alterius mollioris attritione consumi, probat aqua, diuturna distillatione durissimos etiam lapides excavans, atque allisæ scopulis undæ, quæ eosdem comminuunt et mire lævigant; ventorum etiam vi corrodi turrium ac domorum angulos experimur. Si quando igitur aër ipse concrescat magnoque impetu feratur, duriora etiam atte...
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